sezione lavoro; sentenza 22 novembre 1985, n. 5805; Pres. Franceschelli, Est. Frisina, P. M.Nicita (concl. conf.); Epifani e altri (Avv. D'Ambrosio) c. U.s.l. BR/2 (Avv. Bagnulo).Regolamento di competenza avverso Pret. Ostuni 22 giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1951/1952-1957/1958Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180753 .
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1951 PARTE PRIMA 1952
I I
Motivi della decisione. — Assumono i ricorrenti che il loro
rapporto di collaborazione con il servizio sanitario nazionale
rientra nello schema dell'art. 409, n. 3, c.p.c., trattandosi di
rapporto caratterizzato dalla reiterazione nel tempo (prestazione
continuata), dalla programmazione negoziale anche se per grandi linee e talora implicità (prestazione coordinata) e dalla preminen
za, dal punto di vista sociale ed economico, del contributo
id., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 99; 13
gennaio 1984, n. 281, id., Rep. 1984, voce cit., n. 68). Cass. 5805/85, invece, dopo aver sottolineato (recependo quanto
sostenuto da Cipollone, Farmacisti, cit., 663), che « al di sotto del
piano pubblicistico l'attività del farmacista resta fondamentalmente
regolata dalle norme di diritto privato, alla stregua delle quali il farmacista assume lo status d'imprenditore commerciale » e che « rap presenta ormai una componente fondamentale del fatturato e dei
profitti della farmacia la messa in vendita di prodotti non propriamen te farmaceutici » (per l'applicabilità della disciplina del commercio alla vendita in farmacia di prodotti diversi da medicinali, v., da ultimo, Cass. 14 giugno 1980, Ganzarolli, Foro it., Rep. 1982, voce Commercio
(disciplina del), n. 51, cui adde, per la regolamentazione della vendita di prodotti parafarmaceutici, Cass. 7 marzo 1984, n. 1574, id., 1984, I, 1864, con nota di richiami), ha attribuito un rilievo decisivo alla mancanza del carattere della coordinazione, cosi implicitamente ammet tendo che l'attività del farmacista integra una prestazione d'opera, ancorché non funzionalmente collegata con l'interesse del committente.
Il requisito della coordinazione, che implica una programmazione delle prestazioni in funzione delle finalità del beneficiario (cfr., fra le
tante, Cass. 9 maggio 1983, n. 3198, id., Rep. 1983, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 88, e, in dottrina, M. Pedrazzoli, Opera
(prestazioni coordinate e continuative), voce del Novissimo digesto,
appendice, Torino, 1984, V, 475), è particolarmente evidente quando il
committente fissa le direttive o stabilisce, anche se per grandi linee, il
modo di essere della prestazione del collaboratore (v., ad es., Cass. 9
novembre 1983, n. 6656, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 84); altrettanto appariscente esso si presenta quando il preponente sia un
imprenditore e la prestazione s'inserisca nella dinamica dell'impresa
concorrendo, in armonia con gli altri elementi dell'azienda, alla
realizzazione dei suoi fini (sul modo di atteggiarsi del carattere della
coordinazione quando la prestazione d'opera sia commessa da un'im
presa, v. Cass. 29 ottobre 1975, n. 3684, id., 1975, I, 2702, 8, in
dottrina, oltre a Pedrazzoli, Opera, cit., 476, cui si rimanda per
un'approfondita analisi della problematica relativa alla parasubordina zione — da ultimo cfr. anche A. Silvestrini, Rapporti di « parasubordi nazione » nell'elaborazione della giurisprudenza, in Giur. it., 1986,
IV, 168 — P. Truglia, in nota a Cass. 4 novembre 1982, n. 5801, Foro
it., 1983, I, 936).
Viceversa, ove manchino direttive e la prestazione sia espletata in completa autonomia, il collegamento funzionale dell'attività del
collaboratore con l'interesse del credito di lavoro viene talvolta desunto dalla circostanza che il lavoratore autonomo, per aver messo la sua opera a disposizione di un solo cliente, in modo assorbente e
vincolante, abbia quasi del tutto perduto la sua posizione di libertà e
d'indipendenza e si trovi ad essere economicamente dipendente dal
committente, che abbia assunto nei suoi confronti una posizione analoga a quella che assume il datore di lavoro nei confronti dei
lavoratori subordinati (Cass. 21 maggio 1979, n. 2918, id., Rep. 1979,
voce cit., n. 101; 9 novembre 1983, n. 6656, id., Rep. 1983, voce cit., n. 84); altre volte, infine, il requisito della coordinazione è stato
addirittura ritenuto implicito nel fatto che la prestazione fosse
rivolta alla tutela degli interessi e delle finalità del preponente (cfr. Cass. 15 aprile 1982, n. 2273, id., Rep. 1982, voce cit., n. 89, con
riferimento a prestazioni d'opera professionale effettuate in modo
continuativo in favore dell'I.n.a.m. da un legale esterno), trascurandosi
che l'opera viene sempre prestata in vista di una qualche utilità per il
soggetto che l'ha commessa e che, quindi, il carattere della coordina
zione deve necessariamente presupporre un quid pluris rispetto alla
semplice connessione teleologica di ciascuna prestazione all'interesse del
preponente (v. Pedrazzoli, Opera, cit., 475). Con riferimento ai rapporti fra U.s.l. e professionisti convenzionati,
non si dubita che sia coordinata tanto la prestazione d'opera dei
medici (v., da ultimo, Cass. 17 aprile 1984, n. 2501, Foro it., Rep.
