+ All Categories
Home > Documents > sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano...

sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano...

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: vuhuong
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
6
sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino, Masserelli). Conferma Trib. Firenze 20 gennaio 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2863/2864-2871/2872 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196321 . Accessed: 24/06/2014 23:33 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,

sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M.Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,Masserelli). Conferma Trib. Firenze 20 gennaio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2863/2864-2871/2872Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196321 .

Accessed: 24/06/2014 23:33

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,

2863 PARTE PRIMA 2864

porto assicurativo-previdenziale, con permanenza dell'obbligo contributivo a carico del datore di lavoro (Cass. 23 giugno 1989, n. 3013, id., 1990, I, 1335; 4 luglio 1996, n. 6095, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1562).

La giurisprudenza di legittimità aderiva a quella della Corte

costituzionale, secondo cui: a) per effetto dell'introduzione, ad

opera del legislatore, del c.d. principio di stabilità reale, il licen

ziamento, poi dichiarato illegittimo, interrompeva la prestazione del lavoro ma non il rapporto di lavoro, con la conseguente per sistenza del rapporto assicurativo; b) la reintegrazione ordinata

dal giudice ripristinava la situazione anteriore al licenziamento

anche per quanto riguardava la prestazione, che si considerava

come effettuata, una volta eliminata la parentesi prodotta dal

l'illegittimo atto di recesso; c) per il periodo compreso tra licen

ziamento e reintegrazione, il danno risarcito (così qualificato, attesa la possibilità del verificarsi di più ipotesi non tutte omo

genee, sebbene riconducibili ad una sanzione risarcitoria) si

identificava anzitutto con quanto il lavoratore avrebbe avuto il

diritto di percepire in forza del rapporto, cioè anzitutto con la

retribuzione, fatti salvi però il maggior danno da provarsi dal

lavoratore e 1 'aliunde perceptum da provarsi dal datore di lavo

ro; d) per il periodo compreso fra ordine di reintegrazione ed ef

fettiva ripresa del lavoro, erano dovute specificamente le retri

buzioni. Da tutto ciò, ossia e in sintesi dalla continuazione del

rapporto di lavoro pur dopo l'illegittimo licenziamento, deriva

va la persistenza del rapporto assicurativo-previdenziale (Corte cost. 14 gennaio 1986, n. 7, id., 1986,1, 1785).

La Corte di cassazione escludeva, in coerenza con questi

principi, l'obbligo di contribuzione soltanto con riferimento a

somme dovute bensì dal datore al prestatore di lavoro, ma con

funzione sicuramente non retributiva, e precisamente a somme:

a) eccedenti la misura di quanto al lavoratore illegittimamente licenziato sarebbe stato erogato per retribuzione se non fosse

intervenuto il licenziamento: a tali somme eccedenti poteva in

fatti riconoscersi funzione soltanto risarcitoria (Cass. 3 febbraio

1992, n. 1094, id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 289; 24 aprile 1992, n. 4957, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1797; 25 febbraio 1993, n. 2288, id., Rep. 1993, voce Previdenza so

ciale, n. 243, quest'ultima resa in fattispecie in cui il lavoratore

aveva diritto alle cinque mensilità di cui all'art. 18 cit., ma non

alla retribuzione, stante un aliunde perceptum)-, b) dovute a ti

tolo risarcitorio a causa della mancanza di un ordine giudiziale di reintegrazione (Cass. 3 dicembre 1984, n. 6317, id., 1986, I, 2766; 29 marzo 1996, n. 2906, id., 1997,1, 554).

Anche nell'ipotesi in cui la sentenza di reintegra attribuisse un numero di mensilità inferiore al periodo di sospensione, non

residuava alcun vuoto contributivo, giacché la contribuzione

andava calcolata in relazione al periodo di sospensione e non al

numero di mensilità risarcite. Essa si calcolava, in altre parole, sulla retribuzione che teoricamente sarebbe spettata al dipen dente e non sulle somme dovute in base alla sentenza. Non si trattava perciò di distinguere, all'interno di quanto attribuito a titolo di danno, ciò che era dovuto per retribuzione, bensì occor reva muovere dall'autonomia del rapporto previdenziale per ga rantire l'integrità della posizione contributiva, prescindendo dal

contenuto formale della pronuncia giudiziale, purché essa di

sponesse la reintegra ai sensi dell'art. 18 1. n. 300 del 1970.

Queste massime giurisprudenziali sono state poi confermate in sede legislativa, poiché l'art. 1, 4° comma, 1. 11 maggio 1990 n. 108 fa coincidere la contribuzione con la durata dell'allonta namento dal posto di lavoro, ossia dal momento del licenzia mento a quello dell'effettiva reintegrazione.

