sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzodella Rocca (concl. parz. diff.); Croci (Avv. Picone, Bonaiuto) c. Credito Varesino (Avv.Flammia, Stanchi). Cassa Trib. Varese 10 marzo 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2863/2864-2865/2866Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180947 .
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2863 PARTE PRIMA 2864
il giudicato interno formatosi sull'altro rilevante profilo della
legitimatio ad causarti.
Riguardo poi alla questione cosi come proposta dai ricorrenti, data l'indivisibilità dell'oggetto della locazione, l'unico problema è di vedere se — essendo Amabile e Armando Giovio consufrut tuari pro quota dell'immobile e dovendosi, per quanto già detto, ritenere entrambi locatori di esso — il giudicato formatosi nei
confronti della prima sulla domanda di recesso precluda la
proposizione della stessa domanda da parte del secondo.
La corte reputa di dover dare risposta negativa al quesito. In
vero, a norma dell'art. 2909 c.c., l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e aventi causa, laddove il riferimento ai limiti
soggettivi del giudicato riguarda le parti del rapporto processuale definito con la sentenza e non il rapporto giuridico sostanziale dedotto in causa. Pertanto la decisione che abbia risolto, con efficacia di giudicato, la controversia insorta circa un contratto o
rapporto giuridico con pluralità di soggetti, fa stato ed è impedi tiva delle domande già decise solo nei confronti di coloro che
parteciparono al giudizio sicché agli altri soggetti — siano o meno essi litisconsorti necessari — non è preclusa la possibilità di
proporre in un nuovo giudizio le medesime domande. In applica zione di tali principi, ove più persone siano contitolari di una
stessa posizione giuridica soggettiva e degli inerenti diritti, la
pronuncia negativa emessa rispetto alla pretesa formulata solo da
taluno di essi, ancorché divenuta res iudicata, non impedisce la
riproposizione della medesima pretesa da parte dei contitolari del
diritto che non parteciparono al precedente giudizio. Il primo motivo di ricorso deve essere, perciò, rigettato sotto
l'indicato profilo e, per conseguenza, è irrilevante prendere in
esame l'altro aspetto della censura relativo all'asserita identità del
petitum. Infatti, anche se dovesse aderirsi alla tesi che con l'atto
introduttivo del presente giudizio sia stata proposta una domanda
del tutto identica a quella che il conciliatore di Voltri aveva
respinto allo stato degli atti, tale decisione non potrebbe pregiu dicare i diritti di Armando Giovio che al precedente giudizio non
aveva partecipato. Col secondo mezzo i ricorrenti deducono la violazione e falsa
applicazione degli art. 2697, 1° comma, e 2909 c.c. nonché del
l'art. 404 c.p.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, codice di rito, sostenendo che i giudici del merito non avrebbero dovuto fonda
re il loro convincimento sulla sentenza emessa nel giudizio di
rilascio promosso da tale Emma Cavalli, locatrice, nei confronti di Armando Giovio senza valutare criticamente se la concretezza della necessità ivi dedotta dalla locatrice fosse rimasta provata e
senza apprezzare quanto era stato sostenuto dagli attuali ricorren
ti in ordine al carattere simulato e pretestuoso delle ragioni addotte dalla Cavalli a base della domanda di rilascio. Lamenta
no, inoltre, la Baracco e il De Maria: a) che il Pretore di Voltri
non abbia ammesso il chiesto sopralluogo per verificare se la
Cavalli avesse realmente la necessità di disporre dell'alloggio per farvi abitare il figlio e b) che abbia ritenuto esperibile dalla
conduttrice unicamente il rimedio dell'opposizione di terzo ex art.
404 c.p.c. avverso la sentenza pronunciata nella causa Cavalli
Giovio mentre la Baracco non era legittimata ad esperire questo mezzo di impugnazione.