1984, voce cit., n. 92; 29 giugno 1984, n. 3384, ibid., n. 87) quanto
quella dei titolari di laboratori di analisi cliniche (cfr. Cass. 15 giugno
1981, n. 3889, id., Rep. 1981, voce cit., n. 87; 4 aprile 1981, n. 1915,
ibid., n. 89). A ben vedere, la differenza esistente, sotto il profilo della coordina
zione, fra l'attività di tali operatori professionali e quella dei farmaci
sti è assai sfumata: sia gli uni che gli altri integrano dall'esterno la
struttura organizzativa dell'U.s.l., concorrendo al raggiungimento dei
suoi compiti istituzionali, secondo le direttive ed istruzioni specificate nelle rispettive convenzioni regolatrici.
Probabilmente, nella sent. 5805/85 i giudici di legittimità sono stati
indotti a tanto inconsueto rigore nel modo d'intendere il requisito della
coordinazione, al fine di non pretermettere la ratio legis, riconoscendo la tutela giurisdizionale differenziata in favore di una categoria di
operatori professionali che di regola non si trovano in quello stato di
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 novem
bre 1985, n. 5805; Pres. Franceschelli, Est. Frisina, P.M.
Nicita (conci, conf.); Epifani e altri (Avv. DAmbrosio) c.
U.s.l. BR/2 (Aw. Bagnulo). Regolamento di competenza avver
so Pret. Ostuni 22 giugno 1984.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 25 marzo
1985, n. 2100; Pres. Antoci, Est. Muglia, P. M. Nicita (conci,
conf.); U.s.l. Taranto/5 (Avv. Rizzo) c. Carelli. Regolamento di
competenza avverso Pret. Taranto 20 gennaio 1984.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Competenza — Pretore — Controversia fra titolari di farmacie convenziona
te e U.s.1. — Esclusione (Cod. proc. civ., art. 409; 1. 23
dicembre 1978 n. 833, istituzione del servizio sanitario naziona
le, art. 28).
Non è di competenza del pretore in funzione di giudice del
lavoro la controversia fra titolari di farmacie convenzionate e
U.s.l. concernente il pagamento dei farmaci forniti agli assisti
ti. (1)
(1) La Cassazione disattende l'orientamento di taluni giudici di
merito, che hanno ritenuto di competenza del pretore in funzione di
giudice del lavoro la controversia fra titolari di farmacie e U.s.l. per il
pagamento dei medicinali prescritti dal servizio sanitario nazionale, in considerazione del ruolo preminente svolto dai farmacisti nella gestio ne degli esercizi (v. Pret. Brindisi 10 marzo 1983, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 96).
Cass. 2100/85 (insieme alla coeva 2099/85, decisa dallo stesso
collegio nella medesima udienza) esclude l'applicabilità del rito del lavoro ai rapporti de quibus, osservando che « nell'opera del titolare di farmacia resta pur sempre prevalente la caratteristica di attività
imprenditoriale organizzata volta alla commercializzazione di prodotti farmaceutici, dietetici, cosmetici e similari » : non è ben chiaro se la
corte intenda sostenere che l'attività del farmacista non rientra nel novero dei rapporti di collaborazione di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c. perché difetta del requisito della personalità (come opina S. Menchini
annotando la sentenza in Riv. it. dir. lav., 1985, II, 556) ovvero se
voglia addirittura escludere che il titolare della farmacia esegua una
prestazione d'opera. In base all'art. 28 1. 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio
sanitario nazionale, e alla regolamentazione contenuta nell'accordo
nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie (reso esecutivo
con d.p.r. 15 settembre 1979) gli assistiti possono procurarsi, gratuita mente o in taluni casi pagando il c.d. ticket, presso qualsiasi farmacia
i preparati galenici ed i medicinali compresi nel prontuario terapeutico del servizio sanitario nazionale, dietro presentazione di ricetta compila ta dal medico curante: attualmente, per quanto ci risulta, in tale
prontuario sono indicati soltanto prodotti già confezionati dalle case
produttrici, sicché i farmacisti, nell'esecuzione del rapporto intercorren
te con l'U.s.1., si limitano ad espletare attività di mera compravendita
e non anche attività chimico-farmaceutica di preparazione di me
dicinali. Senza voler affrontare la tradizionale questione se nel farmacista
debba ritenersi prevalente la qualità d'imprenditore commerciale ovvero
quella di libero professionista (sul punto, v., da ultimo, R. Cipollone,
Farmacisti (ordinamento professionale e previdenza sociale), voce del
Novissimo digesto, appendice, Torino, 1982. III, 662), non vi è dubbio
che nel caso in esame non possa considerarsi prestazione d'opera ai
sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c. la limitata attività richiesta per la
rivendita, consistente nel controllo della corrispondenza fra il medicina
le richiesto dall'assistito e quello prescritto nella ricetta (nel senso che
non può ritenersi esercizio di professione intellettuale l'attività che il
farmacista svolge quando vende specialità medicinali già confezionate,
v. G. Romano Pavoni, Il farmacista è anche imprenditore commerciale,
in Riv. dir. comm., 1952, II, 220; viceversa, Cass. 16 febbraio 1982, n.
