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sezione lavoro; sentenza 22 gennaio 1999, n. 613; Pres. De Tommaso, Est. Foglia, P.M. Nardi(concl. diff.); Barsottini (Avv. Perfetti) c. Soc. Gross F4 F.lli Panconi. Cassa Trib. Massa Carrara20 dicembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 4 (APRILE 1999), pp. 1203/1204-1209/1210Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195382 .
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1203 PARTE PRIMA 1204
tra coobbligati». L'affermazione è però inesatta. Gli attori, quali soci accomandanti della s.a.s. in liquidazione, si sono visti ag
gredire dal fisco con pignoramento in base non ad un avviso
di accertamento, ma con cartella esattoriale esecutiva, per cui
hanno dovuto pagare il debito della società e quali condebitori
solidali, anche in base all'accordo intervenuto al momento di
liquidazione della società, si sono rivolti agli altri due soci con
uno dei quali hanno transatto la lite. L'attuale resistente insiste
svalutando la rilevanza dell'avvenuto pagamento valido ed effi
cace effettuato in favore del fisco che agiva esecutivamente, qua lificando il debito come non dovuto, non in sé, ma solo in con
seguenza di ulteriori attività, come una causa di rimborso spie
gata nei confronti del fisco sulla base della conoscenza non
dimostrata da parte dei soci accomandanti di un condono effet
tuato dal socio accomandatario e dante causa del resistente. Gli
ignari ricorrenti si sono limitati di fronte ad un debito fiscale
della società ad effettuarne il pagamento imposto più che dovu
to da parte dell'amministrazione finanziaria.
Non possono rilevare, ai fini della non debenza, le astratte
considerazioni sugli effetti della presentazione della domanda
di condono da parte di Giacomo Fusetti, socio accomandatario, né sulla necessità o meno di depositare l'istanza di fissazione
per la trattazione dei ricorsi tributari ai sensi dell'art. 44 d.p.r. 636/72 da parte del socio accomandatario, l'unico in grado di
conoscere e gestire la debenza tributaria, tra ricorsi e condoni, al fine di evitare il provvedimento presidenziale, che ordinando
l'estinzione del procedimento tributario, rendeva irrevocabile ed
obbligatorio il pagamento dell'imposta definito irrevocabilmente.
La situazione del tutta ignota ai soci accomandanti non può essere addebitata a questi ultimi che, vista la cartella esattoriale
esecutiva nonché il contestuale pignoramento, non potevano far
altro che pagare. Che bisognasse pagare lo riconosce in definiti
va anche il resistente che però imputa ai ricorrenti la mancata
ulteriore attività di richiedere il rimborso al fisco, rimborso che
impone termini brevi e che non poteva essere spiegata da parte di soggetti che non conoscevano, per non essere amministratori, né dell'avvenuto condono, né della duplicazione d'imposta do
vuta al comportamento omissivo dell'amministratore, dante causa
del resistente, che aveva la dovuta riassunzione a seguito della
riforma del processo tributario (ex art. 44 d.p.r. 636/72). In definitiva, l'argomento di un ricorso contro il ruolo, che
è apparso suggestivo al giudice a quo, non può valere per gli
ignari soci accomandanti, e quindi non incide sul fatto dell'av
venuto pagamento e di come lo stesso fosse inevitabile di fronte
all'azione esecutiva posta in essere dal fisco, una volta cessato
il processo innanzi alle commissioni tributarie.
Il pagamento necessario, peraltro imposto ed inevitabile, del
l'intero debito da parte di alcuni condebitori solidali, fa sorgere nei condebitori, sia ex lege, che per espresso accordo pattizio, il diritto di regresso, a norma dell'art. 1299 c.c., per il solo
fatto di avere pagato un debito comune parzialmente anche al
trui, purché tale pagamento rivesta il requisito dell'utilità ogget tiva per gli altri condebitori e sempre che si tratti di pagamento valido ed efficace.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 gen naio 1999, n. 613; Pres. De Tommaso, Est. Foglia, P.M. Nar
di (conci, diff.); Barsottini (Avv. Perfetti) c. Soc. Gross F4
F.lli Panconi. Cassa Trib. Massa Carrara 20 dicembre 1995.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Tutela reale o obbli
gatoria — Presupposti — Onere della prova — Fattispecie
(Cod. civ., art. 1218, 2697; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme
sui licenziamenti individuali, art. 5, 8; 1. 20 maggio 1970 n.
300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento, art. 18; 1. 11 maggio 1990
n. 108, disciplina dei licenziamenti individuali, art. 1, 2).
