sezione lavoro; sentenza 24 aprile 1987, n. 4003; Pres. Nocella, Est. Florio, P. M. Zema (concl.conf.); Soc. Montaggi industriali internazionali (Avv. Belcastro, Tacchini) c. I.n.p.s. (Avv.Romoli, Fonzo, De Angelis). Cassa Trib. Bergamo 15 giugno 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 2395/2396-2399/2400Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178999 .
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2395 PARTE PRIMA 2396
Se, dunque, una costruzione, per la quale non sia stata chiesta
od ottenuta licenza o concessione, risponde oggettivamente a tut
te le prescrizioni regolamentari concernenti le caratteristiche degli
edifici, deve escludersi che essa leda un qualche diritto del vicino,
il quale di conseguenza non ha alcun interesse a lamentarsi della
costruzione, e può, al massimo, con una denuncia, eccitare l'au
torità competente a rilevare l'infrazione, che ha soltanto caratte
re formale nel puro campo della polizia edilizia (cfr., su ciò, sez.
un. n. 1484, id., 1960, I, 906). Ne discende che il principio della prevenzione, in tema di di
stanze fra costruzioni, opera anche nel caso in cui la costruzione
preveniente sia stata realizzata senza la prescritta licenza (o con
cessione), non essendo ipotizzabile, in tal caso, alcuna lesione
delle posizioni soggettive del prevenuto, il quale non ha nessun
diritto all'osservanza, da parte del preveniente, delle norme edili
zie non integrative del codice civile in materia di distanze, quali devono appunto ritenersi, come si è visto, quelle delle leggi urba
nistiche concernenti l'obbligo della licenza (o concessione) edilizia.
Viceversa, l'avere eseguito la costruzione in conformità alla li
cenza o concessione (ovvero al progetto approvato dalla compe
tente autorità amministrativa, sulla base del quale è stata rilasciata
la licenza), non esclude di per sé violazioni delle norme sulle di
stanze e, quindi, la possibilità da parte del proprietario del fondo
vicino — che sia preveniente — di chiedere la riduzione in pristino.
Ora, nella specie, il progetto approvato non prevedeva alcuna
costruzione fuori terra sul confine con il Daporta, per cui anche
il muro a nord della rampa di accesso al garage, costruito lungo
la linea di confine, avrebbe dovuto essere completamente interra
to, cosa che invece non era avvenuta per cui venne disposta con
ordinanza sindacale la sospensione dei lavori.
Se tale è la situazione in punto di fatto consegue che la costru
zione in questione, almeno per la struttura muraria fuori terra,
risulta eseguita non solo in difficoltà o addirittura senza la pre
scritta concessione edilizia ma anche in violazione delle distanze
dal confine con il fondo vicino.
Ed è sotto questo secondo aspetto che i giudici di appello do
vevano valutare la richiesta di rimessione in pristino, e non già,
come assume il ricorrente, sotto quello della difformità dal pro
getto approvato e della conseguente mancanza di concessione edi
lizia per la costruzione della struttura fuoriuscente dal suolo.
La corte trentina ha invece ritenuto di non poter ordinare de
molizioni nel sottosuolo per non incorrere nel vizio di extrapeti
zione, avendo l'istante fondato tale richiesta sul fatto che trattavasi
di costruzione sopra e non sotto il suolo. Cosi ragionando non
ha tenuto conto: a) che la riduzione in pristino era stata chiesta
nelle conclusioni della citazione introduttiva sulla base della si
tuazione prospettata nella narrativa, in cui era contenuta una de
scrizione esatta dello stato dei luoghi quale si era venuto a formare
a seguito della costruzione del garage, con la indicazione di quan to era emerso dal suolo che invece doveva restare interrato secon
do il progetto approvato dagli organi competenti; b) che
accennando al muro a nord della rampa di accesso al garage co
struito lungo la linea di confine, il quale avrebbe dovuto essere
completamente interrato mentre invece fuoriusciva dal terreno,
l'attore aveva chiaramente manifestato di ritenere illegittima det
ta opera sia nella parte emergente che nelle fondazioni, proprio
perché non costruita a distanza regolamentare dal confine, e quindi la chiesta demolizione non poteva non riferirsi sia all'una che
all'altra parte; c) che la domanda di rimessione in pristino, per
quanto innanzi detto, prescindeva da qualsiasi indagine avente
ad oggetto il progetto approvato e la concessione edilizia in base
ad esso rilasciata, e richiedeva un accertamento limitato alla de
dotta violazione delle distanze dal confine del lotto.
