+ All Categories
Home > Documents > sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo...

sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: ngomien
View: 215 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
3
sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo della Rocca (concl. parz. diff.); Croci (Avv. Picone, Bonaiuto) c. Credito Varesino (Avv. Flammia, Stanchi). Cassa Trib. Varese 10 marzo 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2863/2864-2865/2866 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180947 . Accessed: 28/06/2014 11:31 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 11:31:55 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo della Rocca (concl. parz. diff.); Croci (Avv. Picone, Bonaiuto) c. Credito Varesino

sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzodella Rocca (concl. parz. diff.); Croci (Avv. Picone, Bonaiuto) c. Credito Varesino (Avv.Flammia, Stanchi). Cassa Trib. Varese 10 marzo 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2863/2864-2865/2866Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180947 .

Accessed: 28/06/2014 11:31

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 11:31:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo della Rocca (concl. parz. diff.); Croci (Avv. Picone, Bonaiuto) c. Credito Varesino

2863 PARTE PRIMA 2864

il giudicato interno formatosi sull'altro rilevante profilo della

legitimatio ad causarti.

Riguardo poi alla questione cosi come proposta dai ricorrenti, data l'indivisibilità dell'oggetto della locazione, l'unico problema è di vedere se — essendo Amabile e Armando Giovio consufrut tuari pro quota dell'immobile e dovendosi, per quanto già detto, ritenere entrambi locatori di esso — il giudicato formatosi nei

confronti della prima sulla domanda di recesso precluda la

proposizione della stessa domanda da parte del secondo.

La corte reputa di dover dare risposta negativa al quesito. In

vero, a norma dell'art. 2909 c.c., l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e aventi causa, laddove il riferimento ai limiti

soggettivi del giudicato riguarda le parti del rapporto processuale definito con la sentenza e non il rapporto giuridico sostanziale dedotto in causa. Pertanto la decisione che abbia risolto, con efficacia di giudicato, la controversia insorta circa un contratto o

rapporto giuridico con pluralità di soggetti, fa stato ed è impedi tiva delle domande già decise solo nei confronti di coloro che

parteciparono al giudizio sicché agli altri soggetti — siano o meno essi litisconsorti necessari — non è preclusa la possibilità di

proporre in un nuovo giudizio le medesime domande. In applica zione di tali principi, ove più persone siano contitolari di una

stessa posizione giuridica soggettiva e degli inerenti diritti, la

pronuncia negativa emessa rispetto alla pretesa formulata solo da

taluno di essi, ancorché divenuta res iudicata, non impedisce la

riproposizione della medesima pretesa da parte dei contitolari del

diritto che non parteciparono al precedente giudizio. Il primo motivo di ricorso deve essere, perciò, rigettato sotto

l'indicato profilo e, per conseguenza, è irrilevante prendere in

esame l'altro aspetto della censura relativo all'asserita identità del

petitum. Infatti, anche se dovesse aderirsi alla tesi che con l'atto

introduttivo del presente giudizio sia stata proposta una domanda

del tutto identica a quella che il conciliatore di Voltri aveva

respinto allo stato degli atti, tale decisione non potrebbe pregiu dicare i diritti di Armando Giovio che al precedente giudizio non

aveva partecipato. Col secondo mezzo i ricorrenti deducono la violazione e falsa

applicazione degli art. 2697, 1° comma, e 2909 c.c. nonché del

l'art. 404 c.p.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, codice di rito, sostenendo che i giudici del merito non avrebbero dovuto fonda

re il loro convincimento sulla sentenza emessa nel giudizio di

rilascio promosso da tale Emma Cavalli, locatrice, nei confronti di Armando Giovio senza valutare criticamente se la concretezza della necessità ivi dedotta dalla locatrice fosse rimasta provata e

senza apprezzare quanto era stato sostenuto dagli attuali ricorren

ti in ordine al carattere simulato e pretestuoso delle ragioni addotte dalla Cavalli a base della domanda di rilascio. Lamenta

no, inoltre, la Baracco e il De Maria: a) che il Pretore di Voltri

non abbia ammesso il chiesto sopralluogo per verificare se la

Cavalli avesse realmente la necessità di disporre dell'alloggio per farvi abitare il figlio e b) che abbia ritenuto esperibile dalla

conduttrice unicamente il rimedio dell'opposizione di terzo ex art.

