sezione lavoro; sentenza 22 luglio 2004, n. 13747; Pres. Mileo, Est. Guglielmucci, P.M. FinocchiGhersi (concl. conf.); D'Annunzio (Avv. Ferrante) c. Min. lavoro. Conferma Trib. Vasto 28febbraio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 12 (DICEMBRE 2004), pp. 3351/3352-3357/3358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200140 .
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PARTE PRIMA 3352
pello) era anche suscettibile di essere riguardata nell'ottica op
posta di fatto che avrebbe orientato la donna nel senso di rifiuta
re, piuttosto che di accettare, di portare a termine la gravidanza se avesse conosciuto la malformazione che affliggeva il feto.
Il criterio della certezza degli effetti della condotta omessa ri
sulta del resto espressamente abbandonato da Cass. 4 marzo
2004, n. 4400 {id., 2004, I, 1403) in favore di quello della pro babilità degli stessi e dell'idoneità della condotta a produrli ove
posta in essere, essendosi affermato che l'aggravamento della
possibilità che, a causa dell'inadempimento del medico, un ef
fetto negativo si produca, può essere apprezzato anche in termi
ni di perdita di chances «non essendo dato esprimere, in rela
zione ad un evento esterno ... non più suscettibile, di verificar
si, certezze di sorta, nemmeno di segno morale, ma solo sempli ci probabilità di un'eventuale diversa evoluzione della situazio
ne stessa».
Mentre sul punto specifico costituito dalla possibilità che la
gestante, pur informata, avrebbe potuto scegliere di non inter
rompere la gravidanza questa corte, prendendo le mosse dai ri
lievi che l'inadempimento del medico impedisce alla donna di
compiere una scelta e che la possibilità perduta è tale che, nel
ricorso di dati presupposti (tra i quali le anomalie e le malfor
mazioni del nascituro), la scelta sarebbe pur sempre dipesa da
lei, ha chiarito come il fatto che «la legge consenta alla donna di
evitarle il pregiudizio che da quella condizione deriverebbe al
suo stato di salute, rende legittimo per il giudice assumere come
normale e corrispondente a regolarità causale che la gestante
interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni
del feto e perciò rende legittimo anche il ricondurre al difetto di
informazione, come alla sua causa, il mancato esercizio di
quella facoltà» (così Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, id., 2002,
I, 3115). Si è affermato in quella occasione che il giudice del
merito «può postulare in questa situazione il nesso di causalità
senza discutere il punto», tuttavia suscettibile di essere intro
dotto in giudizio come tema di dibattito «con il corredo di ar
gomenti logici e di prova attinenti ad aspetti del caso (quali fat
tori ambientali, culturali, di storia personale), idonei a dimostra
re in modo certo che, pur informata, la donna avrebbe accettato
la continuazione della gravidanza». Da tali principi la corte d'appello si è discostata laddove ha
ritenuto — sulla sola scorta degli elementi come sopra apprez zati, addirittura considerando irrilevante la dedotta prova che la
M. avesse espresso la volontà di abortire in ipotesi di malforma
zione del feto — che fosse sufficiente una mera attenuazione
della causalità eziologica della malformazione sull'evidenziatasi
patologia post partum per escludere la sussistenza del presuppo sto per l'interruzione volontaria della gravidanza costituito dal
«grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».
Anche i due motivi di ricorso da ultimo esaminati meritano
dunque accoglimento nei sensi sopra precisati. 5. - In conclusione, accolto il ricorso per quanto di ragione, la
sentenza va cassata con rinvio a diversa sezione della stessa corte d'appello, che rivaluterà il merito nel rispetto degli enun
ciati principi.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 luglio
2004, n. 13747; Pres. Mileo, Est. Guglielmucci, P.M. Finoc
chi Ghersi (conci, conf.); D'Annunzio (Avv. Ferrante) c.
Min. lavoro. Conferma Trib. Vasto 28 febbraio 2001.
Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Obbligo di motivazione — Estremi (Cost., art. Ill; cod. proc. civ., art. 360).
