sezione lavoro; sentenza 23 maggio 2003, n. 8210; Pres. Ciciretti, Est. A. Celentano, P.M. Apice(concl. parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Basilica) c. De Santis; De Santis (Avv.Bernardini, Brendolan, Persico) c. Min. finanze. Conferma App. Venezia 15 giugno 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 6 (GIUGNO 2003), pp. 1671/1672-1675/1676Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198186 .
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PARTE PRIMA 1672
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 mag
gio 2003, n. 8210; Pres. Ciciretti, Est. A. Celentano, P.M.
Apice (conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Ba
silica) c. De Santis; De Santis (Avv. Bernardini, Brendo
lan, Persico) c. Min. finanze. Conferma App. Venezia 15
giugno 2000.
CORTE DI CASSAZIONE;
Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Rinvio a giudi zio — Misura restrittiva della libertà personale — Sospen sione cautelare dal servizio — Termine quinquennale di
durata massima — Applicabilità (D.leg. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipen denze delle amministrazioni pubbliche, art. 63).
Il termine massimo di cinque anni, contrattualmente previsto, è
applicabile anche alla sospensione cautelare dal servizio de
terminata da un procedimento penale, nel corso del quale sia
stata irrogata al pubblico dipendente una misura restrittiva
della libertà personale. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di Ve
rona, in data 20 settembre 1999, Mario De Santis, premesso di
avere ricoperto l'ufficio di funzionario direttivo dell'ufficio
delle imposte dirette di Verona fino all'8 giugno 1994, data in
cui, tratto in arresto per il reato di concussione, era stato sospeso dal servizio ai sensi dell'art. 91 d.p.r. 3/57, esponeva che, al
termine del quinquennio dalla sospensione, ne aveva inutil
mente chiesto la revoca ex art. 9, 2° comma, 1. n. 19 del 1990 e
art. 27, 8° comma, c.c.n.l. comparto ministeri.
Chiedeva, pertanto, dichiararsi la nullità del provvedimento di
proroga della sospensione ed ordinarsi al ministero delle finanze
l'immediata riassunzione in servizio, con ripristino del relativo
trattamento economico a decorrere dal 4 giugno 1999.
Il ministero convenuto, costituitosi, deduceva che la proroga della sospensione dal servizio, oltre l'originario quinquennio, trovava fondamento nella disciplina degli art. 26 e 27 c.c.n.l., che avevano sostituito la normativa dell'art. 92 d.p.r. 3/57.
Il tribunale, ritenuta la natura discrezionale della sospensione
(1) I. - La sentenza in epigrafe è la prima pronuncia di legittimità, a
quanto consta, relativa alla sospensione cautelare dal servizio contrat tualmente disciplinata, a seguito della riforma del pubblico impiego (la corte esamina le disposizioni contrattuali sulla sospensione, a norma del 5° comma dell'art. 63 d.leg. 165/01). Secondo la corte, in base ai
parametri costituzionali di ragionevolezza, presunzione d'innocenza e buon andamento della pubblica amministrazione, il termine massimo di
cinque anni previsto dal contratto collettivo di settore si applica ad ogni sospensione cautelare dal servizio determinata da un procedimento pe nale; anche, quindi, nell'ipotesi in cui il rinvio a giudizio sia stato pre ceduto o accompagnato da una misura restrittiva della libertà personale.
II. - La sentenza è conforme ai principi affermati da Corte cost. 3
maggio 2002, n. 145, in questo fascicolo, I, 1666, con nota di richiami, citata in motivazione, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 1. 97/01, nella parte in cui prevede(va) una durata massima della sospensione pari al termine prescrizionale dei reati previsti dal l'art. 3, 1° comma, della legge. In tema, v. anche Cons. Stato, sez. VI, ord. caut. 28 agosto 2001, n. 4745, ibid., Ili, 372, con nota di richiami, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della
norma, in riferimento agli art. 27, 54, 97 e 98 Cost. III. - Per l'applicabilità alla sospensione cautelare del termine mas
simo di cinque anni previsto dall'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19 (la cui disciplina è oggi superata dalla regolamentazione contrat
tuale), il cui decorso è preclusivo della rinnovazione della misura, Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2000, n. 169, Foro it., Rep. 2000, voce
Impiegato dello Stato, n. 1412; 29 ottobre 1994, n. 1236, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1063; contra, per l'affermazione della possibilità di rinnovo della misura dopo la scadenza del termine quinquennale, Cons.
