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sezione lavoro; sentenza 23 maggio 2003, n. 8210; Pres. Ciciretti, Est. A. Celentano, P.M. Apice...

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sezione lavoro; sentenza 23 maggio 2003, n. 8210; Pres. Ciciretti, Est. A. Celentano, P.M. Apice (concl. parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Basilica) c. De Santis; De Santis (Avv. Bernardini, Brendolan, Persico) c. Min. finanze. Conferma App. Venezia 15 giugno 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 6 (GIUGNO 2003), pp. 1671/1672-1675/1676 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198186 . Accessed: 25/06/2014 01:57 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.90 on Wed, 25 Jun 2014 01:57:20 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 23 maggio 2003, n. 8210; Pres. Ciciretti, Est. A. Celentano, P.M. Apice(concl. parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Basilica) c. De Santis; De Santis (Avv.Bernardini, Brendolan, Persico) c. Min. finanze. Conferma App. Venezia 15 giugno 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 6 (GIUGNO 2003), pp. 1671/1672-1675/1676Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198186 .

Accessed: 25/06/2014 01:57

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PARTE PRIMA 1672

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 23 mag

gio 2003, n. 8210; Pres. Ciciretti, Est. A. Celentano, P.M.

Apice (conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello Stato Ba

silica) c. De Santis; De Santis (Avv. Bernardini, Brendo

lan, Persico) c. Min. finanze. Conferma App. Venezia 15

giugno 2000.

CORTE DI CASSAZIONE;

Impiegato dello Stato e pubblico in genere — Rinvio a giudi zio — Misura restrittiva della libertà personale — Sospen sione cautelare dal servizio — Termine quinquennale di

durata massima — Applicabilità (D.leg. 30 marzo 2001 n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipen denze delle amministrazioni pubbliche, art. 63).

Il termine massimo di cinque anni, contrattualmente previsto, è

applicabile anche alla sospensione cautelare dal servizio de

terminata da un procedimento penale, nel corso del quale sia

stata irrogata al pubblico dipendente una misura restrittiva

della libertà personale. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Tribunale di Ve

rona, in data 20 settembre 1999, Mario De Santis, premesso di

avere ricoperto l'ufficio di funzionario direttivo dell'ufficio

delle imposte dirette di Verona fino all'8 giugno 1994, data in

cui, tratto in arresto per il reato di concussione, era stato sospeso dal servizio ai sensi dell'art. 91 d.p.r. 3/57, esponeva che, al

termine del quinquennio dalla sospensione, ne aveva inutil

mente chiesto la revoca ex art. 9, 2° comma, 1. n. 19 del 1990 e

art. 27, 8° comma, c.c.n.l. comparto ministeri.

Chiedeva, pertanto, dichiararsi la nullità del provvedimento di

proroga della sospensione ed ordinarsi al ministero delle finanze

l'immediata riassunzione in servizio, con ripristino del relativo

trattamento economico a decorrere dal 4 giugno 1999.

Il ministero convenuto, costituitosi, deduceva che la proroga della sospensione dal servizio, oltre l'originario quinquennio, trovava fondamento nella disciplina degli art. 26 e 27 c.c.n.l., che avevano sostituito la normativa dell'art. 92 d.p.r. 3/57.

Il tribunale, ritenuta la natura discrezionale della sospensione

(1) I. - La sentenza in epigrafe è la prima pronuncia di legittimità, a

quanto consta, relativa alla sospensione cautelare dal servizio contrat tualmente disciplinata, a seguito della riforma del pubblico impiego (la corte esamina le disposizioni contrattuali sulla sospensione, a norma del 5° comma dell'art. 63 d.leg. 165/01). Secondo la corte, in base ai

parametri costituzionali di ragionevolezza, presunzione d'innocenza e buon andamento della pubblica amministrazione, il termine massimo di

cinque anni previsto dal contratto collettivo di settore si applica ad ogni sospensione cautelare dal servizio determinata da un procedimento pe nale; anche, quindi, nell'ipotesi in cui il rinvio a giudizio sia stato pre ceduto o accompagnato da una misura restrittiva della libertà personale.