In realtà, alcune affermazioni contenute nella sentenza impu
gnata non possono essere condivise; ma, essendo la decisione
conforme a diritto, questa corte può limitarsi a correggere la
motivazione, ai sensi dell'art. 384, cpv., c.p.c. È senza dubbio errata l'affermazione del pretore che la Barac
co e il De Maria avrebbero potuto proporre opposizione di terzo
avverso la sentenza emessa nella causa Cavalli contro Giovio: gli
stessi, invero, non avrebbero potuto esperire tale azione come
opposizione di terzo ordinaria, la quale spetta solo ai soggetti estranei al giudizio in cui fu emessa la sentenza che li pregiudica e vantino non un mero interesse di fatto ad insorgere contro la
pronuncia, ma un proprio diritto autonomo in relazione al bene
che ha formato oggetto della controversia, incompatibile con il
rapporto giuridico o con il diritto accertati dalla sentenza, anche
se il terzo non subisca gli effetti di tale giudicato. Né si può ritenere che la Baracco e il De Maria avrebbero potuto agire con
l'opposizione di terzo revocatoria ex art. 404, cpv., il cui
presupposto è che la sentenza passata in giudicato sia l'effetto di
dolo o collusione, in quanto tale azione è riservata agli aventi
causa ed ai creditori di una delle parti i quali ne abbiano
ricevuto danno, laddove nella nozione di « aventi causa » sono
compresi, oltre ai successori, tutti coloro la cui posizione giuridica sia dipendente da quella oggetto dell'accertamento compiuto con
la sentenza pregiudizievole; il rapporto di cui si discute in questa
Il Foro Italiano — 1986.
causa è, invece, del tutto autonomo rispetto a quello della cui
sorte si è discusso nel precedente giudizio e la Baracco ha un
semplice interesse di fatto rispetto alla decisione conclusiva passata in giudicato che, tuttavia, non la abilita ad impugnarla con
l'opposizione di terzo (v. Cass. 19 luglio 1979, n. 4290, Foro it.,
Rep. 1979, voce Locazione, n. 420). Detta sentenza peraltro, sebbene emessa fra le altre parti, non
è del tutto priva di valore in un successivo giudizio instaurato fra
soggetti diversi in relazione ad una controversia che concerne un
rapporto autonomo, non dipendente né subordinato rispetto a
quello sul quale la res iudicata opera. Invero, la precedente de
cisione è pur sempre idonea a costituire una valida ed autorevole
fonte di documentazione di situazioni concrete e di risultanze pro batorie acquisite nel relativo giudizio, per cui è ben ammissibile
che il giudice della seconda causa possa trarne elementi di convin
cimento; ma è certamente errata l'affermazione del Pretore di Vol
tri che su quanto statuito nel precedente giudizio nessuna valuta
zione critica sia consentita, giacché se si ritenesse il giudice vinco
lato dalla valutazione delle risultanze processuali fatta nella sen
tenza conclusiva del precedente giudizio resterebbero sovvertiti i
principi che regolano i limiti oggettivi e soggettivi della cosa giu dicata (Cass. 21 marzo 1974, n. 802, id.., Rep. 1974, voce Prova
civile, n. 43; 17 marzo 1977, n. 2008, id., 1977, I, 2218).
Senonché, in concreto, sia con l'atto di appello sia col ricorso
per cassazione la Baracco e il De Maria si sono limitati a
dedurre il carattere simulato e artificioso del giudizio promosso dalla Cavalli, cognata di Armando Giovio, nei confronti di
quest'ultimo e la mancanza di prova della necessità fatta valere in quel giudizio in quanto non era stato neppure ammesso « il
sopralluogo chiesto per verificare se la Cavalli avesse veramente
necessità di disporre dell'alloggio per farvi abitare il figlio ». Ma,
posta la questione in tali termini, si rileva che — di fronte alla
pretesa della Cavalli di recedere dalla locazione per destinare
l'immobile detenuto dal Giovio ad alloggio del figlio, situazione
di fatto incontestata — nessuna deduzione concreta hanno con
trapposto la Baracco e il De Maria in questa sede né hanno
chiesto alcuna prova atta ad escludere la legittimità di quella
pretesa e a far profilare una collusione architettata in loro danno.