La questione che il ricorrente sottopone ora alla corte è se, rimasto non eseguito l'ordine giudiziale di reintegrazione per sopravvenuta transazione tra le parti del rapporto di lavoro, la somma dovuta al lavoratore a titolo che le stesse parti hanno di

chiarato risarcitorio, o indennitario, conservi nondimeno la sua natura retributiva e sia perciò soggetta a contribuzione previ denziale.

Ritiene questo collegio che la risposta debba essere positiva. Escluso infatti che la legge consideri finito il rapporto di la

voro dopo l'intimazione del licenziamento dichiarato illegittimo dal giudice, deve escludersi altresì che l'efficacia risolutiva

conseguente al contratto di transazione possa retroagire per me ra volontà delle parti ed ai fini della contribuzione previdenzia le, stante l'indisponibilità del rapporto contributivo e la conse

guente assenza del potere dei privati di sottrarsi ai relativi ob

li. Foro Italiano —• 2001.

blighi semplicemente attraverso il mutamento dei nomina iuris.

Corrisponderebbe infatti ad un puro cambiamento nominale

l'attribuzione di funzione risarcitoria a pagamenti che trovano la

loro causa nell'adempimento di obblighi derivanti dal contratto

di lavoro. In tal senso si è già espressa questa corte con le sent.

27 ottobre 1997, n. 10573, id., Rep. 1998, voce Lavoro (rap

porto), n. 1935; 2 giugno 1998, n. 5412, id.. Rep. 1999, voce

Previdenza sociale, n. 265, e 11 aprile 1998, n. 3748, ibid., n.

283. In breve, la soluzione transattiva stragiudiziale oppure la con

ciliazione giudiziale raggiunta dopo l'ordine di reintegrazione non incidono sull'obbligo contributivo per il periodo compreso fra la data del licenziamento e la conciliazione, con la quale i

rapporti, di lavoro e previdenziale, effettivamente finiscono.

A tali principi non si è attenuta la sentenza qui impugnata, che ha considerato come risarcitone, ossia esenti da contribu

zione, le somme in questione. Essa deve perciò essere cassata e

la causa dev'essere rinviata ad altro collegio d'appello, che si

designa nella corte di Catania e che calcolerà l'ammontare dei

contributi uniformandosi al seguente principio di diritto: «In ca

so di licenziamento dichiarato dal giudice illegittimo ai sensi

dell'art. 18 1. n. 300 del 1970, il rapporto di lavoro prosegue, anche in assenza di effettive prestazioni lavorative, fino al mo

mento della reintegra del lavoratore oppure della transazione

che pone termine al rapporto. Di conseguenza il datore deve pa

gare i contributi previdenziali sulla somma corrisposta al lavo

ratore, comunque qualificata nella sede transattiva e fino ad

ammontare corrispondente alla misura della retribuzione dovuta

in base al contratto di lavoro».

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 24 mar zo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Na

poletano (conci, conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino, Masserelli). Conferma Trìb. Firenze 20 gennaio 1999.

Previdenza e assistenza sociale — Intrattenitrici di «night club» — Contributi Enpals — Determinazione (D.p.r. 31

dicembre 1971 n. 1420, norme in materia di assicurazione ob

bligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavo

ratori dello spettacolo, art. 2).

Ai fini della determinazione dei contributi dovuti all'Enpals relativamente a lavoratrici impiegate nell'esercizio di un'at

tività notturna di intrattenimento e spettacolo (night club/, la

retribuzione imponibile giornaliera si ottiene dividendo il

complesso dei compensi corrisposti per il numero di giornate

effettivamente lavorate, esclusi i riposi settimanali e le festi vità godute. ( 1 )

(1-2) Il contrasto di giurisprudenza, esplicitamente voluto e motivato da Cass. 4303/01 che si riporta, a ben vedere si origina da due sentenze di segno opposto, entrambe confermate dalle decisioni in epigrafe, dello stesso giudice di merito: Trib. Firenze 20 gennaio 1999, inedita, e 8 aprile 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Previdenza sociale, n. 284.

Non si rinvengono ulteriori precedenti. Nel senso che, ai fini del pensionamento per vecchiaia, tra le retribu

zioni giornaliere più elevate tra quelle assoggettate a contribuzione ef fettiva in costanza di lavoro, vanno ricomprese anche quelle maturate

This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 no

vembre 2000, n. 14761; Pres. Santojanni, Est. D'Angelo, P.M. Mele (conci, conf.); Soc. Sir J (Avv. Romoli, Solime

no) c. Enpals (Avv. Curti). Conferma Trib. Firenze 8 aprile 1998.

Previdenza e assistenza sociale — Lavoratori autonomi dello

spettacolo — Contributi Enpals

— Determinazione (D.p.r. 31 dicembre 1971 n. 1420, art. 2).