L'obbligo del giudice civile di motivare la propria decisione,
sancito a livello costituzionale, non impone una estrinseca
zione degli specifici collegamenti tra fonti probatorie e fatti accertati in base ad esse, potendo, dunque, ritenersi rispet tato con l'adozione della «formula sintetica» secondo cui «i
fatti hanno trovato riscontro nell'istruttoria documentale e/o
testimoniale», salvo che venga dalla parte denunciata una
mancata specifica indicazione ad opera del giudice di merito
delle fonti probatorie che suffragano il suo convincimento,
lamentando che esso non ne abbia valorizzate alcune a lei fa vorevoli. (1)
(1) I. - La sentenza (conforme alla precedente 11058/04 della stessa
sezione, e redatta dallo stesso giudice relatore, Foro it., Mass., 819) si
segnala per aver affrontato il non agevole tema della delimitazione dei
confini entro i quali possa dirsi rispettato l'obbligo del giudice — di rilevanza costituzionale — di motivare la sentenza emessa, con riferi mento al quale pone in rilievo, in via più generale, come:
— decisiva rilevanza assuma a tal fine la concezione che si adotti, a
monte, in ordine alla motivazione e, più in particolare, alle tecniche di redazione della stessa (sussistendo diverse «concezioni culturali sullo stesso modo di redigere la sentenza»);
— sia attualmente in atto «nella società civile e nell'ordinamento
giuridico» un «processo di mutamento della motivazione ... nel senso di una sua semplificazione-schematizzazione», il quale, sul «piano del
processo civile», si è sviluppato «soprattutto nei processi in cui gli ac certamenti peritali rivestono un ruolo centrale e risolutivo», essendo
«principio consolidato che assolve correttamente all'obbligo motiva zionale il giudice di merito che, constatata la correttezza metodologica di redazione dell'elaborato peritale, richiami, a sostegno del suo con
vincimento, tout court l'elaborato stesso». Con più specifico riferimento al caso di specie, ritiene soddisfatto
l'obbligo del giudice di motivare la sentenza pronunciata ove lo stesso adotti la «formula sintetica» secondo cui «i fatti hanno trovato riscontro nell'istruttoria documentale e/o testimoniale», trattandosi di una «di chiarazione formale» ed «intrinsecamente solenne» con la quale egli, «giusta il ruolo istituzionale che gli è proprio», attesta di aver «riscon trato che sussistono nell'ambito delle fonti probatorie da lui acquisite elementi idonei a suffragare il suo convincimento fattuale».
Al contempo, peraltro, la pronuncia in epigrafe pone in rilievo, nel
guardare alla posizione (non più del giudice ma) del ricorrente, la ne cessità che quest'ultimo specifichi il motivo di ricorso proposto e dun
que la relativa censura espressa in ordine alla sentenza impugnata (nel caso di specie sotto il profilo del vizio di omessa, insufficiente o con traddittoria motivazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.).
II. - L'individuazione dei confini entro cui possa ritenersi rispettato l'obbligo del giudice di motivare i propri provvedimenti è tematica
complessa il cui approfondimento va chiaramente ben al di là delle pos sibilità di cui alla presente nota e che, comunque, difficilmente si presta ad esser circoscritta all'interno di affermazioni di carattere generale, ossia prescindendo dall'esame delle singole fattispecie concrete.
Pur nella ristrettezza della presente nota, preme però sinteticamente evidenziare sul punto quanto segue.
Con riferimento al caso di specie, per quanto sembri corretta l'affer mazione di principio secondo cui l'obbligo del giudice civile di motiva re la propria decisione non impone un'analitica «estrinsecazione degli specifici collegamenti fra fonti probatorie e fatti accertati in base ad es
se», non convince l'aver fatto discendere dalla stessa il rispetto da parte del giudice del suddetto obbligo con l'adozione della formula — so stanzialmente precostituita — secondo cui «i fatti hanno trovato ri scontro nell'istruttoria documentale e/o testimoniale». Ciò pare ecces
sivo, in quanto così facendo:
1) si finiscono nella sostanza per sacrificare eccessivamente, in no me dei vantaggi sottostanti a più sintetiche tecniche di motivazione, le
esigenze alla cui salvaguardia è preordinata l'esplicitazione dei motivi della propria decisione da parte del giudice (per quanto infatti, come rilevato dalla sentenza in epigrafe, ci si trovi di fronte ad una «dichiara zione formale» con la quale il giudice, «giusta il ruolo istituzionale che
gli è proprio», attesta di aver «riscontrato che sussistono nell'ambito delle fonti probatorie da lui acquisite elementi idonei a suffragare il suo convincimento fattuale», pare a chi scrive che il giudice dovrebbe altre sì indicare quali siano tali «elementi idonei», pur non dovendosi neces sariamente diffondere approfonditamente sul punto);
2) si rende, al contempo, non agevole l'assolvimento dell'obbligo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — 1. - Il Tribunale di Vasto, per
quanto rileva nella presente sede, ha. con sentenza del 28 feb
braio 2001, rigettato l'opposizione proposta dal sig. Giuseppe D'Annunzio avverso le ordinanze-ingiunzione nn. 52, 54, 56,
58, 60, 62, emesse il 15 giugno 1998 nei suoi confronti dalla di
rezione provinciale del lavoro di Chieti, in qualità di socio am
ministratore della Teknolamiere s.r.l. e della Valsiniello s.n.c.,
per aver assunto lavoratori in violazione della legislazione sulla
disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
imposto al ricorrente di «specificare» il motivo di ricorso proposto in
relazione ad un convincimento del giudice la cui motivazione non con
senta di coglierne agevolmente il reale fondamento.
