sezione lavoro; sentenza 23 luglio 2002, n. 10766; Pres. Genghini, Est. Vidiri, P.M. DeAugustinis (concl. diff.); Soc. Aurora 2000 (Avv. Olivieri) c. Marangoni (Avv. Fabbri, Alleva).Regolamento di competenza avverso Trib. Fermo, ord. 8 febbraio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 2803/2804-2813/2814Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198718 .
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2803 PARTE PRIMA 2804
zione paralitica ormai stabilizzata», vale a dire, a un dipresso,
proprio quel complesso morboso totalmente invalidante che la corte d'appello gli ha riconosciuto come effetto di un aggrava mento avvenuto dopo la sentenza di primo grado (impedimento assoluto della deambulazione o meglio stato di paralisi; epatite C di origine trasfusionale, sindrome depressiva ansiosa reatti
va), ma evidentemente, per espresso riconoscimento dello stesso
Tranquilli, già coevo, nelle sue linee essenziali, all'introduzione del gravame.
Ciò nonostante, in quella sede, il Tranquilli, inspiegabilmen te, non mosse alcuna censura alle statuizioni del tribunale in
punto di danno biologico (trentadue/trentatré per cento) e d'in validità permanente specifica (venticinque per cento) e alle cor
rispondenti liquidazioni (lire 19.800.000 per il primo titolo e lire 49.808.650 per il secondo), ma concluse, oltre che per il ricono
scimento del danno da invalidità temporanea per undici mesi non lavorati, omesso dal tribunale per un asserito abbandono del
relativo capo di domanda (argomento già trattato supra), per una maggiore liquidazione del danno morale (lire 20.000.000 o il diverso importo di giustizia).
Bisogna inevitabilmente dedurne che già all'atto della propo sizione del gravame, e quindi della costituzione del rapporto
processuale d'appello, dell'aggravamento irreversibile, anche a voler ammettere che non si fosse ancora definitivamente conso
lidato, sussistessero per lo meno tutte le premesse, tanto da im
porre al Tranquilli di far valere immediatamente tale situazione,
per evitare di far passare in giudicato, per difetto d'impugnazio ne, l'entità dei postumi permanenti accertata in primo grado.
Seppure quindi questo aggravamento in avanzato stadio non
fosse, nella primavera del 1992, più deducibile nel giudizio di
primo grado (ma non si capisce perché, in presenza di quella naturale evoluzione delle conseguenze dannose dell'incidente, il
Tranquilli non potesse, nella comparsa conclusionale o nella stessa udienza collegiale di discussione, sollecitare al tribunale un supplemento d'istruttoria, ai sensi dell'art. 279, 1° comma,
c.p.c.), esso era certo deducibile con l'atto di appello, col quale pertanto, in forza della sopravvenuta modificazione peggiorativa delle condizioni psicofisiche, doveva essere chiesta la riforma dei relativi capi della sentenza e la riliquidazione, in proporzio ne, del danno patrimoniale da invalidità permanente e del danno
biologico. Al contrario, nell'appello del Tranquilli, l'esposizione delle
più gravi condizioni psicofisiche non si tradusse in una corri
spondente, specifica richiesta di riforma dei capi della sentenza
impugnata concernenti il danno biologico e il danno patrimo niale da lucro cessante per l'invalidità permanente, attese le
inequivoche conclusioni dianzi ricordate, limitate all'omissione di pronuncia in ordine al danno da inabilità temporanea e alla riduttiva liquidazione del solo danno morale.
Evidente dunque l'inammissibilità, per novità, della domanda di riconoscimento della più grave invalidità proposta per la pri ma volta dal Tranquilli nel corso del giudizio di seconde cure,
giustamente denunciata dalla ricorrente incidentale.
L'accoglimento del secondo motivo comporta l'assorbimento del terzo, logicamente subordinato alla più grave invalidità rite nuta dalla corte d'appello e venuta meno.
Consegue la cassazione, in parte qua, della sentenza impu gnata, col rinvio a un giudice di pari grado, designato nel dispo sitivo.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 luglio 2002, n. 10766; Pres. Genghini, Est. Vidiri, P.M. De Augu
stine (conci, diff.); Soc. Aurora 2000 (Avv. Olivieri) c. Ma
rangoni (Avv. Fabbri, Alleva). Regolamento di competenza avverso Trib. Fermo, ord. 8 febbraio 2000.
Procedimento civile — Causa di restituzione di somme da ri
forma di sentenza — Giudizio di cassazione avverso la
sentenza di riforma — Pregiudizialità — Esclusione (Cod.
proc. civ., art. 42, 295).
Non sussiste relazione di pregiudizialità in senso tecnico-giu ridico, che comporta la sospensione necessaria del processo
dipendente, fra il giudizio di primo grado nel quale si chiede la restituzione delle somme corrisposte in virtù di sentenza
riformata in appello, ed il giudizio promosso in Cassazione avverso la suddetta sentenza di appello, avente ad oggetto l'accertamento del diritto di credito (nella specie, la corte ha
cassato l'ordinanza di sospensione). ( 1 )
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 16 lu
glio 2002, n. 10334; Pres. Losavio, Rei. Spirito, P.M. Sor
rentino (conci, conf.); Fall. soc. A.C. Girardi & C. (Avv. Ce
ra) c. Soc. Ria & Partners (Avv. Gianni, Manzato), Bugo lotti (Avv. Albertazzi) e altri. Regolamento di competenza avverso Trìb. Milano 13 dicembre 2000.
Procedimento civile — Cause connesse pendenti dinanzi a
giudici diversi — Diversità delle parti —
Sospensione ne
cessaria del processo — Esclusione — Fattispecie (Cod.
proc. civ., art. 42, 295).
Non vi è rapporto di pregiudizialità idoneo a giustificare l'ap plicazione della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. al
lorché non vi è identità soggettiva tra i giudizi pendenti di
nanzi a giudici diversi (nella specie, la corte ha cassato l'or
dinanza di sospensione, negando il rapporto di pregiudizia lità tra un giudizio nel quale si discute della responsabilità
(1) Non constano precedenti specifici editi in termini. Va rilevato che nel caso di specie la Cassazione, pur dopo la riforma dell'art. 375
c.p.c., intervenuta con 1. 24 marzo 2001 n. 89, ha pronunciato in sede di
regolamento di competenza sentenza e non ordinanza in camera di con
siglio. Per alcune fattispecie nelle quali alla causa in cui si discute della
domanda di restituzione di somme si contrappone il giudizio avente ad
oggetto la sussistenza del credito, v. Cass., ord. 29 ottobre 2001, n. 13443, Foro it., Rep. 2002. Procedimento civile, n. 293 («il procedi mento instaurato per la determinazione del canone dovuto riveste ca rattere di pregiudizialità rispetto al giudizio monitorio instaurato dal conduttore per la restituzione di canoni eccedenti, onde sussistono le condizioni per la sospensione necessaria del processo ex art. 295
c.p.c.); 30 ottobre 2000, n. 14281, id., Rep. 2001, voce cit., n. 261
(«quando una medesima questione sia stata dedotta in due giudizi, ci si trova di fronte ad una litispendenza nel caso in cui le questioni siano identiche ovvero ad una situazione di continenza se, come nel caso di
specie, in un giudizio sia chiesto l'accertamento del diritto ad usufruire di un regime agevolativo non riconosciuto dall'amministrazione finan ziaria ed in un altro giudizio, oltre alla richiesta di tale riconoscimento, sia stata domandata la restituzione di quanto versato in modo indebito; nell'impossibilità di una riunione delle cause allora sarà necessario il ricorso all'istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. per evitare un possibile contrasto tra i giudicati»).