Ai fini della determinazione dei contributi dovuti all'Enpals relativamente a lavoratori autonomi dello spettacolo ingag

giati con contratto di durata, la retribuzione imponibile gior naliera si ottiene dividendo il complesso dei compensi corri

sposti per il numero delle giornate di durata previsti dal con

tratto collettivo. (2)

I

Svolgimento del giudizio. — Con sentenza del 10 giugno

1998, il Pretore del lavoro di Firenze accoglieva —

compensan do interamente tra le parti le spese del grado

— l'opposizione

promossa dalla Dolce vita s.r.l., in persona del legale rappre sentante, e da Luciano Parnetti in proprio, avverso l'ordinanza

ingiunzione del 9 maggio 1997 contenente l'intimazione al pa

gamento in favore dell'Enpals della somma di lire 7.850.000, oltre spese, a titolo di sanzione amministrativa per omissioni

contributive relative al periodo dal 1° maggio 1996 al 30 set

tembre 1996, e riguardanti una serie di lavoratrici impiegate da

gli opponenti nell'esercizio di un'attività notturna di intratteni

mento e spettacolo (night club). Il pretore riteneva che la misura della retribuzione imponibile

di cui all'art. 2 d.p.r. 1420/71 dovesse essere determinata nel

senso che il dato di riferimento (divisore) era quello pertinente ai singoli giorni di effettiva resa delle prestazioni, senza prende re in considerazione — come aveva fatto l'ente previdenziale in

seguito ad indagine ispettiva — tutti i giorni lavorativi previsti

in astratto dalla contrattazione collettiva per il concreto tipo di

rapporto instaurato con i lavoratori.

A seguito di gravame dell'Enpals, il Tribunale di Firenze con

sentenza del 20 gennaio 1999 rigettava l'appello e condannava

l'Enpals al pagamento delle spese del giudizio. Nel pervenire a

tale conclusione il tribunale premetteva che non erano stati af

fatto contestati i dati obiettivamente emersi in sede di accerta

mento ispettivo, essendo stato censurato — sotto il profilo del

l'erroneità — unicamente il concreto parametro del calcolo

adottato dall'Enpals. Precisava ancora il tribunale che tra datri

ce di lavoro e prestatori erano intercorse una serie di prestazioni lavorative a tempo parziale, specificamente connotate da un ri

stretto numero di giornate di effettiva resa delle prestazioni. Dette prestazioni potevano essere qualificate di lavoro autono

mo o subordinato, senza che ciò avesse alcuna incidenza in or

dine alle pretese contributive in ragione dell'indistinta regola mentazione per i lavoratori dello spettacolo di cui alla normati

va dettata dal d.leg.c.p.s. 708/47 e successive modifiche legisla tive.

Su tali premesse, affermava il giudice d'appello che il termi

ne «giornate» adoperato dal legislatore si rapportava alla mera

durata del contratto senza però venire assunta come parametro

cogente perché altrimenti, in maniera più semplice, ai sarebbe

potuto fare riferimento solo alla durata in senso stretto del rap

porto di lavoro, pure con la precisazione di un'esenzione dal

computo del divisore dei riposi e delle festività.

Richiamando la nozione dei giorni — e tenendo presente che

nella generalità dei casi la durata dei contratti è espressa in mesi — la normativa in esame aveva privilegiato una forma di analisi

successivamente al conferimento della pensione di anzianità, v. Cass.

27 novembre 1999, n. 13300, ibid., n. 468.

Sulla totalizzazione dei contributi Enpals a corredo del requisito contributivo ventennale per il conseguimento della pensione di vec

chiaia, al compimento del quarantacinquesimo anno d'età, da parte di

ballerini e tersicorei, cfr. Cass. 20 giugno 1997, n. 5513, id., 1997, I,

2073, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 2001.

più dettagliata delle prestazioni lavorative, essenziale alle esi

genze, notoriamente variabili, delle aziende che esercitano il

pubblico spettacolo e, soprattutto, si era tenuto presente che la

durata astratta di una fattispecie non avrebbe avuto una corretta

efficacia determinativa nelle ipotesi di prestazioni rese in auto

nomia in un certo lasso di tempo predeterminato e solo in pochi giorni della settimana. Non poteva, invero, trascurarsi la consi

derazione che il termine «retribuzione imponibile» stesse uni

vocamente ad indicare il compenso professionale dei prestatori autonomi.

Per concludere, la durata di un rapporto lavorativo nella ma

teria in esame non poteva essere intesa in senso stretto, ma in

senso limitato all'effettività delle prestazioni dedotte in con

tratto e definita dal supplementare richiamo all'unità temporale della giornata, anche perché si era in presenza dì un'ipotesi

qualificata da una messa a disposizione delle energie lavorative

non eccedente l'ambito delle singole, e ben specificate, presta zioni di spettacolo. Avverso tale sentenza l'Ente nazionale di

previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo

(Enpals) propone ricorso per cassazione, affidato ad un duplice motivo.