Né, a diversa conclusione sembra condurre il parallelismo creato
dalla pronuncia che si riporta con le ipotesi da cui avrebbe preso le
mosse, con riferimento al processo civile, il «processo di mutamento
della motivazione ... nel senso di una sua semplificazione-schema tizzazione», ossia quelle in cui «il giudice di merito ..., constatata la
correttezza metodologica di redazione dell'elaborato peritale, richiami, a sostegno del suo convincimento, tout court l'elaborato stesso»; trat
tandosi di ipotesi in cui: anzitutto è chiaro che il giudice, così facendo, intende fondare il proprio convincimento (quanto meno anche) sulla
consulenza tecnica; e poi, sul punto, ci troviamo sostanzialmente di
fronte ad una motivazione per relationem, nel senso che il giudice, sul
piano tecnico, fa propria la motivazione del consulente.
III. - Ciò posto con riferimento al caso di specie, opportuno pare al
tresì segnalare, in via più generale, come un maggiore spazio alle esi
genze di semplificazione della motivazione possa, ed anzi debba, essere
riconosciuto nelle ipotesi di sentenze rese all'esito di un giudizio di
impugnazione, e più in particolare di quello di cassazione, confermative
della sentenza impugnata; non sembra possibile procedere, cioè, ad una
comparazione fra esigenze sottese alla semplificazione della motiva
zione ed esigenze sottese ad una motivazione «congrua» prescindendo da taluni distinguo, ed in particolare quello fra motivazione di sentenze
di primo grado e motivazione di sentenze rese all'esito di un giudizio di
impugnazione (ed in particolare di cassazione) e, con riferimento a que ste ultime, quello, fra sentenze che accolgono e che rigettano l'impu
gnazione proposta. Ove ci si trovi, infatti, di fronte alla motivazione di una sentenza resa
all'esito di un giudizio d'impugnazione (ed in particolare di cassazio
ne) confermativa della sentenza impugnata, ben può valorizzarsi mag
giormente l'idea di una motivazione «sintetica» stante la presenza co
munque della pregressa motivazione di cui alla sentenza impugnata confermata — la quale, volendo anche qui instaurare un parallelismo
(come fa la sentenza che si riporta) fungerebbe sostanzialmente da mo
tivazione per relationem, così come accade nella sostanza per la moti
vazione della consulenza tecnica nelle ipotesi in cui il giudice di merito
si limiti a richiamare la stessa a giustificazione del convincimento
espresso in sentenza — (cfr., da ultimo, sul punto, con specifico riferi
mento alla motivazione delle sentenze della Corte di cassazione con
fermative della sentenza impugnata, E. Fabiani, Clausole generali e
sindacato della Cassazione, in Giur. sist. dir. proc. civ. diretta da A.
Proto Pisani, Torino, 2003, spec. 774 s., nel riprendere quanto a suo
tempo osservato da A. Proto Pisani, Su alcuni problemi organizzativi della Corte di cassazione: contrasti di giurisprudenza e tecniche di re
dazione della motivazione, in Foro it., 1988, V, 26 ss., spec. 32 s., il
quale poneva in particolare in rilievo come «in ipotesi di tale specie» — ossia di ricorsi manifestamente infondati e/o che ripropongano al
l'esame della Cassazione una questione già decisa senza addurre argo menti nuovi rispetto a quelli già esaminati dalla precedente pronuncia — «la motivazione che funge da effettivo raccordo tra potere giurisdi zionale e controllo della pubblica opinione è la motivazione della sen
tenza impugnata, non la motivazione della pronuncia di cassazione»,
per cui sarebbe legittimo, oltre che opportuno, procedere ad una «moti
vazione stringata al massimo» o per relationem). Con riferimento al principio di cui alla massima non sussistono, a
quanto consta, precedenti negli esatti termini.
IV. - In via più generale, nel senso che, ai fini della congruità della
motivazione del convincimento espresso dal giudice in sentenza, sia
sufficiente che «da questa risulti che il convincimento si sia realizzato
attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti considerati nel loro complesso», cfr. Cass. 7 aprile 2003, n. 5434, id.,
Rep. 2003, voce Cassazione civile, n. 109; 1° agosto 2001, n. 10484,
id., Rep. 2001, voce cit., n. 150; 7 novembre 2000, n. 14472, id., Rep.
2000, voce cit., n. 131; talvolta aggiungendo: «pur senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti, anche se
allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito,
sia pure per implicito, a quelli utilizzati» (così Cass. 9 febbraio 2004, n.
2399, id., Mass., 148; 10 maggio 2002, n. 6765, id., Rep. 2002, voce
Prova civile in genere, n. 61; ma v. anche Cass. 21 giugno 2001, n.