Stato, sez. IV, 18 giugno 1998, n. 953, id., Rep. 1998, voce cit., n.
1144; Tar Campania, sez. I, 24 giugno 1999, n. 1798, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 1414.
IV. - Sul dies a quo di computo del termine, coincidente con l'ado zione del provvedimento di sospensione e non con la definizione del
procedimento penale, Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 2000, n. 3848, ibid., n. 1413; sez. VI 19 febbraio 1993, n. 186, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 1102; comm. spec. 22 giugno 1992, n. 939/91, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1038; Tar Campania, sez. IV, 8 gennaio 1996, n. 17, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 944; Tar Lazio, sez. II, 17 luglio 1995, n. 1186, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1068.
V. - Sulla spettanza della restitutio in integrum a seguito di sospen sione cautelare dal servizio, v. Cons. Stato, ad. plen., 2 maggio 2002, n.
4, e 28 febbraio 2002, n. 2, in questo fascicolo, III, 371, con nota di ri chiami.
Il Foro Italiano — 2003.
e l'inapplicabilità del termine massimo di cinque anni previsto, invece, per la sola sospensione di cui al 2° comma dell'art. 27,
respingeva le domande con sentenza del 7-14 febbraio 2000.
La decisione veniva appellata dal De Santis, che sosteneva
che il limite di cinque anni, di cui alla norma contrattuale col
lettiva, era riferibile ad ogni ipotesi di sospensione comunque
collegata alla pendenza di un procedimento penale a carico del
dipendente. L'amministrazione convenuta restava contumace.
Con sentenza del 23 maggio - 15 giugno 2000 (Foro it., Rep.
2001, voce Lavoro (rapporto), n. 888) la Corte d'appello di Ve
nezia accoglieva l'appello e, di conseguenza, ordinava la rias
sunzione in servizio di De Santis Mario, con ripristino del trat
tamento economico a decorrere dal 4 giugno 1999.
Compensava fra le parti le spese dei due gradi di giudizio. I giudici di secondo grado ritenevano, diversamente dal primo
giudice, che la disposizione dell'8° comma dell'art. 27 c.c.n.l. — sul limite di cinque anni — avesse funzione di chiusura del
l'intera regolamentazione e intendesse limitare al quinquennio la sospensione ogni qual volta questa, a differenza di quella
contemplata nell'art. 26, trovava ragione in un procedimento
penale. Per la cassazione di tale decisione ricorrono, formulando un
unico motivo di censura, l'amministrazione delle finanze e, per
quanto occorra, l'agenzia delle entrate.
Mario De Santis resiste con controricorso e propone ricorso
incidentale.
Le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — Ricorso principale e ricorso inci
dentale vanno preliminarmente riuniti (art. 335 c.p.c.). Con l'unico motivo del ricorso principale la difesa delle am
ministrazioni ricorrenti denuncia violazione e falsa applicazione
degli art. 1362 e 1363 c.c. in relazione all'art. 27 del contratto
collettivo di settore (c.c.n.l. comparto ministeri del 16 maggio
1995). Premesso che, appena il sig. De Santis ha notificato copia del
dispositivo della sentenza di secondo grado, la direzione regio nale delle entrate ha deciso il suo licenziamento, così coronando
un iter già avviato con le garanzie previste dall'art. 7 1. n. 300
del 1970, e pur tuttavia permane l'interesse alla controversia, atteso che il licenziamento ha operato ex nunc, le ricorrenti cen
surano l'interpretazione che i giudici di appello hanno dato del
l'art. 27 c.c.n.l. di settore e, in particolare, dell'8° comma.
Ricordano che, prima che intervenisse la contrattualizzazione
della materia, la sospensione del pubblico dipendente era rego lata dagli art. 91 e 92 d.p.r. n. 3 del 1957. Richiamano l'inter vento operato con l'art. 9 1. n. 19 del 1990 e la sentenza della
Corte costituzionale 447/95 {id., 1996, I, 15), che ha ritenuto
che il termine di cinque anni, previsto dall'art. 9, 2° comma, 1.