II. - La sentenza è conforme ai principi affermati da Corte cost. 3

maggio 2002, n. 145, in questo fascicolo, I, 1666, con nota di richiami, citata in motivazione, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 1. 97/01, nella parte in cui prevede(va) una durata massima della sospensione pari al termine prescrizionale dei reati previsti dal l'art. 3, 1° comma, della legge. In tema, v. anche Cons. Stato, sez. VI, ord. caut. 28 agosto 2001, n. 4745, ibid., Ili, 372, con nota di richiami, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della

norma, in riferimento agli art. 27, 54, 97 e 98 Cost. III. - Per l'applicabilità alla sospensione cautelare del termine mas

simo di cinque anni previsto dall'art. 9, 2° comma, 1. 7 febbraio 1990 n. 19 (la cui disciplina è oggi superata dalla regolamentazione contrat

tuale), il cui decorso è preclusivo della rinnovazione della misura, Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2000, n. 169, Foro it., Rep. 2000, voce

Impiegato dello Stato, n. 1412; 29 ottobre 1994, n. 1236, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1063; contra, per l'affermazione della possibilità di rinnovo della misura dopo la scadenza del termine quinquennale, Cons.

Stato, sez. IV, 18 giugno 1998, n. 953, id., Rep. 1998, voce cit., n.

1144; Tar Campania, sez. I, 24 giugno 1999, n. 1798, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 1414.

IV. - Sul dies a quo di computo del termine, coincidente con l'ado zione del provvedimento di sospensione e non con la definizione del

procedimento penale, Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 2000, n. 3848, ibid., n. 1413; sez. VI 19 febbraio 1993, n. 186, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 1102; comm. spec. 22 giugno 1992, n. 939/91, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1038; Tar Campania, sez. IV, 8 gennaio 1996, n. 17, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 944; Tar Lazio, sez. II, 17 luglio 1995, n. 1186, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1068.

V. - Sulla spettanza della restitutio in integrum a seguito di sospen sione cautelare dal servizio, v. Cons. Stato, ad. plen., 2 maggio 2002, n.

4, e 28 febbraio 2002, n. 2, in questo fascicolo, III, 371, con nota di ri chiami.

Il Foro Italiano — 2003.

e l'inapplicabilità del termine massimo di cinque anni previsto, invece, per la sola sospensione di cui al 2° comma dell'art. 27,

respingeva le domande con sentenza del 7-14 febbraio 2000.

La decisione veniva appellata dal De Santis, che sosteneva

che il limite di cinque anni, di cui alla norma contrattuale col

lettiva, era riferibile ad ogni ipotesi di sospensione comunque

collegata alla pendenza di un procedimento penale a carico del

dipendente. L'amministrazione convenuta restava contumace.

Con sentenza del 23 maggio - 15 giugno 2000 (Foro it., Rep.

2001, voce Lavoro (rapporto), n. 888) la Corte d'appello di Ve

nezia accoglieva l'appello e, di conseguenza, ordinava la rias

sunzione in servizio di De Santis Mario, con ripristino del trat

tamento economico a decorrere dal 4 giugno 1999.

Compensava fra le parti le spese dei due gradi di giudizio. I giudici di secondo grado ritenevano, diversamente dal primo

giudice, che la disposizione dell'8° comma dell'art. 27 c.c.n.l. — sul limite di cinque anni — avesse funzione di chiusura del

l'intera regolamentazione e intendesse limitare al quinquennio la sospensione ogni qual volta questa, a differenza di quella

contemplata nell'art. 26, trovava ragione in un procedimento

penale. Per la cassazione di tale decisione ricorrono, formulando un

unico motivo di censura, l'amministrazione delle finanze e, per

quanto occorra, l'agenzia delle entrate.

Mario De Santis resiste con controricorso e propone ricorso

incidentale.

Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione. — Ricorso principale e ricorso inci

dentale vanno preliminarmente riuniti (art. 335 c.p.c.). Con l'unico motivo del ricorso principale la difesa delle am

ministrazioni ricorrenti denuncia violazione e falsa applicazione

degli art. 1362 e 1363 c.c. in relazione all'art. 27 del contratto

collettivo di settore (c.c.n.l. comparto ministeri del 16 maggio

1995). Premesso che, appena il sig. De Santis ha notificato copia del

dispositivo della sentenza di secondo grado, la direzione regio nale delle entrate ha deciso il suo licenziamento, così coronando

un iter già avviato con le garanzie previste dall'art. 7 1. n. 300

del 1970, e pur tuttavia permane l'interesse alla controversia, atteso che il licenziamento ha operato ex nunc, le ricorrenti cen

surano l'interpretazione che i giudici di appello hanno dato del

l'art. 27 c.c.n.l. di settore e, in particolare, dell'8° comma.