Più in generale sui rapporti fra il giudizio sull'arc debeatur, pendente in grado di appello o di cassazione, e quello sul quantum, v., nel senso che il secondo giudizio non va sospeso ex art. 295 in attesa della defi nizione del primo, Cass. 8 aprile 2002, n. 5006, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 296; 19 dicembre 1997, n. 12895, id.. Rep. 1997, voce cit.. n. 307; 25 maggio 1996, n. 4844, id., 1997, I, 1109, con nota di Trisorio Luzzi; 20 marzo 1985, n. 2037, id., 1985, 1, 2275. Nel senso, invece, che la sospensione necessaria opera in questa ipotesi, v. Cass. 18 di cembre 1997, n. 12836. id., Rep. 1998, voce cit., n. 322; 14 luglio 1993, n. 7788, id., Rep. 1993, voce cit., n. 165; 3 aprile 1993, n. 4026, ibid., n. 166; 8 agosto 1983, n. 5298, id., Rep. 1983, voce cit., n. 215; 21 luglio 1983, n. 5044, ibid., n. 214; 9 giugno 1981. n. 3736, id.. Rep. 1981, voce cit., n. 207.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della società di revisione e del certificatore nei confronti del
fallimento per omessa relazione circa le condotte irregolari
degli ex amministratori e un giudizio nel quale si discute delle
responsabilità degli amministratori nei confronti del falli mento). (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; ordinanza 4
marzo 2002, n. 3105; Pres. Fiduccia, Rei. Amatucci, P.M.
Sepe (conci, diff.); Ottaviani (Avv. Coli) c. Lazzarino e altri.
Regolamento di competenza avverso Trib. Urbino, ord. 9
gennaio 2001.
Procedimento civile — Cause pendenti tra soggetti diversi — Sospensione necessaria del processo — Esclusione —
Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 42, 295).
Non va dichiarata la sospensione necessaria del processo ex
art. 295 c.p.c. allorché le cause pendono fra soggetti diversi, dal momento che la definizione di una non costituisce il ne
cessario antecedente logico-giuridico per la decisione del
l'altra (nella specie, la corte, preso atto che nel processo so
speso erano state cumulate due cause e che poteva configu rarsi litispendenza con altro giudizio pendente in differente
grado solo per una dì esse, mentre relativamente all'altra
non vi era identità delle parti con l'altro giudizio, ha cassato
l'ordinanza impugnata limitatamente alla parte in cui aveva
sospeso il processo con riferimento alla causa in cui non vi
era identità di parti). (3)
(2-3) Giurisprudenza pacifica sulla necessità che vi sia identità di
soggetti al fine di disporre la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.: Cass. 4 giugno 2001, n. 7506, Foro it.. Rep. 2001, voce Procedimento
civile, n. 250; 29 maggio 2001, n. 7280, id., Rep. 2002, voce cit., n.
294; 21 gennaio 2000, n. 661, id., Rep. 2000, voce cit., n. 334; 4 feb braio 1998, n. 1133, id., Rep. 1998, voce cit., n. 332; 13 gennaio 1996, n. 250, id., 1997, I, 1110, e Corriere giur., 1996, 923, con nota di Ci
priani; 30 maggio 1996. n. 5002, Foro it., 1997, I, 1108, con nota di Trisorio Liuzzi.
Nèl senso che «non sussiste litispendenza fra due cause fra le stesse
parti quando esse pendano in gradi diversi, potendo in tale caso ricor
rere, eventualmente, un'ipotesi di sospensione del processo ex art. 295
c.p.c.», Cass. 18 giugno 2002, n. 8833, id.. 2003,1, 213, con nota critica di P. Gallo, La litispendenza nelle strettoie della Suprema corte; non
ché, con riferimento all'applicazione della sospensione necessaria in un caso di continenza in cui la causa preveniente era già passata in deci
sione, cfr. Cass. 6 giugno 2003, n. 9141, in questo fascicolo. I, 2644. E interessante rilevare che la Cassazione nell'ordinanza n. 3105 del
2002, per la prima volta, con riferimento all'ordinanza di sospensione, ha annullato solamente in parte il provvedimento, ordinando così al
giudice di merito non solo la ripresa del processo sospeso, ma anche la
separazione delle cause. Sulla legittimità della sospensione parziale, v.
Cass. 16 luglio 1985, n. 4201. id.. Rep. 1985, voce Giurisdizione civile, n. 205, secondo cui «qualora in cause distinte, riunite in unico processo per ragioni di connessione soggettiva od oggettiva, il ricorso per rego lamento preventivo di giurisdizione venga proposto con riferimento ad
una sola delle cause medesime, l'automatica sospensione del processo, in applicazione dell'art. 367 c.p.c., è limitata a quest'ultima causa ed il
giudice, avvalendosi dei propri poteri discrezionali, ha la facoltà di di
sporre la separazione ed ulteriore trattazione delle altre cause». Nello stesso senso, v. Cass. 16 ottobre 1980, n. 5560, id., 1981, I, 2786, con nota di Trisorio Liuzzi. In dottrina, sulla sospensione parziale, v., per tutti, Trisorio Liuzzi, La sospensione del processo civile di cognizione, Bari. 1987, 634.
In generale, sulla sospensione ex art. 295, v., fra gli altri e per tutti,
Montesano, La sospensione per dipendenza di cause civili e l'efficacia dell'accertamento contenuto nelle sentenze, in Riv. dir. proc., 1983, 387 ss.; Attardi, Conflitto di decisioni e sospensione necessaria del
processo, in Giur. it., 1987, IV, 417 ss.; Cipriani, La sospensione del
processo civile per pregiudizialità, in Riv. dir. proc., 1984, 239 ss.; Menchini, Sospensione del processo civile, voce dell' Enciclopedia del
diritto, Milano, 1990. XLIII, 1 ss.; Trisorio Liuzzi, La sospensione del
processo civile, cit., 420 ss.; Id., La Cassazione e la sospensione ex art.
295 c.p.c., in Foro it., 2000, I, 1970; Giussani, Sospensione del proces so., voce del Digesto civ., Torino, 1998, XVIII, 603 ss.
% * *
Le decisioni in epigrafe si segnalano all'attenzione del lettore poiché in esse la Cassazione esplicitamente riconosce il «disfavore» mostrato
dal legislatore nei confronti della sospensione del processo civile.
Il Foro Italiano — 2003.
I
Svolgimento del giudizio. — Con decreto del presidente del
Tribunale di Fermo, la Aurora 2000 s.p.a. ingiungeva a Franca
Marangoni, sua ex dipendente, di restituire la somma di lire
177.852.000 a lei versata in virtù di sentenza del Pretore di
Fermo, ma successivamente dichiarata non dovuta a seguito della (parziale) riforma di tale pronunzia di primo grado ad ope ra della sentenza d'appello del Tribunale di Fermo nei confronti
della quale la Marangoni aveva poi proposto ricorso per cassa
zione.