Grava sul datore di lavoro l'onere di eccepire e provare l'esi
stenza dei requisiti occupazionali che impediscono l'applica zione dell'art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300 (nella specie, il
licenziamento è successivo all'entrata in vigore della I. Il mag
gio 1990 n. 108). (1)
Motivi della decisione. — Col primo motivo — denunciando
la violazione e falsa applicazione dell'art. 18 1. 20 maggio 1970
n. 300, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione —
lamenta il ricorrente che erroneamente il Tribunale di Massa
Carrara ha ritenuto non raggiunta la prova circa i presupposti di applicabilità dell'art. 18 cit., atteso che la società intimata
non aveva mai posto in dubbio la possibilità della tutela reale
invocata in giudizio. Con il secondo motivo — deducendosi l'omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo
della controversia — si osserva che il tribunale non avrebbe
tenuto in considerazione la circostanza che il ricorso d'urgenza
proposto in corso di causa aveva come necessario presupposto — non contestato dalla controparte — il superamento dei mini
mi numerici prescritti dall'art. 18 cit.
(1) La sentenza in epigrafe si discosta consapevolmente dalla giuris prudenza di legittimità più recente in punto, nei cui sviluppi indica però la presenza di aperture di segno differente. Appunto per l'incombere sul lavoratore l'onere della prova del requisito numerico della tutela reale pur dopo la 1. n. 108 del 1990, cfr. Cass. 7 dicembre 1998, n.
12375, Foro it., Mass., 1308, secondo cui la prova può essere raggiunta anche attraverso un'ammissione del convenuto; 29 luglio 1998, n. 7468; 16 maggio 1998, n. 4948; 23 marzo 1998, n. 3045, ibid., 829, 535, 321; 12 novembre 1997, n. 11211, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1551, in via di obiter dictum; 10 novembre 1997, n. 11092, ibid., n. 1566, e, per esteso, Riv. it. dir. lav., 1998, II, 303, con nota di E. Opportuno, Licenziamento, dimensioni dell'impresa, onere della pro va', 1° ottobre 1997, n. 9606, Riv. critica dir. lav., 1998, 472; 18 aprile 1995, n. 4337, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 1572; con riguardo a fattispecie anteriori alla 1. n. 108 cit., cfr. Cass. 18 marzo 1996, n. 2268, id., 1996, I, 2435, con nota di richiami, e Mass. giur. lav., 1996, 589, con nota di E. Boghetich, Licenziamenti individuali, criteri di
computo dei dipendenti e lavoratori assunti a tempo parziale. Per la ricostruzione teorica, utilizzata per pervenire al decisum da
Cass. 613/99 in epigrafe, dell'azione d'impugnativa di licenziamento come azione di responsabilità contrattuale e dell'accostarsi maggiormente ai principi generali il regime speciale di cui all'art. 18 novellato rispetto all'altro, pure speciale, dell'art. 8 1. n. 604 del 1966, cfr. A. Proto Pisani, Giudizio di legittimità dell'impugnazione dei licenziamenti, in Foro it., 1990, V, 373 ss.; cfr., anche, Id., Nuovi studi di diritto pro cessuale de! lavoro, Milano, 1992, 107 ss.; Id., I profili processuali della nuova disciplina dei licenziamenti individuali, in / licenziamenti individuali e la I. 11 maggio 1990 n. 108, Atti del convegno di Verona 20 ottobre 1990 a cura di Marc. De Cristofaro, Padova, 1991, 32 ss. Per recente sintesi delle varie, divergenti impostazioni dottrinali in
argomento, cfr. A. Niccolai, in AA.VV., Commentario breve alle leg gi sul lavoro a cura di M. Grandi, G. Pera, Padova, 1996, 518; cfr., altresì, A. Vallebona, L'onere della prova del numero dei dipendenti per l'applicazione della tutela reale contro il licenziamento, in Dir. lav., 1994, I, 49.
Circa l'esclusione del carattere di eccezione in senso stretto di quella inerente il numero dei dipendenti, su cui la sentenza in epigrafe non sembra accennare neppure in via di obiter dictum, limitandosi a parla re, come indicato in massima, di onere di eccepire oltre che di provare, cfr., più di recente, Cass. 7468/98; 11211/97, 2268/96, cit.