8476, id.. Rep. 2001, voce Cassazione civile, n. 133). Per cogliere la reale portata di tali pronunce occorrerebbe procedere
ad un analitico esame delle relative fattispecie, ma dalla lettura della
Il Foro Italiano — 2004.
2. - Il predetto giudice ha preliminarmente ritenuto che, in
relazione a tali ordinanze, doveva ritenersi assolto l'obbligo di
motivazione atteso che ciascuna di esse conteneva, sintetica
mente ma esaurientemente, tutti gli elementi probatori atti a ga rantire al destinatario un efficace contraddittorio, attesa la com
pleta e puntuale attività difensiva dispiegata dallo stesso.
3. - Esso ha, altresì, asserito che aveva avuto luogo un'istrut
toria testimoniale all'esito della quale, anche sulla base degli atti del procedimento amministrativo, era risultato che i dipen denti assunti irregolarmente
— e risultanti formalmente artigia ni —
prestavano la loro attività alle dipendenze delle ditte
Teknolamiere e Valsiniello costituenti — benché formalmente
distinte in due diverse società — un complesso industriale unico
avente ad oggetto produzione, verniciatura e assemblaggio di
componenti strutturali di sollevatori di auto e cabine di guida
per mezzi agricoli e industriali; essi avevano lavorato, con man
sioni di verniciatori, saldatori meccanici, serramentisti e car
pentieri. 4. - Secondo il predetto giudice, tali rapporti erano di lavoro
subordinato, evincibile da un esame comparato tra la natura
delle mansioni svolte dai lavoratori stessi e l'attività produttiva delle predette ditte, dal quale risultava che gli stessi erano orga nicamente inseriti nel ciclo produttivo delle due aziende in
quanto addetti ad altrettante fasi dell'ordinaria attività aziendale
per la quale utilizzavano, prevalentemente, attrezzature di pro
prietà dell'azienda, assoggettati alle direttive imposte dai re
sponsabili tecnici delle aziende; solo la verniciatura, per esigen ze peculiari della stessa, veniva svolta in locali separati; l'af
fermazione della libertà di prescegliere gli orari di lavoro era
smentita dalla natura seriale della produzione da cui deriva di
necessità che le singole fasi produttive siano strettamente colle
gate in sequenze operative non temporalmente scindibili; anche
gli artigiani erano tenuti alla timbratura del cartellino sicché do
veva ritenersi che la retribuzione veniva ragguagliata non al ri
sultato delle prestazioni ma al tempo impiegato per le effettive
massima riportata sembrerebbe comunque emergere un indirizzo che,
pur non richiedendo — direi correttamente — «un'esplicita confutazio
ne degli altri elementi non menzionati o non accolti, anche se allegati» da parte del giudice, mantiene comunque ferma la necessità che lo stes
so indichi in motivazione gli elementi invece utilizzati ai fini della for
mazione del proprio convincimento, seppur nell'ambito della comples siva valutazione condotta degli elementi processuali acquisiti.
Ancor più esplicitamente in tal senso, cfr. Cass. 20 novembre 2000, n. 14966 {id., Rep. 2000, voce cit., n. 126) secondo la quale: «il giudice di merito, se è libero di individuare e scegliere le fonti del proprio con
vincimento, ha tuttavia l'obbligo non solo di tener conto di tutti gli elementi regolarmente acquisiti al giudizio, ma anche di indicare il
contenuto di tali fonti e il criterio che ha presieduto a tale scelta, affin
ché in sede di legittimità sia possibile verificarne la congrua valutazio
ne sotto i profili — consentiti dall'art. 360, n. 5, c.p.c. — della motiva
zione sufficiente e non viziata da errori logici o giuridici». Per un esame, in via più generale, della giurisprudenza della Cassa
zione in tema di motivazione e della dottrina in materia, cfr. Cantillo,
in AA.VV., La Cassazione civile, II, in Giur. sist. dir. proc. civ. diretta
da A. Proto Pisani, Torino, 1998, spec. 1641 ss.; nonché, da ultimo, E.
Fabiani, Clausole generali e sindacalo della Cassazione, cit., 100 ss., ed ivi ulteriori riferimenti.
In dottrina, sull'obbligo di motivazione della sentenza civile e più in
generale sulla stessa, cfr., per tutti, Taruffo, La motivazione della sen
tenza civile, Padova, 1975, spec. 319 ss.; Id., Motivazione (motivazione della sentenza - diritto processuale civile), voce de\\'Enciclopedia giu ridica Treccani, Roma, 1990, XX; Evangelista, Motivazione della
sentenza civile, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1977,
XXVII, 154 ss., ed ivi ulteriori riferimenti.
Sulla necessaria specificità del motivo di ricorso proposto dal ricor
rente, sia pur con riferimento al motivo di ricorso rappresentato dalla
violazione o falsa applicazione di legge di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c.