La Marangoni proponeva opposizione al decreto ingiuntivo chiedendo in via preliminare e di rito che venisse disposta la so
spensione del procedimento «sinché non fosse divenuta definiti
va la relativa controversia in sede di Cassazione» e richiamava
al riguardo il disposto dell'art. 295 c.p.c. Il Tribunale di Fermo, quale giudice monocratico, ritenuta
fondata l'istanza di sospensiva avanzata dalla suddetta Maran
goni, con ordinanza dell'8 febbraio 2000 sospendeva il processo sino alla definizione del procedimento pendente in Cassazione.
Avverso tale provvedimento la Aurora 2000 s.p.a., in persona del suo liquidatore, ha proposto ricorso per regolamento di
competenza ex art. 42 c.p.c.
Così nella sentenza n. 10766 del 2002, richiamando la precedente decisione del 6 febbraio 2001. n. 1676 (Foro it., 2002, I, 1184, con os servazioni di C.M. Barone), il Supremo collegio pone in evidenza «come un'interpretazione diretta ad estendere in via interpretativa i casi di sospensione necessaria al di fuori delle ipotesi tipiche, espressamente previste dalla legge, possa determinare una lesione di diritti costituzio nalmente garantiti, ed in special modo del principio di uguaglianza (art. 3, 1° comma. Cost.), del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, 1° comma. Cost.), ed infine del diritto ad una 'ragionevole' durata del
processo (art. Ili, 1° comma. Cost.)». Tanto da affermare che «sulla base dello scrutinio delle innovazioni legislative e degli arresti giuris prudenziali e dottrinari in materia è dato desumere, quindi, che una lettura dell'art. 295 c.p.c. non possa, per le considerazioni svolte, legit timare — in nome della ratio a tale norma sottesa — opzioni ermeneu tiche dirette ad ampliare l'ambito applicativo».
E nell'ordinanza n. 3105 del 2002, dopo avere considerato che «l'e
sigenza di assicurare la coerenza e l'uniformità delle decisioni (priva di valenza costituzionale) non può essere considerata secondaria rispetto a
quella, anche costituzionalmente valorizzata dopo la modifica dell'art. 111 Cost., di assicurare la ragionevole durata del processo, da cui di
pende l'effettività del diritto di azione e del diritto di difesa, anch'essi costituzionalmente garantiti», sottolinea che «costituisce dunque dovere del giudice, tutte le volte che sia possibile, privilegiare strumenti alter nativi alla sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.».
E in questa linea si collocano le decisioni con le quali la corte ha statuito che la c.d. sospensione facoltativa del processo civile per ra
gioni di opportunità non può trovare ingresso nel nostro ordinamento
(Cass. 6 febbraio 2001, n. 1676. cit.; 3 maggio 1999, n. 4371, id., 2000.
I, 1968, con nota di Trisorio Liuzzi; 13 maggio 1997, n. 4179, id., 1997, 1. 1757. con nota di Trisorio Liuzzi), abbandonando così l'oppo sto indirizzo dalla stessa Cassazione sostenuto nonostante l'univoca
posizione contraria della dottrina (v., fra gli altri, Andrioli, Diritto pro cessuale civile, Napoli, 1979, I, 966; Satta, Commentario al codice di
procedura civile, Milano, 1960. IL 1, 389 s.; Liebman, Manuale di di ritto processuale civile4, Milano, 1981, II. 190: Proto Pisani, Sulla so
spensione necessaria dei processo civile, in Foro it., 1969, 1, 2517; Ci
priani, Sospensione del processo, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1993, XXX, 2 s.; Furno, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956; Calvosa, Sospensione del processo civile (di
cognizione), voce del Novissimo digesto, Torino, 1962. Vili, 954; Tri sorio Liuzzi, La sospensione, cit., 112).
Si tratta di affermazioni di estremo interesse perché dimostrano che la Cassazione è ben consapevole dell'estrema pericolosità dell'istituto della sospensione, anche perché può determinare una lesione dei prin cipi affermati nella nostra Costituzione. E appare significativo che nel
l'ordinanza n. 3105 del 2002 la Cassazione richiami la sentenza 2 otto
bre 1998, n. 9787 (Foro it., 2000, I, 1968, con nota di Trisorio Liuzzi, La Cassazione e la sospensione ex art. 295 c.p.c.), laddove fa esplicito riferimento all'esigenza di limitare gli effetti negativi di un prolunga mento non giustificato dei processi; sentenza nella quale il collegio aveva aderito all'interpretazione che «limita il dovere di sospensione ex
art. 295 c.p.c. ai casi in cui l'accertamento con autorità, di giudicato della questione pregiudiziale (ovvero la trasformazione in 'causa' di
una 'questione' pregiudiziale) sia richiesta dalla legge».
L'auspicio è che si vada incontro ad una nuova stagione, nella quale la sospensione del processo, soprattutto quella necessaria ex art. 295
c.p.c., venga sempre più circoscritta, dal momento che essa comporta comunque un diniego, sia pure temporaneo, di giustizia. [G. Trisorio
Liuzzi]
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2807 PARTE PRIMA 2808
Resiste con controricorso Franca Marangoni. Motivi della decisione. — 1. - A sostegno del suo ricorso
l'Aurora s.p.a. deduce violazione degli art. 295 e 336 c.p.c. Sostiene al riguardo la società che la sua domanda di restitu
zione si fonda sul disposto dell'art. 336 c.p.c. che, nel testo no
vellato dall'art. 48 1. 26 novembre 1990 n. 353, non condiziona
più gli effetti della sentenza di riforma al suo passaggio in giu dicato. Da qui il suo diritto alla restituzione della somma che il
Tribunale di Fermo — in riforma della decisione del pretore della stessa città — ha ritenuto non essere dovuta alla Marango ni. Lamenta ancora la ricorrente che nella fattispecie in esame
non può trovare applicazione il disposto dell'art. 295 c.p.c. in
quanto tra il giudizio di condanna generica e quello successiva
mente proposto per ottenere una sentenza di condanna specifica —
previa determinazione quantitativa della prestazione —
pur esistendo un nesso di conseguenzialità logica (la pronuncia sul
Yan costituisce il necessario presupposto della pronunzia sul
quantum) non si ravvisa quella pregiudizialità in senso tecnico
giuridico voluta della suddetta norma non sussistendo il rischio,
nemmeno potenziale, di un conflitto di giudicati in quanto l'ef
fetto espansivo esterno del novellato art. 336, 2° comma, c.p.c., si rivolge anche nei confronti delle sentenze definitive, con la
conseguenza che la riforma o la cassazione della sentenza sulla
causa pregiudiziale comporta l'immediata caducazione delle
statuizioni contenute nella sentenza definitiva e conseguenti alla
pronuncia riformata o cassata.
2. - Il ricorso per regolamento necessario di competenza pro
posto ex art. 42 c.p.c. contro il provvedimento di sospensione del Tribunale di Fermo del 9 febbraio 2000 è fondato e, pertan
to, merita accoglimento. Sulla questione oggetto dell'esame di questa corte, che attie
ne all'individuazione dell'ambito di operatività dell'art. 295
c.p.c. — ed alla conseguente individuazione dei casi di sospen
sione necessaria del processo, solo in presenza dei quali risulta
ammissibile il regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c. — si
riscontrano in giurisprudenza indirizzi contrastanti.