19/90 riguardi la sola sospensione cautelare del dipendente pre vista dal 1° comma, prima parte, dell'art. 91.
Rilevano che l'istituto della sospensione è ora regolato dagli art. 26 e 27 del contratto di settore, con conseguente disapplica zione degli art. 91 e 92 t.u.
Deducono il carattere obbligatorio della sospensione prevista dal 1° e 2° comma dell'art. 27, e il carattere facoltativo del
prolungamento della sospensione fino alla sentenza definitiva,
previsto dal 3° comma.
Sostengono che l'8° comma si riferisce esclusivamente alla
sospensione regolata dal 2° comma, atteso che l'ipotesi di cui al
3° comma comprende già un termine di durata massima, con
cretamente individuato nella conclusione definitiva del proce dimento penale.
Deducono, quindi, che coloro che non hanno subito nessun
fermo o arresto potranno essere assoggettati, al più, alla previ sione del 2° comma, con una sospensione non superiore ai cin
que anni, mentre nei confronti di coloro che sono stati effetti
vamente arrestati la pregressa detenzione può essere assunta a
requisito dell'ulteriore allontanamento discrezionale, non sotto
posto al ricordato limite massimo.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale la difesa di Mario
De Santis denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 91
e 92 c.p.c. e carenza di motivazione in merito alla decisione
sulle spese. Critica la sentenza nella parte in cui ha giustificato la com
pensazione delle spese con la sola «novità delle questioni», os
servando che la questione, alla luce di varie pronunce giurispru denziali, anche di alto rango, poi tanto nuova non era.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il ricorso principale non è fondato.
Va preliminarmente rilevato che, con riguardo ai contratti collettivi di lavoro di pubblico impiego (ora privatizzato), l'art.
68, 5° comma, d.leg. 29/93, come sostituito prima dall'art. 33
d.leg. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 29 d.leg. 80/98 e successi vamente modificato dall'art. 18 d.leg. n. 387 del 1998 (ora art. 63 d.leg. 30 marzo 2001 n. 165) stabilisce che sulle controversie
di lavoro concernenti i dipendenti delle pubbliche amministra zioni il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi
nazionali di cui all'art. 40 del medesimo decreto.
La Corte di cassazione può, quindi, procedere alla diretta in
terpretazione dei contratti collettivi di lavoro del pubblico im
piego. Tanto premesso, rileva la corte che l'art. 26 del contratto
collettivo comparto ministeri del 16 maggio 1995 prevede la fa
coltà dell'amministrazione di disporre, nel corso del procedi mento disciplinare per infrazioni punibili con la sospensione dal
servizio e dalla retribuzione, l'allontanamento dal lavoro del di
pendente per un periodo non superiore a trenta giorni, con con
servazione della retribuzione.
L'art. 27 (sospensione cautelare in caso di procedimento pe nale) dispone, ai primi quattro commi:
«1. Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della li
bertà personale è sospeso d'ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o co
munque dello stato restrittivo della libertà.
2. Il dipendente può essere sospeso dal servizio con privazio ne della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a
procedimento penale che non comporti la restrizione della li
bertà personale quando sia stato rinviato a giudizio per fatti di
rettamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da
comportare, se accertati, l'applicazione della sanzione discipli nare del licenziamento ai sensi dell'art. 25, 4° e 5° comma.
3. L'amministrazione, cessato lo stato di restrizione della li
bertà personale di cui al 1° comma, può prolungare il periodo di
sospensione del dipendente fino alla sentenza definitiva, alle
medesime condizioni di cui al 2° comma.
4. Resta fermo l'obbligo di sospensione nei casi previsti dal
l'art. 15, 1° comma, 1. 55/90, come sostituito dall'art. 1, 1°
comma, 1. 16/92».