958, Foro it., Rep. 1982, voce Farmacia, n. 56, afferma, sia pure ad
altri fini, che il farmacista è tradizionalmente considerato un professio
nista sanitario, la cui attività, ancorché indissolubilmente legata all'a
lienazione di medicinali e quindi all'esercizio di un'impresa commercia
le, pur sempre concreta lo svolgimento di una professione intellettuale;
perciò, in considerazione di questo preminente connotato qualificante, è
appropriato l'inquadramento del rapporto intercorrente fra l'I.n.a.m. e
il farmacista nel contratto di prestazione d'opera intellettuale; nello
stesso senso, Trib. Napoli 31 ottobre 1974, id., Rep. 1977, voce
Lavoro autonomo, n. 3), cosi come non sono sufficienti a radicare la
competenza del pretore i pochi adempimenti richiesti per ottenere il
rimborso del prezzo dall'U.s.l.: del resto, in un caso in cui, analoga
mente, l'obbligazione del collaboratore non era tanto di lavoro,
quanto di acquisto continuativo di prodotti per rivenderli, la giurispru
denza ha escluso l'esistenza di un rapporto di parasubordinazione (cfr.,
a proposito dei concessionari di vendita, Cass. 3 ottobre 1979, n. 5071,
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
personale del contraente (prestazione prevalentemente personale). Pertanto la materia controversa sarebbe di competenza del Preto re di Ostimi quale giudice del lavoro.
Il ricorso è infondato. Come è noto, l'attività dei farmacisti è
disciplinata compiutamente dalla legge, nell'interesse della sanità
pubblica, tanto per la parte relativa all'esercizio della professione, quanto per quella riguardante l'impresa farmaceutica. Tale attivi
tà, sebbene sia di pubblico interesse, non assurge comunque alla
qualificazione di pubblico servizio, neppure sotto l'accezione di
esercizio privato di un pubblico servizio, giacché essa è svolta dal
farmacista eslcusivamente in nome proprio e per i propri fini di
lucro, e mai l'abilitazione o autorizzazione richiesta dalla legge si
atteggia a concessione amministrativa, cioè a quel negozio giuridi co in forza del quale l'amministrazione pubblica trasferisce la
propria facoltà di esercitare un pubblico servizio.
Nell'esercizio farmaceutico le attività professionale ed imprendi toriale concorrono nell'assolvimento del servizio di pubblico inte
resse, ma, ove si ponga l'accento sulla componente imprenditoria le del servizio - esercizio, al disotto del piano pubblicistico l'attività del farmacista resta fondamentalmente regolata dalle norme di diritto privato, alla stregua delle quali il farmacista assume lo status dell'imprenditore commerciale, con tutti i diritti, i doveri e gli oneri che ne derivano e con la conseguenza, tra
l'altro, che egli può incorrere nella dichiarazione di fallimento. La riforma del 1968 (1. 2 aprile 1968 n. 475) contiene l'esplicito
riconoscimento del carattere di azienda commerciale alla farmacia e ribadisce il principio della indissolubilità tra la conduzione
professionale e quella economica della stessa. Ed il trasferimento
della titolarità della farmacia è consentito a condizione che, insieme con il diritto all'esercizio della farmacia, sia anche
trasferita l'azienda commerciale che vi è connessa.
Inoltre, rappresenta ormai una componente fondamentale del
fatturato e dei profìtti della farmacia la messa in vendita di
prodotti non propriamente farmaceutici (dietetico-alimentari, di
igiene, di cosmetica, di puericultura e simili), per la quale attività viene applicata la disciplina del commercio (1. 11 giugno 1971 n.
976). Insomma, il carattere aziendale dell'attività farmaceutica si è
sempre più accentuato (si ricorda che al settore è stato esteso altresì il diritto di prelazione e dell'indennità per avviamento commerciale di cui all'art. 69 1. 27 luglio 1978 n. 392), con una
ridefinizione, in funzione di esso, della professionalità del farma
cista, che si è marcatamente connotato come figura imprenditoria le, sia pure sui generis, in quanto è collegata allo svolgimento di
un servizio che involge interessi sociali primari ed è quindi
assoggettata a vigilanza e controllo dello Stato e ad una discipli na di diritto pubblico, oltre che di diritto privato.
È però essenziale qui rilevare che il farmacista, nel suo venire a contatto con i terzi nell'esercizio della sua attività, o impresa, è
sottoposto alle norme di diritto privato; in particolare, lo smercio dei medicinali rientra indubbiamente nella definizione dell'art. 1470 c.c. seguendosi le regole della compravendita appunto, anche
quando per le modalità del pagamento del prezzo e per la determinazione dello stesso interviene, aggiuntivamente, per gli acquirenti che hanno titolo all'assistenza, una particolare discipli na imperativa che configura una peculiare forma del c.d. regime dei prezzi amministrati.
Istituito il servizio sanitario nazionale con la 1. 23 dicembre 1978 n. 833, l'assistenza farmaceutica è affidata alle U.s.l., tramite le quali i cittadini assistiti possono ottenere dalle farmacie
(pubbliche o private convenzionate) la fornitura di preparati galenici e di specialità medicinali compresi nel prontuario tera
peutico del servizio sanitario nazionale, dietro presentazione di ricetta compilata dal medico curante.