Quanto al gravare sul datore di lavoro dell'onere di provare la consi stenza numerica del personale dell'azienda ai fini della decorrenza della prescrizione dei crediti del lavoratore dalla data di maturazione dei me desimi, cfr., tra le altre, Cass. 19 luglio 1995, n. 7848, Foro it., Rep. 1996, voce Prescrizione e decadenza, n. 17.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ad avviso del ricorrente, inoltre, la pronuncia di reiezione
adottata dal pretore in sede di urgenza costituisce parte inte
grante della decisione della controversia anche in punto di meri
to, venendone, quindi, a costituire circostanza non contestata
a tutti gli effetti.
I motivi, congiuntamente esaminati, appaiono fondati, per
quanto si preciserà di seguito, e meritano, pertanto accoglimento. Conviene premettere, in fatto, che nel caso di specie, il lavo
ratore aveva affermato sin dall'atto introduttivo che il suo da
tore di lavoro aveva alle sue dipendenze «ben oltre quaranta
dipendenti» fondando su tale presupposto la domanda di rein
tegrazione ai sensi dell'art. 18 1. n. 300 del 1970. Il medesimo
presupposto di fatto era posto a base del ricorso d'urgenza pro
posto in corso di causa, nel quale si reiterava l'istanza di
reintegra. Alla prima deduzione la società convenuta si era limitata a
contestare «tutto quanto esposto e dedotto da parte ricorrente»
senza più replicare sul punto, né in risposta al ricorso d'urgen
za, né nel prosieguo del giudizio ordinario.
Da tale situazione il tribunale ha tratto la conseguenza che, non avendo il ricorrente provato la consistenza numerica del
personale occupato dalla società convenuta, non vi erano i pre
supposti per l'applicazione della tutela reale invocata.
La questione su cui si incentra la controversia in esame, con
cerne, appunto, il riparto dell'onere probatorio sui presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento
di cui sia stata già accertata — come nel caso di specie — l'in
validità. Ed infatti un tale onere, in quanto riferito al lavorato
re che invochi la tutela reale (secondo quanto affermato dalla
giurisprudenza consolidata di questa corte, dalla sentenza delle
sez. un. 4 marzo 1988, n. 2249, Foro it., 1989, I, 840, alle
più recenti, Cass. 18 aprile 1995, n. 4337, id., Rep. 1995, voce
Lavoro (rapporto), n. 1572; 18 marzo 1996, n. 2268, id., 1996,
I, 2435; 1° ottobre 1997, n. 9606) non può essere concepito in termini eccessivamente rigidi, accontentandosi di ricorrere ad
una schematica affermazione quale quella ricorrente in numero
se decisioni secondo le quali, trattandosi di un fatto costitutivo
inerente alle condizioni dell'azione diretta alla reintegrazione, la dimensione occupazionale dell'impresa deve essere provata dal lavoratore attore in giudizio. Affermazione che, basandosi
esclusivamente su una formale applicazione dell'art. 2697 c.c., rischia di trascurare il dato delle ineguali posizioni delle parti nel processo, in relazione alla differente disponibilità degli ele
menti di prova che ciascuna di esse ha in concreto, in base alla
sua posizione nel rapporto. Tale rischio è, invero, avvertito da questa corte allorché am
mette che «al di là delle regole sulla ripartizione dell'onere della
prova, ben può la decisione, comunque, fondarsi su ogni ele
mento di giudizio, una volta acquisito al processo, anche attra
verso prove disposte di ufficio e quale che sia la parte che l'ab
bia fornita, tenuta o non tenuta» (Cass. 1202/85, id., Rep. 1985, voce Prova civile, n. 9; 2941/90, id., Rep. 1990, voce Lavoro
e previdenza (controversie), n. 208). La medesima preoccupa zione ha indotto, in altre occasioni, questa corte ad ammettere
che la prova del requisito dimensionale ben può essere desunta
dal giudice in base al comportamento processuale del datore
di lavoro che non muova contestazioni al riguardo (Cass. 16
aprile 1991, n. 4048, id., Rep. 1991, voce Lavoro (rapporto), n. 1455; 5 febbraio 1993, n. 1429, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1356), sembrando eccessivo risolvere il problema nei termini
meccanici del brocardo actore non probante reus absolvitur.
Da qui potrebbe dedursi che, ancorché la mera allegazione del requisito dimensionale non costituisce prova, tuttavia, trat
tandosi di presupposto costitutivo della fattispecie legale, per di più necessariamente risultante da una documentazione (ad
es. libri paga e matricola) la cui tenuta è dalla legge espressa
mente imposta a carico del datore di lavoro, il giudice potrà
supplire all'inerzia delle parti, ad es. ordinandone l'esibizione.