Per le ragioni suesposte il ricorso principale va accolto, nei
limiti risultanti dalla motivazione della presente pronuncia.
(Omissis)
Il Foro Italiano — 1987.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 24 aprile
1987, n. 4003; Pres. Nocella, Est. Florio, P. M. Zema (conci,
conf.); Soc. Montaggi industriali internazionali (Avv. Belca
stro, Tacchini) c. I.n.p.s. (Avv. Romoli, Fonzo, De Ange
lis). Cassa Trib. Bergamo 15 giugno 1984.
Previdenza sociale — Impresa operante all'estero — Dipendenti
assunti in Italia — Assoggettamento alla assicurazione italiana
(R.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, perfezionamento e coordina
mento legislativo della previdenza sociale, art. 37).
Ai fini della individuazione della legge applicabile al rapporto assicurativo obbligatorio occorre far riferimento al luogo nel
quale avviene l'assunzione del lavoratore che, quale momento
genetico del rapporto di lavoro, comporta l'automatica costitu
zione, nel medesimo luogo, del rapporto di assicurazione socia
le; pertanto, i lavoratori assunti in Italia da impresa operante
all'estero, devono essere assoggettati alla assicurazione obbli
gatoria italiana. (1)
Svolgimento del processo. — Con decreto in data 17 settembre
1982 il Pretore di Bergamo su istanza dell'I.n.p.s. intimava alla
società Montaggi industriali internazionali, il pagamento della som
ma di lire 89.807.913 a titolo di contributi delle assicurazioni so ciali e relative sanzioni civili per il periodo 1° gennaio-31 dicembre
1980 da riferire alle somme erogate dalla società ai propri dipen
denti assunti per svolgere esclusivamente attività lavorativa in can
tieri ubicati in paesi esteri non convenzionati con l'Italia in materia
di assicurazioni sociali. Proponeva opposizione la intimata società, deducendo che in
applicazione del principio della territorialità, esplicitamente pre
visto dall'art. 1 d.p.r. 30 maggio 1955, recante norme in materia
di assegni familiari, ma generalmente ritenuto peculiare dell'inte
ro sistema previdenziale vigente nel nostro paese, non sussisteva,
con riferimento alle retribuzioni erogate a detti dipendenti, alcun
obbligo di assoggettamento a contribuzione, come d'altro canto
riconosciuto, implicitamente o esplicitamente, da numerose circo
lari di enti previdenziali e da note del ministero della previdenza
sociale. Chiedeva, quindi, la revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Instauratosi regolare contraddittorio l'I.n.p.s. contestava la fon
datezza del ricorso e ne chiedva il rigetto.
Nel corso della causa veniva eseguito un accesso ispettivo e,
all'esito, il pretore, dato atto che l'opponente aveva rinunziato
parzialmente agli atti del giudizio e detta rinunzia era stata accet
tata dall'ente opposto, con sentenza resa all'udienza del 24 otto
bre 1983, dichiarato estinto il giudizio limitatamente alla parte
oggetto della rinunzia, accoglieva l'opposizione proposta dalla
s.p.a. Montaggi internazionali industriali e conseguentemente re
vocava, il decreto ingiuntivo opposto nella parte non interessata
dalla rinunzia, compensando interamente tra le parti le spese di
causa.