Resiste con controricorso Paretti Luciano, in proprio e quale

rappresentante legale della Dolce vita s.r.l. Ambedue le parti hanno depositato note difensive ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso

l'Enpals deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2, 5°

comma, d.p.r. 31 dicembre 1971 n. 1420 in relazione all'art. 12

delle disposizioni di legge in generale. In particolare sostiene il

ricorrente che nel caso di specie, nell'interpretazione dell'art. 2, 5° comma, d.p.r. 31 dicembre 1971 n. 1420, il criterio letterale è

stato violato del giudice d'appello allorquando ha ritenuto che

la durata del contratto legislativamente prevista non ha carattere

cogente. Per di più è stato omesso il rilievo che la norma è indi

rizzata a disciplinare contratti di durata, nel corso dei quali per

mangono gli obblighi contrattuali tra le parti. La fondatezza del

ricorso trovava, poi, conforto nella circostanza che il suddetto

d.p.r. n. 1420 del 1971 fa riferimento, ai fini dell'individuazione della retribuzione, ai riposi settimanali nonché alle festività na

zionali, cioè a istituti tipici del contratto di durata, nei quali la

retribuzione, seppure forfetaria, non può che riferirsi all'intero

periodo di impegno contrattuale.

L'assunto poi che l'obbligo contributivo fosse limitato ai soli

giorni in cui venivano di fatto effettuate le prestazioni, non ri

sultava in sintonia con le esigenze di protezione assicurativa di

categorie dei lavoratori dello spettacolo — dalla breve e di

scontinua vita lavorativa — alle quali occorreva fornire concrete

opportunità per il raggiungimento di una contribuzione suffi

ciente ad assicurare le prestazioni previdenziali. Con il secondo motivo l'Enpals lamenta un'erroneità della

motivazione dell'impugnata sentenza nella parte in cui ha dato

rilievo alle esigenze «notoriamente incostanti» delle aziende e

alla possibile natura autonoma delle prestazioni rese, trascuran

do così di considerare che l'intento del legislatore era quello di

assicurare una congrua contribuzione ad una particolare catego ria di lavoratori e che le prestazioni, pure se rese in stato di au

tonomia per un periodo di tempo, non configurano altro che un

contratto di durata con tutte le conseguenze scaturenti da tale

contratto anche in ordine al diritto alla retribuzione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato. La questione oggetto della presente controversia attiene al

l'interpretazione da dare al 5° comma dell'art. 2 d.p.r. 31 di

cembre 1971 n. 1420 (norme in materia di assicurazione obbli

gatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dal

l'Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori

dello spettacolo), che dispone testualmente: «La retribuzione

imponibile giornaliera nei confronti dei lavoratori appartenenti alle categorie indicate dal n. 1 al n. 14 dell'art. 3 d.leg.c.p.s. 16

luglio 1947 n. 708, nel testo modificato dalla 1. 29 novembre

1952 n. 2388, si ottiene dividendo il complesso dei compensi

corrisposti per il numero delle giornate di durata del contratto

escludendo i riposi settimanali nonché le festività nazionali go dute».

L'interpretazione della suddetta norma va condotta alla stre

gua dei principi fissati dall'art. 12 preleggi, secondo cui alla

«legge non può attribuirsi altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di

esse, e dall'intenzione del legislatore». È evidente, poi, che al

This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,

2867 PARTE PRIMA 2868

lorquando deve procedersi, come nel caso di specie, all'inter

pretazione di un singolo comma di una norma, un'opzione er

meneutica che, in un'ottica settoriale, trascuri di esaminare la

suddetta disposizione nell'ambito dell'intera legge di cui è par te, finisce per tradursi in una non puntuale lettura della stessa e,

contestualmente, finisce per tradirne anche la vera ratio.

Orbene, alla luce delle considerazioni ora svolte la sentenza

del Tribunale di Firenze non merita le censure che contro la

stessa sono state mosse in questa sede.

Va premesso che il d.p.r. n. 1420 del 1971 ha come destinata

ri i lavoratori dello spettacolo. Questi possono svolgere la loro

attività indifferentemente in maniera autonoma o subordinata e, se spiegano attività in questa seconda forma, il loro rapporto, ri

spetto ai comuni rapporti di lavoro subordinato, si presenta ca

ratterizzato per essere meno intenso il requisito della eterodire

zione, per avere sovente ad oggetto prestazioni part-time, di di

versa durata giornaliera e con differenziate cadenze temporali, ed altre volte del tutto saltuarie ed alternative, ricollegate in casi

non marginali anche alla contestuale presenza di più contratti

lavorativi in archi temporali, in tutto o in parte, coincidenti.

A questa specifica caratterizzazione risponde in particolare l'attività lavorativa dei «tersicorei, coristi, ballerine, figuranti, indossatori e tecnici addetti alle manifestazioni di moda». Tale

categoria di lavoratori dello spettacolo, entro la quale vanno

collocati anche le ballerine di night club e gli intrattenitori di

sale da ballo (cioè quei lavoratori in relazione alla cui contribu

zione si discute nel caso di specie), è destinataria — unitamente

alle altre categorie di lavoratori indicate dai nn. 1-14 dell'art. 3

d.leg. n. 708 — della previsione di cui al citato 5° comma del

l'art. 2 d.p.r. 1420/71.

