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sezione lavoro; sentenza 22 gennaio 1999, n. 613; Pres. De Tommaso, Est. Foglia, P.M. Nardi (concl....

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sezione lavoro; sentenza 22 gennaio 1999, n. 613; Pres. De Tommaso, Est. Foglia, P.M. Nardi (concl. diff.); Barsottini (Avv. Perfetti) c. Soc. Gross F4 F.lli Panconi. Cassa Trib. Massa Carrara 20 dicembre 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1203/1204-1209/1210 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195382 . Accessed: 24/06/2014 20:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.145 on Tue, 24 Jun 2014 20:09:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 22 gennaio 1999, n. 613; Pres. De Tommaso, Est. Foglia, P.M. Nardi(concl. diff.); Barsottini (Avv. Perfetti) c. Soc. Gross F4 F.lli Panconi. Cassa Trib. Massa Carrara20 dicembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1203/1204-1209/1210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195382 .

Accessed: 24/06/2014 20:09

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1203 PARTE PRIMA 1204

tra coobbligati». L'affermazione è però inesatta. Gli attori, quali soci accomandanti della s.a.s. in liquidazione, si sono visti ag

gredire dal fisco con pignoramento in base non ad un avviso

di accertamento, ma con cartella esattoriale esecutiva, per cui

hanno dovuto pagare il debito della società e quali condebitori

solidali, anche in base all'accordo intervenuto al momento di

liquidazione della società, si sono rivolti agli altri due soci con

uno dei quali hanno transatto la lite. L'attuale resistente insiste

svalutando la rilevanza dell'avvenuto pagamento valido ed effi

cace effettuato in favore del fisco che agiva esecutivamente, qua lificando il debito come non dovuto, non in sé, ma solo in con

seguenza di ulteriori attività, come una causa di rimborso spie

gata nei confronti del fisco sulla base della conoscenza non

dimostrata da parte dei soci accomandanti di un condono effet

tuato dal socio accomandatario e dante causa del resistente. Gli

ignari ricorrenti si sono limitati di fronte ad un debito fiscale

della società ad effettuarne il pagamento imposto più che dovu

to da parte dell'amministrazione finanziaria.

Non possono rilevare, ai fini della non debenza, le astratte

considerazioni sugli effetti della presentazione della domanda

di condono da parte di Giacomo Fusetti, socio accomandatario, né sulla necessità o meno di depositare l'istanza di fissazione

per la trattazione dei ricorsi tributari ai sensi dell'art. 44 d.p.r. 636/72 da parte del socio accomandatario, l'unico in grado di

conoscere e gestire la debenza tributaria, tra ricorsi e condoni, al fine di evitare il provvedimento presidenziale, che ordinando

l'estinzione del procedimento tributario, rendeva irrevocabile ed

obbligatorio il pagamento dell'imposta definito irrevocabilmente.

La situazione del tutta ignota ai soci accomandanti non può essere addebitata a questi ultimi che, vista la cartella esattoriale

esecutiva nonché il contestuale pignoramento, non potevano far

altro che pagare. Che bisognasse pagare lo riconosce in definiti

va anche il resistente che però imputa ai ricorrenti la mancata

ulteriore attività di richiedere il rimborso al fisco, rimborso che

impone termini brevi e che non poteva essere spiegata da parte di soggetti che non conoscevano, per non essere amministratori, né dell'avvenuto condono, né della duplicazione d'imposta do

vuta al comportamento omissivo dell'amministratore, dante causa

del resistente, che aveva la dovuta riassunzione a seguito della

riforma del processo tributario (ex art. 44 d.p.r. 636/72). In definitiva, l'argomento di un ricorso contro il ruolo, che

è apparso suggestivo al giudice a quo, non può valere per gli

ignari soci accomandanti, e quindi non incide sul fatto dell'av

venuto pagamento e di come lo stesso fosse inevitabile di fronte

all'azione esecutiva posta in essere dal fisco, una volta cessato

il processo innanzi alle commissioni tributarie.

Il pagamento necessario, peraltro imposto ed inevitabile, del

l'intero debito da parte di alcuni condebitori solidali, fa sorgere nei condebitori, sia ex lege, che per espresso accordo pattizio, il diritto di regresso, a norma dell'art. 1299 c.c., per il solo

fatto di avere pagato un debito comune parzialmente anche al

trui, purché tale pagamento rivesta il requisito dell'utilità ogget tiva per gli altri condebitori e sempre che si tratti di pagamento valido ed efficace.