Avverso tale sentenza l'I.n.p.s. proponeva appello che il Tri
bunale di Bergamo accoglieva con la sentenza qui impugnata os
servando preliminarmente che l'ampio richiamo fatto dall'appellata
s.p.a. Montaggi industriali internazionali a circolari ministeriali,
dell'I.n.p.s. e dell'I.n.a.m. non era pertinente, perché quelle istru
(1) La corte, richiamandosi con la presente decisione all'indirizzo affer
mato nelle sentenze 8 ottobre 1985, n. 4882, Foro it., Rep. 1985, voce
Infortuni sul lavoro, n. 204 e 29 luglio 1974, n. 2298, id., 1975, I, 2783, con nota di Andrioli, resa in materia di assicurazione contro gli infortu
ni sul lavoro, ha sancito l'obbligatorietà dell'assoggettamento alla assicu
razione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti
gestita dall'I.n.p.s. per i lavoratori assunti in Italia, in base alla medesi
ma normativa dichiarata incostituzionale da Corte cost. 30 dicembre 1985, n. 369, id., 1986, I, 863, con nota di Ferrari, ed in Mass. giur. lav.,
1986, 17, con nota di Alibrandi; Riv. giur. lav., 1985, III, 345, con nota di Ferrari; Riv. it. dir. lav., 1986, II, 491, con nota di Cinelli; Dir lav., 1986, II, 266, con nota di P. Sandulli. Ciò consente pertanto ai lavoratori interessati di pretendere la regolarizzazione della propria po sizione assicurativa presso l'I.n.p.s. anche per i periodi di attività svolta
all'estero precedentemente al 9 gennaio 1986, data a partire dalla quale
l'obbligo contributivo per tale attività è stato esteso, per effetto della menzionata dichiarazione di incostituzionalità, a tutti i lavoratori operan ti all'estero.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zioni presupponevano che l'assicurazione in questione fosse fa
coltativa e quindi soggetta a preventiva autorizzazione, mentre
nel caso di specie si trattava di assicurazione obbligatoria, perché l'assicurazione stessa riguardava rapporti di lavoro sorti in Italia,
previo rilascio di nulla-osta da parte dell'ufficio di collocamento
di Ponte S. Pietro: perché tutta la normativa applicabile (istituti
contrattuali, clausole particolari, ecc.) era quella italiana; perché,
infine, il contratto era stato stipulato in Italia ed in Italia doveva
essere corrisposta la retribuzione. Il tribunale rilevava che dall'e
same delle singole voci relative alla retribuzione emergeva che
trattavasi di un rapporto sorto e sviluppantesi in Italia, con tra
sferta all'estero per la quale era prevista una specifica indennità.
Osservava inoltre, che la società aveva assolto all'obbligo del
l'assicurazione contro le malattie e poiché in regime di obbligato rietà dell'assicurazione l'unitarietà dell'imponibile contributivo non
può essere scissa con la conseguenza che non è possibile assicura
re il lavoratore relativamente a taluni istituti, secondo la propria convenienza o secondo, al limite, la convenienza stessa del lavo
ratore, affermava che essendo il rapporto di lavoro de quo assog
gettato integralmente alla legislazione italiana, tutte le contribuzioni
sono dovute, a prescindere dalla sussistenza di una autorizzazio
ne ministeriale necessaria solo in regime di rapporto di lavoro
iniziato ed esauritosi in ogni suo aspetto all'estero, sia pure tra
cittadini italiani. Ribadito che i contratti di lavoro erano stati stipulati in Italia,
e regolati dalla legge italiana, con richiamo a suoi specifici istitu
ti; che la retribuzione era stata erogata in italia, e che si era veri
ficata la sola circostanza della prestazione dell'opera lavorativa
all'estero, con una retribuzione extra sub specie di indennità di
trasferta, o di missione, il tribunale ne traeva la conclusiva conse
guenza dell'assoggettabilità delle retribuzioni alla contribuzione
I.n.p.s. in tutte le sue voci, e non solo relativamente all'assicura
zione contro le malattie.
E, poiché l'importo dovuto non era stato contestato, condan
nava la società appellata al pagamento in favore dell'I.n.p.s. del
la somma di lire 52.584.367 per residuo contributi i.v.s. e sanzioni
civili relativamente al periodo 1° gennaio 1980 - 31 dicembre 1980,
con gli interessi di legge. Per l'annullamento della riportata sentenza del Tribunale di
Bergamo affidato a quattro motivi, ricorre a questa corte la s.p.a.