Orbene, la lettura di quest'ultima disposizione non può pre scindere dagli indicati caratteri fattuali caratterizzanti il rap

porto di tali prestatori di lavoro e, seppure, con modalità non

sempre del tutto omogenee, quello degli altri prestatori che ope rano nel mondo dello spettacolo.

Siffatta peculiarità del rapporto ha indotto il legislatore, come

emerge dalla lettera dell'intero art. 2 d.p.r. n. 1420 del 1971, a

scegliere, in via preferenziale, un calcolo dei contributi assicu

rativi ancorato alle specifiche e peculiari modalità che nella

realtà fattuale accompagnano lo svolgimento delle singole pre stazioni oggetto del contratto di lavoro e ad abbandonare come

incongrui altri sistemi di computo incapaci, per la loro rigidità, di attestare la grande diversità di prestazioni riscontrabili nel

settore in esame.

A svelare una siffatta volontà legislativa contribuisce la lette

ra del citato art. 2 nella parte in cui fa sorgere l'obbligo del ver

samento dei contributi in relazione ad ogni «giornata di lavoro»

(1° comma), nonché nella parte in cui fissa il calcolo delle ali

quote contributive «sulla retribuzione giornaliera» (3° comma). In questo quadro normativo va esaminato, dunque, il disposto

del 5° comma della menzionata disposizione che, per i lavorato

ri di cui ai nn. 1-14 dell'art. 3 d.leg.c.p.s. n. 708 del 1947, detta

per la determinazione della «retribuzione imponibile giornalie ra» una regola che, in coerenza con lo spirito della generale normativa sull'assicurazione obbligatoria per i lavoratori dello

spettacolo, deve essere interpretata — come ritenuto nell'impu gnata sentenza — in un'ottica di valorizzazione del dato fattua

le, di cui costituisce corollario l'assunto che — con la pur non

chiara dizione «giornate di durata del contratto» — il legislatore abbia inteso fare riferimento alle «specifiche» modalità con cui

la «specifica» prestazione lavorativa è stata dedotta nel «singo lo» rapporto contrattuale.

Ciò trova conferma nel fatto che. ai fini della determinazione

del divisore, la legge precisa come non debba tenersi conto —

oltre che delle festività nazionali godute — anche di tutti quei

giorni della settimana che devono per il lavoratore considerarsi

di «riposo» per non avere spiegato in essi alcuna prestazione. Un ulteriore avallo alla correttezza di simile iter argomentati

vo viene dato dal 6° comma dell'art. 2 che, per alcune categorie di lavoratori indicate nel comma precedente (con prestazioni la vorative settimanali inferiori a sei giorni), prevede la possibilità che con decreto ministeriale venga stabilita «una durata conven zionale non superiore a sei giornate lavorative per ogni singola settimana».

Questa previsione, incentrata sulla discrezionalità della pub blica amministrazione, costituisce una indiscutibile conferma della tesi secondo cui la regola generale in materia di determi

II Foro Italiano — 2001.

nazione della contribuzione e di individuazione della retribuzio

ne imponibile imponga un riferimento costante — non a dati

convenzionali — ma alle concrete modalità di svolgimento delle

prestazioni senza tenere conto alcuno, quindi, della durata del

contratto, nel cui ambito temporale si svolgono le singole pre stazioni; durata — come è opportuno ribadire — che è destinata

ad assumere, in ragione della peculiarità delle suddette presta zioni, una mera portata formale di arco temporale volto a deli

mitare l'effettivo numero delle giornate lavorative prestate, non

potendo di contro operare come parametro e divisore al fine

della determinazione della retribuzione imponibile. Né per andare in contrario avviso vale addurre che la tesi

condivisa dalla sentenza impugnata porta a trascurare gli inte

ressi di una vasta categoria di lavoratori che, seguendo appunto la tesi patrocinata dal Tribunale di Firenze, si vedrebbero ingiu stamente penalizzati perché privati in ragione delle peculiari

prestazioni della loro attività — e contro l'intento legislativo —

di una congrua contribuzione ai fini assicurativi.

Ed invero, proprio la circostanza che i contributi vengono ad

essere versati solo sulle giornate di effettivo lavoro spiega le di

sposizioni dirette a garantire — alle categorie indicate dai nn. 1

14 dell'art. 3 d.leg.c.p.s. n. 708 del 1947 — benefici assicurativi

non certo trascurabili.