Con riferimento in particolare alla fattispecie di contempora nea pendenza davanti a giudici di grado diverso del giudizio sull'an e di quello sul quantum
— che ha costituito banco di
prova per saggiare la tenuta delle diverse opinioni delineatisi
sulla generale problematica della sospensione necessaria ex art.
295 c.p.c. — un orientamento dei giudici di legittimità ritiene
che, ove sia stata impugnata la sentenza resa nel separato giudi zio sull'a«, il giudizio pendente sulla determinazione del quan tum debba essere sospeso sino alla definizione con sentenza
passata in giudicato del primo giudizio, che assume il carattere
di antecedente logico-giuridico sulla decisione sul quantum
(cfr., ex plurimis, Cass. 18 dicembre 1997, n. 12836, Foro it.,
Rep. 1998, voce Procedimento civile, n. 322; 14 luglio 1993, n.
7788, id., Rep. 1993, voce cit., n. 165; 3 aprile 1993, n. 4026, ibid., n. 166; 8 agosto 1983 n. 5298, id., Rep. 1983, voce cit., n.
215). E in coerenza con simile affermazione si è anche statuito
che ricorre un'ipotesi di sospensione ex art. 295 c.p.c. allorché
tra le parti stesse si controverta in ordine alla nullità di un titolo
che, in altro processo, è posto a fondamento della domanda
(cfr., al riguardo, Cass. 30 marzo 1999, n. 3059, id., 2000, I,
1968; cui adde, negli stessi sensi, Cass. 9 agosto 1997, n. 7451,
id., Rep. 1997, voce Espropriazione per p.i., n. 297, secondo cui
il giudizio promosso per il riconoscimento e la liquidazione del
l'indennità di occupazione d'urgenza va sospeso ai sensi del
l'art. 295 c.p.c. in pendenza della controversia tra le stesse parti in cui venga denunziata l'inesistenza o la nullità assoluta del
provvedimento autorizzativo di detta occupazione per radicale
carenza di potere o per difetto degli indispensabili requisiti di
forma e di contenuto). Nella giurisprudenza di questa corte si rinviene però anche un
opposto orientamento essendosi affermato, ad esempio, che il
lavoratore, nonostante la pendenza del giudizio nel quale è stata
emanata una pronuncia di condanna generica, è immediatamente
legittimato a promuovere il separato giudizio per la determina
zione della prestazione e che in tale ipotesi, diversamente da
quanto prevede l'art. 295 c.p.c., il giudizio relativo alla liquida zione del credito non deve necessariamente essere sospeso es
sendo affidato al potere discrezionale del giudice l'opportunità o meno di ordinare la sospensione fino all'esito dell'impugna zione della pronunzia sull'an (cfr. Cass. 25 maggio 1996, n.
4844, id., 1997, I, 1109; 20 marzo 1985, n. 2037, id., 1985, I, 2275).
Il Foro Italiano — 2003.
2.1. - Questo secondo, ed invero, minoritario indirizzo condi
vide con l'altro l'orientamento che il disposto dell'art. 295
c.p.c. trova la sua ratio nella necessità di evitare il conflitto di
giudicati (cfr., al riguardo, anche Cass., sez. un., 13 luglio 2000,
n. 4B5/SU, id., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 328, e
13 luglio 2000, n. 486/SU, ibid., n. 327, nonché Cass., sez. un.,
6 giugno 2000, n. 408/SU, ibid., n. 326, secondo cui la sospen sione del giudizio ex art. 295 c.p.c. è necessaria, oltre che nei
casi in cui la previa definizione di altra controversia civile, pe nale o amministrativa pendente davanti allo stesso o ad altro
giudice, sia imposta per espressa disposizione di legge, anche
quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispen sabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la deci
sione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richie
sto con efficacia di giudicato), ma si differenzia dal precedente orientamento perché alle sue conclusioni perviene sul presuppo sto che la norma codicistica richieda, per la sua applicabilità, che tra le due cause pendenti (davanti allo stesso giudice o da
vanti a due giudici diversi) vi sia un nesso di pregiudizialità in
senso tecnico-giuridico e non meramente logico, suscettibile
come tale di integrare una questione pregiudiziale ex art. 34
c.p.c. (indicante cioè una situazione che, pur rappresentando un
presupposto dell'effetto dedotto in giudizio, è tuttavia distinta
ed indipendente dal fatto costitutivo sul quale tale effetto si fon
da). Tale orientamento seleziona così con maggiore rigorosità le
fattispecie nelle quali si concretizza un effettivo conflitto di
giudicati, escludendo, appunto, che possa configurarsi un simile
conflitto nel rapporto tra giudizio sull'an e quello sul quantum, essendovi tra loro un nesso di pregiudizialità soltanto logica.
2.2. - Passaggio obbligato di un siffatto indirizzo giurispru
denziale, condiviso anche da una parte della dottrina processua
listica, è l'interpretazione data dai giudici di legittimità al com
binato disposto dell'art. 337, 2° comma, c.p.c. («Quando l'auto
rità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo
può essere sospeso, se tale sentenza è impugnata») e dell'art.
336, 2° comma, c.p.c., sull'effetto espansivo esterno della sen
tenza di impugnazione («La riforma o la cassazione estende i
suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti della sentenza
riformata o cassata»). 2.3. - Come è noto, è stato sostenuto da molti autori che la pa
rola «autorità» — adoperata nel testo dell'art. 337, 2° comma,
c.p.c. — debba essere intesa come «autorità di giudicato» sicché
l'effetto dichiarativo della sentenza si produce, e vincola il giu dice di altro processo, solo dopo il suo passaggio in giudicato. In siffatto contesto la norma può trovare applicazione solo al
lorquando la sentenza invocata è passata in giudicato, e viene
impugnata con revocazione straordinaria o con opposizione di
terzo. E solo in questi casi il testo normativo esclude il ricorso
alla sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. pre vedendo, invece, una sospensione facoltativa che il giudice può
disporre sulla base di una valutazione del tutto discrezionale
non censurabile in sede di legittimità (cfr., in giurisprudenza, in
tali sensi, Cass. 25 ottobre 1997, n. 10523, id., Rep. 1997, voce
Impugnazioni civili, n. 117; 3 luglio 1987, n. 5840, id., 1988, I,
1950), neppure attraverso il regolamento di competenza (cfr., sul punto, Cass. 4 giugno 1999, n. 5500, id., Rep. 1999, voce
Procedimento civile, n. 316; 7 agosto 1997, n. 7295, id., Rep. 1997, voce cit., n. 298).