Montaggi industriali internazionali e vi resiste l'I.n.p.s. con con
troricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione. — La società ricorrente denunzia:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 25 disp. sulla legge in generale, deducendo che, per quanto nella motivazione della
sentenza impugnata non sia citata alcuna norma di legge, il tribu
nale avrebbe erroneamente applicato l'art. 25 preleggi sul presup
posto che, essendo stato nel territorio dello Stato concluso il
rapporto di lavoro ed in esso avvenuto il pagamento della retri
buzione, al caso in esame si sarebbe resa applicabile la normativa
sulle assicurazioni obbligatorie, laddove avrebbe dovuto, invece, ritenere che il rapporto di lavoro, il quale è soltanto occasional
mente collegato con il rapporto assicurativo, non avrebbe com
portato l'applicazione della legge italiana, essendo stato
contrattualmente pattuito che la prestazione di lavoro doveva es
sere eseguita nel territorio di altri Stati: a sostegno delle esposte censure richiama la sentenza di questa corte n. 937 del 1962 (Fo ro it., 1962, I, 1498), aggiunge che, in ogni caso, si sarebbe reso
applicabile il 2° comma dell'art. 25 preleggi, secondo il quale
«le obbligazioni non contrattuali sono regolate dalla legge del
luogo ove è avvenuto il fatto dal quale esse derivano» ed aggiun
ge che la sottrazione del rapporto assicurativo alla legislazione dello Stato emergerebbe anche dalla disposizione di cui all'art.
I t.u. approvato con il d.p.r. n. 797 del 1955 in materia di asse
gni familiari che vanno corrisposti ai capi famiglia che prestino
lavoro retribuito alle dipendenze di terzi nel territorio della re
pubblica. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1363 c.c. nonché
omessa o quanto meno insufficiente motivazione circa un punto
decisivo della controversia, deducendo che il tribunale avrebbe
erroneamente interpretato il documento redatto dall'organo ispet
tivo dell'I.n.p.s. dal quale risulta che i rapporti di lavoro, in for
za di espressa clausola pattizia, avevano avuto integrale esecuzione
all'estero, come da apposita autorizzazione della quale l'I.n.p.s.
aveva tenuto conto ai fini del calcolo dei contributi che erano
stati determinati con le percentuali previste per i contratti di lavo
ro da eseguirsi esclusivamente all'estero nella ipotesi che sia stata
II Foro Italiano — 1987.
autorizzata l'apertura della posizione previdenziale da parte del
ministero del lavoro; aggiunge che se il tribunale avesse tenuto
conto di tali circostanze avrebbe dovuto concludere per la sussi
stenza di un rapporto soggetto ad assicurazione facoltativa; ag
giunge, inoltre, che il tribunale non avrebbe tenuto conto delle
clausole dedotte nel contratto individuale e quindi della volontà
contrattuale da interpretarsi nel senso che essa era diretta a sot
trarre il rapporto di lavoro alla disciplina della legge italiana che,
invece, esso tribunale immotivamente avrebbe presupposto come
regolamentazione richiamata dalle parti contraenti.
3) Violazione e falsa applicazione del concetto di trasferta nel
diritto del lavoro e dell'art. 1362 c.c., assumendo che il tribunale
ha erroneamente qualificato come «trasferta» la prestazione di
lavoro all'estero, ipotesi che non ricorre nel caso di specie perché non sussisteva lo spostamento temporaneo del lavoratore, trat
tandosi di prestazione che per obbligo contrattuale doveva essere
eseguita all'estero; donde la violazione dei criteri di interpretazio ne dei contratti.
4) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1362, 2° comma, c.c. ed imputa al tribunale di aver dato rilevanza al comporta mento di essa ricorrente la quale per il periodo successivo al 31
dicembre 1980 aveva regolarmente assicurato presso l'I.n.p.s. i
propri dipendenti in missione all'estero, a prescindere dalle auto
rizzazioni amministrative, mentre tale comportamento non avrebbe
meritato alcuna considerazione perché esso non riguardava mate
ria contrattuale.