Un apposito elenco inserito nel prontuario indica i farmaci che devono essere somministrati gratuitamente ai consumatori, mentre
per i farmaci non compresi nell'elenco, ma previsti nel prontua rio, l'assistito è tenuto a corrispondere una quota del prezzo di vendita (il cosiddetto « tiket » moderatore, introdotto dalla 1. 25
agosto 1978 n. 484 al fine di contenere la spesa pubblica e stroncare l'aumento incontrollato del consumo di famaci non
necessari). E spetta dunque alla U.s.l. erogare la spesa per tale
soggezione socio-economica che reappresenta la ragione giustificatrice dell'estensione del rito del lavoro ai rapporti di cui all'art. 409, n. 3, nonché, secondo un'autorevole opinione (v. G. Santoro Passarelli, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1979 e, con tono più problematico, P. Sandulli, Lavoro autonomo e parasubordinazione, in corso di pubbli cazione in Trattato di diritto privato, diretto da RescigNo), un criterio sostanziale d'identificazione della fattispecie. [A. Silvestrini]
Il Foro Italiano — 1986.
somministrazione agli assistiti (gratuita o semigratuita) dei prodot ti farmaceutici, donde le domande di pagamento per cui è causa.
Non sembra a questo Supremo collegio, al lume di tutto ciò che è stato innanzi precisato, che l'opera come sopra prestata dal
farmacista integri gli estremi di un rapporto di collaborazione con le U.s.l., quale definito dall'art. 409, n. 3, c.p.c.
In presenza effettiva di « prestazione continuativa, coordinata,
prevalentemente personale », nel conseguente concretizzarsi del
rapporto di pura subordinazione, come dalla norma processuale succitata, non può certamente escludersi che il committente della
prestazione sia un ente pubblico (economico o non) ed il
prestatore un libero professionista. Non si ha ragione, quindi, non
ammettere che anche nei confronti delle U.s.l. (enti pubblici non
economici nonostante erogatori di spese), sul presupposto della
sussistenza di un rapporto collaborativo del tipo descritto al n. 3
dell'art. 409, sia da identificarsi la competenza del pretore in
funzione di giudice del lavoro, malgrado i rapporti di lavoro tra
gli enti pubblici non economici e i loro dipendenti attingano al
pubblico impiego e siano sottratti, come tali, alla giurisdizione ordinaria. Si hanno in questo senso, nella casistica giudiziaria, gli esempi dell'opera dei « legali convenzionati » >(cfr., ad es., Cass. n. 3937/82, Foro it., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 88) e dei « medici convenzionati esterni » (cfr. tra le molte, Cass. n. 6150/83, id., Rep. 1983, voce Impiegato dello Stato, n. 151).
Però le prestazioni di detti liberi professionisti sono apparse riferibili in via principale all'ente pubblico sotto il profilo intellet tuale e del rischio professionale (cfr. n. 3197/83, id., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 94) e non sono ad
esse conseguentemente assimilabili quelle dei farmacisti che som
ministrano, nell'esercizio della loro attività imprenditoriale profes sionalmente qualificata, le specialità medicinali agli assistiti se condo le modalità e le condizioni di cui si è detto.
Nel caso in esame neppure giova soffermarsi sui limiti dell'or
ganizzazione imprenditoriale delle singole farmacie per potersi dedurre in concreto il grado di collaborazione dei rispettivi titolari sotto il profilo dell'apporto di lavoro personale, poiché dei tre caratteri della prestazione fissati dalla legge, occorre analizzare, in quanto risolve il problema che ci occupa, quello della « coor dinazione ».
È importante sottolineare che con il termine « coordinamento »
si deve intendere il perseguimento di finalità proprie del prepo nente stesso (cfr., tra le numerose, Cass. n. 3857/83, ibid., n.
85): finalità che si pongono, rispetto a quelle del preposto, come
qualificanti e preminenti.
Occore, in altre parole, che il collaboratore assuma come
proprie le finalità del preponente, agisca in funzione d'esse, persegua il proprio interesse economico come una sosta di riflesso di quello di cui è investita l'organizzazione del preponente medesimo.
Non basta, cioè, perchè si possa parlare di coordinamento, un
collegamento operativo anche intenso ed abituale (connotato,
quest'ultimo, che già rientra nel resto nel requisito della con
tinuità) ma occorre un quid pluris: la connessione funzionale tra l'opera prestata dal collaboratore e l'organizzazione del pre ponente, alla quale essa mette capo, integrandola sia pure dall'e sterno.
Nella fattispecie si deve escludere la sussistenza dell'elemento in questione, perchè le finalità economiche perseguite dal farma cista hanno un'autonomia e un rilievo propri, tant'è che il servizio farmaceutico viene prevalentemente configurato in dottri na come una attività economica privata « programmata » e « con trollata » per garantirne il coordinamento ai fini sociali (art. 41, 1° comma, Cost.). E giova appena osservare che, al di là dell'uso dello stesso termine, ben diverso è il coordinamento (in senso
ampio) cui si riferisce questa disposizione, rispetto al coordina mento (in senso stretto) richiesto dall'art. 409, n. 3, c.p.c.