Corollario di una siffatta opinione è, dunque, la drastica ridu
zione dell'area di applicabilità dell'art. 337, 2° comma, c.p.c. —
limitata alle sole ipotesi di sentenze investite da impugnazione straordinaria — con una conseguenziale limitazione dei casi di
sospensione facoltativa del giudizio nel quale è invocata
['«autorità» della sentenza (passata in giudicato). In linea con l'esposta opzione interpretativa si è, poi, affer
mato che in ogni altro caso — in cui tra due cause esista un nes
so di dipendenza nel senso che la decisione su un rapporto rea
gisce sulla pronuncia dell'altro — debba trovare applicazione l'istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., con la
conseguenza che il processo sulla causa dipendente uscirà dallo
stato di quiescenza solo dopo il passaggio in giudicato della
sentenza della causa pregiudicante. 2.4. - A questo indirizzo si oppone una diffusa opinione se
condo cui l'art. 337, 2° comma, c.p.c., riconosce, invece, alla
sentenza riformata o cassata un'immediata efficacia di accerta
mento anche al di fuori del processo in cui è emanata, prima ed
indipendentemente, quindi, dal suo passaggio in giudicato: an
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che prima del suo passaggio in giudicato, la suddetta sentenza, essendo dotata di un'intrinseca ed originaria imperatività, pro duce gli effetti che le sono propri non rilevando in contrario che
questi stessi effetti debbano o possano rimanere sospesi in con
siderazione della proposizione di un'impugnazione. In linea con
dette considerazioni si è poi in dottrina osservato come parlando di «invocazione» la legge abbia voluto significare che sulla
sentenza può essere fondata un'azione o un'eccezione senza che
il fatto della sua impugnazione e, tanto meno, la sua astratta im
pugnabilità costituiscano un impedimento a ciò; e si è, infine, e
videnziato in giurisprudenza come qualsiasi pronuncia giurisdi zionale sia dotata di una propria «autorità» e come il 2° comma, dell'art. 337 c.p.c. faccia riferimento a qualsiasi sentenza (sog
getta anche ad impugnazione ordinaria), con la conseguenza che
qualora una qualsivoglia pronuncia sia invocata in un diverso
processo —
perché posta a fondamento di una domanda o di
un'eccezione — il giudice si trova «di fronte ad una duplice al
ternativa: a) può tener conto della pronuncia indipendentemente dal suo passaggio in giudicato; b) se la pronuncia è stata impu
gnata (anche mediante un mezzo c.d. ordinario) può ordinare
nell'esercizio del suo potere discrezionale (insindacabile in sede
di legittimità) la sospensione del processo» (cfr., sul punto, Cass. 25 maggio 1996, n. 4844, cit.).
2.5. - All'interno dell'orientamento volto ad estendere nei
sensi ora indicati l'operatività dell'art. 337, 2° comma, c.p.c., si
sottolinea come l'effetto espansivo esterno delle pronunzie giu risdizionali di cui all'art. 336, 2° comma, c.p.c. vada ricono
sciuto anche con riferimento alle sentenze definitive. In parti colare si evidenzia che la riforma o la cassazione della sentenza
non definitiva determina l'immediata «caducazione» delle sta
tuizioni contenute nella sentenza definitiva e dipendenti dalla
pronuncia riformata o cassata, sicché qualora fra la sentenza non
definitiva e quella definitiva sussista un nesso di conseguenzia lità nel senso che la prima costituisca il presupposto dell'altra,
gli effetti pregiudicanti determinati dalla riforma o dalla cassa
zione della sentenza non definitiva si producono su quella defi
nitiva, anche in caso di mancata impugnazione di questa, atteso
che il giudicato che si è formato sulla sentenza definitiva è solo
apparente, essendo lo stesso necessariamente collegato alla
mancata riforma della sentenza non definitiva che ne costituisce
l'antecedente (cfr., tra le altre, Cass. 25 maggio 1996, n. 4844,
cit.; 23 febbraio 1993, n. 2188, id., Rep. 1993, voce Impugna zioni civili, n. 86; 9 giugno 1990, n. 5633, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 81, e 24 febbraio 1990, n. 1409, id., Rep. 1990. voce cit.,
n. 103, cui adde — sulla nozione di giudicato solo apparente, formatosi sulla sentenza definitiva non impugnata
— Cass., sez.
un., 1° marzo 1990, n. 1589, ibid., voce Cassazione civile, n.
56). Come è stato ricordato, questi principi giurisprudenziali,
scaturenti dal disposto dell'art. 336, 2° comma, c.p.c., per la lo
ro portata generale, vanno applicati, sia alla sentenza non defi
nitiva sull'an debeatur— la cui riforma o cassazione determina
l'automatica caducazione della sentenza definitiva sul quantum
(cfr. Cass. 25 gennaio 1990. n. 451, ibid., voce Impugnazioni
civili, n. 102) —, sia alla fattispecie del creditore che adisca il
giudice per ottenere una pronuncia di condanna generica (per
qualsiasi scopo, ad esempio, al fine di conseguire un titolo che
gli permetta di iscrivere l'ipoteca giudiziale sui beni immobili
del debitore) ed agisca poi in un diverso e separato giudizio per
pervenire ad una sentenza di condanna specifica previa determi
nazione quantitativa della prestazione. Anche in quest'ultima
ipotesi, per esservi tra i due giudizi un nesso di conseguenzialità
logica e per costituire la pronuncia sull'a« il necessario presup
posto della pronuncia sul quantum, la riforma o la cassazione
della prima sentenza riversa con immediatezza i suoi effetti
sulla seconda pronuncia, la quale, se divenuta definitiva, non
può continuare ad esistere con tutti gli effetti del giudicato so
stanziale ex art. 2909 c.c.; si è in presenza di mero giudicato ap
parente (cfr., ancora in questi sensi, Cass. 25 maggio 1996, n.
4844, cit.). 2.6. - In termini riassuntivi di quanto sinora esposto può,
dunque, affermarsi che, non riscontrandosi il rischio di un con
flitto di giudicati, non può in dette ipotesi farsi luogo alla so
spensione necessaria del processo in applicazione ex art. 295
c.p.c., norma questa la cui ratio è stata rinvenuta proprio nell'e
sigenza di evitare il suddetto rischio e le conseguenziali pregiu dizievoli ricadute sul versante processuale.
Il Foro Italiano — 2003.
Un simile approdo giurisprudenziale e dottrinario trova il suo
iter motivazionale, come si è visto, innanzitutto, nell'opzione ermeneutica volta ad estendere il disposto dell'art. 337, 2°
comma, c.p.c. anche ai casi in cui a seguito di un'impugnazione ordinaria sia stata riformata (ovvero cassata) una sentenza pro nunziata su una questione pregiudiziale a quella da risolvere in
altro processo tra le stesse parti (o tra alcune di esse o, ancora,
nell'ipotesi in cui con la sentenza impugnata sia stata indicata
una domanda parzialmente identica a quella proposta nell'altro
processo; cfr., al riguardo, Cass. 11 aprile 1986, n. 2556, id..
Rep. 1986, voce cit., n. 127, cui adde Cass. 3 luglio 1987, n.