A questa stregua — e con riferimento al caso di specie in
cui la società convenuta si è limitata ad un'unica iniziale conte
stazione non corredata da elementi documentali dei quali certa
mente doveva essere in possesso — va valutato il comportamen
to del datore di lavoro, tenendo presente il disposto dell'art.
416, 3° comma, c.p.c. secondo cui nella memoria di costituzio
ne «il convenuto deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affer
mati dall'attore a fondamento della domanda, e deve proporre
Il Foro Italiano — 1999.
tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamen
te, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende av
valersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente
depositare».
Questa disposizione viene costantemente interpretata, da una
parte, nel senso che una contestazione del genere, espressa in termini di rifiuto totale delle asserzioni del ricorrente non impli ca ammissione, da parte del convenuto, della sussistenza dei
fatti allegati dalla controparte (Cass. 2551/85, id., Rep. 1986, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 224; 6339/87, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 165; 7447/94, id., Rep. 1995, voce cit., n. 143), e, dall'altra, che l'onere di tempestiva, ossia immedia
ta, difesa e prova non riguarda i fatti costitutivi del diritto sog
gettivo affermato dall'attore, e che la negazione di questi fatti
da parte del convenuto costituisce «mera difesa» non soggetta a limiti temporali, in quanto il loro difetto è rilevabile d'ufficio (Cass. 18 marzo 1996, n. 2268, cit.; 13 dicembre 1986, n. 7476,
id., Rep. 1986, voce cit., n. 221), con la conseguenza che il
requisito delle dimensioni occupazionali dell'impresa è in ogni caso rilevabile dal giudice, anche d'ufficio, in relazione alla si
tuazione sostanziale dedotta in giudizio (Cass. 18 marzo 1996, n. 2268, cit.). Il che, ancora una volta mostra come istanze
equitative — direttamente collegate alle posizioni ineguali delle
parti nel processo del lavoro — finiscono col condizionare l'ap
plicazione di una distinzione, pur concettualmente sicura, tra
eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato.
Per risolvere la questione riproposta nel presente giudizio sem
bra pertanto necessario un approfondimento dell'analisi che non
può prescindere dai contributi dottrinari in tema.
Come è noto, il problema del riparto degli oneri probatori sul punto delle dimensioni occupazionali dell'impresa è stato
affrontato da buona parte degli studiosi ricercando quale dei
due regimi legali, quello reale o quello obbligatorio possa defi
nirsi generale e quale invece speciale. Da una parte si ritiene generale il regime obbligatorio, ma
dall'altra ci si interroga sulla base di quale dato normativo —
ricavabile dagli art. 18 statuto lavoratori e 2 1. n. 108 del 1990 — è consentito ritenere che il licenziamento illegittimo solo ec
cezionalmente può essere sottoposto al regime «reale».
Non manca chi rileva che il legislatore, lungi dal sancire la
generale operatività del regime di cui all'art. 8 1. n. 604 del
1966, per poi definire, in particolare il campo di vigenza dei
rimedi previsti dall'art. 18 statuto lavoratori, ha invece previ
sto, in positivo, sia i presupposti di applicabilità della tutela
obbligatoria, sia quelli della tutela reale, provvedendo a rendere
omogenei i referenti necessari per l'una e per l'altra tutela, sia
da un punto di vista soggettivo (nel senso che entrambe le nor
mative prescindono dalla natura imprenditoriale o meno del da
tore di lavoro), sia da un punto di vista oggettivo (dal momento
che la dimensione organizzativa di riferimento è in entrambi
i casi la medesima e cioè a dire la complessiva organizzazione del datore di lavoro).
A ben vedere, un tale approccio rischia di rivelarsi fuorvian
te, o comunque inidoneo a fornire una risposta «stabile», dal
momento che, come spesso accade, allorché, in un contesto di
oggettiva incertezza si debba individuare quale sia la regola e
quale l'eccezione, la risposta, in ultima analisi finisce col dipen dere anche da giudizi di valore, inevitabilmente influenzati dal
momentaneo clima «storico-politico», favorevole ora a privile
giare la stabilità del rapporto di lavoro (per le sue implicazioni in termini di tutela della professionalità e della personalità del
lavoratore), inteso come obiettivo prioritario da perseguire, ora
ad assecondare piuttosto le esigenze di flessibilità dettate da una
situazione economica generale che reclama interventi di sostegno. A questo punto non è inopportuno tornare al dato normativo
di riferimento, rileggendo per esteso il nuovo art. 18, 1° com
ma, come novellato dall'art. 1 1. 108/90:
«Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art.