In definitiva, il farmacista è un venditore di medicinali e di altri prodotti « parafarmaceutici » e questa sua attività, ripetesi, è
soggetta a un particolare regime pubblicistico per fini d'interesse generale e non in funzione di un rapporto di concreta collabora zione con l'U.s.l.
La circostanza che nella riscossione del prezzo, non già per un concreto rapporto di collaborazione con una determinata U.s.l. —
senza di che non sembra potersi ravvisare il predetto requisito della « parasubordinazione » — ma, in generale, per disposizioni cogenti che il farmacista come tale è tenuto ad osservare, egli debba seguire un certo iter amministrativo che lo mette in contatto con l'ufficio competente, al fine di realizzare il prezzo che gli è dovuto e che in tutto o in parte non gli è stato
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1955 PARTE PRIMA 1956
corrisposto all'atto della vendita, non vale sicuramente ad integra re il connotato del coordinamento, nell'accezione di cui all'art.
409, n. 3, c.p.c., dell'attività del farmacista con quella svolta in
via amministrativa da ciascuna unità del servizio sanitario nazio
nale.
Pertanto deve ritenersi l'estraneità della controversia in oggetto alla materia del lavoro e va affermata, in applicazione del criterio
del valore, la competenza del Tribunale di Brindisi, nel cui
circondario è ricompreso il mandamento di Ostuni. (Omissis)
II
Fatto. — Con ricorso 22 luglio 1983 al Pretore di Taranto,
quale giudice del lavoro, il dott. Carelli Sandro, titolare di farma
cia corrente in Taranto, esponeva: a) che il rapporto tra le
farmacie di cui era titolare ed il servizio sanitario nazionale, è
regolato, ai sensi dell'art. 48 1. n. 833/78, dall'accordo nazionale
per la disciplina dei rapporti con le farmacie del 27 giugno 1979;
b) che il rapporto stesso rientra fra quelli disciplinati dall'art.
409, n. 3, c.p.c.; c) che ai sensi dell'art. 10 dell'accordo predetto « ogni farmacia consegna le ricette all'ufficio » indicato dall'ente
erogatore con scadenze mensili entro il giorno 15 del mese
successivo a quello di spedizione e l'ente erogatore, entro il 25 di
ciascun mese, provvede all'effettivo pagamento dell'importo a
saldo delle ricette spedite nel mese precedente, nonché, su dichia
razione della farmacia contenente l'indicazione delle ricette spedi te al giorno 14 del mese e del relativo importo, al suo effettivo
pagamento a titolo di acconto; d) che in data 14 maggio 1983
esso ricorrente aveva inoltrato all'ente U.s.l. TA/5 la distinta
contabile riepilogativa relativa alle ricette spedite nel mese di
aprile 1983 e la richiesta di acconto per le ricette spedite dal 1°
al 14 maggio, documentando il conseguenziale credito che avreb
be dovuto essere soddisfatto entro il 25 maggio 1983; e) che in
data 14 giugno 1983, aveva inoltrato, alla detta U.s.l., la distinta
contabile riepilogativa delle ricette spedite nel mese di aprile 1983 e la richiesta di acconto per le ricette spedite dal 1° al 14
maggio, documentando il conseguenziale credito che avrebbe
dovuto essere soddisfatto entro il 25 maggio 1983; /) che in data
14 giugno 1983, aveva inoltrato, alla detta U.s.l., la distinta
contabile riepilogativa delle ricette spedite nel mese di maggio
1983, documentando il relativo credito, al netto di acconto, che
avrebbe dovuto essere effettivamente pagato il 25 giugno 1983; g) che la U.s.l. predetta non aveva effettuato alcun pagamento; chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della somma
dovutagli, oltre agli interessi e alla svalutazione monetaria, da
calcolarsi secondo gli indici ISTAT.
La U.s.1. TA/5 si costituiva nel giudizio, eccependo, prelimi
narmente, la incompetenza del giudice del lavoro.
Nel merito, gradatamente, eccepiva che le somme pretese per
sorte capitale erano state pagate parte prima dell'inizio del
giudizio, mentre nel corso di quest'ultimo era avvenuto il saldo.
Chiedeva, pertanto, che venissero emesse le pronunce conseguen
ziali, con vittoria di spese. Il pretore con sentenza 20 gennaio 1984, dopo di avere
qualificato il credito vantato siccome derivante da rapporto di
lavoro « parasubordinato », e cosi ritenuto la propria competenza
per materia, riconosceva al ricorrente (risultando pagata la sorte
capitale) il diritto al pagamento degli interessi legali e dei danni
da svalutazione monetaria sulle somme e per i periodi specificati nel dispositivo della sentenza compensava infine per metà le
spese giudiziali ponendo la rimanenza a carico della resistente.
Ha proposto istanza per regolamento di competenza l'U.s.l. Il
farmacista non si è costituito.
Motivi della decisione. — L'art. 409, n. 3, c.p.c. ricomprende nella sua previsione anche i rapporti in genere di lavoro profes sionale purché concorrano i requisiti della continuità nel tempo della prestazione, della programmazione, dell'assetto degli interes
si (prestazione « coordinata ») e della preminenza dal punto di
vista socio-economico del contributo di lavoro personale del
prestatore d'opera.