5840, cit.); e, inoltre, nella valorizzazione dell'effetto espansivo esterno disciplinato dall'art. 336, 2° comma, c.p.c. attraverso il
riconoscimento dell'incidenza di detto effetto sugli atti e prov vedimenti dipendenti che abbiano luogo in altri giudizi e sulle
stesse sentenze definitive rispetto alle quali la questione decisa
dalla sentenza riformata o cassata si presenti come mero antece
dente logico. 3. - Le conclusioni cui è pervenuto l'indirizzo giurispruden
ziale di cui si sono indicati i più significativi passaggi vanno
condivise sulla base del testo novellato dell'art. 295 c.p.c. (a se
guito dell'art. 35 1. n. 353 del 1990) e di quello anche esso no
vellato dell'art. 336, 2° comma, c.p.c. (a seguito, come si è già detto, dell'art. 48 1. n. 353 del 1990). Ed infatti la ratio sottesa
alle suddette innovazioni conforta in modo decisivo l'indirizzo
esposto, mentre l'accoglimento di una diversa opinione finireb
be per porsi —-
per le ragioni che si passano ad esporre — in
contrasto con le finalità che il legislatore ha inteso perseguire con la riscrittura dell'art. 295 c.p.c. e dell'art. 336, 2° comma,
c.p.c. 3.1. - L'abolizione nel nuovo testo dell'art. 295 c.p.c. del ri
chiamo all'art. 3 c.p.p. porta ad escludere che possa parlarsi og
gi di una sospensione generalizzata del processo civile in ragio ne della pendenza del processo penale «influente». Ed è opinio ne diffusa che il legislatore con il fare cessare la «prevalenza» del processo penale su quello civile (storicamente giustificata con la più spiccata capacità del processo penale di accertare la
verità dei fatti) abbia inteso privilegiare — anche a discapito del
principio di economia processuale e persino a costo di pervenire ad un contrasto tra giudicati
— la celerità del processo civile.
Ed a ben vedere un simile intento sollecitatorio della giustizia civile si rinviene pure con riferimento alla pregiudizialità am
ministrativa, atteso che, in base all'art. 68 d.leg. 3 febbraio 1993
n. 29, nel testo modificato dal d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nelle
controversie relative ai rapporti alle dipendenze di pubbliche amministrazioni passate alla giurisdizione del giudice ordinario,
questi ha il potere di disapplicare gli atti amministrativi presup
posti rilevanti ai fini della decisione e l'eventuale loro impu
gnazione davanti al giudice amministrativo non è causa di so
spensione del processo. Il disfavore dell'ordinamento verso il fenomeno sospensivo
ha così indotto la dottrina e la giurisprudenza a dare dell'art.
295 c.p.c. una lettura restrittiva. Il giudice delle leggi ha infatti
osservato come la riforma della citata norma processuale «nel
l'attenuare il nesso di pregiudizialità penale in consonanza con
l'autonomia voluta dal nuovo codice di procedura penale per le
azioni civili restitutorie e risarcitone, ha espresso, più in gene
rale, il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo in
quanto tale»; ed ha anche sottolineato come quest'ultimo orientamento «ha condotto altresì la giurisprudenza a limitare le
ipotesi di sospensione necessaria ai soli casi di pregiudizialità tecnica ed a quelli in cui sia la legge a prevedere che il giudicato di una causa si imponga sull'altra» (in tali termini, cfr. Corte
cost. 31 maggio 1996, n. 182, id., 1997, I, 1023). Un atteggia mento analogo a quello dei giudici costituzionali è stato tenuto
dalla giurisprudenza di legittimità che ha pure evidenziato come
un'interpretazione diretta ad estendere in via interpretativa i casi
di sospensione necessaria al di fuori delle ipotesi tipiche,
espressamente previste dalla legge, possa determinare una le
sione di diritti costituzionalmente garantiti, ed in speciale modo
del principio di uguaglianza (art. 3, 1° comma. Cost.), del diritto
alla tutela giurisdizionale (art. 24, 1° comma, Cost.), ed infine
del diritto ad una «ragionevole» durata del processo (art. Ill, 1 °
comma. Cost.) (cfr., sul punto, da ultimo, Cass. 6 febbraio 2001,
n. 1676, id., 2002,1, 1184). Sulla base dello scrutinio delle innovazioni legislative e degli
arresti giurisprudenziali e dottrinari in materia è dato desumere,
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PARTE PRIMA
quindi, che una lettura dell'art. 295 c.p.c. non possa, per le con
siderazioni svolte, legittimare — in nome della ratio a tale nor
ma sottesa — opzioni ermeneutiche dirette ad ampliarne l'am
bito applicativo. 3.2. - Come è noto l'art. 336 c.p.c. nel testo del codice del
1940 disponeva nel 1° comma che la riforma o la cassazione
parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza, dipendenti dalla parte riformata o cassata (c.d. effetto espansivo interno), e
nel 2° comma che la riforma con sentenza passata in giudicato o
la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti
dipendenti dalla sentenza riformata o cassata (c.d. effetto espan sivo esterno).
La 1. 353/90, come si è già ricordato, ha modificato questo 2°
comma, espungendo dal testo della norma le parole «con sen
tenza passata in giudicato» con il risultato che l'effetto espansi vo esterno consegue alla mera riforma (oltre che alla cassazio
ne) della sentenza di merito, anche non passata in giudicato, ac
cogliendosi così la tesi, seguita da autorevole dottrina proces sualistica, che la sentenza pronunziata in grado d'appello si so
stituisce sempre, assorbendola ad ogni effetto (compreso quello
esecutivo) alla sentenza del giudice di primo grado, sia che la
confermi sia che la riformi, e ponendosi così termine a quelle incertezze che, dopo la novella del 1950, erano sorte sulla por tata dell'art. 336, 2° comma, c.p.c. e che si erano manifestate,
con particolare frequenza, proprio nella materia del lavoro, con
particolare rilievo in ragione degli interessi coinvolti (cfr. infat
ti, tra le altre, Cass. 24 febbraio 1990, n. 1409, cit.; 19 gennaio 1990, n. 289, id., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 1859; 17 ottobre 1988. n. 5644, id.. Rep. 1988. voce Impugnazioni ci
vili, n. 107; 13 febbraio 1988, n. 1570. id., 1989,1, 1575). Anche a voler condividere l'assunto secondo cui l'indicata
norma non riguarda l'esecuzione in senso proprio (cioè l'esecu
zione forzata sia per espropriazione sia in forma specifica, che
rimarrebbe devoluta alla regolamentazione dell'art. 337 c.p.c.), è indubbio però che la lettera della disposizione in esame legit tima la tesi, già seguita in giurisprudenza, volta ad estendere
l'effetto espansivo esterno anche ad atti o provvedimenti dipen denti relativi ad altri giudizi (cfr., al riguardo, Cass. 4 marzo
1993, n. 2616, id.. Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1576,
e, in epoca più risalente, Cass. 24 febbraio 1975, n. 678, id..
Rep. 1975, voce Impugnazioni civili, n. 135, per la caducazione
di un decreto ingiuntivo emesso sulla base di lodo arbitrale poi annullato).
Consegue da quanto ora detto che un'interpretazione dell'art.
336, 2° comma, c.p.c. che voglia essere rispettosa del dato nor
mativo e che non intenda tradire le finalità che il legislatore della riforma del 1990 ha inteso perseguire, porta a ritenere che
una sentenza sull'aw (o di condanna generica), una volta rifor
mata o cassata è destinata a riverberare, in via immediata e di
retta, i suoi effetti anche su quelle controversie che dipendano dalla decisione riformata o cassata, con il corollario che l'esten
sibilità in dette controversie del disposto dell'art. 295 c.p.c. con
conseguente applicabilità dell'istituto della sospensione neces
saria finirebbe con il cristallizzare la situazione processuale sino
al passaggio in giudicato della decisione pregiudiziale e per tra
dire, quindi, la lettera e la ratio della novellata norma codicisti
ca.