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 gen naio 1999, n. 613; Pres. De Tommaso, Est. Foglia, P.M. Nar

di (conci, diff.); Barsottini (Avv. Perfetti) c. Soc. Gross F4

F.lli Panconi. Cassa Trib. Massa Carrara 20 dicembre 1995.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Tutela reale o obbli

gatoria — Presupposti — Onere della prova — Fattispecie

(Cod. civ., art. 1218, 2697; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme

sui licenziamenti individuali, art. 5, 8; 1. 20 maggio 1970 n.

300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di

lavoro e norme sul collocamento, art. 18; 1. 11 maggio 1990

n. 108, disciplina dei licenziamenti individuali, art. 1, 2).

Grava sul datore di lavoro l'onere di eccepire e provare l'esi

stenza dei requisiti occupazionali che impediscono l'applica zione dell'art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300 (nella specie, il

licenziamento è successivo all'entrata in vigore della I. Il mag

gio 1990 n. 108). (1)

Motivi della decisione. — Col primo motivo — denunciando

la violazione e falsa applicazione dell'art. 18 1. 20 maggio 1970

n. 300, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione —

lamenta il ricorrente che erroneamente il Tribunale di Massa

Carrara ha ritenuto non raggiunta la prova circa i presupposti di applicabilità dell'art. 18 cit., atteso che la società intimata

non aveva mai posto in dubbio la possibilità della tutela reale

invocata in giudizio. Con il secondo motivo — deducendosi l'omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo

della controversia — si osserva che il tribunale non avrebbe

tenuto in considerazione la circostanza che il ricorso d'urgenza

proposto in corso di causa aveva come necessario presupposto — non contestato dalla controparte — il superamento dei mini

mi numerici prescritti dall'art. 18 cit.

(1) La sentenza in epigrafe si discosta consapevolmente dalla giuris prudenza di legittimità più recente in punto, nei cui sviluppi indica però la presenza di aperture di segno differente. Appunto per l'incombere sul lavoratore l'onere della prova del requisito numerico della tutela reale pur dopo la 1. n. 108 del 1990, cfr. Cass. 7 dicembre 1998, n.

12375, Foro it., Mass., 1308, secondo cui la prova può essere raggiunta anche attraverso un'ammissione del convenuto; 29 luglio 1998, n. 7468; 16 maggio 1998, n. 4948; 23 marzo 1998, n. 3045, ibid., 829, 535, 321; 12 novembre 1997, n. 11211, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1551, in via di obiter dictum; 10 novembre 1997, n. 11092, ibid., n. 1566, e, per esteso, Riv. it. dir. lav., 1998, II, 303, con nota di E. Opportuno, Licenziamento, dimensioni dell'impresa, onere della pro va', 1° ottobre 1997, n. 9606, Riv. critica dir. lav., 1998, 472; 18 aprile 1995, n. 4337, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 1572; con riguardo a fattispecie anteriori alla 1. n. 108 cit., cfr. Cass. 18 marzo 1996, n. 2268, id., 1996, I, 2435, con nota di richiami, e Mass. giur. lav., 1996, 589, con nota di E. Boghetich, Licenziamenti individuali, criteri di

computo dei dipendenti e lavoratori assunti a tempo parziale. Per la ricostruzione teorica, utilizzata per pervenire al decisum da

Cass. 613/99 in epigrafe, dell'azione d'impugnativa di licenziamento come azione di responsabilità contrattuale e dell'accostarsi maggiormente ai principi generali il regime speciale di cui all'art. 18 novellato rispetto all'altro, pure speciale, dell'art. 8 1. n. 604 del 1966, cfr. A. Proto Pisani, Giudizio di legittimità dell'impugnazione dei licenziamenti, in Foro it., 1990, V, 373 ss.; cfr., anche, Id., Nuovi studi di diritto pro cessuale de! lavoro, Milano, 1992, 107 ss.; Id., I profili processuali della nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in / licenziamenti individuali e la I. 11 maggio 1990 n. 108, Atti del convegno di Verona 20 ottobre 1990 a cura di Marc. De Cristofaro, Padova, 1991, 32 ss. Per recente sintesi delle varie, divergenti impostazioni dottrinali in

argomento, cfr. A. Niccolai, in AA.VV., Commentario breve alle leg gi sul lavoro a cura di M. Grandi, G. Pera, Padova, 1996, 518; cfr., altresì, A. Vallebona, L'onere della prova del numero dei dipendenti per l'applicazione della tutela reale contro il licenziamento, in Dir. lav., 1994, I, 49.