Ricordano che, prima che intervenisse la contrattualizzazione

della materia, la sospensione del pubblico dipendente era rego lata dagli art. 91 e 92 d.p.r. n. 3 del 1957. Richiamano l'inter vento operato con l'art. 9 1. n. 19 del 1990 e la sentenza della

Corte costituzionale 447/95 {id., 1996, I, 15), che ha ritenuto

che il termine di cinque anni, previsto dall'art. 9, 2° comma, 1.

19/90 riguardi la sola sospensione cautelare del dipendente pre vista dal 1° comma, prima parte, dell'art. 91.

Rilevano che l'istituto della sospensione è ora regolato dagli art. 26 e 27 del contratto di settore, con conseguente disapplica zione degli art. 91 e 92 t.u.

Deducono il carattere obbligatorio della sospensione prevista dal 1° e 2° comma dell'art. 27, e il carattere facoltativo del

prolungamento della sospensione fino alla sentenza definitiva,

previsto dal 3° comma.

Sostengono che l'8° comma si riferisce esclusivamente alla

sospensione regolata dal 2° comma, atteso che l'ipotesi di cui al

3° comma comprende già un termine di durata massima, con

cretamente individuato nella conclusione definitiva del proce dimento penale.

Deducono, quindi, che coloro che non hanno subito nessun

fermo o arresto potranno essere assoggettati, al più, alla previ sione del 2° comma, con una sospensione non superiore ai cin

que anni, mentre nei confronti di coloro che sono stati effetti

vamente arrestati la pregressa detenzione può essere assunta a

requisito dell'ulteriore allontanamento discrezionale, non sotto

posto al ricordato limite massimo.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale la difesa di Mario

De Santis denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 91

e 92 c.p.c. e carenza di motivazione in merito alla decisione

sulle spese. Critica la sentenza nella parte in cui ha giustificato la com

pensazione delle spese con la sola «novità delle questioni», os

servando che la questione, alla luce di varie pronunce giurispru denziali, anche di alto rango, poi tanto nuova non era.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il ricorso principale non è fondato.

Va preliminarmente rilevato che, con riguardo ai contratti collettivi di lavoro di pubblico impiego (ora privatizzato), l'art.

68, 5° comma, d.leg. 29/93, come sostituito prima dall'art. 33

d.leg. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 29 d.leg. 80/98 e successi vamente modificato dall'art. 18 d.leg. n. 387 del 1998 (ora art. 63 d.leg. 30 marzo 2001 n. 165) stabilisce che sulle controversie

di lavoro concernenti i dipendenti delle pubbliche amministra zioni il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi

nazionali di cui all'art. 40 del medesimo decreto.

La Corte di cassazione può, quindi, procedere alla diretta in

terpretazione dei contratti collettivi di lavoro del pubblico im

piego. Tanto premesso, rileva la corte che l'art. 26 del contratto

collettivo comparto ministeri del 16 maggio 1995 prevede la fa

coltà dell'amministrazione di disporre, nel corso del procedi mento disciplinare per infrazioni punibili con la sospensione dal

servizio e dalla retribuzione, l'allontanamento dal lavoro del di

pendente per un periodo non superiore a trenta giorni, con con

servazione della retribuzione.

L'art. 27 (sospensione cautelare in caso di procedimento pe nale) dispone, ai primi quattro commi:

«1. Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della li

bertà personale è sospeso d'ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o co

munque dello stato restrittivo della libertà.

2. Il dipendente può essere sospeso dal servizio con privazio ne della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a

procedimento penale che non comporti la restrizione della li

bertà personale quando sia stato rinviato a giudizio per fatti di

rettamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da

comportare, se accertati, l'applicazione della sanzione discipli nare del licenziamento ai sensi dell'art. 25, 4° e 5° comma.

3. L'amministrazione, cessato lo stato di restrizione della li

bertà personale di cui al 1° comma, può prolungare il periodo di

sospensione del dipendente fino alla sentenza definitiva, alle

medesime condizioni di cui al 2° comma.