4. - L'operata interpretazione delle norme processuali scruti
nate consente, infine, di rivisitare anche il significato della locu
zione «l'autorità di una sentenza», adoperata dell'art. 337, 2°
comma, c.p.c. Si sono indicati in precedenza i termini del dibat
tito dottrinario sorto intorno alla portata dell'indicata espressio ne.
Orbene la tesi — condivisa da questa corte — volta ad esten
dere il disposto dell'art. 337 c.p.c., nella parte in cui prevede la
sospensione facoltativa, anche alle fattispecie rientranti nel
l'ambito di operatività dell'art. 336, 2° comma, c.p.c., ne con
sente una più convincente lettura permettendo di individuare
nell'«autorità» della sentenza — che non può non tener conto
oltre che del suo contenuto anche dell'organo che l'ha emessa
(e nella conseguente sua assoggettabilità, o no, ad un'impugna zione straordinaria) — un parametro di riferimento per l'eserci
zio del potere (discrezionale) del giudice di sospendere il giudi zio di cui è investito.
5. - Per concludere può affermarsi che il disfavore mostrato
dal nuovo legislatore verso l'istituto della sospensione necessa
ria del processo, la non configurabilità di un effettivo contrasto
Il Foro Italiano — 2003.
di giudicati tra la sentenza sul Fan (o quella di condanna generi
ca) e la decisione sul quantum, la portata innovativa — nei ter
mini innanzi descritti — dell'art. 336, 2° comma, c.p.c. e, anco
ra, l'esigenza che l'effetto espansivo scaturente da detta dispo sizione non venga vanificato con l'impedire che in conseguenza della sentenza riformata (o cassata) possano essere fatte valere
con immediatezza azioni risarcitone e/o restitutorie che in essa
trovino il proprio titolo, costituiscono elementi che, considerati
globalmente, portano a concludere che nel giudizio iniziato ad
opera di Franca Marangoni non sussistono i requisiti previsti dall'art. 295 c.p.c. per procedere alla sospensione della causa.
6. - In ragione dell'illegittimità dell'ordinanza di sospensione del giudizio emessa in data 9 febbraio 2000, il ricorso per rego lamento di competenza ex art. 42 c.p.c. proposto dall'Aurora
2000 s.p.a. va, dunque, accolto e la suddetta ordinanza annulla
ta.
II
La corte, letti gli atti, nonché il ricorso per regolamento di
competenza proposto, ai sensi degli art. 42 e 295 c.p.c., dal fal
limento della A.C. Girardi & C. s.p.a., rileva quanto segue: — con atto di citazione del 31 maggio 1999 il fallimento
convenne innanzi al Tribunale di Milano la società di revisione
Ria & Partners s.a.s. ed il certificatore, sig. Carlo Bugolotti,
perché fosse accertata, in via contrattuale o extracontrattuale, la
loro solidale responsabilità per non avere essi adempiuto, con la
necessaria diligenza, agli obblighi di legge e di contratto, omet
tendo di rilevare i vizi e le irregolarità di bilanci della Girardi e
le violazioni di legge compiute dagli amministratori di que st'ultima, così da far sottoporre la Girardi stessa all'adozione di
provvedimenti di rigore da parte della Consob e del ministero
del tesoro, nonché alla dichiarazione di fallimento; — la Ria & Partners, costituitasi, fu autorizzata a chiamare in
garanzia gli ex amministratori e gli ex sindaci della Girardi. Due
di questi chiamarono, a loro volta, in garanzia le rispettive com
pagnie di assicurazione (la Milano assicurazioni e la Zurigo as
sicurazioni). La Zurigo assicurazioni chiese la sospensione del
processo, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., sino alla definizione del
l'azione civile promossa dal fallimento nei confronti degli ex
amministratori nel procedimento penale instaurato nei confronti
di questi ultimi; — con ordinanza 13 dicembre 2000 - 10 gennaio 2001
(quella attualmente impugnata) il g.i. del Tribunale di Milano
così statuì: «rilevato che vi è costituzione di parte civile nel pro cedimento penale instaurato nei confronti degli amministratori
che sono parti anche nel presente giudizio sospende il giudizio sino alla definizione del giudizio penale».
Tutto ciò premesso, la corte osserva quanto segue: il tenore
dell'ordinanza impugnata lascia intendere che il giudice si sia
implicitamente riferito all'ipotesi di sospensione necessaria pre vista dal 3° comma dell'art. 75 c.p.p. (azione civile proposta nei
confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel
processo penale), con la conseguente ammissibilità dell'attuale
impugnazione. Questa corte regolatrice ha in più occasioni affermato che il
codice di procedura penale del 1988 non ha riprodotto la regola, dettata dall'art. 3 del codice di rito previgente, della necessaria
pregiudizialità del processo penale rispetto a quello civile. Ma,
pur se nel sistema attualmente in vigore esiste una tendenziale
autonomia tra i due giudizi, un rapporto di pregiudizialità tra di
essi non può essere negato in via astratta e di principio, ostan
dovi l'art. 211 norme att., coord, e trans, c.p.p., ispirato alla fi
nalità di prevenire contraddittorietà di giudicati, il quale prevede che, al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 75, 3° comma, c.p.p. (e cioè quelle di giudizio civile avente ad oggetto l'azione ripa ratoria per le restituzioni ed il risarcimento del danno, in cui è
fatto divieto di sospensione del processo civile se non quando l'azione sia stata proposta in sede civile nei confronti dell'im
putato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o
dopo la sentenza penale di primo grado), la sospensione neces
saria del giudizio civile è subordinata alla duplice condizione
dell'avvenuto esercizio dell'azione penale e della rilevanza ed
opponibilità dell'eventuale giudicato penale nel processo da so
spendere. Il nuovo assetto dei rapporti tra azione civile e penale ha dato luogo altresì alla necessità di modifica dell'art. 295
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
c.p.c., che, nel testo risultante dalla novella di cui all'art. 35 1. n.
353 del 1990, stabilisce che il giudice dispone la sospensione del processo in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve
risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la deci
sione della causa.