7 1. 15 luglio 1966 n. 604, il giudice con la sentenza con cui
dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della pre detta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta cau
sa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma
della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e
non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, uf
ficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenzia
mento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di
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1207 PARTE PRIMA 1208
lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di
reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non im
prenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, sin
golarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso
al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occu
pa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro».
L'art. 2 1. 11 maggio 1990 n. 108, ricomprende nel regime di tutela obbligatoria (già contemplato dalla 1. 15 luglio 1966
n. 604) i licenziamenti individuali intimati dai datori di lavoro — imprenditori o non imprenditori — che occupano alle loro
dipendenze sino a quindici dipendenti (o sino a cinque dipen
denti, se imprenditori agricoli), nonché quelli che occupano si
no a sessanta dipendenti, sempreché non occupino più di quin dici dipendenti nell'ambito di uno stesso comune, ovvero nel
l'ambito di ciascuna unità produttiva. La tutela reale non trova applicazione, altresì, nei confronti
dei datori di lavoro non imprenditori «che svolgono senza fine
di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istru
zione ovvero di religione o di culto» (art. 4, 1° comma). Entrambe le tutele, sia quella reale che quella obbligatoria,
non si applicano nei confronti dei lavoratori domestici, né di
quelli ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, sem
preché non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 6 d.l. 22 dicembre 1981 n. 791, con
vertito, con modificazioni, nella 1. 26 febbraio 1982 n. 54 (art.
4). Lo stesso vale nei confronti dei lavoratori assunti in prova, e dei dirigenti, in base all'art. 10 1. n. 604 del 1966 tuttora in vigore.
In altra parte della 1. 108/90 la scelta tra le due tutele viene
operata, invece, con riferimento al particolare vizio da cui è affetto il licenziamento (ipotesi del licenziamento discriminato
rio: art. 3).
Orbene, esclusa la ricorrenza nella controversia in esame, di
quest'ultima ipotesi, come pure delle ipotesi in cui il regime del licenziamento dipende dalla qualità soggettiva del lavorato re interessato, è agevole constatare che i presupposti per l'appli cabilità della tutela reale o di quella obbligatoria riguardano esclusivamente, la natura (industriale o agricola) dell'impresa, le finalità tipiche dell'attività economica, nonché le dimensioni
occupazionali dell'impresa anche con riferimento alle sue even tuali articolazioni organizzative o distribuzione su territori di
versi, aspetti, tutti certamente rientranti nella «naturale» consa
pevolezza dell'imprenditore, trattandosi di connotazioni sue pro prie, e non altrettanto sicuramente conosciute o percepibili dal
singolo lavoratore dipendente.
Questo dato, incontrovertibile, ha condizionato fortemente la giurisprudenza sopra menzionata, attenuando progressivamente la portata dei principi da cui essa ha preso le mosse.
Dal riesame dell'impianto normativo emerge chiaramente il fondamento su cui ciascuno dei regimi si fonda: esso si rinviene
prevalentemente nella natura o nella dimensione dell'impresa, 0 talora, nella qualità o nella posizione professionale del lavo ratore licenziato.
Dal disposto dell'art. 18 statuto lavoratori (sia prima che do
po la novella del 1990) si ricava come la diversità di quei regimi trova la sua ragione, il più delle volte, non in fatti riferibili al lavoratore (salvo che si tratti di categorie particolari quali 1 dirigenti, o i pensionati . . .), ma piuttosto nella natura (agri cola o industriale, operante o meno per fini di lucro . . .) o nella dimensione occupazionale dell'impresa la quale, in quanto espressiva anche di una diversa capacità di sostenere gli oneri di una tutela reale o obbligatoria (senza comprometterne le ca
pacità produttive e, quindi, occupazionali) giustifica questo o
quel regime (in tal senso, v., anche, Corte cost. 55/74, id., 1974, I, 959; 152/75, id., 1975, I, 1578; 189/75, ibid.; 2/86, id., 1986, I, 1184; 240/93, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1375; 44/96, id., 1996, I, 1124).
Il dato dimensionale dell'impresa resta dunque la «ragione giustificatrice» del regime di tutela reale, assolutamente preva lente, quale discrimine rispetto al regime di tutela obbligatoria, laddove perde rilevanza l'altro elemento, tradizionalmente indi viduato dalla «fiduciarietà» del rapporto (il quale, ad es. nelle unità produttive con meno di sedici dipendenti, non osta all'o
peratività della tutela reale, ove l'impresa, nel suo complesso occupi più di sessanta dipendenti).