404 c.p.c. avverso la sentenza pronunciata nella causa Cavalli

Giovio mentre la Baracco non era legittimata ad esperire questo mezzo di impugnazione.

In realtà, alcune affermazioni contenute nella sentenza impu

gnata non possono essere condivise; ma, essendo la decisione

conforme a diritto, questa corte può limitarsi a correggere la

motivazione, ai sensi dell'art. 384, cpv., c.p.c. È senza dubbio errata l'affermazione del pretore che la Barac

co e il De Maria avrebbero potuto proporre opposizione di terzo

avverso la sentenza emessa nella causa Cavalli contro Giovio: gli

stessi, invero, non avrebbero potuto esperire tale azione come

opposizione di terzo ordinaria, la quale spetta solo ai soggetti estranei al giudizio in cui fu emessa la sentenza che li pregiudica e vantino non un mero interesse di fatto ad insorgere contro la

pronuncia, ma un proprio diritto autonomo in relazione al bene

che ha formato oggetto della controversia, incompatibile con il

rapporto giuridico o con il diritto accertati dalla sentenza, anche

se il terzo non subisca gli effetti di tale giudicato. Né si può ritenere che la Baracco e il De Maria avrebbero potuto agire con

l'opposizione di terzo revocatoria ex art. 404, cpv., il cui

presupposto è che la sentenza passata in giudicato sia l'effetto di

dolo o collusione, in quanto tale azione è riservata agli aventi

causa ed ai creditori di una delle parti i quali ne abbiano

ricevuto danno, laddove nella nozione di « aventi causa » sono

compresi, oltre ai successori, tutti coloro la cui posizione giuridica sia dipendente da quella oggetto dell'accertamento compiuto con

la sentenza pregiudizievole; il rapporto di cui si discute in questa

Il Foro Italiano — 1986.

causa è, invece, del tutto autonomo rispetto a quello della cui

sorte si è discusso nel precedente giudizio e la Baracco ha un

semplice interesse di fatto rispetto alla decisione conclusiva passata in giudicato che, tuttavia, non la abilita ad impugnarla con

l'opposizione di terzo (v. Cass. 19 luglio 1979, n. 4290, Foro it.,

Rep. 1979, voce Locazione, n. 420). Detta sentenza peraltro, sebbene emessa fra le altre parti, non

è del tutto priva di valore in un successivo giudizio instaurato fra

soggetti diversi in relazione ad una controversia che concerne un

rapporto autonomo, non dipendente né subordinato rispetto a

quello sul quale la res iudicata opera. Invero, la precedente de

cisione è pur sempre idonea a costituire una valida ed autorevole

fonte di documentazione di situazioni concrete e di risultanze pro batorie acquisite nel relativo giudizio, per cui è ben ammissibile

che il giudice della seconda causa possa trarne elementi di convin

cimento; ma è certamente errata l'affermazione del Pretore di Vol

tri che su quanto statuito nel precedente giudizio nessuna valuta

zione critica sia consentita, giacché se si ritenesse il giudice vinco

lato dalla valutazione delle risultanze processuali fatta nella sen

tenza conclusiva del precedente giudizio resterebbero sovvertiti i

principi che regolano i limiti oggettivi e soggettivi della cosa giu dicata (Cass. 21 marzo 1974, n. 802, id.., Rep. 1974, voce Prova

civile, n. 43; 17 marzo 1977, n. 2008, id., 1977, I, 2218).