(nel caso di specie riferito al giudizio posto in essere al giudice di me
rito al fine di integrare il precetto generico di una norma c.d. elastica),
cfr., da ultimo, Cass. 3 settembre 2003, n. 12843, Foro it., 2004, I,
1174 ss., con osservazioni di E. Fabiani, ed ivi riferimenti di dottrina e
giurisprudenza sul punto. Con più particolare riferimento alla necessità che il ricorrente speci
fichi il motivo di ricorso di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c., cfr., per tutte,
Cass. 23 gennaio 2004, n. 1170, id., Mass., 69; 22 novembre 2000, n.
15112, id., 2001, I, 471; 30 marzo 2000, n. 3904, id., Rep. 2000, voce
cit., n. 109; 3 agosto 1999, n. 8383, id., Rep. 1999, voce cit., n. 119; 12
agosto 1994, n. 7392, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 104; 20 dicembre
1994, n. 10972, id., Rep. 1994, voce cit., n. 64. [E. Fabiani]
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3355 PARTE PRIMA 3356
prestazioni lavorative; solo alcuni dei lavoratori avevano ese
guito opere di scarsa rilevanza per conto di altri soggetti come
risultava dall'esame delle fatture: vi era, quindi, un totale assor
bimento delle loro energie lavorative da parte delle predette aziende.
5. - Il sig. D'Annunzio chiede la cassazione della sentenza
con ricorso sostenuto da due motivi. Controparte non si è costi
tuita.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo il ricor
rente denuncia vizi di motivazione in relazione all'eccepito di
fetto di motivazione delle ordinanze-ingiunzione opposte, non
ché violazione degli art. 18 e 23 1. 689/91, 3 1. 241/90 ed imputa al tribunale di non aver indicato, specificamente, quale fosse il
tenore della motivazione delle ordinanze, e per quali ragioni dallo stesso non fosse derivato per lui alcun nocumento.
2. - Con il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente
motivazione circa il punto decisivo della controversia relativo
alla responsabilità del ricorrente nella commissione degli illeci
ti, nonché omessa valutazione di prove decisive fornite da esso
ricorrente in violazione dell'art. 115 c.p.c. 2.1. - La sostanziale, unica censura si articola in un duplice
profilo:
a) con il primo di esso s'imputa al giudice di aver pretermes so l'indicazione degli elementi probatori posti a fondamento
della propria decisione, omettendo una sia pur minima disamina
delle risultanze probatorie emerse dall'istruttoria, limitandosi,
invece, a far riferimento, genericamente, agli atti del procedi mento amministrativo ed all'istruttoria svolta in causa; desu
mendo altresì, senza indicazione di prove, l'inserimento degli
artigiani nel ciclo produttivo da un esame comparato tra la natu
ra delle mansioni svolte e l'attività produttiva dell'azienda;
b) con il secondo di aver ignorato le decisive risultanze pro batorie emerse dall'istruttoria condotta su iniziativa di parte ri
corrente senza effettuare nessuna valutazione in ordine alle nu
merose prove per testi assunte nel corso del giudizio (seguono
quindi riferimenti a deposizioni riguardanti gli artigiani). 2.2. - I profili, che per la loro connessione ed interdipenden
za, devono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.
Essi sono accomunati dalla tesi secondo cui avendo il tribu
nale indicato in maniera specifica le correlazioni esistenti tra il
suo convincimento (d'inesistenza di un difetto di motivazione
nelle ordinanze-ingiunzione e di sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato fra le imprese amministrate dal ricorrente ed
i lavoratori figuranti come autonomi artigiani prestanti attività
per le stesse) e le fonti probatorie e documentali attinenti all'i
struttoria, non avrebbe assolto al suo obbligo di motivazione, limitandosi ad un generico richiamo a tali fonti.
3. - Ed infatti, la tesi del ricorrente — secondo cui il giudice di merito sarebbe incorso in un vizio di motivazione omettendo
di specificare su quali, fra le fonti probatorie acquisite all'i
struttoria documentale e testimoniale, egli abbia fondato il suo
convincimento fattuale — postula da parte del giudice stesso un
obbligo di motivazione estrinsecativo di tutte le connessioni esi
stenti fra fonti probatorie e convincimento per consentire alla
parte di controllare la logicità e la coerenza delle stesse.
4. - La tesi, nella sua assolutezza, non può condividersi.
4.1. - Se, infatti, indubbiamente la funzione della motivazione
è anche quella di consentire il controllo dei processi logici in
ordine alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, il suo obbligo non può estendersi ad un'estrinsecazione degli
specifici collegamenti fra fonti probatorie e fatti accertati in ba
se ad esse.
4.2. - Tale asserzione non contraddice il consolidato principio enunciato da questa corte in materia di individuazione dell'am
bito riservato al giudice di merito secondo cui spetta esclusiva
mente allo stesso individuare le fonti del suo convincimento ed
all'uopo valutare e controllarne l'attendibilità e concludenza e
scegliere fra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a di
mostrare i fatti in discussione (Cass. 1892/02, Foro it., Rep. 2002, voce Cassazione civile, n. 125; sez. un. 5802/98, id., Rep. 2000, voce cit., n. 121).