Circa l'esclusione del carattere di eccezione in senso stretto di quella inerente il numero dei dipendenti, su cui la sentenza in epigrafe non sembra accennare neppure in via di obiter dictum, limitandosi a parla re, come indicato in massima, di onere di eccepire oltre che di provare, cfr., più di recente, Cass. 7468/98; 11211/97, 2268/96, cit.

Quanto al gravare sul datore di lavoro dell'onere di provare la consi stenza numerica del personale dell'azienda ai fini della decorrenza della prescrizione dei crediti del lavoratore dalla data di maturazione dei me desimi, cfr., tra le altre, Cass. 19 luglio 1995, n. 7848, Foro it., Rep. 1996, voce Prescrizione e decadenza, n. 17.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ad avviso del ricorrente, inoltre, la pronuncia di reiezione

adottata dal pretore in sede di urgenza costituisce parte inte

grante della decisione della controversia anche in punto di meri

to, venendone, quindi, a costituire circostanza non contestata

a tutti gli effetti.

I motivi, congiuntamente esaminati, appaiono fondati, per

quanto si preciserà di seguito, e meritano, pertanto accoglimento. Conviene premettere, in fatto, che nel caso di specie, il lavo

ratore aveva affermato sin dall'atto introduttivo che il suo da

tore di lavoro aveva alle sue dipendenze «ben oltre quaranta

dipendenti» fondando su tale presupposto la domanda di rein

tegrazione ai sensi dell'art. 18 1. n. 300 del 1970. Il medesimo

presupposto di fatto era posto a base del ricorso d'urgenza pro

posto in corso di causa, nel quale si reiterava l'istanza di

reintegra. Alla prima deduzione la società convenuta si era limitata a

contestare «tutto quanto esposto e dedotto da parte ricorrente»

senza più replicare sul punto, né in risposta al ricorso d'urgen

za, né nel prosieguo del giudizio ordinario.

Da tale situazione il tribunale ha tratto la conseguenza che, non avendo il ricorrente provato la consistenza numerica del

personale occupato dalla società convenuta, non vi erano i pre

supposti per l'applicazione della tutela reale invocata.

La questione su cui si incentra la controversia in esame, con

cerne, appunto, il riparto dell'onere probatorio sui presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento

di cui sia stata già accertata — come nel caso di specie — l'in

validità. Ed infatti un tale onere, in quanto riferito al lavorato

re che invochi la tutela reale (secondo quanto affermato dalla

giurisprudenza consolidata di questa corte, dalla sentenza delle

sez. un. 4 marzo 1988, n. 2249, Foro it., 1989, I, 840, alle

più recenti, Cass. 18 aprile 1995, n. 4337, id., Rep. 1995, voce

Lavoro (rapporto), n. 1572; 18 marzo 1996, n. 2268, id., 1996,

I, 2435; 1° ottobre 1997, n. 9606) non può essere concepito in termini eccessivamente rigidi, accontentandosi di ricorrere ad

una schematica affermazione quale quella ricorrente in numero

se decisioni secondo le quali, trattandosi di un fatto costitutivo

inerente alle condizioni dell'azione diretta alla reintegrazione, la dimensione occupazionale dell'impresa deve essere provata dal lavoratore attore in giudizio. Affermazione che, basandosi

esclusivamente su una formale applicazione dell'art. 2697 c.c., rischia di trascurare il dato delle ineguali posizioni delle parti nel processo, in relazione alla differente disponibilità degli ele

menti di prova che ciascuna di esse ha in concreto, in base alla

sua posizione nel rapporto. Tale rischio è, invero, avvertito da questa corte allorché am

mette che «al di là delle regole sulla ripartizione dell'onere della

prova, ben può la decisione, comunque, fondarsi su ogni ele

mento di giudizio, una volta acquisito al processo, anche attra

verso prove disposte di ufficio e quale che sia la parte che l'ab

bia fornita, tenuta o non tenuta» (Cass. 1202/85, id., Rep. 1985, voce Prova civile, n. 9; 2941/90, id., Rep. 1990, voce Lavoro

e previdenza (controversie), n. 208). La medesima preoccupa zione ha indotto, in altre occasioni, questa corte ad ammettere

che la prova del requisito dimensionale ben può essere desunta

dal giudice in base al comportamento processuale del datore

di lavoro che non muova contestazioni al riguardo (Cass. 16

aprile 1991, n. 4048, id., Rep. 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 1455; 5 febbraio 1993, n. 1429, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1356), sembrando eccessivo risolvere il problema nei termini

meccanici del brocardo actore non probante reus absolvitur.