Quest'ultimo requisito, e cioè la prestazione d'opera prevalen temente personale, giustifica la assimilabilità del rapporto di
lavoro autonomo professionale a quelli del lavoro subordina
to, in quanto tale assimilabilità costituisce la ratio della iden
tità della disciplina processuale secondo il nuovo rito in ma
teria di lavoro e di previdenza; il quale persegue anche gli
scopi di remora al ritardato adempimento da parte del datore
di lavoro nella corresponsione del corrispettivo e di riequilibrio delle posizioni economiche delle parti mediante la rivalutazione
monetaria dei crediti di lavoro (art. 429 c.p.c.).
Il Foro Italiano — 1986.
Sulla base di tali considerazioni questa corte ha ritenuto, in
linea di principio, la applicabilità dell'art. 429, n. 3, anche ai
rapporti di cosiddetta parasubordinazione con esercenti la profes sione medica o legale, se ed in quanto la prestazione d'opera intellettuale risulti svolta personalmente e con carattere di conti
nuità e coordinamento; in particolare è stato ritenuto riconducibi
le al rito speciale del lavoro, ai sensi dell'art. 409, n. 3, il
rapporto intercorrente fra i medici esterni convenzionati e gli enti
mutualistici, in quanto caratterizzato dalla ricorrenza di presta zioni da parte del professionista protratte nel tempo, oltre che
coordinate al raggiungimento degli scopi propri dell'ente e preva
lentemente personali, stante la natura secondaria ed esecutiva dei
compiti affidati agli eventuali collaboratori (cfr. Cass. n. 2501/84, e n. 2741/84, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro e previdenza
(controversie), nn. 92, 88).
Orbene, per i titolari di farmacie, è d'uopo richiamare l'art. 28 1.
n. 833 del 23 dicembre 1978 il quale prevede che « l'U.s.l. eroga l'assistenza farmaceutica attraverso le farmacie di cui sono titolari
enti pubblici e le farmacie di cui sono titolari i privati, tutte
convenzionate secondo i criteri e le modalità di cui agli art. 43 e
48 ». « Gli assistiti possono ottenere dalle farmacie... su presen tazione di ricetta compilata dal medico curante, la fornitura di
preparati galenici e di specialità medicinali compresi nel prontua rio terapeutico del servizio sanitario nazionale ».
Stando cosi le cose, è lecito ritenere che secondo la cennata
legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, anche la farmacie
di cui siano titolari i privati, sono deputate, quali componenti
dell'organizzazione di base (l'U.s.l. costituita dal complesso di
strutture previste ed uffici all'uopo predisposti), a concorrere ad
assicurare l'assistenza farmaceutica a tutti i cittadini nel luogo ove abitano o operano.
Purtuttavia trattasi di un vincolo afferente soltanto l'interesse
dell'ente pubblico, non incidente, per le ragioni che seguono, sul
profilo strettamente tecnico dell'attività professionale del titolare
della farmacia e sulle modalità di svolgimento della sua opera. Ed invero l'attività personale del titolare di farmacie, e cioè di
colui che a norma di legge (art. 11 1. 2 aprile 1968 n. 475 ed art.
14 reg. di cui al d.p.r. 21 agosto 1971 n. 1275) deve avere la
gestione diretta e personale dell'esercizio e dei beni patrimoniali ad esso inerenti si atteggia con caratteristiche di attività impren ditoriale organizzata, di gran lunga prevalenti rispetto alla qualità
professionale di farmacista, dal momento che gli si richiede in
via primaria la gestione e direzione della struttura organizzata siccome diretta a vendere i prodotti farmaceutici — preconfezio nati o galenici che siano — anche agli assistiti dal servizio
sanitario nazionale.
Neil'esprimere il suo meditato parere il procuratore generale ha, tra l'altro, evidenziato: che l'attività professionale del farma
cista, nel tempo, si è sempre più caratterizzata come figura imprenditoriale, sia pure sui generis: anche se la sua attività, per essere collegata allo svolgimento di un servizio che involge interessi sociali primari, resta da sempre assoggettata a vigilanza e controllo dello Stato ed ad una disciplina di diritto pubblico oltre che di diritto privato; che i vincoli pubblicistici cui sono
assoggettate le farmacie non fanno venire meno la qualificazione essenziale della attività del farmacista come titolare e gestore di
un'azienda che provvede alla vendita di determinati beni, medici
nali e non (prodotti parafarmaceutici), e quindi svolge funzioni di
mediazione commerciale, sia pure strumentalmente collegata alla
tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo ed
interesse della collettività (art. 32 Cost.); che peraltro il farma
cista nel suo venire in contatto con i terzi nell'esercizio della sua
attività, o impresa, è sottoposto alle norme di diritto privato: in
particolare lo smercio dei medicinali rientra nella definizione di
cui all'art. 1470 c.c. e nelle regole della compravendita, anche
quando per le modalità di pagamento del prezzo e per la sua
determinazione interviene aggiuntivamente per gli acquirenti che
hanno titolo alla assistenza, la particolare disciplina imperativa,
configurabile come applicazione, sia pure molto peculiare, del c.d.
regime dei prezzi amministrativi.