Il principio stesso è solo individuativo, come si è detto, del
l'ambito del potere riservato al giudice di merito (e quindi sot
tratto al controllo di legittimità se correttamente usato) ma non
impone affatto che l'obbligo di motivazione debba estrinsecarsi
in maniera standardizzata con l'indicazione, ad esempio, della
specifica individuazione delle fonti probatorie ritenute idonee a
Il Foro Italiano — 2004.
suffragare la ricostruzione fattuale da lui operata, potendo egli attestare di aver compiuto le predette operazioni con una for
mula sintetica, come è avvenuto per la decisione impugnata la
quale attesti che i fatti (da lui individuati) hanno trovato riscon
tro nell'istruttoria documentale e/o testimoniale.
4.3. - Tale sua attestazione è diversa da una qualsiasi asser
zione dello stesso in quanto costituisce una dichiarazione for
male che egli —
giusta il ruolo istituzionale che gli è proprio —
ha riscontrato che sussistono nell'ambito delle fonti probatorie da lui acquisite elementi idonei a suffragare il suo convinci
mento fattuale.
4.4. - Tale modello motivazionale si è, come è noto, affer
mato non per assolvere il giudice da un suo obbligo sancito a li
vello costituzionale, ma per effetto di una diversa concezione
culturale nello stesso modo di redigere le sentenze — che trova
riscontro in accreditate posizioni dottrinali ed in un dibattito in
corso, non da oggi fra gli stessi giudici di legittimità (rimane di notevole rilievo a tal proposito l'individuazione di una c.d. mo
tivazione contratta) — che si radica, come si è detto, nel ricono
scimento al giudice, connesso alla sua posizione istituzionale,
che l'attestazione da lui resa è il frutto di un ponderato processo di vaglio delle fonti probatorie.
4.5. - In tale prospettiva, non pare azzardato affermare, che il
processo di mutamento della motivazione (nel senso di una sua
semplificazione-schematizzazione) risponde ad un processo reale esistente —
sinergeticamente — nella società civile e nel
l'ordinamento giuridico (assai rilevante rimane in proposito la
tipologia della decisione in forma semplificata prevista nel pro cesso amministrativo dall'art. 9 1. 205/00), di semplificazione del linguaggio istituzionale, in coincidenza ad una presunzione di legittimità delle attività degli organi istituzionali e con uno
speculare obbligo di contestazione della stessa da parte dei suoi
destinatari. 4.6. - Su un piano più specifico del processo civile — come è
noto — questa tecnica, motivazionale si è sviluppata soprattutto
nei processi in cui gli accertamenti peritali rivestono un ruolo
centrale e risolutivo: è principio consolidato che assolve corret
tamente all'obbligo motivazionale il giudice di merito che, con
statata la correttezza metodologica di redazione dell'elaborato
peritale, richiami, a sostegno del suo convincimento, tout court
l'elaborato stesso.
4.7. - Ne consegue — come prima anticipato
— che a fronte
di tale asserzione formale e, intrinsecamente, solenne dell'orga no giudiziario spetta alla parte denunciare che, contrariamente a
quanto asserito dal giudice di merito, nel complesso delle fonti
probatorie richiamate dal giudice non ne esistano di idonee a
suffragare il convincimento di fatto da lui esternato.
4.8. - Pertanto, essa può attivare il controllo di legittimità, ai
sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., solo se adempiendo al suo onere
di riscontro dell'esistenza di una relazione di coerenza fra con
vincimento del giudice e fonti probatorie denunci, in maniera
specifica, le ragioni dell'inesistenza di tale coerenza.
4.9. - In assenza di tale denuncia non può imputare alcun di
fetto di motivazione al giudice di merito che abbia fatto ricorso
alla predetta formula sintetica secondo cui i fatti sono emersi
dall'istruttoria (documentale e/o testimoniale); giacché, in as
senza di tali indicazioni, la denuncia non si appaleserebbe sor
retta da una concreta lesione subita dalla parte ma solo diretta a
caducare la decisione per ragioni meramente formali; aggiun
gendosi come tale strumentalità possa emergere allorché — co
me nel caso di specie — la parte, dopo aver denunciato la man
cata specifica indicazione da parte del giudice di merito delle
fonti probatorie che suffragano il suo convincimento, lamenti
che egli non ne abbia valorizzate alcune a lei favorevoli: mo
strando in tal modo di aver individuato nell'ambito del com
plesso istruttorio cui il giudice si è richiamato quali siano ad es
sa favorevoli e quali no, e quindi il supporto al convincimento
del giudice che abbia ritenuto esistente un fatto da lei negato (la
soggezione al potere gerarchico del datore di lavoro quale ele
mento determinante della subordinazione). 4.10. - Trattasi di un onere del tutto analogo, perché sorretto
da analoghe ragioni, a quello (individuato sul piano della c.d.
autosufficienza del ricorso per cassazione) che incombe sulla
parte allorché denunci la carenza logica e/o motivazionale da
parte del giudice di merito — alla stregua del quale si richiede
ad essa la specificazione della carenza motivazionale o della
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
contrarietà alla logica corrente — non potendo essa limitarsi ad una generica denuncia di carenza motivazionale o di logicità.