L'8° comma poi dispone:
«Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a cau
sa di procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non
revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore a
cinque anni. Decorso tale termine la sospensione cautelare è re
vocata di diritto e il dipendente riammesso in servizio. Il proce dimento disciplinare rimane, comunque, sospeso sino all'esito
del procedimento penale». Il dettato contrattuale è chiaro: vi è una sospensione cautelare
obbligatoria dal servizio in caso di misura restrittiva della li
bertà personale, anche se per fatti estranei al rapporto di lavoro,
peraltro limitata alla durata dello stato restrittivo della libertà
(1° comma); vi è, poi, una sospensione facoltativa nel caso di
sottoposizione a procedimento penale, che non comporti la re
strizione della libertà personale, quando sussista un rinvio a
giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o
comunque tali da comportare, se accertati, la sanzione del licen
ziamento (2° comma); identica facoltà di sospensione, con pro
lungamento del periodo di cui al 1° comma, fino alla sentenza
definitiva, è prevista dal 3° comma, ove ricorrano le condizioni
di cui al 2° comma.
Ulteriore forma di sospensione obbligatoria è quella prevista dal 4° comma, peraltro mai invocato in questa controversia, so
spensione che, per effetto della 1. 13 dicembre 1999 n. 475, è
ora applicabile solo per la sentenza definitiva e va comunque coordinata con le norme enucleate nei commi precedenti.
Le amministrazioni ricorrenti sostengono che il termine di
durata massima di cui all' 8° comma è applicabile solo alla so
spensione di cui al 2° comma, atteso che il 3° comma contiene
già un termine di durata, costituito dalla sentenza penale defini
tiva; ricordano che questa corte, in una sentenza del 1986 (la n.
2848, id., Rep. 1986, voce cit., n. 973), ha rilevato che, per quanto possa essere lunga la durata dei procedimenti penali, la
stessa non può essere equiparata ad un periodo indeterminato di
tempo. L'assunto non è fondato.
Occorre ricordare che la disciplina contrattuale, in materia di
sospensione del pubblico dipendente, ha sostituito quella dettata
Il Foro Italiano — 2003.
dagli art. 91 e 92 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, come integrata dall'art. 9, 2° comma, seconda parte, 1. 7 febbraio 1990 n. 19.
Per una migliore comprensione della portata delle norme
contrattuali è opportuno un breve cenno al sistema legislativo da
esse sostituito.
L'art. 91 d.p.r. n. 3 del 1957, ancorché intitolato «sospensio ne cautelare obbligatoria», prevedeva, nella prima parte del 1°
comma, il potere (dell'amministrazione) di sospendere l'impie gato sottoposto a procedimento penale per un reato di natura
particolarmente grave; e, nella seconda parte, la diversa ipotesi di sospensione, questa sì autenticamente obbligatoria, adottata
vincolativamente «ove sia stato emesso mandato od ordine di
cattura».
Con l'art. 9, 2° comma, seconda parte, 1. 7 febbraio 1990 n.
19, il legislatore, ispirandosi al principio di privilegiare la valu tazione degli addebiti disciplinari in sé piuttosto che far discen dere conseguenze di natura disciplinare da addebiti mossi in se
de penale (principio ispiratore anche del 10 comma, con il quale è stata eliminata dal sistema la destituzione di diritto a seguito di condanna penale, destituzione già ritenuta illegittima dalla
Corte costituzionale con le sentenze n. 971 del 1988, id., 1989,
I, 22, e n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355), ha limitato il potere dovere di sospensione cautelare del dipendente, previsto dal 1°
comma dell'art. 91, disponendo che la «sospensione cautelare
dal servizio a causa del procedimento penale» conserva effica
cia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non su
periore ad anni cinque; decorso tale termine, la sospensione cautelare è revocata di diritto.