Da qui potrebbe dedursi che, ancorché la mera allegazione del requisito dimensionale non costituisce prova, tuttavia, trat

tandosi di presupposto costitutivo della fattispecie legale, per di più necessariamente risultante da una documentazione (ad

es. libri paga e matricola) la cui tenuta è dalla legge espressa

mente imposta a carico del datore di lavoro, il giudice potrà

supplire all'inerzia delle parti, ad es. ordinandone l'esibizione.

A questa stregua — e con riferimento al caso di specie in

cui la società convenuta si è limitata ad un'unica iniziale conte

stazione non corredata da elementi documentali dei quali certa

mente doveva essere in possesso — va valutato il comportamen

to del datore di lavoro, tenendo presente il disposto dell'art.

416, 3° comma, c.p.c. secondo cui nella memoria di costituzio

ne «il convenuto deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affer

mati dall'attore a fondamento della domanda, e deve proporre

Il Foro Italiano — 1999.

tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamen

te, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende av

valersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente

depositare».

Questa disposizione viene costantemente interpretata, da una

parte, nel senso che una contestazione del genere, espressa in termini di rifiuto totale delle asserzioni del ricorrente non impli ca ammissione, da parte del convenuto, della sussistenza dei

fatti allegati dalla controparte (Cass. 2551/85, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 224; 6339/87, id.,

Rep. 1987, voce cit., n. 165; 7447/94, id., Rep. 1995, voce cit., n. 143), e, dall'altra, che l'onere di tempestiva, ossia immedia

ta, difesa e prova non riguarda i fatti costitutivi del diritto sog

gettivo affermato dall'attore, e che la negazione di questi fatti

da parte del convenuto costituisce «mera difesa» non soggetta a limiti temporali, in quanto il loro difetto è rilevabile d'ufficio (Cass. 18 marzo 1996, n. 2268, cit.; 13 dicembre 1986, n. 7476,

id., Rep. 1986, voce cit., n. 221), con la conseguenza che il

requisito delle dimensioni occupazionali dell'impresa è in ogni caso rilevabile dal giudice, anche d'ufficio, in relazione alla si

tuazione sostanziale dedotta in giudizio (Cass. 18 marzo 1996, n. 2268, cit.). Il che, ancora una volta mostra come istanze

equitative — direttamente collegate alle posizioni ineguali delle

parti nel processo del lavoro — finiscono col condizionare l'ap

plicazione di una distinzione, pur concettualmente sicura, tra

eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato.

Per risolvere la questione riproposta nel presente giudizio sem

bra pertanto necessario un approfondimento dell'analisi che non

può prescindere dai contributi dottrinari in tema.

Come è noto, il problema del riparto degli oneri probatori sul punto delle dimensioni occupazionali dell'impresa è stato

affrontato da buona parte degli studiosi ricercando quale dei

due regimi legali, quello reale o quello obbligatorio possa defi

nirsi generale e quale invece speciale. Da una parte si ritiene generale il regime obbligatorio, ma

dall'altra ci si interroga sulla base di quale dato normativo —

ricavabile dagli art. 18 statuto lavoratori e 2 1. n. 108 del 1990 — è consentito ritenere che il licenziamento illegittimo solo ec

cezionalmente può essere sottoposto al regime «reale».

Non manca chi rileva che il legislatore, lungi dal sancire la

generale operatività del regime di cui all'art. 8 1. n. 604 del

1966, per poi definire, in particolare il campo di vigenza dei

rimedi previsti dall'art. 18 statuto lavoratori, ha invece previ

sto, in positivo, sia i presupposti di applicabilità della tutela

obbligatoria, sia quelli della tutela reale, provvedendo a rendere

omogenei i referenti necessari per l'una e per l'altra tutela, sia

da un punto di vista soggettivo (nel senso che entrambe le nor

mative prescindono dalla natura imprenditoriale o meno del da

tore di lavoro), sia da un punto di vista oggettivo (dal momento

che la dimensione organizzativa di riferimento è in entrambi

i casi la medesima e cioè a dire la complessiva organizzazione del datore di lavoro).

A ben vedere, un tale approccio rischia di rivelarsi fuorvian

te, o comunque inidoneo a fornire una risposta «stabile», dal

momento che, come spesso accade, allorché, in un contesto di

oggettiva incertezza si debba individuare quale sia la regola e

quale l'eccezione, la risposta, in ultima analisi finisce col dipen dere anche da giudizi di valore, inevitabilmente influenzati dal

momentaneo clima «storico-politico», favorevole ora a privile

giare la stabilità del rapporto di lavoro (per le sue implicazioni in termini di tutela della professionalità e della personalità del

lavoratore), inteso come obiettivo prioritario da perseguire, ora

ad assecondare piuttosto le esigenze di flessibilità dettate da una

situazione economica generale che reclama interventi di sostegno. A questo punto non è inopportuno tornare al dato normativo

di riferimento, rileggendo per esteso il nuovo art. 18, 1° com

ma, come novellato dall'art. 1 1. 108/90:

«Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art.