4.11. ^ Il ricorrente, nel caso di specie, si è limitato ad indica re una incoerenza fra fonti probatorie acquisite all'istruttoria e convincimento del giudice costituito dal mancato rilievo asse
gnato a fonti probatorie a sé favorevoli il cui contenuto è, però,
parzialmente riportato e non idoneo pertanto ad assolvere alla
funzione di denuncia di un difetto di motivazione.
4.12. - Tale tipo di denuncia, che viola il principio di autosuf
ficienza, non si rivela idonea ad integrare la specificità dell'one
re contestativo che grava sulla parte a fronte della predetta for
mula usata dal giudice di merito.
5. - Le medesime argomentazioni riguardano, evidentemente, •
anche il profilo relativo alla mancata indicazione specifica delle
ragioni che avevano indotto il giudice a ritenere insussistente il
difetto di motivazione nelle ordinanze-ingiunzione. 6. - Il ricorso va, pertanto, rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 lu
glio 2004, n. 13121; Pres. Losavio, Est. Adamo, P.M. Uccel
la (conci, conf.); Soc. Edilinvest (Avv. Andreini) c. Soc.
Piozzini costruzioni (Avv. Racco, Salvatore). Cassa App. Brescia 1° febbraio 2001 e decide nel merito.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Adizione
del giudice ordinario — Clausola compromissoria — Ri nuncia implicita — Estremi — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 808, 810).
L'instaurazione, ad opera dell'appaltatore, di controversia in
sede giudiziaria contro l'appaltante (che siasi costituito sen
za invocare la cognizione arbitrale), rientrante nell'ambito
della clausola compromissoria, inserita nel contratto di ap
palto, e coincidente con quella, in base ad essa, successiva
mente promossa avanti gli arbitri rituali dal medesimo ap
paltatore contro lo stesso appaltante, determina la caduca
zione, per implicita rinuncia, della ripetuta clausola, con
conseguente impossibilità di avviare e proseguire il procedi mento arbitrale. ( 1 )
(1) La (I sezione civile della) corte si richiama espressamente a Cass. 25 gennaio 1995, n. 874, Foro it., Rep. 1995, voce Arbitrato, n. 99, che, in tema di arbitrato rituale, ha attribuito, alla proposizione, da parte di uno dei compromittenti, dell'azione giudiziaria tendente ad ottenere la tutela dei diritti nascenti da contratto contenente clausola compro missoria per arbitrato rituale, valenza di inequivoca rinùncia implicita alla facoltà di avvalersi di detta clausola con conseguente preclusione per la medesima parte di promuovere successivamente procedimento arbitrale di contenuto identico a quello della causa ordinaria preceden temente instaurata.
In precedenza, sulla stessa linea della riportata sentenza e della or ri cordata Cass. n. 874 del 1995, si era mantenuta, con riferimento però ad
un'ipotesi di arbitrato ìrrituale, Cass. 29 gennaio 1993, n. 1142, id., 1993, I, 1091 (con richiami di dottrina e di giurisprudenza; cui, adde,
per ulteriori indicazioni, le osservazioni di C M. Barone in nota a Cass. 8 luglio 1996, n. 6205, id., 1996,1, 2714), secondo la quale la parte che ha chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo, rinunciando così implicita mente ad avvalersi del patto per arbitrato irrituale, non può invocarne
l'operatività nel giudizio di opposizione, promosso, senza dedurre la
cognizione arbitrale, dall'intimato, per paralizzarne le eccezioni e le
domande riconvenzionali.
Dopo la sent. n. 874 del 1995, sempre con riferimento ad ipotesi di
arbitrato irrituale, sul tema della configurazione dell'implicita rinuncia al procedimento arbitrale in correlazione con il comportamento di una delle parti, è tornata sez. I 4 febbraio 1998, n. 1111, id., 1998, I, 1711, con osservazioni parzialmente critiche di C.M. Barone (adde, sui limiti
Il Foro Italiano — 2004.