Il Foro Italiano — 1999.
Tale regime, quindi, riferito dalla legge esclusivamente alle
dimensioni occupazionali (che, come indicano i lavori prepara
tori, risultò criterio più idoneo per «misurare» la capacità del
l'impresa di sostenere i «costi» di una tutela reale) dipende esclu
sivamente da fatti la cui «disponibilità» appartiene, di norma, esclusivamente al soggetto stesso cui si riferiscono e cioè l'im
presa (la quale è in grado di fornirne i riscontri reali, utilizzan
do tutta l'ampia documentazione che la legge le impone di
tenere). Di fronte a tale situazione appare irrazionale concepire un
onere probatorio assoluto ed esclusivo a carico del lavoratore
al quale di regola sfuggono i dati concernenti le dimensioni, anche esterne, rispetto all'unità produttiva in cui esso operava.
Un'ulteriore conferma di questa «lettura» si trae dal 2° com
ma del nuovo art. 18 il quale, nel precisare i criteri di computo del numero degli occupati ai fini dell'operatività della tutela
reale, vi comprende, ad es. i lavoratori assunti con contratto
di formazione, o quelli assunti a tempo parziale, computandoli «. . . per la sola quota di orario effettivamente svolto . . .», e al contempo esclude dal computo «... il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e
in linea collaterale»: tutte realtà, queste, delle quali evidente
mente solo il datore può avere una compiuta conoscenza.
Sembra, allora, da escludere che l'onere probatorio — com
piutamente inteso — sulla dimensione occupazionale, ai fini della
questione presente, possa incombere, nella sua pienezza di con
tenuti, sul lavoratore, al punto che una generica contestazione
da parte del datore di lavoro possa essere sufficiente a negare
l'applicabilità di una disciplina che la legge stessa detta su misu
ra dell'impresa, diversamente opinando occorrerebbe, da un la
to, rilevare che in tal caso verrebbe premiata una «reticenza»
ingiustificata del datore di lavoro, in dispregio dei principi di
lealtà e parità che sono alla base del processo, e, ancora più a monte, ritenere il lavoratore, piuttosto che il datore, in grado
(e, quindi, onerato) di fornire una prova attinente a fatti che
non rientrano nella sua sfera di conoscenza.
Una volta riscontrata la fragilità della tesi che fonda l'onere
probatorio a carico del lavoratore che invoca la tutela reale sul
la natura eccezionale di questa, appare più corretta la posizione — pur espressa da autorevole dottrina — che muove dalla rico
struzione dell'azione di impugnazione del licenziamento come azione di adempimento e/o di responsabilità per inadempimen to: il datore di lavoro che pone in essere un licenziamento al
di fuori delle condizioni richieste dalla legge si rende responsa bile di un inadempimento alle obbligazioni assunte al momento della costituzione del rapporto.
Fatti costitutivi necessari e sufficienti a reggere gli effetti giu ridici (reintegrazione e risarcimento, riassunzione o indennità) che il lavoratore mira a conseguire attraverso la c.d. azione di
impugnativa di licenziamento sono la pregressa esistenza di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e la sua interruzione a seguito dell'iniziativa della controparte.
Fatti impeditivi degli effetti giuridici che il lavoratore mira a conseguire sono la sussistenza di una giusta causa o giustifica to motivo di licenziamento: la regola di ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 5 1. n. 604 del 1966 ben lungi dall'es sere una disposizione eccezionale introdotta a favore del lavora
tore, non è altro che applicazione alla responsabilità del datore di lavoro della regola generale dettata dall'art. 1218 c.c. in te ma di onere della prova nella responsabilità contrattuale.
Ed infatti, in base ai principi generali, la conseguenza avreb be dovuto essere quella del risarcimento di tutti i danni subiti dalla controparte (art. 1223 c.c.). L'art. 8 1. n. 604 del 1966,
prevede invece una forte attenuazione delle conseguenze a cari co della parte inadempiente ed è allora giustificato porre a cari co di colui che pretende di essere esonerato da quelle che sareb bero le comuni sanzioni derivanti da un inadempimento (e cioè da quanto previsto dall'art. 18 1. n. 300 del 1990) l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni che determinano la riduzione degli effetti restitutori e risarcitori.