Occorre, dunque, di volta in volta, un'indagine in concreto, diretta a verificare la sussistenza di un rapporto di pregiudizia lità tra le due cause, idoneo a giustificare l'applicazione del ci
tato art. 295 c.p.c. (tra le varie, cfr., soprattutto, Cass. 21 set
tembre 1998, n. 9440, Foro it., Rep. 1998, voce Giudizio (rap
porto), n. 33). Nella specie, è agevole rilevare che è del tutto fuori luogo il
riferimento al 3° comma dell'art. 75 c.p.p. (disposizione che, come s'è detto, è implicitamente richiamata dal giudice di me
rito), posto che l'attuale pretesa risarcitoria è rivolta dal falli
mento nei confronti dei convenuti Ria & Partners e Bugolotti, mentre il procedimento penale pendente nei confronti degli ex
amministratori vede proposta, nei confronti di questi, la costitu
zione di parte civile del fallimento. In altri termini, è indispen sabile rimarcare la diversità dei rapporti dedotti nel processo ci
vile ed in quello penale: nel primo si discute delle responsabilità della società di revisione e del certificatore, nei confronti del
fallimento, per omessa relazione circa le dedotte irregolarità commesse dagli ex amministratori; nel secondo, invece, si di
scute della responsabilità degli amministratori nei confronti del
fallimento. Sicché, è carente nella fattispecie la stessa identità
soggettiva tra procedimenti, che costituisce il presupposto logi
co-giuridico indispensabile per la sospensione. Passando, poi, alla concreta indagine diretta a verificare la
sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra le due cause, idoneo, comunque, a giustificare l'applicazione dell'art. 295
c.p.c., con riferimento all'art. 654 c.p.p. (efficacia della senten
za penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o
amministrativi), va ricordato che, ai fini della sospensione ne
cessaria del giudizio, non è sufficiente che fra due liti sussista
una mera pregiudizialità logica, ma è necessaria l'obiettiva esi
stenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica, il quale ricorre
solo quando la definizione di una controversia costituisca l'indi
spensabile antecedente logico-giuridico dell'altra, l'accerta
mento del quale debba avvenire con efficacia di cosa giudicata
(tra le varie, cfr. Cass. 16 giugno 2000, n. 8236, id., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 325). Nella specie, l'eventuale ri
conoscimento in sede penale della responsabilità risarcitoria de
gli amministratori nei confronti del fallimento non potrà mai es
sere invocato con efficacia di giudicato nell'attuale causa civile,
posto che qui si discute in via principale della responsabilità della società di revisione e del certificatore nei confronti del
fallimento e la circostanza che i convenuti abbiano chiamato in
garanzia gli amministratori assume un riflesso assolutamente
secondario e riflesso (alla luce della diversità dei rapporti della
quale s'è detto in precedenza), rispetto al quale l'eventuale con
danna penale degli amministratori può tutt'al più costituire un
precedente meramente logico. E per queste ragioni che il ricorso va accolto ed il provvedi
mento impugnato va cassato.
Ili
Ritenuto: che il Tribunale di Urbino, in causa di risarcimento
dei danni materiali e morali promossa da Anna Nicolina Otta
viani nei confronti di Antonio Lazzarino e della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio (già Banca popolare di Cagli) per azioni
giudiziarie ed iscrizioni ipotecarie subite a seguito della falsifi
cazione da parte del Lazzarino, dipendente della banca, di un
atto di fideiussione della Ottaviani e delle registrazioni contabili
della banca, ha sospeso il giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ravvisando «continenza quantomeno parziale della presente controversia con quella decisa dalla corte anconetana e avverso
la quale la stessa Ottaviani ha proposto ricorso per cassazione»;
che tale causa concerneva un'opposizione della Ottaviani a
decreto ingiuntivo di pagamento emesso su istanza della banca,
nella quale la Ottaviani aveva domandato la condanna della
banca al risarcimento dei danni materiali e morali per aver agito in giudizio ed iscritto ipoteca sulla base dei documenti falsificati
dal Lazzarino;
che, secondo il Tribunale di Urbino, dalla definizione di tale
Il Foro Italiano — 2003.
causa «dipende, almeno per quanto attiene al rapporto di solida
rietà tra le parti convenute», la decisione relativa a quella sospe sa;
che avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per regola mento di competenza la Ottaviani, negando il rapporto di pre
giudizialità necessaria dell'altra causa, pendente tra soggetti di
versi, sicché non appariva configurabile un qualsiasi rapporto di
connessione, continenza e dipendenza; che né la banca né il Lazzarino hanno svolto attività difensi
va; che il pubblico ministero ha chiesto che il ricorso fosse riget
tato sul rilievo che la causa precedentemente instaurata avesse
carattere pregiudiziale. Considerato: che la prospettata continenza quantomeno par
ziale e la ravvisata dipendenza della causa sospesa dall'altra al
meno per quanto attiene al rapporto di solidarietà tra le parti convenute non possono altrimenti intendersi (posto che non so
no in discussione i presupposti per l'applicabilità dell'art. 2049
c.c.) se non nel senso che una delle due cause cumulativamente
proposte nel processo sospeso (quella, cioè, relativa alla do
manda di risarcimento nei confronti della banca) è la stessa già
proposta nei confronti della sola banca nella causa (originata da
opposizione a decreto ingiuntivo) pendente innanzi alla Corte di
cassazione, nella quale pure la Ottaviani ha domandato il risar
cimento dei danni materiali e morali nei confronti dell'istituto
di credito in relazione ad iniziative giudiziarie dipese dalle falsi
ficazioni del Lazzarino; che un rapporto di litispendenza (e non anche di continenza) è
dunque configurabile solo fra le cause relative alle domande
proposte dalla Ottaviani nei confronti della banca e va per con
tro escluso, stante la non identità delle parti, in ordine alla do
manda cumulativamente proposta nei confronti del Lazzarino, non evocato in giudizio nella causa di opposizione a decreto in
giuntivo, sicché il processo è stato impropriamente sospeso
quanto al rapporto processuale instaurato tra la Ottaviani ed il
medesimo, indicato come autore del falso;
che, invero, l'esigenza di assicurare la coerenza e l'unifor
mità delle decisioni (priva di valenza costituzionale) non può essere considerata secondaria rispetto a quella, anche costitu
zionalmente valorizzata dopo la modifica dell'art. 11 1 Cost., di
assicurare la ragionevole durata del processo, da cui dipende l'effettività del diritto di azione e del diritto di difesa, anch'essi
costituzionalmente garantiti; che costituisce dunque dovere del giudice, tutte le volte che
sia possibile, privilegiare strumenti alternativi alla sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.;
che in tale tendenza ermeneutica delle norme che vengono in
considerazione si iscrivono le sentenze di questa corte 13 mag
gio 1997, n. 4179 (Foro it., 1997, I, 1757), e 3 maggio 1999, n.
4371 (id., 2000, I, 1968), che hanno escluso la sospensione fa
coltativa del processo civile per ragioni di opportunità, e 2 otto
bre 1998, n. 9787 (ibid.), che ha fatto esplicito riferimento all'e
sigenza di limitare gli effetti negativi di un prolungamento non
giustificato dei processi; che tale effetto, a seguito della disposta sospensione, senz'al
tro si produrrebbe per l'attuale ricorrente in ordine alla doman
da proposta nei confronti del Lazzarino, indicato come autore
del falso, posto che il giudicato formatosi in una causa cui egli è
rimasto estraneo non potrebbe comunque avere valore imperati vo nei rapporti fra il medesimo e la Ottaviani nella causa di cui
al processo sospeso, sicché la definizione dell'altra causa non
costituisce il necessario antecedente logico-giuridico per la de
cisione di quella sospesa; che il ricorso va conseguentemente accolto per quanto di ra
gione. con la cassazione dell'ordinanza di sospensione limita
tamente alla domanda svolta nei confronti del Lazzarino, nei
soli confronti del quale il processo dovrà continuare, con sepa razione della relativa causa da quella contestualmente proposta dalla Ottaviani nei confronti della banca.
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