Deve, allora, riconoscersi che effettivamente non occorreva —
cosi come ha ritenuto il Pretore di Voltri — alcuna ulteriore
indagine da parte dei giudici del merito giacché, ai sensi dell'art.
59, n. 1, 1. 27 luglio 1978 n. 392, il locatore può recedere dal contratto per la necessità di disporre dell'immobile al fine di
destinarlo ad abitazione del figlio senza dover dimostrare (diver samente da quanto prevedeva l'art. 5 1. 23 maggio 1950 n. 253)
l'impossibilità di offrirgli una conveniente sistemazione nel pro prio alloggio. In definitiva, quindi, la mancata ammissione del chiesto sopralluogo non integra l'omesso esame di un punto decisivo della controversia.
Entrambi i motivi di ricorso debbono essere, pertanto, rigettati. ( Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 luglio 1985, n. 4336; Pres. Franceschelli, Est. Nocella, P. M. Morozzo della Rocca (conci, parz. diff.); Croci (aw. Picone,
Bonaiuto) c. Credito Varesino (Aw. Flammia, Stanchi). Cassa Trib. Varese 10 marzo 1981.
Lavoro (rapporto) — Licenziamento illegittimo — Periodo com
preso tra il licenziamento e la reintegrazione — Anzianità di
servizio — Decorrenza (Cod. civ., art. 1362, 2120; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18).
La continuità giuridica del rapporto di lavoro per effetto della
stabilità reale implica che il periodo compreso tra il licenzia mento illegittimo e la sentenza di reintegra debba essere
considerato utile ai fini del decorso dell'anzianità di servi
zio. (1)
(1) La sentenza (commentata da Saetta, in Mass. giur. lav., 1986, 74, e da Ianniello, in Riv. it. dir. lav., 1986, 609) rappresenta un mu tamento di indirizzo della Cassazione, che prende atto dell'insegnamen to delle sezioni unite (sent. 29 aprile 1985, n. 2762, Foro it., 1985, I, 1290, con nota di richiami e 2247, con commento di M. D'Antona) e della Corte costituzionale (sent. 14 gennaio 1986, n. 17, id., 1986, I,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo dello stesso ricorso n. 7889 del 1983 si denunzia violazione dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300 (art. 360, n. 3, c.p.c.) e si sostiene che la reintegrazione nel posto di lavoro, previsto dalla norma citata, ha introdotto il sistema della stabilità reale, sostituen dolo a quello preesistente della stabilità obbligatoria, e quindi implica che, dichiarata da sentenza esecutiva l'illegittimità di un
licenziamento, il rapporto di lavoro deve intendersi ripristinato con effetto ex tunc, come se non fosse stato mai introdotto, con la conseguenza che, ai fini del computo dell'indennità di fine
rapporto, l'anzianità di servizio deve necessariamente comprende re anche il periodo intercorso tra il licenziamento e la materiale
reintegrazione.
Il motivo è fondato. La 1. n. 604 del 1966 riconosceva
l'esistenza di un regime di stabilità obbligatoria. Accertata giudi zialmente a norma dell'art. 8 della legge la mancanza di giusta causa o di giustificato motivo, il datore di lavoro era infatti
tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro un termine
stabilito, o, in difetto, a risarcire il danno in misura legislativa mente stabilita. La norma, secondo quanto sintomaticamente e
mergeva anche dal termine di « riassunzione », presupponeva un
licenziamento, valido ed efficace, ed operava nel senso di deter
minare l'inizio di un nuovo rapporto, instaurato ex novo, in
seguito all'avvenuto licenziamento, che aveva interrotto il decorso
del primo estinguendolo.