In conclusione, può ritenersi che, pur essendo entrambe le
discipline previste rispettivamente dagli art. 8 1. 604/66 e 18 1. 300/70, speciali rispetto alla disciplina generale in tema di
responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., la disciplina del l'art. 18 è più vicina (ancorché non identica) ai principi generali in tema di responsabilità contrattuale, mentre la più blanda di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sciplina dell'art. 8 si distacca fortemente dal rispetto di quei
principi. Si può, quindi, affermare che grava sul datore di lavoro l'o
nere di eccepire e provare l'esistenza dei requisiti occupazionali che impediscono l'applicazione della disciplina generale dell'art.
18 statuto lavoratori, il che appare altresì conforme ai criteri
di facilità e vicinanza della prova, tanto più evidenti in relazio
ne agli specifici obblighi di documentazione imposti dalla legge al datore di lavoro in merito al personale alle sue dipendenze.
Da quanto precede consegue l'accoglimento del ricorso e la
cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa ad
altro giudice (che si designa nel Tribunale di Pisa) il quale si atterrà ai principi più sopra enunciati.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1999, n. 587; Pres. Meriggiola, Est. Preden, P.M. Ce
niccola (conci, diff.); Soc. Renzo Piattelli (Avv. Galluzzo)
c. Ubaldi Negri (Aw. Marimonti). Cassa App. Roma 23 mag
gio 1996.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Provvedimento di rilascio per finita loca
zione — Esecuzione — Sospensione «ope legis» — Maggiora zione del canone — Omessa corresponsione dell'indennità per
la perdita dell'avviamento — Conseguenze (Cod. civ., art.
1591; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 34, 69; d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, misure urgenti per fronteggiare l'eccezionale carenza di di
sponibilità abitative, art. 7; 1. 21 febbraio 1989 n. 61, conver
sione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1988 n. 551).
La mancata corresponsione dell'indennità per la perdita dell'av
viamento, spettante al conduttore ai sensi degli art. 34 e 69
I. 392/78, in ragione dell'utilizzazione dell'immobile locato
per attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli
utenti e dei consumatori, impedisce la configurabilità in capo al conduttore stesso della mora nella restituzione del bene lo
cato e determina, quindi, l'inapplicabilità della disposizione dell'art. 7 d.l. 551/88 (convertito, con modificazioni, nella
I. 61/89), che prevede, in correlazione con la sospensione ex
lege dell'esecuzione del provvedimento di rilascio per finita
locazione, l'obbligo del conduttore di corrispondere, ai sensi
dell'art. 1591 c.c., il doppio del canone di locazione. (1)
(1-2) Le sentenze in rassegna rendono evidente un contrasto interpre tativo già intuibile dalla lettura di Cass. 17 ottobre 1995, n. 10820, e 30 marzo 1995, n. 3813, Foro it., 1995, I, 3123, con nota di D. Piom
bo (annotate anche da N. Izzo, in Giust. civ., 1996, I, 750, e la prima da F. Del Bene, in Nuova giur. civ., 1997, I, 297): la prima di queste
(alla quale si rifà, ribadendone le argomentazioni, Cass. 587/99), infat
ti, occupandosi diffusamente delle conseguenze del condizionamento del
l'esecuzione del rilascio alla corresponsione dell'indennità di avviamen
to, ove spettante al conduttore, previsto dagli art. 34, 3° comma, e
69 1. 392/78 (giungendo alla conclusione che in caso di mancato paga mento od offerta dell'indennità non è configurabile mora del condutto
re ai sensi dell'art. 1591 c.c.), e del rapporto fra esso e le dilazioni
dell'esecuzione conseguenti all'applicazione dell'art. 56 1. 392/78 o a
specifiche disposizioni di legge, già osservava che, in caso di coesistenza
tra i due fenomeni, «sarà il condizionamento a regolare, con forza as
sorbente, in ragione della sua ampia efficacia, non solo processuale ma anche sostanziale, la situazione di fatto susseguente alla cessazione
del rapporto di locazione (e sarà rimessa alle parti, che offrano, rispet
tivamente, la riconsegna del bene ed il pagamento dell'indennità, la
Il Foro Italiano — 1999.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 10 di
cembre 1998, n. 12419; Pres. Grossi, Est. Lucentini, P.M.
Nardi (conci, diff.); Sabbi (Avv. Mannino) c. Maselli (Avv. De Bonis). Cassa Trib. Roma 4 luglio 1996.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Provvedimento di rilascio per finita loca
zione — Esecuzione — Sospensione «ope legis» — Maggiora zione del canone — Omessa corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento — Irrilevanza (Cod. civ., art. 1591;
1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 34, 69; d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, art. 7; 1. 21 febbraio 1989 n. 61).