Per dette categorie — tra le quali rientrano anche i lavoratori

della Dolce vita s.r.l. sulla cui posizione assicurativa si discute — il 1° comma dell'art. 6 d.p.r. 1420/71 statuisce che i requisiti contributivi minimi richiesti per il conseguimento del diritto alla

pensione d'invalidità, di vecchiaia ed i superstiti nonché per la

prosecuzione volontaria sono ridotti (per la pensione di vec

chiaia devono risultare versati o accreditati almeno novecento

contributi giornalieri; per la pensione d'invalidità devono risul

tare versati o accreditati trecento contributi giornalieri dei quali sessanta nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda; per la pensione ai superstiti devono risultare

soddisfatte le condizioni di cui alla pensione di vecchiaia o a

quella d'invalidità; per la prosecuzione volontaria devono ri

sultare effettivamente versati almeno sessanta contributi giorna lieri nel quinquennio precedente la data di presentazione della

domanda). Ed ancora per le stesse categorie, il 2° comma del

l'art. 6 d.leg. 30 dicembre 1992 n. 503 (norme por il riordina

mento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 1. 23 ottobre 1992 n. 421) stabilisce che il re

quisito dell'annualità della retribuzione — da valere ai fini degli art. 6 e 9 d.p.r. 1420/71 — si considera soddisfatto con riferi

mento e centoventi contributi giornalieri. Orbene, le ora indicate disposizioni risulterebbero non age

volmente comprensibili per tradursi in un privilegio, privo di

adeguata ratio, per alcune categorie di lavoratori dello spetta colo se si reputasse, come sostiene l'Enpals, che i contributi

vanno computati non sulle sole giornate in cui viene prestato il

lavoro ma anche su altre giornate di non lavoro, cadenti tempo ralmente nell'ambito del contratto.

Questa corte non ignora che con sentenza n. 14761 del 2000

(in questo fascicolo, I, 2865) questa stessa sezione lavoro ha

statuito che il compenso complessivo percepito dal lavoratore

va diviso per il numero delle giornate di durata del contratto

collettivo e non già per il numero dei giorni lavorativi con e

sclusione dei soli giorni settimanali e delle festività godute. Le ragioni sopra esposte inducono, però, a preferire l'opposta

tesi che identifica il divisore nelle giornate di effettivo lavoro.

Né contro tale opinione vale obiettare — come è stato fatto

nella precedente decisione di questa corte — che nei contratti

artistici di durata gli artisti «lavorano» non solo nei giorni in cui

pongono in essere lo spettacolo «ma anche nei giorni in cui lo

progettano, lo preparano e lo provano» e che, conseguentemente «lavorano» per l'impresario per tutto il tempo della «durata» del

contratto, anche se ad un non attento osservatore appare solo il

risultato finale di tale lavoro, che costituisce solo «la punta (vi

sibile) di un iceberg (invisibile)». Un simile approccio alla problematica in oggetto presenta

l'inconveniente di non tenere nel dovuto conto l'estrema varietà che può assumere — anche in termini di autonomia o subordi nazione — il rapporto tra le parti del contratto di lavoro, pure in

ragione della molteplicità delle attività spiegate dalle categorie indicate dai nn. 1-14 dell'art. 3 d.leg.c.p.s. 708/47.

Varietà che — occorre ripeterlo —

spiega perché, ai fini assi curativi e previdenziali, il legislatore abbia inteso tener conto

This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

solo di quelle prestazioni che, per presentare caratteri di «spet tacolo», costituiscono l'oggetto tipico del contratto, capace in

quanto tale di soddisfare integralmente l'interesse del datore di

lavoro, e perché lo stesso legislatore abbia, di contro, voluto la

sciare al singolo lavoratore la capacità di gestire autonoma

mente ed in piena libertà la propria professionalità, che sovente

viene messa al servizio, nel medesimo periodo temporale, di più

imprenditori. Per concludere, la sentenza impugnata, per essere rispettosa

del dato normativo e per presentare, quindi, una motivazione del

tutto corretta sul piano logico-giuridico, si sottrae alle censure

mosse con i motivi di ricorso.

II

Svolgimento del giudizio. — Il Tribunale di Firenze, con

sentenza del 1° aprile 1998. ha rigettato l'appello proposto da

Bellandi Antonio nella qualità di legale rappresentante della Sir

J s.r.l., che gestisce un locale notturno, avverso la sentenza con

la quale il giudice di primo grado aveva ritenuto esatto il criterio

di computo della retribuzione imponibile ai fini contributivi

dell'Enpals in una fattispecie di lavoratori dello spettacolo au

tonomi, criterio secondo il quale il compenso complessivo dei

medesimi, anziché essere ragguagliato ai singoli giorni lavorati

per il periodo considerato, doveva essere diviso per il numero

delle giornate di durata del contratto, ivi compresi i giorni non

lavorati, con esclusione solo dei riposi settimanali e delle festi

vità nazionali godute. Il tribunale ha individuato la materia del contendere in questa

proposizione: poiché i contributi sono a percentuale, concen

trando il compenso complessivo su pochi giorni lavorativi ef

fettivamente lavorati, è sufficiente moltiplicare il monte com

pensi per la percentuale di legge per ottenere il debito contribu

tivo; viceversa, distribuendo il compenso complessivo su tutti i

giorni del periodo convenuto nel contratto di lavoro, a norma

dall'art. 2 d.p.r. 31 dicembre 1971 n. 1420, è possibile che il

compenso, in tal modo diluito, scenda al di sotto del minimo

contrattuale giornaliero, per cui in tal caso il datore di lavoro

deve integrare il versamento contributivo risultante dalla mera

applicazione della percentuale di legge al compenso complessi vo.