4. Resta fermo l'obbligo di sospensione nei casi previsti dal

l'art. 15, 1° comma, 1. 55/90, come sostituito dall'art. 1, 1°

comma, 1. 16/92».

L'8° comma poi dispone:

«Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a cau

sa di procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non

revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore a

cinque anni. Decorso tale termine la sospensione cautelare è re

vocata di diritto e il dipendente riammesso in servizio. Il proce dimento disciplinare rimane, comunque, sospeso sino all'esito

del procedimento penale». Il dettato contrattuale è chiaro: vi è una sospensione cautelare

obbligatoria dal servizio in caso di misura restrittiva della li

bertà personale, anche se per fatti estranei al rapporto di lavoro,

peraltro limitata alla durata dello stato restrittivo della libertà

(1° comma); vi è, poi, una sospensione facoltativa nel caso di

sottoposizione a procedimento penale, che non comporti la re

strizione della libertà personale, quando sussista un rinvio a

giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o

comunque tali da comportare, se accertati, la sanzione del licen

ziamento (2° comma); identica facoltà di sospensione, con pro

lungamento del periodo di cui al 1° comma, fino alla sentenza

definitiva, è prevista dal 3° comma, ove ricorrano le condizioni

di cui al 2° comma.

Ulteriore forma di sospensione obbligatoria è quella prevista dal 4° comma, peraltro mai invocato in questa controversia, so

spensione che, per effetto della 1. 13 dicembre 1999 n. 475, è

ora applicabile solo per la sentenza definitiva e va comunque coordinata con le norme enucleate nei commi precedenti.

Le amministrazioni ricorrenti sostengono che il termine di

durata massima di cui all' 8° comma è applicabile solo alla so

spensione di cui al 2° comma, atteso che il 3° comma contiene

già un termine di durata, costituito dalla sentenza penale defini

tiva; ricordano che questa corte, in una sentenza del 1986 (la n.

2848, id., Rep. 1986, voce cit., n. 973), ha rilevato che, per quanto possa essere lunga la durata dei procedimenti penali, la

stessa non può essere equiparata ad un periodo indeterminato di

tempo. L'assunto non è fondato.

Occorre ricordare che la disciplina contrattuale, in materia di

sospensione del pubblico dipendente, ha sostituito quella dettata

Il Foro Italiano — 2003.

dagli art. 91 e 92 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, come integrata dall'art. 9, 2° comma, seconda parte, 1. 7 febbraio 1990 n. 19.

Per una migliore comprensione della portata delle norme

contrattuali è opportuno un breve cenno al sistema legislativo da

esse sostituito.

L'art. 91 d.p.r. n. 3 del 1957, ancorché intitolato «sospensio ne cautelare obbligatoria», prevedeva, nella prima parte del 1°

comma, il potere (dell'amministrazione) di sospendere l'impie gato sottoposto a procedimento penale per un reato di natura

particolarmente grave; e, nella seconda parte, la diversa ipotesi di sospensione, questa sì autenticamente obbligatoria, adottata

vincolativamente «ove sia stato emesso mandato od ordine di

cattura».

Con l'art. 9, 2° comma, seconda parte, 1. 7 febbraio 1990 n.

19, il legislatore, ispirandosi al principio di privilegiare la valu tazione degli addebiti disciplinari in sé piuttosto che far discen dere conseguenze di natura disciplinare da addebiti mossi in se

de penale (principio ispiratore anche del 10 comma, con il quale è stata eliminata dal sistema la destituzione di diritto a seguito di condanna penale, destituzione già ritenuta illegittima dalla

Corte costituzionale con le sentenze n. 971 del 1988, id., 1989,

I, 22, e n. 40 del 1990, id., 1990, I, 355), ha limitato il potere dovere di sospensione cautelare del dipendente, previsto dal 1°

comma dell'art. 91, disponendo che la «sospensione cautelare

dal servizio a causa del procedimento penale» conserva effica

cia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non su

periore ad anni cinque; decorso tale termine, la sospensione cautelare è revocata di diritto.