La reintegrazione, prevista dall'art. 18 dello statuto dei lavora
tori, presupponeva invece un licenziamento illegittimo, e cioè,
testualmente, nullo, inefficace o invalido, senza distinzioni di
sorta, per modo che la relativa declaratoria giudiziale, favorevole
al lavoratore, rendendo privo di validità il recesso, retroagisce ex
tunc, con la conseguenza che il rapporto, anche in assenza delle
prestazioni reciproche delle parti, deve considerarsi come non mai
interrotto e che la continuità del rapporto persiste fino a quando non si verifichi una nuova causa estintiva ovvero la riduzione
automatica del rapporto nell'ipotesi di mancata presentazione del
lavoratore per riprendere servizio entro 30 giorni dall'invito in
timatogli dal datore di lavoro.
Il principio della stabilità reale, introdotto dallo statuto dei
lavoratori, rappresenta un'assoluta novità nel sistema, che, elimi
nando qualsiasi soluzione di continuità tra licenziamento e rein
tegrazione, ha inteso conservare, al fine del mantenimento del
posto, il rapporto di lavoro quale originariamente costituito dal
l'autonomia negoziale.
Nel periodo intermedio tra il licenziamento e la sentenza, che or
dina la reintegrazione nel posto di lavoro si ha cosi' giuridica persi stenza del rapporto senza prestazioni di fatto e cioè una situazione
inversa a quella prevista dall'art. 2126 c.c. di prestazioni di fatto
in mancanza di legittimo rapporto contrattuale, e, considerandosi
il rapporto come non mai estinto, il ripristino dello stesso
dev'essere esteso all'integrale situazione qua antea nonché a tutti
gli effetti naturalmente connessi al suo svolgimento, in essi
compreso il decorso dell'anzianità.
La norma dell'art. 18 citato in realtà distingue il periodo immediatamente successivo al licenziamento, di cui sia stata
accertata l'inefficacia o l'invalidità, per cui prevede il diritto del
lavoratore al risarcimento del danno in misura non inferiore a
cinque mensilità di retribuzione, determinata secondo i criteri di
cui all'art. 2121 c.c., e il periodo, successivo alla sentenza di
reintegra, in cui il datore di lavoro inottemperante è tenuto a
corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtù del
rapporto di lavoro dalla data della sentenza fino a quella della ma
teriale reintegrazione. Ma, nonostante il dato testuale, espressamen te riferentesi al risarcimento del danno, è innegabile che la ratio
1785, con nota di 'M. D'Antona). In senso contrario si era pronunciata Cass. 10 maggio 1982, n. 2896, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 2102, disattendendo un suggerimento dalla Corte costituzionale (con sentenza in verità di rigetto), sent. 3 luglio 1975, n. 178, id., 1975, I,
1590, con nota di richiami. (Per l'affermazione che nel risarcimento
del danno provocato dalla violazione dei criteri di scelta nel caso di
licenziamenti per riduzione di personale, vada considerato il pregiudi zio risentito dal lavoratore per la perdita dell'anzianità di servizio, Cass. 30 ottobre 1982, n. 5713, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2613.
In dottrina, la maggioranza degli autori si colloca, con diverse
sfumature, nel senso della decorrenza dell'anzianità di servizio nel
periodo intercorso tra il recesso e la sentenza di reintegrazione: G.
(Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1980, 183; F.
Mazziotti, Il licenziamento illegittimo, Napoli, 1982, 244; M. G.
Garofalo, in Commentario allo statuto dei lavoratori, diretto da G.
Giugni.
Il Foro Italiano — 1986.
della norma nel suo complesso unitario intende, in attuazione del
principio di stabilità reale, eliminare tutte le conseguenze dannose del licenziamento da una parte mediante una sanzione collegata all'esercizio arbitrario del recesso — e in tal senso può essere
spiegabile il termine di risarcimento del danno — e dall'altra mediante l'integrale ripristino del rapporto in tutta la sua portata, sia per quanto riguarda lo status sia per quanto riguarda i
contenuti economici. In tale concezione unitaria il risarcimento
del danno, relativo al primo periodo, si risolve sostanzialmente nel riacquisto della retribuzione perduta dal lavoratore per effetto
dell'ingiustificato licenziamento, salvi gli ulteriori danni subiti, talché la corresponsione della retribuzione si evidenzia come un
effetto naturale della persistenza del sinallagma funzionale sia per
quanto riguarda il periodo immediatamente successivo al licenzia
mento, in cui la misura minima stabilita della legge rappresenta la retribuzione prevedibilmente dovuta fino all'intervento della sentenza di reintegrazione in termini (ottimisticamente) brevi, sia
per quanto riguarda il periodo successivo, in cui la retribuzione è espressamente prevista come dovuta.