Ha ritenuto il tribunale che per i lavoratori dello spettacolo non sia lecita la distinzione tra lavoratori autonomi e lavoratori

subordinati; che anche per i lavoratori autonomi valga il con

cetto di retribuzione proprio dei lavoratori subordinati e che, ai

sensi dell'art. 1, 1° comma, d.l. 9 ottobre 1989 n. 338, conver

tito, con modificazioni, dalla 1. n. 383 del 1989, la retribuzione

da assumere come base per il calcolo dei contributi di previden za e assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle

retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi

stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base

nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali,

qualora comportino una retribuzione di importo superiore a

quello previsto dal contratto collettivo.

Avverso la sentenza, Bellandi Antonio, nella qualità, ha pro

posto ricorso per cassazione con tre motivi, poi illustrati con

memoria.

Resiste l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i la

voratori dello spettacolo con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente

deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2, 5° comma,

d.p.r. 31 dicembre 1971 n. 1420, dell'art. 3 d.leg.c.p.s. 16 luglio 1947 n. 708, e dell'art. 1 d.l. 9 ottobre 1989 n. 338, come sopra

convertito, sostenendo che non è stato lecito ad opera del tribu

nale ritenere che artisti ingaggiati con contratto di lavoro auto

nomo ed impegnati pochi giorni al mese abbiano diritto a con

tributi non solo per i giorni effettivamente lavorati, ma anche

per tutti gli altri giorni lavorativi, anche se non lavorati, cadenti

nel mese.

Sostiene in particolare il ricorrente che, pur avendo la previ denza dei lavoratori dello spettacolo caratteristiche tipiche, esse

non possono andare oltre l'obbligo di iscrivere all'ente tutti i

lavoratori dello spettacolo, subordinati o autonomi che siano,

sicché non è lecito trarre dalla normativa vigente un effetto ulte

riore, secondo il quale i lavoratori autonomi verrebbero assimi

lati a quelli subordinati quanto ai principi relativi all'obbligo

Il Foro Italiano — 2001.

contributivo, non essendo possibile, a parere del ricorrente, ipo tizzare una contaminazione ex lege delle due figure.

Sostiene ancora il ricorrente che non è lecita l'assimilazione

tra le due figure anche quando un minimo retributivo sia esi

stente, ma risulti che tale garanzia è stata pattuita non per retri

buire un obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione del da

tore di lavoro tra una prestazione e l'altra, ma ove il compenso sia un modo forfetario di retribuire un certo numero di servizi.

Il motivo è infondato.

Infatti esso non coglie nel segno e, perciò stesso, manca di

decisività, in quanto non censura affatto l'ipotesi di base dalla

quale è partito il tribunale per giungere alla conclusione sopra indicata.

Tale ipotesi è che i lavoratori dello spettacolo sono distinti in

tre gruppi e, cioè: 1) coloro che prestano a tempo determinato

attività artistica o tecnica, direttamente connessa con la produ zione e la realizzazione di spettacoli; 2) coloro che prestano a

tempo determinato l'attività al di fuori delle ipotesi di cui alla

ipotesi precedente; 3) coloro che prestano attività a tempo in

determinato.

Il tribunale ne ha tratto il convincimento che nel settore che

qui interessa non è possibile alcuna discriminazione tra lavora

tori autonomi e lavoratori subordinati, per cui le modalità di

calcolo della contribuzione e della previdenza dei lavoratori

dello spettacolo si applicano in uguale misura sia al lavoro su

bordinato sia al lavoro autonomo, tanto da poter denominare il

compenso del lavoro autonomo anche come retribuzione (anche

se, in realtà, la legge usa il termine «compenso» per indicare la

somma corrisposta al lavoratore autonomo ed il termine «retri

buzione» giornaliera per indicare il criterio di calcolo dei con

tributi). Questo è, pertanto, il motivo per il quale l'art. 1,1° comma,

d.l. n. 338 del 1989, convertito dalla 1. n. 389 del 1989, ha po tuto stabilire che la retribuzione da assumere come base per il

calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale non

può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da

leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle associazioni

sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da ac

cordi collettivi o contratti individuali, qualora comportino una

retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto

collettivo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizi di motiva

zione della sentenza su un punto decisivo della controversia, in

quanto la sentenza medesima non spiegherebbe perché ai lavo

ratori autonomi che prestano la loro attività per pochi giorni la

settimana si debba applicare ai fini previdenziali il contratto

collettivo per i lavoratori dipendenti a tempo pieno. Anche tale motivo è infondato per le ragioni sopra indicate,

che, come si è visto, consistono nel fatto che la normativa appli cabile alla fattispecie pone criteri distintivi tra lavoratori diversi

da quelli tradizionali che discriminano il lavoro subordinato da

quello autonomo.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente denuncia la violazio

ne e falsa applicazione dell'art. 5, 5° comma, d.l. n. 726 del

1984, convertito dalla 1. n. 863 del 1984, sostenendo in definiti

va che sarebbe irrazionale l'idea di prendere a base della contri

buzione non i giorni lavorati ma tutti quelli lavorativi cadenti

nella settimana.