Tale ultima disposizione, sottoposta al vaglio della Corte co

stituzionale perché sospettata, per il rientro automatico ed indi

scriminato del dipendente alla scadenza del termine di cinque anni, di violare il principio di ragionevolezza (in quanto non di

stingue le diverse situazioni in cui può versare il dipendente so

speso, in relazione sia alla maggiore o minore gravità del reato, sia all'esistenza, o meno, di una sentenza di condanna a suo ca

rico, ancorché non passata in giudicato), nonché il principio di

buon andamento e d'imparzialità della pubblica amministrazio

ne e della necessaria sussistenza dei presupposti di dignità e ca

pacità del pubblico dipendente, è stata ritenuta non contraria

agli invocati parametri costituzionali con la sentenza 24 ottobre

1995, n. 447, cit. In ordine al principio di ragionevolezza, la corte ha rilevato

che la previsione di un termine alla sospensione cautelare dal

servizio a causa del procedimento penale è frutto del doveroso

bilanciamento degli opposti interessi; quello del dipendente di

riprendere il servizio e quello dell'amministrazione di escludere

temporaneamente dal servizio il dipendente sul quale faccia

ombra il solo fatto dell'imputazione per un grave reato suscetti

bile di essere valutato sotto il profilo disciplinare. Quanto al principio di buon andamento della pubblica ammi

nistrazione, la corte ha osservato che l'amministrazione, ove al

termine dei cinque anni persistano «gravi motivi» che giustifi cano la perdurante (ma non ancora definitiva) estromissione del

dipendente dal posto di lavoro, «motivi che però non possono consistere più nel mero dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e debbono) riguardare la commissione dell'adde bito disciplinare», ben può, sulla scorta di una pur sommaria

cognitio dei fatti, ricorrere alla sospensione facoltativa di cui al

l'art. 92 d.p.r. n. 3 del 1957; atteso che tale sospensione, proprio

perché si fonda su un presupposto sostanziale e non formale,

comporta — a garanzia del diritto di difesa del dipendente

che nel termine di quaranta giorni dalla data in cui il provvedi mento stesso è stato comunicato all'interessato siano in ogni ca

so contestati gli addebiti al medesimo, il quale quindi —

impu

gnando eventualmente il provvedimento — è posto in condizio

ne di negarne la sussistenza o l'idoneità a valere come «gravi motivi» per la sospensione.

Nella successiva sentenza n. 239 del 27 giugno - 9 luglio

1996 (id., 1997, I, 707) la Corte costituzionale, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 110 d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43 — il quale prevedeva che l'ufficiale di riscossione sottoposto a pro cedimento penale per falsità nella relazione di notifica fosse so

speso dall'impiego e dall'abilitazione in attesa della definizione del procedimento stesso, con misura cautelare caratterizzata da

assoluto automatismo — ha richiamato anche il principio costi

tuzionale di presunzione di non colpevolezza. Con la recente sentenza n. 145 del 2002 (in questo fascicolo,

I, 1666), infine, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità

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1675 PARTE PRIMA 1676

costituzionale dell'art. 4, 2° comma, 1. 27 marzo 2001 n. 97

(norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento di

sciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei di

pendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui di spone che la sospensione perde efficacia decorso un periodo di

tempo pari a quello di prescrizione del reato.

Il giudice delle leggi ha osservato che, in relazione ad alcuni

delitti, il termine di prescrizione può raggiungere una durata ul

tradecennale, tenuto conto anche degli effetti interruttivi della

sentenza di condanna, e che un siffatto periodo di tempo, se as

sunto quale termine di durata di una misura cautelare, non può che ritenersi manifestamente eccessivo, comportando, nel bilan

ciamento dei contrapposti interessi, un'evidente quanto irragio nevole compressione dei diritti del singolo.

La disciplina contrattuale di cui all'art. 27 sopra riportato de

ve essere, pertanto, letta alla luce di quello che era il previgente sistema legislativo, come modificato a seguito delle sentenze

della Corte costituzionale.

E, ove siano possibili più interpretazioni, deve essere prefe rita quella che risulta conforme ai principi costituzionali.