Tale ultima disposizione, sottoposta al vaglio della Corte co
stituzionale perché sospettata, per il rientro automatico ed indi
scriminato del dipendente alla scadenza del termine di cinque anni, di violare il principio di ragionevolezza (in quanto non di
stingue le diverse situazioni in cui può versare il dipendente so
speso, in relazione sia alla maggiore o minore gravità del reato, sia all'esistenza, o meno, di una sentenza di condanna a suo ca
rico, ancorché non passata in giudicato), nonché il principio di
buon andamento e d'imparzialità della pubblica amministrazio
ne e della necessaria sussistenza dei presupposti di dignità e ca
pacità del pubblico dipendente, è stata ritenuta non contraria
agli invocati parametri costituzionali con la sentenza 24 ottobre
1995, n. 447, cit. In ordine al principio di ragionevolezza, la corte ha rilevato
che la previsione di un termine alla sospensione cautelare dal
servizio a causa del procedimento penale è frutto del doveroso
bilanciamento degli opposti interessi; quello del dipendente di
riprendere il servizio e quello dell'amministrazione di escludere
temporaneamente dal servizio il dipendente sul quale faccia
ombra il solo fatto dell'imputazione per un grave reato suscetti
bile di essere valutato sotto il profilo disciplinare. Quanto al principio di buon andamento della pubblica ammi
nistrazione, la corte ha osservato che l'amministrazione, ove al
termine dei cinque anni persistano «gravi motivi» che giustifi cano la perdurante (ma non ancora definitiva) estromissione del
dipendente dal posto di lavoro, «motivi che però non possono consistere più nel mero dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e debbono) riguardare la commissione dell'adde bito disciplinare», ben può, sulla scorta di una pur sommaria
cognitio dei fatti, ricorrere alla sospensione facoltativa di cui al
l'art. 92 d.p.r. n. 3 del 1957; atteso che tale sospensione, proprio
perché si fonda su un presupposto sostanziale e non formale,
comporta — a garanzia del diritto di difesa del dipendente
—
che nel termine di quaranta giorni dalla data in cui il provvedi mento stesso è stato comunicato all'interessato siano in ogni ca
so contestati gli addebiti al medesimo, il quale quindi —
impu
gnando eventualmente il provvedimento — è posto in condizio
ne di negarne la sussistenza o l'idoneità a valere come «gravi motivi» per la sospensione.
Nella successiva sentenza n. 239 del 27 giugno - 9 luglio
1996 (id., 1997, I, 707) la Corte costituzionale, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 110 d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43 — il quale prevedeva che l'ufficiale di riscossione sottoposto a pro cedimento penale per falsità nella relazione di notifica fosse so
speso dall'impiego e dall'abilitazione in attesa della definizione del procedimento stesso, con misura cautelare caratterizzata da
assoluto automatismo — ha richiamato anche il principio costi
tuzionale di presunzione di non colpevolezza. Con la recente sentenza n. 145 del 2002 (in questo fascicolo,
I, 1666), infine, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
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1675 PARTE PRIMA 1676
costituzionale dell'art. 4, 2° comma, 1. 27 marzo 2001 n. 97
(norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento di
sciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei di
pendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui di spone che la sospensione perde efficacia decorso un periodo di
tempo pari a quello di prescrizione del reato.
Il giudice delle leggi ha osservato che, in relazione ad alcuni
delitti, il termine di prescrizione può raggiungere una durata ul
tradecennale, tenuto conto anche degli effetti interruttivi della
sentenza di condanna, e che un siffatto periodo di tempo, se as
sunto quale termine di durata di una misura cautelare, non può che ritenersi manifestamente eccessivo, comportando, nel bilan
ciamento dei contrapposti interessi, un'evidente quanto irragio nevole compressione dei diritti del singolo.
La disciplina contrattuale di cui all'art. 27 sopra riportato de
ve essere, pertanto, letta alla luce di quello che era il previgente sistema legislativo, come modificato a seguito delle sentenze
della Corte costituzionale.
E, ove siano possibili più interpretazioni, deve essere prefe rita quella che risulta conforme ai principi costituzionali.
Tanto precisato, ritiene la corte che l'interpretazione corretta
e conforme ai ricordati parametri costituzionali di ragionevolez za, presunzione di innocenza e buon andamento della pubblica amministrazione, è quella secondo la quale il termine massimo
dei cinque anni, fissato dall'8° comma dell'art. 27 cit., opera
per ogni sospensione cautelare dal servizio determinata da un
procedimento penale; sia, quindi, per il rinvio a giudizio non
preceduto (o accompagnato) da una misura restrittiva della li
bertà personale, di cui al 2° comma, sia per la sospensione che, nella ricorrenza delle stesse condizioni di cui al 2° comma, fa
seguito alla cessazione dello stato di restrizione della libertà
personale di cui al 1 °
comma.