7 1. 15 luglio 1966 n. 604, il giudice con la sentenza con cui

dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della pre detta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta cau

sa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma

della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e

non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, uf

ficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenzia

mento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di

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1207 PARTE PRIMA 1208

lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di

reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non im

prenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, sin

golarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso

al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occu

pa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro».

L'art. 2 1. 11 maggio 1990 n. 108, ricomprende nel regime di tutela obbligatoria (già contemplato dalla 1. 15 luglio 1966

n. 604) i licenziamenti individuali intimati dai datori di lavoro — imprenditori o non imprenditori — che occupano alle loro

dipendenze sino a quindici dipendenti (o sino a cinque dipen

denti, se imprenditori agricoli), nonché quelli che occupano si

no a sessanta dipendenti, sempreché non occupino più di quin dici dipendenti nell'ambito di uno stesso comune, ovvero nel

l'ambito di ciascuna unità produttiva. La tutela reale non trova applicazione, altresì, nei confronti

dei datori di lavoro non imprenditori «che svolgono senza fine

di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istru

zione ovvero di religione o di culto» (art. 4, 1° comma). Entrambe le tutele, sia quella reale che quella obbligatoria,

non si applicano nei confronti dei lavoratori domestici, né di

quelli ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, sem

preché non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 6 d.l. 22 dicembre 1981 n. 791, con

vertito, con modificazioni, nella 1. 26 febbraio 1982 n. 54 (art.

4). Lo stesso vale nei confronti dei lavoratori assunti in prova, e dei dirigenti, in base all'art. 10 1. n. 604 del 1966 tuttora in vigore.

In altra parte della 1. 108/90 la scelta tra le due tutele viene

operata, invece, con riferimento al particolare vizio da cui è affetto il licenziamento (ipotesi del licenziamento discriminato

rio: art. 3).

Orbene, esclusa la ricorrenza nella controversia in esame, di

quest'ultima ipotesi, come pure delle ipotesi in cui il regime del licenziamento dipende dalla qualità soggettiva del lavorato re interessato, è agevole constatare che i presupposti per l'appli cabilità della tutela reale o di quella obbligatoria riguardano esclusivamente, la natura (industriale o agricola) dell'impresa, le finalità tipiche dell'attività economica, nonché le dimensioni

occupazionali dell'impresa anche con riferimento alle sue even tuali articolazioni organizzative o distribuzione su territori di

versi, aspetti, tutti certamente rientranti nella «naturale» consa

pevolezza dell'imprenditore, trattandosi di connotazioni sue pro prie, e non altrettanto sicuramente conosciute o percepibili dal

singolo lavoratore dipendente.

Questo dato, incontrovertibile, ha condizionato fortemente la giurisprudenza sopra menzionata, attenuando progressivamente la portata dei principi da cui essa ha preso le mosse.

Dal riesame dell'impianto normativo emerge chiaramente il fondamento su cui ciascuno dei regimi si fonda: esso si rinviene

prevalentemente nella natura o nella dimensione dell'impresa, 0 talora, nella qualità o nella posizione professionale del lavo ratore licenziato.

Dal disposto dell'art. 18 statuto lavoratori (sia prima che do

po la novella del 1990) si ricava come la diversità di quei regimi trova la sua ragione, il più delle volte, non in fatti riferibili al lavoratore (salvo che si tratti di categorie particolari quali 1 dirigenti, o i pensionati . . .), ma piuttosto nella natura (agri cola o industriale, operante o meno per fini di lucro . . .) o nella dimensione occupazionale dell'impresa la quale, in quanto espressiva anche di una diversa capacità di sostenere gli oneri di una tutela reale o obbligatoria (senza comprometterne le ca

pacità produttive e, quindi, occupazionali) giustifica questo o

quel regime (in tal senso, v., anche, Corte cost. 55/74, id., 1974, I, 959; 152/75, id., 1975, I, 1578; 189/75, ibid.; 2/86, id., 1986, I, 1184; 240/93, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1375; 44/96, id., 1996, I, 1124).

Il dato dimensionale dell'impresa resta dunque la «ragione giustificatrice» del regime di tutela reale, assolutamente preva lente, quale discrimine rispetto al regime di tutela obbligatoria, laddove perde rilevanza l'altro elemento, tradizionalmente indi viduato dalla «fiduciarietà» del rapporto (il quale, ad es. nelle unità produttive con meno di sedici dipendenti, non osta all'o

peratività della tutela reale, ove l'impresa, nel suo complesso occupi più di sessanta dipendenti).