Tanto precisato, ritiene la corte che l'interpretazione corretta

e conforme ai ricordati parametri costituzionali di ragionevolez za, presunzione di innocenza e buon andamento della pubblica amministrazione, è quella secondo la quale il termine massimo

dei cinque anni, fissato dall'8° comma dell'art. 27 cit., opera

per ogni sospensione cautelare dal servizio determinata da un

procedimento penale; sia, quindi, per il rinvio a giudizio non

preceduto (o accompagnato) da una misura restrittiva della li

bertà personale, di cui al 2° comma, sia per la sospensione che, nella ricorrenza delle stesse condizioni di cui al 2° comma, fa

seguito alla cessazione dello stato di restrizione della libertà

personale di cui al 1 °

comma.

La Corte d'appello di Venezia ha correttamente interpretato la norma contrattuale ed applicato la stessa al caso concreto, nel

quale si verteva su di un prolungamento (3° comma) della so

spensione successivo alla cessazione dello stato di restrizione

della libertà (1° comma), restrizione che non si assume che sia

durata per cinque anni.

La diversa interpretazione proposta, secondo la quale il ter

mine di durata massima quinquennale opererebbe solo nel caso

della sospensione di cui al 2° comma (non preceduta da provve dimenti restrittivi), in quanto quella del 3° comma contiene già un termine massimo (la sentenza penale definitiva), oltre a non

essere giustificata dalla lettera del testo e dalla presumibile in

tenzione delle parti, le quali non ignoravano l'evoluzione legis lativa in materia di sospensione, risulta fortemente sospetta di

violazione di quei parametri costituzionali che hanno portato

appunto, a suo tempo, all'introduzione di un periodo massimo

di operatività per ogni sospensione cautelare dal servizio a cau

sa di procedimento penale, senza distinzione fra i procedimenti nei quali vi sia stata anche privazione di libertà e procedimenti nei quali l'indagato sia sempre rimasto in stato di libertà.

Il ricorso principale va pertanto rigettato. Non è fondato, peraltro, neppure il ricorso incidentale. La giurisprudenza di questa corte è consolidata nel ritenere

che la compensazione per giusti motivi costituisce una facoltà insindacabile del giudice del merito, la cui valutazione, rimessa al suo prudente apprezzamento, è sottratta all'obbligo di una

specifica motivazione (Cass. 19 giugno 1987, n. 5413, id., Rep. 1987, voce Spese giudiziali civili, n. 29; 11 febbraio 2002, n.

1898, id., Mass., 135); tuttavia, quando questa sia effettuata, l'enunciazione in termini illogici ó erronei non esime la relativa

pronuncia dal sindacato di legittimità della Corte di cassazione

(Cass. 16 ottobre 1985, n. 5104, id., Rep. 1985, voce cit., n. 31; 23 giugno 1997, n. 5607, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 12; 23 aprile 2001, n. 5988, id., Rep. 2001, voce cit., n. 44).

E più volte è stato ritenuto sufficiente a giustificare la com

pensazione, e non illogico, il rilievo della novità delle questioni trattate (Cass. 9 ottobre 1985, n. 4918, id., Rep. 1986, voce cit., n. 32; 15 novembre 1994, n. 9597, id., Rep. 1994, voce cit., n. 26).

Il collegio non ritiene di discostarsi da tale orientamento; per cui la motivazione con la quale la corte di secondo grado ha

compensato le spese (la novità delle questioni) non è né illogica né erronea, non potendo le pronunce, anche della Corte costitu

zionale, relative al previgente sistema pubblicistico, essere con siderate come precedenti specifici in relazione alla questione di

interpretazione contrattuale sottoposta ai giudici veneti. Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.

Il Foro Italiano — 2003.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 9

maggio 2003, n. 7104; Pres. A. Finocchiaro, Est. Monaci,

P.M. Maccarone (conci, conf.); Min. finanze c. De Filippi. Conferma Comm. trib. reg. Piemonte 10 luglio 1997.

Successioni e donazioni (imposta sulle) — Beni caduti in successione — Azioni non quotate in borsa e quote non

azionarie — Valore — Determinazione — Avviamento —

Esclusione (D.leg. 31 ottobre 1990 n. 346, approvazione del

t.u. delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni

e donazioni, art. 16). Successioni e donazioni (imposta sulle) — Beni caduti in

successione — Azioni non quotate in borsa e quote non

azionarie — Valore — Determinazione — Criteri (D.leg. 31 ottobre 1990 n. 346, art. 16).