Senonché, in concreto, sia con l'atto di appello sia col ricorso

per cassazione la Baracco e il De Maria si sono limitati a

dedurre il carattere simulato e artificioso del giudizio promosso dalla Cavalli, cognata di Armando Giovio, nei confronti di

quest'ultimo e la mancanza di prova della necessità fatta valere in quel giudizio in quanto non era stato neppure ammesso « il

sopralluogo chiesto per verificare se la Cavalli avesse veramente

necessità di disporre dell'alloggio per farvi abitare il figlio ». Ma,

posta la questione in tali termini, si rileva che — di fronte alla

pretesa della Cavalli di recedere dalla locazione per destinare

l'immobile detenuto dal Giovio ad alloggio del figlio, situazione

di fatto incontestata — nessuna deduzione concreta hanno con

trapposto la Baracco e il De Maria in questa sede né hanno

chiesto alcuna prova atta ad escludere la legittimità di quella

pretesa e a far profilare una collusione architettata in loro danno.

Deve, allora, riconoscersi che effettivamente non occorreva —

cosi come ha ritenuto il Pretore di Voltri — alcuna ulteriore

indagine da parte dei giudici del merito giacché, ai sensi dell'art.

59, n. 1, 1. 27 luglio 1978 n. 392, il locatore può recedere dal contratto per la necessità di disporre dell'immobile al fine di

destinarlo ad abitazione del figlio senza dover dimostrare (diver samente da quanto prevedeva l'art. 5 1. 23 maggio 1950 n. 253)

l'impossibilità di offrirgli una conveniente sistemazione nel pro prio alloggio. In definitiva, quindi, la mancata ammissione del chiesto sopralluogo non integra l'omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Entrambi i motivi di ricorso debbono essere, pertanto, rigettati. ( Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo della Rocca (conci, parz. diff.); Croci (aw. Picone,

Bonaiuto) c. Credito Varesino (Aw. Flammia, Stanchi). Cassa Trib. Varese 10 marzo 1981.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento illegittimo — Periodo com

preso tra il licenziamento e la reintegrazione — Anzianità di

servizio — Decorrenza (Cod. civ., art. 1362, 2120; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei

lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei

luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18).

La continuità giuridica del rapporto di lavoro per effetto della

stabilità reale implica che il periodo compreso tra il licenzia mento illegittimo e la sentenza di reintegra debba essere

considerato utile ai fini del decorso dell'anzianità di servi

zio. (1)

(1) La sentenza (commentata da Saetta, in Mass. giur. lav., 1986, 74, e da Ianniello, in Riv. it. dir. lav., 1986, 609) rappresenta un mu tamento di indirizzo della Cassazione, che prende atto dell'insegnamen to delle sezioni unite (sent. 29 aprile 1985, n. 2762, Foro it., 1985, I, 1290, con nota di richiami e 2247, con commento di M. D'Antona) e della Corte costituzionale (sent. 14 gennaio 1986, n. 17, id., 1986, I,

This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 11:31:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo della Rocca (concl. parz. diff.); Croci (Avv. Picone, Bonaiuto) c. Credito Varesino

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo dello stesso ricorso n. 7889 del 1983 si denunzia violazione dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300 (art. 360, n. 3, c.p.c.) e si sostiene che la reintegrazione nel posto di lavoro, previsto dalla norma citata, ha introdotto il sistema della stabilità reale, sostituen dolo a quello preesistente della stabilità obbligatoria, e quindi implica che, dichiarata da sentenza esecutiva l'illegittimità di un

licenziamento, il rapporto di lavoro deve intendersi ripristinato con effetto ex tunc, come se non fosse stato mai introdotto, con la conseguenza che, ai fini del computo dell'indennità di fine

rapporto, l'anzianità di servizio deve necessariamente comprende re anche il periodo intercorso tra il licenziamento e la materiale

reintegrazione.

Il motivo è fondato. La 1. n. 604 del 1966 riconosceva

l'esistenza di un regime di stabilità obbligatoria. Accertata giudi zialmente a norma dell'art. 8 della legge la mancanza di giusta causa o di giustificato motivo, il datore di lavoro era infatti

tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro un termine

stabilito, o, in difetto, a risarcire il danno in misura legislativa mente stabilita. La norma, secondo quanto sintomaticamente e

mergeva anche dal termine di « riassunzione », presupponeva un

licenziamento, valido ed efficace, ed operava nel senso di deter

minare l'inizio di un nuovo rapporto, instaurato ex novo, in

seguito all'avvenuto licenziamento, che aveva interrotto il decorso

del primo estinguendolo.