La Corte d'appello di Venezia ha correttamente interpretato la norma contrattuale ed applicato la stessa al caso concreto, nel
quale si verteva su di un prolungamento (3° comma) della so
spensione successivo alla cessazione dello stato di restrizione
della libertà (1° comma), restrizione che non si assume che sia
durata per cinque anni.
La diversa interpretazione proposta, secondo la quale il ter
mine di durata massima quinquennale opererebbe solo nel caso
della sospensione di cui al 2° comma (non preceduta da provve dimenti restrittivi), in quanto quella del 3° comma contiene già un termine massimo (la sentenza penale definitiva), oltre a non
essere giustificata dalla lettera del testo e dalla presumibile in
tenzione delle parti, le quali non ignoravano l'evoluzione legis lativa in materia di sospensione, risulta fortemente sospetta di
violazione di quei parametri costituzionali che hanno portato
appunto, a suo tempo, all'introduzione di un periodo massimo
di operatività per ogni sospensione cautelare dal servizio a cau
sa di procedimento penale, senza distinzione fra i procedimenti nei quali vi sia stata anche privazione di libertà e procedimenti nei quali l'indagato sia sempre rimasto in stato di libertà.
Il ricorso principale va pertanto rigettato. Non è fondato, peraltro, neppure il ricorso incidentale. La giurisprudenza di questa corte è consolidata nel ritenere
che la compensazione per giusti motivi costituisce una facoltà insindacabile del giudice del merito, la cui valutazione, rimessa al suo prudente apprezzamento, è sottratta all'obbligo di una
specifica motivazione (Cass. 19 giugno 1987, n. 5413, id., Rep. 1987, voce Spese giudiziali civili, n. 29; 11 febbraio 2002, n.
1898, id., Mass., 135); tuttavia, quando questa sia effettuata, l'enunciazione in termini illogici ó erronei non esime la relativa
pronuncia dal sindacato di legittimità della Corte di cassazione
(Cass. 16 ottobre 1985, n. 5104, id., Rep. 1985, voce cit., n. 31; 23 giugno 1997, n. 5607, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 12; 23 aprile 2001, n. 5988, id., Rep. 2001, voce cit., n. 44).
E più volte è stato ritenuto sufficiente a giustificare la com
pensazione, e non illogico, il rilievo della novità delle questioni trattate (Cass. 9 ottobre 1985, n. 4918, id., Rep. 1986, voce cit., n. 32; 15 novembre 1994, n. 9597, id., Rep. 1994, voce cit., n. 26).
Il collegio non ritiene di discostarsi da tale orientamento; per cui la motivazione con la quale la corte di secondo grado ha
compensato le spese (la novità delle questioni) non è né illogica né erronea, non potendo le pronunce, anche della Corte costitu
zionale, relative al previgente sistema pubblicistico, essere con siderate come precedenti specifici in relazione alla questione di
interpretazione contrattuale sottoposta ai giudici veneti. Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 9
maggio 2003, n. 7104; Pres. A. Finocchiaro, Est. Monaci,
P.M. Maccarone (conci, conf.); Min. finanze c. De Filippi. Conferma Comm. trib. reg. Piemonte 10 luglio 1997.
Successioni e donazioni (imposta sulle) — Beni caduti in successione — Azioni non quotate in borsa e quote non
azionarie — Valore — Determinazione — Avviamento —
Esclusione (D.leg. 31 ottobre 1990 n. 346, approvazione del
t.u. delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni
e donazioni, art. 16). Successioni e donazioni (imposta sulle) — Beni caduti in
successione — Azioni non quotate in borsa e quote non
azionarie — Valore — Determinazione — Criteri (D.leg. 31 ottobre 1990 n. 346, art. 16).