La continuità giuridica del rapporto per effetto del principio della stabilità reale implica, in particolare, che il periodo tra
licenziamento e sentenza di reintegra debba essere considerato come utile ai fini del decorso dell'anzianità di servizio, computa bile ai fini dell'indennità di fine rapporto.
L'indennità di anzianità, come disciplinata dall'art. 2120 c.c. (la successiva disciplina non interessa la fattispecie), ha infatti carat
tere di retribuzione, e cioè di compenso ulteriore che si aggiunge alla normale retribuzione, differito al momento della cessazione
del rapporto, che ne costituisce fatto costitutivo, e determinato in
relazione al periodo per cui il rapporto stesso è durato. Se la
continuità del sinallagma funzionale in tale periodo giustifica la corresponsione della retribuzione, anche in assenza delle pre stazioni lavorative, non può correlativamente negarsi per o
stesso periodo il diritto all'indennità di anzianità, e cioè il diritto
alla retribuzione, anche nell'elemento aggiuntivo differito, e la
permanenza del vincolo giuridico di disponibilità da parte del
lavoratore, anche se il servizio non è materialmente prestato. Né può ritenersi che nello schema casuale del contratto di
lavoro l'indennità di anzianità sia necessariamente collegata con
l'esecuzione della prestazione lavorativa, non mancando nell'ordi
namento positivo disposizioni secondo cui nell'anzianità effettiva
vanno compiuti anche i periodi di sospensione del rapporto (art.
2110, 2111 c.c.), in cui la prestazione lavorativa è interrotta pur
permanendo le obbligazioni principali. ili che rende palese che il legislatore ha considerato, ai fini del
decorso dell'anzianità di servizio, situazioni del lavoratore merite
voli di tutela, tra le quali non può non ascriversi quella inerente
alla dichiarazione giudiziale di illegittimità o d'inefficacia di un
licenziamento, da cui consegue la necessaria e totale restitutio in
integrum del lavoratore.
È ovvio che la giuridica permanenza del sinallagma funzionale
anche in assenza di controprestazione lavorativa presuppone la disponibilità concreta del lavoratore all'esecuzione della pre stazione, per modo che non può verificarsi l'inconveniente, denunciato dal procuratore generale nella discussione oraie, nella ipotesi di prestazione lavorativa eseguita a favore di terzi
nel senso di un duplice decorso dell'anzianità di servizio, giacché in tal caso cessa qualsiasi obbligo retributivo in forma diretta con
la conseguente detrazione delle retribuzioni aliunde percepite e del corrispondente periodo di servizio, prestato alle altrui dipen denze, nel computo dell'indennità di anzianità.
In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinvio ad altro giudice, il quale si atterrà ai principi enunciati. Quale giudice del rinvio si designa il Tribunale di
Como. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 feb
braio 1985, n. 1610; Pres. Scanzano, Est. Corda, P. M. Zema
{conci, conf.); Banca popolare di Teramo e Città S. Angelo
(Avv. Alby) c. Fall. soc. Comser (Avv. De Virgilis). Cassa
App. L'Aquila 25 agosto 1982.
Cooperativa e cooperazione — Società cooperativa — Statuto —
Clausola di gradimento — Divieto assoluto di cessione delle
azioni — Invalidità — Irrilevanza (Cod. civ., art. 2523).
L'inefficacia della cessione delle quote o delle azioni di una società cooperativa nei casi previsti dall'art. 2523 c.c. comporta
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