Il Foro Italiano — 1999.

Tale regime, quindi, riferito dalla legge esclusivamente alle

dimensioni occupazionali (che, come indicano i lavori prepara

tori, risultò criterio più idoneo per «misurare» la capacità del

l'impresa di sostenere i «costi» di una tutela reale) dipende esclu

sivamente da fatti la cui «disponibilità» appartiene, di norma, esclusivamente al soggetto stesso cui si riferiscono e cioè l'im

presa (la quale è in grado di fornirne i riscontri reali, utilizzan

do tutta l'ampia documentazione che la legge le impone di

tenere). Di fronte a tale situazione appare irrazionale concepire un

onere probatorio assoluto ed esclusivo a carico del lavoratore

al quale di regola sfuggono i dati concernenti le dimensioni, anche esterne, rispetto all'unità produttiva in cui esso operava.

Un'ulteriore conferma di questa «lettura» si trae dal 2° com

ma del nuovo art. 18 il quale, nel precisare i criteri di computo del numero degli occupati ai fini dell'operatività della tutela

reale, vi comprende, ad es. i lavoratori assunti con contratto

di formazione, o quelli assunti a tempo parziale, computandoli «. . . per la sola quota di orario effettivamente svolto . . .», e al contempo esclude dal computo «... il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e

in linea collaterale»: tutte realtà, queste, delle quali evidente

mente solo il datore può avere una compiuta conoscenza.

Sembra, allora, da escludere che l'onere probatorio — com

piutamente inteso — sulla dimensione occupazionale, ai fini della

questione presente, possa incombere, nella sua pienezza di con

tenuti, sul lavoratore, al punto che una generica contestazione

da parte del datore di lavoro possa essere sufficiente a negare

l'applicabilità di una disciplina che la legge stessa detta su misu

ra dell'impresa, diversamente opinando occorrerebbe, da un la

to, rilevare che in tal caso verrebbe premiata una «reticenza»

ingiustificata del datore di lavoro, in dispregio dei principi di

lealtà e parità che sono alla base del processo, e, ancora più a monte, ritenere il lavoratore, piuttosto che il datore, in grado

(e, quindi, onerato) di fornire una prova attinente a fatti che

non rientrano nella sua sfera di conoscenza.

Una volta riscontrata la fragilità della tesi che fonda l'onere

probatorio a carico del lavoratore che invoca la tutela reale sul

la natura eccezionale di questa, appare più corretta la posizione — pur espressa da autorevole dottrina — che muove dalla rico

struzione dell'azione di impugnazione del licenziamento come azione di adempimento e/o di responsabilità per inadempimen to: il datore di lavoro che pone in essere un licenziamento al

di fuori delle condizioni richieste dalla legge si rende responsa bile di un inadempimento alle obbligazioni assunte al momento della costituzione del rapporto.

Fatti costitutivi necessari e sufficienti a reggere gli effetti giu ridici (reintegrazione e risarcimento, riassunzione o indennità) che il lavoratore mira a conseguire attraverso la c.d. azione di

impugnativa di licenziamento sono la pregressa esistenza di un

rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e la sua interruzione a seguito dell'iniziativa della controparte.

Fatti impeditivi degli effetti giuridici che il lavoratore mira a conseguire sono la sussistenza di una giusta causa o giustifica to motivo di licenziamento: la regola di ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 5 1. n. 604 del 1966 ben lungi dall'es sere una disposizione eccezionale introdotta a favore del lavora

tore, non è altro che applicazione alla responsabilità del datore di lavoro della regola generale dettata dall'art. 1218 c.c. in te ma di onere della prova nella responsabilità contrattuale.

Ed infatti, in base ai principi generali, la conseguenza avreb be dovuto essere quella del risarcimento di tutti i danni subiti dalla controparte (art. 1223 c.c.). L'art. 8 1. n. 604 del 1966,

prevede invece una forte attenuazione delle conseguenze a cari co della parte inadempiente ed è allora giustificato porre a cari co di colui che pretende di essere esonerato da quelle che sareb bero le comuni sanzioni derivanti da un inadempimento (e cioè da quanto previsto dall'art. 18 1. n. 300 del 1990) l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni che determinano la riduzione degli effetti restitutori e risarcitori.