In materia di imposta di successione, il valore delle azioni non

quotate in borsa e delle quote di società non azionarie si de

termina, ai sensi dell'art. 16, 1° comma, lett. b), d.leg. 31 ot

tobre 1990 n. 346, in base all'ultimo bilancio approvato, sen

za alcuna considerazione dell'eventuale avviamento. (1) In materia di imposta di successione, il bilancio approvato

dalla società — sulla cui base si determina il valore delle

azioni non quotate in borsa e delle quote di società non azio

narie, ai sensi dell'art. 16, 1" comma, lett. b), d.leg. 31 otto

bre 1990 n. 346 — è vincolante per l'amministrazione finan ziaria, che non può procedere ad un'autonoma valutazione

del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla

società al netto delle passività, salvo che non denunci (moti

vatamente) l'inattendibilità delle poste di bilancio: in questi casi, l'amministrazione finanziaria può soltanto procedere

assumendosene il relativo onere probatorio — ad un 'even

tuale attualizzazione delle poste, attive e passive, espresse nel

medesimo bilancio, qualora queste ultime fossero inadeguate a rappresentare fedelmente il patrimonio netto (attuale) della

società, a causa dei possibili mutamenti intervenuti nel lasso

di tempo trascorso tra l'approvazione del bilancio e la morte

del socio. (2)

(1) La Cassazione si pronuncia sulla rilevanza dell'avviamento ai fi ni delia determinazione del valore delle azioni di società non quotate e di quote di partecipazione non azionarie nel vigore dell'art. 16 d.leg. 31 ottobre 1990 n. 346 (prima delle modifiche di cui all'art. 69. 1° comma, 1. 21 novembre 2000 n. 342), superando l'avviso espresso da Cass. 19 dicembre 2002, n. 18075, Foro it., Mass., 1340, e, seppure sotto forma di obiter dictum, da Cass. 19 marzo 2002, n. 3960, ibid., 296.

Negli stessi termini dell'odierna sentenza, v„ nella giurisprudenza tributaria, Comm. trib. prov. Pavia 3 luglio 2002, Rìv. dott. commer

cialisti, 2002, 913; Comm. trib. prov. Milano 9 marzo 2000, Foro it..

Rep. 2000, voce Successioni (imposta), n. 62; 29 novembre 1999, ibid., n. 64, e Corriere trib., 2000, 2350, con nota di Casalini e Chizzini; Comm. trib. prov. Rimini 18 ottobre 1999, Foro it., Rep. 2000, voce

cit., n. 65; Comm. trib. I grado Reggio Emilia 18 maggio 1995, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 35. Analogamente, in tema di imposta sulle do

nazioni, v. Comm. trib. I grado Reggio Emilia 6 maggio 1995, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 64, e Riv. giur. trib., 1995, 913, con nota di Monte

sano, Valore delle azioni di società non quotate che cadono in succes

sione, e Rass. trib., 1996, 736, con nota di Valotto. In dottrina, oltre agli a. citati supra, v. Serra, Partecipazioni cadute

in successione: calcolo del valore di avviamento, in Corriere trib., 1997, 1680.

Sempre sulla considerazione dell'avviamento nel tributo successorio, cfr., con riferimento alla legislazione del 1972, Cass. 8 maggio 1991, n.

5127, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 33, e Società, 1991, 1211, con nota di Arpano, Determinazione dell'avviamento nella valutazione delle azioni di società non quotate; Dir. e pratica trib., 1994, II, 32, con nota di De Angelis, L'avviamento nella valutazione delle azioni non quotate trasferite «mortis causa», secondo cui ai fini dell'imposta sulle successioni non può non tenersi conto dell'avviamento nella va lutazione delle azioni non ammesse alla quotazione di borsa.

(2-3) L'una e l'altra sentenza smentiscono (al pari di Cass. 8 maggio 2003, n. 7015, e 7 maggio 2003, n. 6915, Foro it., Mass.) quell'orien tamento che — sul presupposto della natura non innovativa dell'art. 16

d.leg. 31 ottobre 1990 n. 346 rispetto all'art. 22 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 637 — ammetteva che, anche nel vigore della nuova normativa, gli uffici finanziari potessero, in sede di determinazione del valore delle azioni non quotate e delle quote di società non azionarie, prescindere tout court dalle risultanze dell'ultimo bilancio approvato per fare rife rimento al valore venale dei singoli beni.

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