La connessione delle censure sollevate nel primo e nel secondo
motivo consente che siano congiuntamente esaminate: esse, pe
raltro, risultano infondate. Infondatamente, invero, la società ri
corrente assume che il tribunale avrebbe applicato, sia pure con
un implicito riferimento, il principio della territorialità previsto dall'art. 25 disp. sulla legge in generale ed erroneamente assume,
inoltre, che il suddetto giudice avrebbe dovuto, se mai, applicare la regola indicata nel 2° comma del citato articolo.
Quanto alla censura da ultimo menzionata è sufficiente ricor
dare, per disattenderla, che la richiamata disposizione, secondo
la quale «le obbligazioni non contrattuali sono regolate dalla leg
ge del luogo ove è avvenuto il fatto dal quale esse derivano», si rende applicabile nelle ipotesi in cui la fonte della obbligazione deve essere rinvenuta in un fatto illecito (art. 2043 c.c.) in rela
zione al quale il luogo nel quale esso è stato commesso o si è
verificato funziona da criterio di collegamento per l'applicazione della legge straniera (sent. n. 3034 del 1979, id., Rep. 1979, voce
Legge, n. 27). Non è, poi, esatta la supposizione della ricorrente secondo la
quale il tribunale avrebbe fatto un implicito richiamo al principio di territorialità sancito dal 1° comma dell'art. 25 preleggi. Quel
giudice, infatti, avendo affermato che il rapporto di lavoro è sta
to concluso nel territorio della repubblica ed avendo, in conse
guenza, ritenuto che il rapporto assicurativo, ad esso correlato,
doveva essere assoggettato alle leggi italiane che riguardano la
imposizione contributiva e l'adempimento della relativa obbliga
zione, ha chiaramente dimostrato di aver rinvenuto in altre fonti
la sussistenza dell'obbligo contributivo posto a carico del datore
di lavoro e di avere, perciò, disapplicato il principio della territo
rialità ipotizzato nell'art. 25, 1° comma, preleggi, principio paci ficamente applicabile ai rapporti contrattuali e non anche ai
rapporti riferibili alle assicurazioni obbligatorie, regolamentate da
inderogabili norme della legge italiana.
Il tribunale, invero, pur senza espressamente menzionarla, ha
fatto puntuale e corretta applicazione della norma di carattere
generale contenuta nell'art. 37 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, con
vertito con modificazioni nella 1. 6 aprile 1936 n. 1155, a mente
della quale le assicurazioni gestite dall'I.n.p.s. nel territorio dello
Stato (art. 1) sono obbligatorie per le persone che prestino lavoro
retribuito alle dipendenze di terzi.
E, invero, una volta accertato che il contratto di lavoro a
termine (circostanza pacifica) era stato concluso nel territorio dello
Stato tra cittadini italiani e che la retribuzione veniva corrisposta
nel suddetto territorio, quel giudice ha esattamente ritenuto che
il rapporto di lavoro, caratterizzato, appunto, dalla prestazione
di lavoro retribuito alle dipendnze della società impianti indu
striali (che, quindi, assume la configurazione giuridica di datore
di lavoro) si era compiutamente realizzato nel territorio dello Sta
to italiano, nel quale era sorto il vincolo dalla subordinazione
che costituisce l'essenza del rapporto di lavoro prestato alle di
pendenze altrui e che implica l'intervento della repubblica per
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2399 PARTE PRIMA 2400
la sua tutela sotto qualsiasi forma (art. 35, 1° comma, Cost.)
in essa compresa l'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la
vecchiaia, le malattie e gli infortuni: (art. 38, 2° comma, Cost.).
Posto, quindi, che il rapporto di lavoro era stato costituito
nel territorio dello Stato italiano, non ha rilevanza il fatto che
la prestazione di lavoro doveva essere eseguita nel territorio di
Stati esteri, essendo, invece, rilevante, ai fini dell'obbligo assicu
rativo, che risulti assunta nel territorio della repubblica l'obbliga
zione del prestatore di eseguire l'attività lavorativa alle dipendenze
della società datrice di lavoro ed alle condizioni stabilite nel con
tratto individuale.
È stato, infatti, ritenuto che, ai fini della costituzione del rap
porto assicurativo obbligatorio che avviene ope legis, assume rile
vanza il momento genetico del rapporto di lavoro che si perfeziona
con l'assunzione del lavoratore, assunzione che, creando il rap
porto sinallagmatico e, quindi, la nascita dei rispettivi diritti, ob
blighi e doveri delle parti contraenti, ingenera il vincolo della
subordinazione. E, perciò, se l'assunzione del lavoratore viene
formalizzata in un contratto individuale che regolamenta il rap
porto, occorre fare riferimento a codesto strumento pattizio, per
effetto del quale si attua l'inserimento del lavoratore subordinato
nella organizzazione imprenditoriale (sent. n. 4882 del 1985, id.,
Rep. 1985, voce Infortuni sul lavoro, n. 204).
Ciò detto e ricordato che l'assunzione del lavoratore comporta
l'automatica costituzione del rapporto assicurativo obbligatorio
che sorge ex lege (sent. n. 189 del 1984, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 195), consegue che, ai fini della identificazione della legge
applicabile al rapporto assicurativo, occorre fare riferimento al
luogo nel quale avviene l'assunzione del lavoratore e nel quale
si verifica la automatica costituzione del rapporto assicurativo.
Alla stregua delle fatte considerazioni non è contestabile che
al caso di specie si rende applicabile la legge italiana che regola
menta le assicurazioni obbligatorie, sicché sotto tale profilo, non
è censurabile la sentenza impugnata che della suddetta legge ha
fatto puntuale applicazione allorché ha ritenuto che le retribuzio
ni corrisposte ai lavoratori per la prestazione eseguita all'estero
dovevano essere assoggettate a contribuzione previdenziale.
L'esattezza della decisione qui impugnata, già conforme ai prin
cipi enunciati da questa corte nella sentenza n. 4882/85 innanzi
richiamata, nella quale sono stati chiariti i motivi per i quali ai
casi, come quello di specie, non si attagliano le pronunce rese
da questo Supremo collegio con le sentenze n. 937 del 1962, n.
1901 del 1973 (id., Rep. 1973, voce Previdenza sociale, n. 149)
e n. 2298 del 1974 (id., Rep. 1974, voce Infortuni sul lavoro,
n. 163), trova ulteriore conferma nella sentenza n. 369 del 1985
(id., 1986, I, 863) della Corte costituzionale. Detta corte ha, in
fatti, dichiarato «illegittimo, per violazione dell'art. 35, 4° com
ma, Cost., l'art. 1 r.d.l. n. 1827 del 1935» che, seppur formulato
in maniera da impedire una interpretazione meno rigida, tuttavia
«delimita al territorio dello Stato italiano l'efficacia dell'assicura
zione obbligatoria esercitata dall'I.n.p.s., lasciando privi di tutela
previdenziale i lavoratori italiani operanti alle dipendenze di im
prese italiane in Stati esteri con i quali non intercorra una con
venzione internazionale di protezione sociale dal contenuto
conforme ai principi dettati dalla Costituzione italiana in materia
di previdenza sociale».
E, dunque, se la protezione sociale conforme ai principi dettati
dalla Costituzione italiana deve essere, in ogni caso, assicurata
ed attuata nei confronti dei lavoratori italiani che svolgono la
prestazione lavorativa negli Stati con i quali non intercorra una
convenzione internazionale di siffatto contenuto, a maggior ra
gione tale tutela deve essere attuata allorché risulti — come nel
caso in esame — che nel territorio dello Stato italiano sia stato
formato il contratto di lavoro in forza del quale il lavoratore
italiano assume l'obbligo di eseguire alle dipendenze di un im
prenditore il quale, configurato come datore di lavoro secondo
la legge italiana, è obbligato a costituire, a mente dell'art. 37
r.d.l. n. 1827 del 1935, la posizione assicurativa obbligatoria in
favore del suo dipendente.
E, perciò, la clausola pattizia, con la quale le parti avevano
convenuto che la prestazione lavorativa sarebbe stata eseguita al
l'estero, non può portare a conseguenze diverse da quelle che, ai fini della obbligatorietà delle assicurazioni sociali, ne ha tratto
il tribunale, dal momento che la prestazione di lavoro in uno
Stato il quale non appresti in favore del lavoratore un sistema
Il Foro Italiano — 1987.
di sicurezza sociale conforme a quello dettato dalla Costituzione
italiana, non consente alcuna deroga al regime delle assicurazioni
obbligatorie regolamentato dalle leggi della repubblica, né tanto
meno può rimettere alla discrezionalità del datore di lavoro la
attuazione della protezione sociale.
Non hanno pregio, perciò, le censure sollevate con il secondo
motivo di ricorso sia perché la interpretazione dei contratti indi
viduali di lavoro non avrebbe giammai consentito al tribunale
di affermare che la prestazione di lavoro all'estero, ancorché espres
samente pattuita, avrebbe esonerato il datore di lavoro dall'ob
bligo di costituire la posizione assicurativa in favore dei dipendenti
obbligati a rendere la prestazione alle condizioni contrattualmen
te convenute, sia perché l'autorizzazione ministeriale, peraltro ri
chiesta ai soli fini del collocamento, non può derogare alle fonti
primarie che sanciscono l'obbligatorietà delle assicurazioni socia
li. E, pervero, il giudice dell'appello nelle circolari provenienti
dal ministero e dagli istituti previdenziali non ha ravvisato alcuna
deroga alla obbligatorietà delle assicurazioni: quel giudice ha, in
fatti, osservato che «l'ampio richiamo fatto dalla società appella
ta a circolari ministeriali, dell'I.n.p.s. e dell'I.n.a.m. non è
pertinente, perché presupposto di detto richiamo è che l'assicura
zione sia facoltativa e quindi soggetta ad autorizzazione preventi
va, mentre nel caso di specie deve ritenersi che l'assicurazione
di cui trattasi era ed è obbligatoria».
Poiché la interpretazione del giudice del merito risulta adegua
tamente motivata ed informata ad esatti principi giuridici con
la conseguenza che essa interpretazione è incensurabile in sede
di legittimità, anche le censure che si appuntano sulla violazione
delle regole dell'ermenautica contrattuale e sul vizio di motiva
zione debbono essere disattese.
Va ugualmente disatteso il terzo motivo di ricorso col quale
la società ricorrente assume che il tribunale avrebbe attribuito
la natura di trasferta alla esecuzione della prestazione lavorativa
nel territorio dello Stato estero.
A tal fine è sufficiente considerare che il tribunale — il quale
non era stato chiamato a pronunziarsi specificamente sulla que
stione — ha soltanto incidentalmente chiarito, dopo aver affer
mato che il rapporto di lavoro era sorto e si era sviluppato nello
Stato italiano nel quale si era verificata l'assunzione dei lavorato
ri, che la destinazione di essi nello Stato estero doveva essere
configurata come trasferta all'estero per la quale era prevista una
specifica indennità. E, però, esso giudice, non essendogli stata
prospettata la relativa questione, non aveva l'obbligo di pronun
ciarsi (e non lo ha fatto) in ordine alla natura di detta indennità
che ha, invece, ritenuto integrativa della retribuzione, in quanto
tale, assoggettabile a contribuzione ai sensi dell'art. 12, 1° com
ma, 1. 30 aprile 1969 n. 153.
Non è infine rilevante la doglianza (4° motivo) con la quale
la società ricorrente deduce la violazione dell'art. 1362, 2° com
ma, c.c. per aver il tribunale tenuto conto del fatto che successi
vamente alla contestazione della omissione contributiva essa società
aveva assoggettato a contribuzione previdenziale le retribuzioni
corrisposte ai lavoratori operanti all'estero.
Trattasi, invero, di una osservazione che nella economia della
sentenza impugnata non assume il carattere della decisività, in
quanto la sentenza stessa si regge sulle assorbenti e fondamentali
considerazioni che il tribunale ha svolto per affermare che la so
cietà aveva l'obbligo di assoggettare a contribuzione obbligatoria
le retribuzioni di cui si è discusso.
Alla stregua delle fatte considerazioni il ricorso deve essere ri
gettato.
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