In materia di imposta di successione, il valore delle azioni non
quotate in borsa e delle quote di società non azionarie si de
termina, ai sensi dell'art. 16, 1° comma, lett. b), d.leg. 31 ot
tobre 1990 n. 346, in base all'ultimo bilancio approvato, sen
za alcuna considerazione dell'eventuale avviamento. (1) In materia di imposta di successione, il bilancio approvato
dalla società — sulla cui base si determina il valore delle
azioni non quotate in borsa e delle quote di società non azio
narie, ai sensi dell'art. 16, 1" comma, lett. b), d.leg. 31 otto
bre 1990 n. 346 — è vincolante per l'amministrazione finan ziaria, che non può procedere ad un'autonoma valutazione
del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla
società al netto delle passività, salvo che non denunci (moti
vatamente) l'inattendibilità delle poste di bilancio: in questi casi, l'amministrazione finanziaria può soltanto procedere
—
assumendosene il relativo onere probatorio — ad un 'even
tuale attualizzazione delle poste, attive e passive, espresse nel
medesimo bilancio, qualora queste ultime fossero inadeguate a rappresentare fedelmente il patrimonio netto (attuale) della
società, a causa dei possibili mutamenti intervenuti nel lasso
di tempo trascorso tra l'approvazione del bilancio e la morte
del socio. (2)
(1) La Cassazione si pronuncia sulla rilevanza dell'avviamento ai fi ni delia determinazione del valore delle azioni di società non quotate e di quote di partecipazione non azionarie nel vigore dell'art. 16 d.leg. 31 ottobre 1990 n. 346 (prima delle modifiche di cui all'art. 69. 1° comma, 1. 21 novembre 2000 n. 342), superando l'avviso espresso da Cass. 19 dicembre 2002, n. 18075, Foro it., Mass., 1340, e, seppure sotto forma di obiter dictum, da Cass. 19 marzo 2002, n. 3960, ibid., 296.
Negli stessi termini dell'odierna sentenza, v„ nella giurisprudenza tributaria, Comm. trib. prov. Pavia 3 luglio 2002, Rìv. dott. commer
cialisti, 2002, 913; Comm. trib. prov. Milano 9 marzo 2000, Foro it..
Rep. 2000, voce Successioni (imposta), n. 62; 29 novembre 1999, ibid., n. 64, e Corriere trib., 2000, 2350, con nota di Casalini e Chizzini; Comm. trib. prov. Rimini 18 ottobre 1999, Foro it., Rep. 2000, voce
cit., n. 65; Comm. trib. I grado Reggio Emilia 18 maggio 1995, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 35. Analogamente, in tema di imposta sulle do
nazioni, v. Comm. trib. I grado Reggio Emilia 6 maggio 1995, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 64, e Riv. giur. trib., 1995, 913, con nota di Monte
sano, Valore delle azioni di società non quotate che cadono in succes
sione, e Rass. trib., 1996, 736, con nota di Valotto. In dottrina, oltre agli a. citati supra, v. Serra, Partecipazioni cadute
in successione: calcolo del valore di avviamento, in Corriere trib., 1997, 1680.
Sempre sulla considerazione dell'avviamento nel tributo successorio, cfr., con riferimento alla legislazione del 1972, Cass. 8 maggio 1991, n.
5127, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 33, e Società, 1991, 1211, con nota di Arpano, Determinazione dell'avviamento nella valutazione delle azioni di società non quotate; Dir. e pratica trib., 1994, II, 32, con nota di De Angelis, L'avviamento nella valutazione delle azioni non quotate trasferite «mortis causa», secondo cui ai fini dell'imposta sulle successioni non può non tenersi conto dell'avviamento nella va lutazione delle azioni non ammesse alla quotazione di borsa.
(2-3) L'una e l'altra sentenza smentiscono (al pari di Cass. 8 maggio 2003, n. 7015, e 7 maggio 2003, n. 6915, Foro it., Mass.) quell'orien tamento che — sul presupposto della natura non innovativa dell'art. 16
d.leg. 31 ottobre 1990 n. 346 rispetto all'art. 22 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637 — ammetteva che, anche nel vigore della nuova normativa, gli uffici finanziari potessero, in sede di determinazione del valore delle azioni non quotate e delle quote di società non azionarie, prescindere tout court dalle risultanze dell'ultimo bilancio approvato per fare rife rimento al valore venale dei singoli beni.
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