Nel periodo di operatività della sospensione dell'esecuzione de
gli sfratti disposta — per gli immobili ad uso diverso dall'abi
tazione — dall'art. 7,1° comma, d.l. 551/88 (convertito, con
modificazioni, nella l. 61/89), il conduttore è tenuto a corri
spondere al locatore l'indennità di occupazione ex art. 1591
c.c. nella misura prevista dal 2° comma dello stesso art. 7
(pari all'ultimo canone corrisposto maggiorato del cento per
cento), a nulla rilevando che non gli sia stata ancora corri
sposta, né offerta, l'indennità per la perdita dell'avviamento
spettantegli ai sensi dell'art. 69 l. 392/78. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 7 settem
bre 1991, la Renzo Piattelli s.r.l. esponeva che, a seguito di
istanza di sfratto della locatrice Ubaldi Maria Adelaide, il Pre
tore di Roma, in data 27 dicembre 1987, aveva emesso nei suoi
confronti ordinanza di rilascio dell'immobile sito in Roma, via
Condotti 20/a, condotto in locazione ad uso di esercizio com
facoltà di determinare la cessazione del condizionamento, con conse
guente espansione, vigendone i termini, della disciplina della dilazione
meramente processuale del rilascio)»; mentre, in un'ottica totalmente
diversa, Cass. 3813/95 (cui si uniforma Cass. 12419/98), specificamente pronunziandosi in merito alla disposizione dell'art. 7 d.l. 551/88 (1.
61/89), partiva dalla considerazione che l'onere del locatore di pagare l'indennità di avviamento per potere agire in via esecutiva presuppone «che, a pagamento avvenuto, non sussistano ostacoli legali di altra na
tura all'esecuzione del rilascio», di modo che «se invece il provvedi mento di rilascio non è eseguibile per cause diverse ed indipendenti dal
la mancata corresponsione dell'indennità, non può ritenersi che gravi sul locatore l'onere in parola . . .».
La sentenza 12419/98, qui riprodotta, oltre a Cass. 3813/95, cit., richiama come precedente conforme anche Cass. 17 giugno 1996, n.
5545, Foro it., Rep. 1996, voce Locazione, n. 392. A ben vedere, tutta
via, a leggerne la motivazione (riportata in Rass. locazioni, 1996, 285),
emerge che tale pronunzia (pres. Iannotta, est. Preden), non massimata
dall'ufficio massimario della Cassazione, non è entrata affatto nel me
rito della questione della compatibilità tra «maggiorazioni del canone
dovute durante il periodo di sospensione dell'esecuzione dei provvedi menti di rilascio (ed espressamente riferite, nell'art. 7 d.l. 551/88, . . ., all'art. 1591 c.c.), e condizionamento dell'esecuzione al previo paga mento dell'indennità di avviamento . . .», pur essendo questo il tema
dibattuto nel caso concreto, a causa dell'assoluta genericità dei motivi del ricorso in Cassazione e della conseguente impossibilità da parte del
la corte di individuarne le ragioni. La problematica sottesa all'applicazione dell'art. 7 d.l. 551/88, peral
tro, come posto in evidenza da Cass. 587/99, è di carattere più genera le, riguardando la qualificazione giuridica della posizione del condutto
re di immobile ad uso diverso dall'abitazione che rimane nella detenzio
ne del bene, dopo la cessazione de iure del contratto, in attesa della
corresponsione dell'indennità di avviamento ex art. 34 e 69 1. 392/78; e mette conto osservare che al riguardo la giurisprudenza di legittimità
(ma non solo) continua a proporre soluzioni interpretative contrastanti
(v., da ultimo, Cass. 10 luglio 1997, n. 6270, Foro it., 1998, I, 150, con nota di richiami ed osservazioni di D. Piombo; cui adde, tra le
pronunzie di merito, App. Roma 4 luglio 1996, id., Rep. 1997, voce
cit., n. 444, e Pret. Firenze 23 maggio 1996, ibid., n. 445), sicché sem
brerebbero maturi i tempi per un intervento delle sezioni unite.
Sull'interpretazione della disposizione dell'art. 2 d.l. 393/87 (conver tito nella 1. 478/87), nella parte in cui, escludendo la risarcibilità del
maggior danno ex art. 1591 c.c. per le ipotesi ivi contemplate, fa salvi
i «diversi accordi già intervenuti» (disposizione alla quale, nel caso esa
minato da Cass. 12419/98, faceva riferimento il ricorrente nel secondo
motivo, disatteso dalla corte), v. Cass. 3 marzo 1998, n. 2334, id., 1998,
I, 1871. [D. Piombo]
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