La reintegrazione, prevista dall'art. 18 dello statuto dei lavora

tori, presupponeva invece un licenziamento illegittimo, e cioè,

testualmente, nullo, inefficace o invalido, senza distinzioni di

sorta, per modo che la relativa declaratoria giudiziale, favorevole

al lavoratore, rendendo privo di validità il recesso, retroagisce ex

tunc, con la conseguenza che il rapporto, anche in assenza delle

prestazioni reciproche delle parti, deve considerarsi come non mai

interrotto e che la continuità del rapporto persiste fino a quando non si verifichi una nuova causa estintiva ovvero la riduzione

automatica del rapporto nell'ipotesi di mancata presentazione del

lavoratore per riprendere servizio entro 30 giorni dall'invito in

timatogli dal datore di lavoro.

Il principio della stabilità reale, introdotto dallo statuto dei

lavoratori, rappresenta un'assoluta novità nel sistema, che, elimi

nando qualsiasi soluzione di continuità tra licenziamento e rein

tegrazione, ha inteso conservare, al fine del mantenimento del

posto, il rapporto di lavoro quale originariamente costituito dal

l'autonomia negoziale.

Nel periodo intermedio tra il licenziamento e la sentenza, che or

dina la reintegrazione nel posto di lavoro si ha cosi' giuridica persi stenza del rapporto senza prestazioni di fatto e cioè una situazione

inversa a quella prevista dall'art. 2126 c.c. di prestazioni di fatto

in mancanza di legittimo rapporto contrattuale, e, considerandosi

il rapporto come non mai estinto, il ripristino dello stesso

dev'essere esteso all'integrale situazione qua antea nonché a tutti

gli effetti naturalmente connessi al suo svolgimento, in essi

compreso il decorso dell'anzianità.

La norma dell'art. 18 citato in realtà distingue il periodo immediatamente successivo al licenziamento, di cui sia stata

accertata l'inefficacia o l'invalidità, per cui prevede il diritto del

lavoratore al risarcimento del danno in misura non inferiore a

cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di

cui all'art. 2121 c.c., e il periodo, successivo alla sentenza di

reintegra, in cui il datore di lavoro inottemperante è tenuto a

corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del

rapporto di lavoro dalla data della sentenza fino a quella della ma

teriale reintegrazione. Ma, nonostante il dato testuale, espressamen te riferentesi al risarcimento del danno, è innegabile che la ratio

1785, con nota di 'M. D'Antona). In senso contrario si era pronunciata Cass. 10 maggio 1982, n. 2896, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 2102, disattendendo un suggerimento dalla Corte costituzionale (con sentenza in verità di rigetto), sent. 3 luglio 1975, n. 178, id., 1975, I,

1590, con nota di richiami. (Per l'affermazione che nel risarcimento

del danno provocato dalla violazione dei criteri di scelta nel caso di

licenziamenti per riduzione di personale, vada considerato il pregiudi zio risentito dal lavoratore per la perdita dell'anzianità di servizio, Cass. 30 ottobre 1982, n. 5713, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2613.

In dottrina, la maggioranza degli autori si colloca, con diverse

sfumature, nel senso della decorrenza dell'anzianità di servizio nel

periodo intercorso tra il recesso e la sentenza di reintegrazione: G.

(Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, 183; F.

Mazziotti, Il licenziamento illegittimo, Napoli, 1982, 244; M. G.

Garofalo, in Commentario allo statuto dei lavoratori, diretto da G.

Giugni.