In conclusione, può ritenersi che, pur essendo entrambe le

discipline previste rispettivamente dagli art. 8 1. 604/66 e 18 1. 300/70, speciali rispetto alla disciplina generale in tema di

responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., la disciplina del l'art. 18 è più vicina (ancorché non identica) ai principi generali in tema di responsabilità contrattuale, mentre la più blanda di

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sciplina dell'art. 8 si distacca fortemente dal rispetto di quei

principi. Si può, quindi, affermare che grava sul datore di lavoro l'o

nere di eccepire e provare l'esistenza dei requisiti occupazionali che impediscono l'applicazione della disciplina generale dell'art.

18 statuto lavoratori, il che appare altresì conforme ai criteri

di facilità e vicinanza della prova, tanto più evidenti in relazio

ne agli specifici obblighi di documentazione imposti dalla legge al datore di lavoro in merito al personale alle sue dipendenze.

Da quanto precede consegue l'accoglimento del ricorso e la

cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa ad

altro giudice (che si designa nel Tribunale di Pisa) il quale si atterrà ai principi più sopra enunciati.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1999, n. 587; Pres. Meriggiola, Est. Preden, P.M. Ce

niccola (conci, diff.); Soc. Renzo Piattelli (Avv. Galluzzo)

c. Ubaldi Negri (Aw. Marimonti). Cassa App. Roma 23 mag

gio 1996.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Provvedimento di rilascio per finita loca

zione — Esecuzione — Sospensione «ope legis» — Maggiora zione del canone — Omessa corresponsione dell'indennità per

la perdita dell'avviamento — Conseguenze (Cod. civ., art.

1591; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 34, 69; d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, misure urgenti per fronteggiare l'eccezionale carenza di di

sponibilità abitative, art. 7; 1. 21 febbraio 1989 n. 61, conver

sione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1988 n. 551).

La mancata corresponsione dell'indennità per la perdita dell'av

viamento, spettante al conduttore ai sensi degli art. 34 e 69

I. 392/78, in ragione dell'utilizzazione dell'immobile locato

per attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli

utenti e dei consumatori, impedisce la configurabilità in capo al conduttore stesso della mora nella restituzione del bene lo

cato e determina, quindi, l'inapplicabilità della disposizione dell'art. 7 d.l. 551/88 (convertito, con modificazioni, nella

I. 61/89), che prevede, in correlazione con la sospensione ex

lege dell'esecuzione del provvedimento di rilascio per finita

locazione, l'obbligo del conduttore di corrispondere, ai sensi

dell'art. 1591 c.c., il doppio del canone di locazione. (1)

(1-2) Le sentenze in rassegna rendono evidente un contrasto interpre tativo già intuibile dalla lettura di Cass. 17 ottobre 1995, n. 10820, e 30 marzo 1995, n. 3813, Foro it., 1995, I, 3123, con nota di D. Piom

bo (annotate anche da N. Izzo, in Giust. civ., 1996, I, 750, e la prima da F. Del Bene, in Nuova giur. civ., 1997, I, 297): la prima di queste

(alla quale si rifà, ribadendone le argomentazioni, Cass. 587/99), infat

ti, occupandosi diffusamente delle conseguenze del condizionamento del

l'esecuzione del rilascio alla corresponsione dell'indennità di avviamen

to, ove spettante al conduttore, previsto dagli art. 34, 3° comma, e

69 1. 392/78 (giungendo alla conclusione che in caso di mancato paga mento od offerta dell'indennità non è configurabile mora del condutto

re ai sensi dell'art. 1591 c.c.), e del rapporto fra esso e le dilazioni

dell'esecuzione conseguenti all'applicazione dell'art. 56 1. 392/78 o a

specifiche disposizioni di legge, già osservava che, in caso di coesistenza

tra i due fenomeni, «sarà il condizionamento a regolare, con forza as

sorbente, in ragione della sua ampia efficacia, non solo processuale ma anche sostanziale, la situazione di fatto susseguente alla cessazione

del rapporto di locazione (e sarà rimessa alle parti, che offrano, rispet

tivamente, la riconsegna del bene ed il pagamento dell'indennità, la

Il Foro Italiano — 1999.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 10 di

cembre 1998, n. 12419; Pres. Grossi, Est. Lucentini, P.M.

Nardi (conci, diff.); Sabbi (Avv. Mannino) c. Maselli (Avv. De Bonis). Cassa Trib. Roma 4 luglio 1996.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Provvedimento di rilascio per finita loca

zione — Esecuzione — Sospensione «ope legis» — Maggiora zione del canone — Omessa corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento — Irrilevanza (Cod. civ., art. 1591;

1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 34, 69; d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, art. 7; 1. 21 febbraio 1989 n. 61).