Tanto ritenuto, non si appalesa siccome caratterizzante, ai fini
dell'assimilazione della attività del titolare di farmacia al lavoro
subordinato, la vendita di prodotti farmaceutici anche agli assisti
ti dal servizio sanitario nazionale, giacché l'iter amministrativo
imposto al gestore della farmacia per realizzare in tutto o in
parte il prezzo dei medicinali che gli è dovuto e non gli è stato
corrisposto dall'acquirente avente titolo all'assistenza, non assume
dignità di opera professionale intellettuale autonoma prevalente mente personale dispiegata a favore dell'ente mutualistico, restan
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
do invece primaria la sua veste di organizzazione di impresa e di datore di lavoro degli eventuali collaboratori.
Pertanto né la permanenza nel tempo del rapporto con l'U.s.l., in conformità delle previsioni e direttive contenute nella conven zione regolatrice, né il soddisfacimento in via mediata delle finalità sanitarie proprie del servizio pubblico, sono sufficienti soddisfare la ratio dell'art. 409, n. 3, c.p.c. che, come si è visto, autorizza l'applicazione del rito del lavoro se ed in quanto la natura professionale delle prestazioni autonome possa essere ri condotta nel concetto di rapporto c.d. parasubordinato, mentre
nell'opera del titolare privato di farmacia resta pur sempre prevalente la caratteristica di attività imprenditoriale organizzata alla commercializzazione di prodotti farmaceutici, preconfezionati o galenici, nonché di prodotti dietetici cosmetici paramedicali e similari.
Si deve pertanto concludere, in accoglimento del ricorso ed in conformità delle conclusioni assunte dal p.g., che l'istanza di
regolamento di competenza proposta daU'U.s.l. di Taranto/5 va accolta nel senso che, ritenuta la estraneità della controversia in
oggetto alla materia del lavoro, deve affermarsi la competenza ratione valoris del Tribunale di Taranto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 8 no vembre 1985, n. 5461; Pres. DAvino, Est. Albanese, P.M. Pandolfelli (conci, conf.); Soc. Omnia Orobica Export (Avv. Pedretti, Fustinoni) c. Soc. Marmorex (Avv. D'Astice, Tam
poia). Cassa App. Milano 16 aprile 1982.
Intervento in causa e litisconsorzio — Chiamata in garanzia —
Garanzia impropria — Insussistenza — Separazione delle cause — Inammissibilità della chiamata in garanzia — Insussistenza — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 103, 106).
Ove, a seguito del cumulo nel processo originario di una domanda di regresso proposta dal convenuto contro un terzo, venga disposta la separazione delle cause cosi cumulate, l'even tuale inammissibilità per difetto di connessione della chiamata in causa non determina l'invalidità della domanda proposta contro il terzo (nella specie, la società noleggiatrice, convenuta dalla società armatrice per il risarcimento dei danni da inadempi mento del contratto di noleggio, pretendeva di essere garantita da un'altra società con la quale aveva stipulato un contratto di fornitura per la cui esecuzione era stata noleggiata la nave). (1)
Svolgimento del processo. — La s.p.a. Marmorex, convenuta davanti al Tribunale di Milano dalla società armatrice Greamar Shipping Agency Ltd. con domanda di risarcimento di danni per
(1) La pronuncia che si riporta si segnala per la particolare soluzione del problema che affronta, sebbene con motivazione alquanto contorta. Sul punto non si rinvengono precedenti specifici.
Nel senso che non consegue la nullità della citazione se un terzo viene chiamato da una parte nel processo senza che ricorra il presupposto pervisto dall'art. 106 c.p.c., ma soltanto la possibilità per il terzo o per le altre parti di chiedere l'estromissione del chiamato, v. Cass. 9 maggio 1978, n. 2254, Foro it., Rep. 1978, voce Intervento in causa, n. 53. Cass. 6 luglio 1977, n. 2986, id., Rep. 1977, voce Procedimento civile, n. 201, nel considerare indipendenti la causa per il risarcimento danni derivanti da inadempimento contrattuale e la causa di garanzia impropria instaurata dal convenuto per la correlativa rivalsa nei confronti di terzi delle conseguenze dell'addebitato inadem pimento, ne trae la conseguenza della separazione a norma dell'art. 103 c.p.c.; sempre nel senso della separazione in ipotesi simile v. Cass. 24 gennaio 1973, n. 237, id., Rep. 1973, voce cit., n. 212.
Sul provvedimento di separazione delle cause riunite, nel senso che è privo di qualsiasi rilevanza ai fini della decisione dell'una o dell'altra causa: Cass. 26 novembre 1973, n. 3197, ibid., n. 218; 6 feb braio 1970, n. 253, id., Rep. 1970, voce cit., n. 209; 17 luglio 1967, n. 1806, id., Rep. 1967, voce cit., n. 94; 13 luglio 1959, n. 2263, id., Rep. 1959, voce cit., n. 110.
Non sembra essere stato oggetto di particolare attenzione in dottrina il problema dei possibili effetti del provvedimento di separazione di cause nel senso in cui si pronuncia la sentenza in epigrafe. Esprime dubbi sull'ammissibilità della separazione delle cause cumulate in via d'intervento (ma unicamente nel senso del carattere non definitivo della sentenza che decide sul rapporto d'intervento) Tommaseo, L'e stromissione di una parte dal giudizio, 1973, 73.
Per i problemi connessi a fattispecie di azioni di regresso nelle quali si è ritenuta sussistere la garanzia impropria v., da ultimo, A. Proto Pisani, Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, in Foro it., 1985, I, 2385. [A. Di Ciommo]
Il Foro Italiano — 1986.
inadempimento di contratto di noleggio di nave, con citazione per intervento, notificata nel termine al fine concessole dall'istruttore della causa, chiamò nel processo la s.r.I. Omnia Orobica Export, chiedendo, in base ad addebito di inadempienza a stipulato contratto di fornitura di cementi per la cui esecuzione appunto era stata noleggiata la nave rimasta poi inutilizzata, sua condanna a tenerla indenne delle conseguenze pregiudizievoli di eventuale soccombenza nei confronti della società armatrice, nonché al risarcimento di ogni altro futuro danno, in misura da liquidare in separato giudizio.
La società Omnia Orobica Export, ritualmente costituendosi, eccepì pregiudizialmente l'inammissibilità della sua chiamata nel
processo e il difetto di giurisdizione del giudice italiano; e, contestando nel merito le pretese della società Marmorex, propo se in confronto di questa domanda riconvenzionali di risoluzione per (suo) inadempimento del contratto di fornitura di cementi e di risarcimento dei danni subiti a causa della relativa inesecuzione.
Il Tribunale di Milano con sentenza in data 5 maggio 1976 definì il giudizio nei rapporti tra le società Greamar Shipping Agency Ltd. e Marmorex, condannando questa al chiesto risarci mento, e con ordinanza di pari data dispose la separazione e l'autonoma prosecuzione della causa tra le società Marmorex e Omnia Orobica Export; causa che poi decise con sentenza in data 12 giugno 1980, con la quale affermò la propria giurisdizio ne e l'ammissibilità della disposta chiamata per intervento della società Omnia Orobica Export, respinse le domande riconvenzio nali da questa proposte, dichiarò risolto per suo inadempimento nel termine essenziale stabilito il contratto di fornitura di cementi e la condannò a risarcire alla società Marmorex (che aveva in tal senso precisato e unificato le iniziali domande) danni da liquidare in separato giudizio.
L'impugnazione di queste statuizioni (non estesa alla questione di giurisdizione) fu integralmente respinta dalla Corte d'appello di Milano con sentenza pubblicata il 16 aprile 1982.
Contro questa sentenza la società Omnia Orobica Export ha
proposto, deducendo cinque motivi di cassazione, ricorso al quale la società Marmorex resiste mediante controricorso.
Motivi della decisione. — Con la sentenza impugnata pronun ciata in grado d'appello (premesso il rilievo del carattere defini tivo ormai acquisito dalla intervenuta pronuncia sulla giurisdizio ne, non censurato e quindi non soggetto a questa sede a
controllo) sono state anzitutto respinte le difese della società ricorrente secondo cui, per considerazione dell'eccepito difetto dei
presupposti di comunanza di causa o di obbligo di garanzia, e in
particolare di garanzia propria per cui soltanto sarebbe stata consentita l'attuata deroga alle normali regole di competenza, la sua chiamata nel processo da altri promosso contro la società
controricorrente, avvenuta per iniziativa di questa, avrebbe dovu to essere riconosciuta inammissibile e dichiarata nulla, in contra rio non rilevando il fatto che il giudice di primo grado avesse separato e definito con successive distinte sentenze il procedimen to relativo alla causa principale, tra le sue parti originarie, e
quello relativo alla causa accessoria di garanzia. Al riguardo la corte del merito ha giudicato che « l'avvenuta
separazione dei giudizi... ha reso di per sé del tutto ininfluente una eventuale (e comunque non ricorrente) irritualità della chia mata in causa ... attesa l'autonomia processuale ormai assunta dal presente giudizio e considerato, ad ogni buon conto, che nessuna sanzione di nullità o annullabilità è prevista per una eventuale chiamata in giudizio in difetto dei presupposti di cui all'art. 106 c.p.c., risolvendosi la questione, sotto tale profilo, con l'esame, nel merito, della fondatezza o meno delle domande avanzate nei confronti del chiamato in causa. Detta questione può essere invece rilevante sotto il profilo dell'eccezione di incompetenza territoriale, ove si consideri che, in tema di garanzia impropria, è configurable il cumulo con la causa principale solo se, anche per l'obbligazione dedotta in ordine alla garanzia, la competenza spetti, secondo le normali regole, allo stesso giudice, altrimenti l'art. 32 c.p.c. non consente deroga e non attrae la competenza per l'ipotesi di garanzia impropria.
... Ad ogni buon conto va rilevato che l'eccezione di incompe tenza territoriale sollevata dall'appellante è tardiva, essendo stata formulata solo nel presente grado del giudizio e non, come prescritto dall'art. 38 c.p.c., nel primo atto difensivo del giudizio di primo grado ».
Con riferimento a tale giudizio la ricorrente, denunciando con il primo dei cinque motivi di impugnazione addotti violazione dell'art. 106 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 4, dello stesso codice, sostiene che, a pena di inammissibile sua lettura abrogan te, dalla norma che prevede e regola l'intervento coatto di terzi
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