Il Foro Italiano — 1986.

della norma nel suo complesso unitario intende, in attuazione del

principio di stabilità reale, eliminare tutte le conseguenze dannose del licenziamento da una parte mediante una sanzione collegata all'esercizio arbitrario del recesso — e in tal senso può essere

spiegabile il termine di risarcimento del danno — e dall'altra mediante l'integrale ripristino del rapporto in tutta la sua portata, sia per quanto riguarda lo status sia per quanto riguarda i

contenuti economici. In tale concezione unitaria il risarcimento

del danno, relativo al primo periodo, si risolve sostanzialmente nel riacquisto della retribuzione perduta dal lavoratore per effetto

dell'ingiustificato licenziamento, salvi gli ulteriori danni subiti, talché la corresponsione della retribuzione si evidenzia come un

effetto naturale della persistenza del sinallagma funzionale sia per

quanto riguarda il periodo immediatamente successivo al licenzia

mento, in cui la misura minima stabilita della legge rappresenta la retribuzione prevedibilmente dovuta fino all'intervento della sentenza di reintegrazione in termini (ottimisticamente) brevi, sia

per quanto riguarda il periodo successivo, in cui la retribuzione è espressamente prevista come dovuta.

La continuità giuridica del rapporto per effetto del principio della stabilità reale implica, in particolare, che il periodo tra

licenziamento e sentenza di reintegra debba essere considerato come utile ai fini del decorso dell'anzianità di servizio, computa bile ai fini dell'indennità di fine rapporto.

L'indennità di anzianità, come disciplinata dall'art. 2120 c.c. (la successiva disciplina non interessa la fattispecie), ha infatti carat

tere di retribuzione, e cioè di compenso ulteriore che si aggiunge alla normale retribuzione, differito al momento della cessazione

del rapporto, che ne costituisce fatto costitutivo, e determinato in

relazione al periodo per cui il rapporto stesso è durato. Se la

continuità del sinallagma funzionale in tale periodo giustifica la corresponsione della retribuzione, anche in assenza delle pre stazioni lavorative, non può correlativamente negarsi per o

stesso periodo il diritto all'indennità di anzianità, e cioè il diritto

alla retribuzione, anche nell'elemento aggiuntivo differito, e la

permanenza del vincolo giuridico di disponibilità da parte del

lavoratore, anche se il servizio non è materialmente prestato. Né può ritenersi che nello schema casuale del contratto di

lavoro l'indennità di anzianità sia necessariamente collegata con

l'esecuzione della prestazione lavorativa, non mancando nell'ordi

namento positivo disposizioni secondo cui nell'anzianità effettiva

vanno compiuti anche i periodi di sospensione del rapporto (art.

2110, 2111 c.c.), in cui la prestazione lavorativa è interrotta pur

permanendo le obbligazioni principali. ili che rende palese che il legislatore ha considerato, ai fini del

decorso dell'anzianità di servizio, situazioni del lavoratore merite

voli di tutela, tra le quali non può non ascriversi quella inerente

alla dichiarazione giudiziale di illegittimità o d'inefficacia di un

licenziamento, da cui consegue la necessaria e totale restitutio in

integrum del lavoratore.

È ovvio che la giuridica permanenza del sinallagma funzionale

anche in assenza di controprestazione lavorativa presuppone la disponibilità concreta del lavoratore all'esecuzione della pre stazione, per modo che non può verificarsi l'inconveniente, denunciato dal procuratore generale nella discussione oraie, nella ipotesi di prestazione lavorativa eseguita a favore di terzi

nel senso di un duplice decorso dell'anzianità di servizio, giacché in tal caso cessa qualsiasi obbligo retributivo in forma diretta con

la conseguente detrazione delle retribuzioni aliunde percepite e del corrispondente periodo di servizio, prestato alle altrui dipen denze, nel computo dell'indennità di anzianità.

In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinvio ad altro giudice, il quale si atterrà ai principi enunciati. Quale giudice del rinvio si designa il Tribunale di

Como. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 feb

braio 1985, n. 1610; Pres. Scanzano, Est. Corda, P. M. Zema

{conci, conf.); Banca popolare di Teramo e Città S. Angelo

(Avv. Alby) c. Fall. soc. Comser (Avv. De Virgilis). Cassa

App. L'Aquila 25 agosto 1982.

Cooperativa e cooperazione — Società cooperativa — Statuto —

Clausola di gradimento — Divieto assoluto di cessione delle

azioni — Invalidità — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2523).

L'inefficacia della cessione delle quote o delle azioni di una società cooperativa nei casi previsti dall'art. 2523 c.c. comporta

This content downloaded from 91.238.114.163 on Sat, 28 Jun 2014 11:31:55 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended