sezione lavoro; sentenza 24 gennaio 2003, n. 1094; Pres. Ciciretti, Est. De Matteis, P.M. Frazzini(concl. conf.); R. Italiano (Avv. Perelli, P. Italiano) c. Inps (Avv. Cerioni, Todaro). ConfermaTrib. Palmi 27 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 3423/3424-3425/3426Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199726 .
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3423 PARTE PRIMA 3424
mento letterale delle clausole negoziali (Cass. 4278/00, id., Rep. 2001, voce Impiegato dello Stato, n. 218, e 7584/01, ibid., voce
Contratti della p.a., n. 391), nell'esaminare le quali dovrà tener
presente che la volontà di derogare o meno all'art. 1664 c.c. non
richiede l'uso di particolari espressioni formali (Cass. 2403/81,
cit., e 3013/92, cit.), per cui può risultare non soltanto da una
clausola espressa, ma anche dall'intero assetto negoziale nel suo
complesso (Cass. 4278/00 e 7584/01, cit.). L'accertamento così compiuto sarà poi sindacabile in Cassa
zione solo per vizio di motivazione o violazione di norme di di
ritto, cosicché la parte che decida di contestarlo non potrà limi
tarsi a propugnare una diversa interpretazione, ma dovrà speci ficare gli errori logici o giuridici di quella contenuta nella sen
tenza impugnata. Ciò posto ed aggiunto, altresì, che pur rappresentando, come
già visto, il primo e fondamentale criterio ermeneutico, quello letterale non riveste affatto una valenza esclusiva, per cui può
precludere il ricorso agli altri parametri soltanto nel caso in cui
le parole usate consentano di ricostruire in modo abbastanza
certo la comune intenzione delle parti (Cass. 4278/00, cit.), oc
corre considerare che nel caso di specie i giudici a quo hanno
concluso per la spettanza di un equo compenso all'appaltatore. Il comune di Castrocielo ha censurato la relativa statuizione,
sostenendo che l'art. 1664 c.c. non avrebbe potuto essere appli cato contro la volontà delle parti e che nel ricostruire quest'ul tima, la corte d'appello avrebbe dovuto fermarsi alla lettera del
l'accordo senza possibilità di appigliarsi a circostanze esterne, che oltre a risultare tutto sommato inconferenti e comunque su
perate dal comportamento stesso del Guglietti, avrebbero potuto al massimo portare all'approvazione di una variante e, in caso di
rifiuto, alla risoluzione del contratto, ma giammai al riconosci
mento di un compenso aggiuntivo all'appaltatore. Una doglianza del genere non può essere, tuttavia, condivisa
perché i giudici a quo sono partiti proprio dal testo del contratto
e soltanto dopo aver constatato che ove intesa in termini assolu
ti, la clausola sulla invariabilità del prezzo avrebbe inevitabil
mente finito col risultare incompatibile con la palese modestia
dello stesso, sono andati a vedere in quale contesto fosse matu
rato l'accordo, appurando in tal modo che non era stata com
piuta alcuna indagine preliminare e che, pertanto, non poteva esservi stato alcun serio dubbio sull'effettiva corrispondenza fra
la composizione della superficie e quella del sottosuolo.
Tenuto conto di quanto sopra nonché dell'aumento concesso
all'appaltatore in occasione della variante approvata in un mo
mento in cui si era già manifestata la presenza di rocce più resi
stenti di quelle ipotizzate in precedenza, hanno quindi creduto di
poter affermare che la clausola sulla intangibilità del compenso non aveva rappresentato la traduzione indiretta di uno specifico intento di escludere l'applicabilità dell'art. 1664, 2° comma,
c.c., ma il semplice frutto di un erroneo convincimento sulla
reale consistenza del terreno e sul conseguente impegno richie
sto al Guglietti, cui non poteva perciò negarsi una maggiorazio ne del corrispettivo in dipendenza delle più gravi difficoltà in
contrate.
Così argomentando, i giudici a quo non hanno violato alcuna
disposizione di legge, né sono venuti meno al loro dovere di
motivare in maniera congrua e coerente, in quanto hanno giusti ficato la propria decisione sulla base di circostanze che pur es sendo suscettibili di valutazioni alternative, appaiono sicura
mente idonee a sorreggere il dictum finale, tanto più ove si con
sideri che diversamente da quanto sostenuto dal comune di Ca
strocielo, l'inattesa comparsa di roccia molto compatta non ha
costretto il Guglietti ad eseguire dei lavori diversi, bensì a vin cere una resistenza maggiore di quella prevista, mettendolo di
fronte ad una situazione che non avrebbe potuto condurre al
l'approvazione di una variante, ma soltanto al riconoscimento di
un equo compenso. Il comune di Castrocielo ha peraltro sostenuto che la motiva
zione della sentenza impugnata lascerebbe a desiderare non
soltanto nella parte relativa all'individuazione della concorde
volontà dei contraenti, ma anche in quella concernente l'equo compenso, liquidato dal c.t.u. e, quindi, dalla corte sulla base dei soli tariffari regionali senza decurtazione dell'utile e senza
nessuna analisi dei maggiori oneri realmente affrontati dall'ap
paltatore.
Neppure tale doglianza può essere tuttavia condivisa non
soltanto perché attinente ad una questione non trattata nella pre
II Foro Italiano — 2003.
cedente fase processuale, ma principalmente perché la corte
d'appello non si è affatto limitata a fare riferimento ai prezzi fissati dalla regione, ma ha dichiarato di condividere le conclu
sioni del c.t.u., che li aveva opportunamente diminuiti in consi
derazione della natura dell'equo compenso.
Consegue da ciò che per contrastare adeguatamente la deci
sione impugnata, il comune di Castrocielo non avrebbe potuto ridursi alla concisa critica sopra riportata, ma si sarebbe dovuto
preoccupare di spiegare in che cosa erano consistiti ed a che ti
tolo erano stati effettuati gli adeguamenti apportati dal c.t.u.,
perché solo in tal modo questa corte, che in caso di errores in
iudicando non ha il potere di visionare direttamente gli atti, sa
rebbe stata in grado di esercitare un effettivo controllo sulla
bontà o meno del ragionamento seguito dai giudici a quo. Non contenendo alcuna traccia di ciò, il ricorso principale va
pertanto respinto al pari, del resto, di quello incidentale del Gu
glietti che, come si è visto, ha lamentato la mancata rivalutazio
ne automatica delle proprie spettanze, sostenendo che le stesse
avrebbero dovuto essere considerate come un credito di valore e
non di valuta, perché maturato a fronte di un'attività imprendi toriale, a sua volta finanziata con denaro che ove altrimenti im
piegato, avrebbe certamente fruttato in misura superiore agli interessi legali, cui non poteva di conseguenza riconoscersi una
completa capacità ristoratoria.
La problematica posta dal Guglietti è, come si è visto, già ve
nuta all'esame di questa Suprema corte, che con le sentenze so
pra citate ha manifestato sul punto un orientamento costante, da
cui questo collegio non intende minimamente discostarsi perché senz'altro capace di resistere alle anzidette obiezioni, a propo sito delle quali sembra sufficiente ricordare che la natura di un
credito non può dipendere dalla qualità del suo titolare, ma dal
fatto generatore dell'obbligazione, che nel caso di specie è il
contratto, per cui deve parlarsi di debito di valuta che, com'è
noto, non espone affatto il creditore al rischio di dover sopporta re il danno non coperto dagli interessi legali, ma gli impone soltanto di fornirne la prova ai sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 24 gen naio 2003, n. 1094; Pres. Ciciretti, Est. De Matteis, P.M.
Frazzini (conci, conf.); R. Italiano (Avv. Perelli, P. Italia
no) c. Inps (Avv. Cerioni, Todaro). Conferma Trib. Palmi 27
aprile 1999.
Previdenza e assistenza sociale — Indennità post-sanatoriale — Diritto —
Presupposto (L. 6 agosto 1975 n. 419, miglio ramento delle prestazioni economiche e sanitarie a favore dei
cittadini colpiti da tubercolosi, art. 5).
Il presupposto, per fruire dell'indennità post-sanatoriale previ sta dall'art. 5 l. 6 agosto 1975 n. 419, è che l'assicurato si
sia astenuto completamente dal lavoro per l'intero perìodo delle cure, anche se effettuate in ambulatorio anziché me
diante ricovero in sanatorio, non essendo sufficiente che l'a
stensione abbia comunque coperto i sessanta giorni previsti dalla norma come durata minima delle cure. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti in termini. Sulla parificazione, ai fini dell'indennità ex art. 5 1, 6 agosto 1975 n.
419, delle cure ambulatoriali al ricovero in casa sanatoriale, a condizio ne che esse abbiano una durata di almeno sessanta giorni e riguardino la tubercolosi in fase attiva, cfr. Cass. 13 luglio 2001, n. 9569, Foro it., Rep. 2001, voce Previdenza sociale, n. 433; 4 marzo 1995, n. 2520, id..
Rep. 1995, voce cit., n. 523; 12 dicembre 1991, n. 13443, id., Rep. 1992, voce cit., n. 571, e Arch, civ., 1992, 806, con nota di G. Alibran di.
Cass. 15 ottobre 1992, n. 11319, Foro it.. Rep. 1993, voce cit., n.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Il Pretore di Palmi ha condan
nato l'Inps a pagare al sig. Italiano Raffaele l'indennità post sanatoriale prevista dall'art. 5, 1° comma, 1. 6 agosto 1975 n.
419, sul presupposto delle cure ambulatoriali anti tubercolari cui
il ricorrente si era sottoposto tra il 2 marzo 1988 ed il 27 gen naio 1989.
Il Tribunale di Palmi, in accoglimento dell'appello, con cui
l'Inps faceva notare che l'assicurato si era astenuto dal lavoro
per il più limitato periodo dal 2 marzo al 14 giugno 1988, in ri
forma della sentenza pretorile, ha rigettato la domanda.
Il tribunale ha interpretato l'art. 5, 1° comma, 1. 6 agosto 1975
n. 419, nel senso che presupposto per il riconoscimento della
indennità post-sanatoriale ivi prevista è il mancato svolgimento di attività lavorativa per tutto il periodo delle cure ambulatoriali, e non solo per il periodo minimo di sessanta giorni come prete so dal ricorrente; presupposto nella specie ritenuto insussistente,
perché, come pacifico in causa, mentre il periodo di cure am
bulatoriali si è protratto fino al 27 gennaio 1989, l'Italiano è
rientrato al lavoro il 15 giugno 1988, prima della fine delle cure.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'I
taliano, con unico motivo.
L'intimato istituto, ritualmente costituito con controricorso, ha resistito.
Motivi della decisione. — Con unico motivo il ricorrente, de
ducendo violazione e falsa applicazione della 1. 6 agosto 1975 n.
419 e della 1. 14 dicembre 1970 n. 1088, censura la sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l'astensione da
qualsiasi attività lavorativa debba protrarsi per tutta la durata
delle cure, e non per il periodo minimo di sessanta giorni. Il motivo non è fondato.
La questione di diritto sottoposta a questa corte è se il pre
supposto per la concessione dell'indennità c.d. post-sanatoriale
prevista dall'art. 5 1. 6 agosto 1975 n. 419, costituito (oltre che
dalla durata delle cure ambulatoriali per almeno sessanta giorni) dall'astensione dal lavoro, debba durare per tutto il periodo delle cure o sia sufficiente l'astensione per il periodo minimo di
sessanta giorni, come per le cure.
Al riguardo l'art. 5 1. 6 agosto 1975 n. 419 dispone: «1. Agli assistiti sottoposti a cure ambulatoriali di durata non inferiore a
sessanta giorni e che durante il periodo di cura non abbiano
svolto attività lavorativa, spetta, a decorrere dal giorno succes
sivo a quello in cui si è conclusa la cura per stabilizzazione o
per guarigione clinica, una indennità giornaliera pari all'inden
nità post-sanatoriale, d'importo e durata pari a quella stabilita
dall'art. 2 1. 14 dicembre 1970 n. 1088. 2. Dopo il periodo di
trattamento di cui al comma precedente agli assistiti in possesso dei requisiti previsti dall'art. 4 1. 14 dicembre 1970 n. 1088,
spetta l'assegno di cura o di sostentamento».
Già il tenore lessicale, con il suo riferimento al mancato svol
gimento di attività lavorativa durante il periodo di cura, suffraga
l'interpretazione della sentenza impugnata, che intende il perio do di cura nel senso letterale, come per tutto il periodo di cura.
Né a diversa conclusione può pervenirsi sulla base dei criteri
ermeneutici sistematico e funzionale.
La tutela dell'assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, nata nel 1927, si articola in prestazioni sanitarie (in origine affi
date all'Inps dall'art. 66 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, converti
to, con modificazioni, in 1. 6 aprile 1936 n. 1155, ed ora rimesse
al servizio sanitario nazionale dagli art. 1 e 69 1. 23 dicembre
1978 n. 833) e prestazioni economiche, demandate attualmente
all'Inps.
Queste ultime prevedevano in origine un'indennità giornalie ra durante il periodo delle cure, da effettuarsi in casa di cura
(forma terapeutica tipica alle origini della tutela contro la tbc), e
solo in caso di impossibilità, a domicilio, disciplinata ora unita
510, ritiene invece che l'indennità non presuppone l'esistenza di una
fase attiva della malattia, bensì è condizionata alla riduzione a meno della metà della capacità di guadagno.
Sulla ratio dell'indennità post-sanatoriale quale prestazione econo
mica che serve a fornire all'assicurato il necessario aiuto per sostenere cure che comportano l'allontanamento dall'attività lavorativa, v. Cass.
22 novembre 2002, n. 16518, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 442, la quale peraltro ribadisce doversi trattare di cure imposte dalla fase attiva della malattia.
Per riferimenti ulteriori sulla tutela assicurativa contro la tubercolosi, v. Cass. 22 luglio 1995, n. 8017, id., 1996,1, 624, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 2003.
riamente, sia per il ricovero in casa di cura, sia per la cura am
bulatoriale (possibilità emersa successivamente, con il progredi re della scienza medica), dall'art. 1 1. 14 dicembre 1970 n. 1088
(salve le modifiche migliorative della misura della prestazione ad opera della 1. 4 marzo 1987 n. 88); viene corrisposta per un
periodo di centottanta giorni in misura pari all'indennità per malattia comune, e, per il periodo successivo, in minor misura;
spetta senza limiti minimi di durata della cura ed è incompati bile con la retribuzione.
In secondo luogo la legge (art. 4 1. 28 febbraio 1953 n. 86. art.
2 1. 14 dicembre 1970 n. 1088) prevede un'indennità per il pe riodo successivo alle cure, denominata, pour cause, post sanatoriale, dopo un periodo non inferiore a sessanta giorni di
ricovero in un luogo di cura per tubercolosi (in relazione alle
modalità di cura del tempo, sopra cennate), per la durata di ven
tiquattro mesi; tale indennità non è cumulabile con l'indennità
giornaliera di cui all'art. 1, ma è cumulabile con la retribuzione.
Successivamente l'art. 5 1. 6 agosto 1975 n. 419 ha esteso tale
beneficio anche ai periodi successivi alle cure ambulatoriali, di
durata non inferiore ai sessanta giorni; detta indennità, denomi
nata anch'essa giornaliera, come quella di cui all'art. 1 1. 14 di
cembre 1970 n. 1088, è di importo e di durata pari all'indennità
post-sanatoriale. Non è dubbio che il presupposto originariamente previsto
dall'art. 4 1. 28 febbraio 1953 n. 86 era che vi fosse stato un pe riodo minimo di ricovero sanatoriale; in tale fase storica la leg
ge non aveva bisogno di specificare che vi dovesse essere asten
sione dal lavoro, perché questa era implicita nel ricovero sanato
riale.
Quando l'art. 5 1. 6 agosto 1975 n. 419 ha parificato al ricove
ro in casa sanatoriale anche le cure ambulatoriali (sempre che
ricorra l'altro presupposto della tubercolosi in fase attiva, Cass.
13 luglio 2001, n. 9569, Foro it., Rep. 2001, voce Previdenza
sociale, n. 433; 12 dicembre 1991, n. 13443, id.. Rep. 1992, vo
ce cit., n. 571) di sessanta giorni, vi è stato bisogno di specifica re che vi deve essere correlativa astensione dal lavoro.
Anche il presupposto economico è quindi identico a quello dell'indennità post-sanatoriale, nel senso che l'art. 5 richiede
che l'assicurato non abbia svolto attività lavorativa durante il
periodo di cura ambulatoriale, mentre in quello successivo per il
quale viene corrisposta l'indennità post-sanatoriale o indennità
giornaliera di cui all'art. 5, può essere svolta attività retribuita, come specificato dal 2° comma dell'art. 2 1. 14 dicembre 1970
n. 1088, il quale dispone: «Successivamente ad un periodo non
inferiore a sessanta giorni di ricovero in un luogo di cura per tu
bercolosi spetta agli assicurati, colpiti da forma tubercolare, per la durata di ventiquattro mesi una indennità post-sanatoriale di
lire duemila giornaliere, maggiorata di un importo pari a quello
degli assegni familiari del settore industria per ogni familiare a
carico. Tale indennità non è cumulabile con l'indennità giorna liera prevista dall'articolo precedente.
L'indennità post-sanatoriale spetta anche nel caso in cui l'as
sistito attenda a proficuo lavoro o fruisca comunque dell'intera
retribuzione, secondo quanto previsto dall'art. 2 1. 14 novembre
1963 n. 1540, è ridotta alla metà per i familiari a carico degli as
sicurati».
In terzo luogo, storico e cronologico, la legge (art. 4 1. 14 di
cembre 1970 n. 1088) ha previsto un terzo beneficio, l'assegno di cura o di sostentamento, per un periodo di due anni successi
vo al periodo di trattamento post-sanatoriale di cui al precedente art. 2, legato allo specifico presupposto che la capacità di gua
dagno degli assistiti e dei loro familiari a carico in occupazioni confacenti alle loro attitudini sia ridotta a meno della metà per effetto o in relazione alla malattia tubercolare. Di tale indennità
non si discute nella presente causa.
Così riepilogato il quadro normativo di articolata e graduale assistenza al malato di tubercolosi, è evidente che la ratio della
legge è di concedere l'indennità post-sanatoriale, oggetto della
presente causa, sulla base del medesimo presupposto, sia in caso
di ricovero in sanatorio, sia di cure ambulatoriali, e cioè di
completa astensione dal lavoro per l'intero periodo, quale
espressione della medesima valutazione di gravità della malat
tia. Il ricorso deve essere pertanto respinto.
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