Motivi della decisione. — (Omissis). Infine con il sedicesimo
ed ultimo motivo la ricorrente deduce abrogazione tacita della
clausola compromissoria. Assume la ricorrente che la corte territoriale ha omesso di
esaminare uno dei profili da cui discende la nullità della proce dura arbitrale, costituito dall'abrogazione tacita della clausola
compromissoria. Infatti il giudice di merito si è limitato ad escludere che tale
abrogazione si fosse verificata ab initio a seguito dell'inseri
mento nel contratto di appalto dell'art. 6 sulla competenza del
Tribunale di Brescia, sostenendo che tale indicazione di com
petenza non era incompatibile con la clausola compromissoria. La corte territoriale però nulla ha detto in ordine alla penden
za avanti al Tribunale di Brescia di altra controversia avente il
medesimo oggetto e vertente fra le stesse parti, nel corso della
quale si erano costituiti entrambi i contraenti, senza nulla ecce
pire in ordine all'esistenza della clausola compromissoria, con
dotta questa sempre ritenuta, dalla giurisprudenza di legittimità,
quale manifestazione tacita di abrogazione della clausola mede
sima.
In ordine logico va esaminato per primo il sedicesimo motivo
con il quale si eccepisce l'avvenuta rinunzia ad avvalersi della
clausola compromissoria contenuta nel contratto di appalto. Il motivo è fondato e va pertanto accolto.
Invero va sul punto rilevato che la Corte dì cassazione ha già avuto occasione di precisare che nell'ipotesi in cui la parte pro muova nei confronti dei medesimi contraddittori un giudizio avanti al giudice ordinario, avente identico oggetto, totale o par ziale, tale comportamento costituisce implicita rinunzia ad av
valersi della clausola compromissoria, restando così preclusa la
possibilità di far successivo ricorso al giudizio arbitrale (Cass. 25 gennaio 1995, n. 874, Foro it., Rep. 1995, voce Arbitrato, n.
99). Nella specie la società ricorrente ha, con l'atto d'impugna
zione del lodo arbitrale, rilevato che presso il Tribunale di Bre
scia era pendente, fra le medesime parti, fin dal 1989, prima
quindi dell'inizio del procedimento arbitrale, un giudizio avente
identico oggetto, eccependo per tale motivo la nullità del lodo
arbitrale a seguito di rinuncia implicita alla clausola compro missoria.
Su tale punto, rilevante ai fini della decisione, la corte territo
riale non ha fornito alcuna risposta ma dagli atti che si possono
di deducibilità delle eccezioni di arbitrato rituale e irrituale nelle con troversie soggette alla disciplina anteriore alla 1. 353/90, Cass. 26 gen naio 2000, n. 870, id., 2000,1, 1901, con nota redazionale; nonché, con riferimento al solo arbitrato rituale, Cass. 8 agosto 2001, n. 10925, id., 2001, I, 3079, con nota di richiami), ad avviso della quale la mancata
costituzione, da parte di società cooperativa, del collegio probivirale previsto dal suo statuto per la risoluzione delle controversie con i soci e l'invito al destinatario di delibera di esclusione dalla compagine socie taria a presentare le sue istanze nelle sedi competenti, integrano gli estremi della rinuncia della medesima società all'invocazione delle
previsioni statutarie concernenti l'operatività del ridetto collegio, con
conseguente ripristino della facoltà delle parti di far decidere dal giudi ce ordinario la controversia attribuibile alla cognizione arbitrale.
In dottrina, si tende ad escludere la possibilità di far discendere la ri nuncia implicita al compromesso e/o alla clausola compromissoria dal l'adizione del giudice ordinario ad opera di una soltanto delle parti della convenzione per arbitrato.
Così, ad es., per Rubino-Sammartano, Il diritto dell'arbitrato, Pado
va, 2002, 343 s., la cessazione-di tale convenzione per rinuncia impli cita può aversi nel caso di riferimento, ad iniziativa di una parte, della controversia al giudice ordinario e di mancata exceptio compromissi, ad
opera della controparte; mentre per Punzi, Disegno sistematico dell'ar
bitrato, Padova, 2000, I, 453, la cessazione degli effetti dell'anzidetta convenzione si verifica solo allorché, proposta la domanda avanti il
giudice ordinario da una delle parti della ridetta convenzione, tutte le altre si costituiscano e si difendano nel merito.
Si esprimono sul punto in termini più articolati Carpi-Zucconi Galli
Fonseca, in Arbitrato a cura di F. Carpi, Bologna, 2001, 65-68. Festi, La clausola compromissoria, Milano, 2001, 377-380, dal canto suo, so
stiene che «non si configura come risoluzione implicita della conven zione arbitrale, ma solo come occasionale esclusione dei suoi effetti, la circostanza che uno dei compromittenti agisca davanti al giudice ordi nario formulando domande nell'ambito di una lite rientrante nell'og
getto della stessa convenzione e l'altro non eccepisca la competenza arbitrale». Il medesimo a. valuta, poi, la situazione determinata dalla iniziativa giudiziale di uno dei compromittenti sotto il profilo dell'ina
dempimento.
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