Nel periodo di operatività della sospensione dell'esecuzione de

gli sfratti disposta — per gli immobili ad uso diverso dall'abi

tazione — dall'art. 7,1° comma, d.l. 551/88 (convertito, con

modificazioni, nella l. 61/89), il conduttore è tenuto a corri

spondere al locatore l'indennità di occupazione ex art. 1591

c.c. nella misura prevista dal 2° comma dello stesso art. 7

(pari all'ultimo canone corrisposto maggiorato del cento per

cento), a nulla rilevando che non gli sia stata ancora corri

sposta, né offerta, l'indennità per la perdita dell'avviamento

spettantegli ai sensi dell'art. 69 l. 392/78. (2)

I

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 7 settem

bre 1991, la Renzo Piattelli s.r.l. esponeva che, a seguito di

istanza di sfratto della locatrice Ubaldi Maria Adelaide, il Pre

tore di Roma, in data 27 dicembre 1987, aveva emesso nei suoi

confronti ordinanza di rilascio dell'immobile sito in Roma, via

Condotti 20/a, condotto in locazione ad uso di esercizio com

facoltà di determinare la cessazione del condizionamento, con conse

guente espansione, vigendone i termini, della disciplina della dilazione

meramente processuale del rilascio)»; mentre, in un'ottica totalmente

diversa, Cass. 3813/95 (cui si uniforma Cass. 12419/98), specificamente pronunziandosi in merito alla disposizione dell'art. 7 d.l. 551/88 (1.

61/89), partiva dalla considerazione che l'onere del locatore di pagare l'indennità di avviamento per potere agire in via esecutiva presuppone «che, a pagamento avvenuto, non sussistano ostacoli legali di altra na

tura all'esecuzione del rilascio», di modo che «se invece il provvedi mento di rilascio non è eseguibile per cause diverse ed indipendenti dal

la mancata corresponsione dell'indennità, non può ritenersi che gravi sul locatore l'onere in parola . . .».

La sentenza 12419/98, qui riprodotta, oltre a Cass. 3813/95, cit., richiama come precedente conforme anche Cass. 17 giugno 1996, n.

5545, Foro it., Rep. 1996, voce Locazione, n. 392. A ben vedere, tutta

via, a leggerne la motivazione (riportata in Rass. locazioni, 1996, 285),

emerge che tale pronunzia (pres. Iannotta, est. Preden), non massimata

dall'ufficio massimario della Cassazione, non è entrata affatto nel me

rito della questione della compatibilità tra «maggiorazioni del canone

dovute durante il periodo di sospensione dell'esecuzione dei provvedi menti di rilascio (ed espressamente riferite, nell'art. 7 d.l. 551/88, . . ., all'art. 1591 c.c.), e condizionamento dell'esecuzione al previo paga mento dell'indennità di avviamento . . .», pur essendo questo il tema

dibattuto nel caso concreto, a causa dell'assoluta genericità dei motivi del ricorso in Cassazione e della conseguente impossibilità da parte del

la corte di individuarne le ragioni. La problematica sottesa all'applicazione dell'art. 7 d.l. 551/88, peral

tro, come posto in evidenza da Cass. 587/99, è di carattere più genera le, riguardando la qualificazione giuridica della posizione del condutto

re di immobile ad uso diverso dall'abitazione che rimane nella detenzio

ne del bene, dopo la cessazione de iure del contratto, in attesa della

corresponsione dell'indennità di avviamento ex art. 34 e 69 1. 392/78; e mette conto osservare che al riguardo la giurisprudenza di legittimità

(ma non solo) continua a proporre soluzioni interpretative contrastanti

(v., da ultimo, Cass. 10 luglio 1997, n. 6270, Foro it., 1998, I, 150, con nota di richiami ed osservazioni di D. Piombo; cui adde, tra le

pronunzie di merito, App. Roma 4 luglio 1996, id., Rep. 1997, voce

cit., n. 444, e Pret. Firenze 23 maggio 1996, ibid., n. 445), sicché sem

brerebbero maturi i tempi per un intervento delle sezioni unite.

Sull'interpretazione della disposizione dell'art. 2 d.l. 393/87 (conver tito nella 1. 478/87), nella parte in cui, escludendo la risarcibilità del

maggior danno ex art. 1591 c.c. per le ipotesi ivi contemplate, fa salvi

i «diversi accordi già intervenuti» (disposizione alla quale, nel caso esa

minato da Cass. 12419/98, faceva riferimento il ricorrente nel secondo

motivo, disatteso dalla corte), v. Cass. 3 marzo 1998, n. 2334, id., 1998,

I, 1871. [D. Piombo]

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