Anche tale motivo è infondato, in quanto, a norma dell'art. 2

d.p.r. 31 dicembre 1971 n. 1420, come si è visto, il compenso

complessivo va diviso per il numero delle giornate di durata del

contratto e non già per il numero dei giorni lavorati, con esclu

sione solo dei giorni di riposo settimanale e delle festività na

zionali godute. D'altra parte osserva giustamente l'ente intimato che, qualora

il ricorrente non avesse voluto incorrere nell'obbligo di corri

spondere una tal misura di contribuzione, avrebbe dovuto assu

mere i lavoratori non con un contratto di durata ma a «presta

zioni», con la conseguente riduzione del carico contributivo.

Ma a questa deduzione dell'ente ne va aggiunta un'ulteriore,

che spiega la razionalità dell'interpretazione data alla legge dal

tribunale.

Infatti va considerato che in un contratto artistico di durata gli artisti non «lavorano» solo nei giorni in cui pongono in scena lo

spettacolo, ma anche nei giorni in cui lo progettano, lo prepara no e lo provano; lavorano, cioè, per l'impresario per tutto il

tempo della «durata» del contratto, anche se ad un'osservazione

This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: sezione lavoro; sentenza 24 marzo 2001, n. 4303; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Napoletano (concl. conf.); Enpals (Avv. Curti) c. Soc. Dolce vita e altro (Avv. Selvaggi, Pino,

PARTE PRIMA 2872

superficiale appare solo il risultato finale di tale lavoro, che, vi

ceversa, costituisce la punta (visibile) di un iceberg (invisibile).

Pertanto, solo se un artista viene «ingaggiato» a prestazione rileva solo lo spettacolo in sé e non anche tutto il lavoro che vi è

a monte.

Da ultimo va rilevato che nella discussione orale il ricorrente

ha proposto una generica eccezione d'illegittimità costituzionale

della normativa in esame ove essa dovesse essere interpretata nel senso esposto dal tribunale, ma l'eccezione appare manife

stamente infondata, in quanto non sono state indicate specifica tamente né le norme sospette d'incostituzionalità né le norme

costituzionali in ipotesi violate, ma è stato solo dedotto che

l'imprenditore dello spettacolo si troverebbe in una posizione deteriore rispetto agli altri imprenditori, perché, è parso di capi re, pagherebbe i contributi anche per i giorni dagli artisti non

lavorati; cosa, come si è visto, non rispondente a realtà per

quanto è stato detto circa i motivi della distribuzione della retri

buzione su tutti i giorni della durata del contratto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M. Maccarone (conci, conf.); Francia e altri (Avv. D'In

nocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto). Conferma App. Roma

28 aprile 1997.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione infortuni a fa

vore degli eredi legittimi — Designazione generica — Plu ralità di beneficiari — Ripartizione delle quote (Cod. civ., art. 582, 1412, 1920).

In un contratto di assicurazione contro gli infortuni la generica designazione degli eredi legittimi quali beneficiari dell'in

dennizzo in caso di morte dell'assicurato vale a conferire ai

designati un diritto autonomo proprio ai vantaggi dell'assi

curazione, sì che, in caso di mancata indicazione di un crite rio di riparto dell'indennizzo, questo va diviso tra i benefi ciari in parti uguali e senza tenere conto delle norme in mate ria di successione. (1)

(1) I. - La decisione tocca fondamentali principi in materia di assicu razione contro gli infortuni in favore di terzo e di criteri di ripartizione dell'indennizzo tra i designati. Invero, al termine di una complessa vi cenda processuale, i giudici di legittimità affermano che, in presenza di una polizza di assicurazione contro gli infortuni stipulata in favore de

gli eredi legittimi, a seguito della morte per infortunio dell'assicurato, gli eredi (nel caso di specie, la moglie, entrambi i genitori, un fratello ed una sorella) avranno diritto a dividersi l'indennizzo in parti uguali, in mancanza di una diversa ed espressa volontà dell'assicurato.

II. - Sembra utile a questo punto riassumere i termini della questione. Un tale in vita contrae una polizza infortuni e designa quali «beneficia ri», in caso di morte, gli eredi legittimi. Alla morte dell'assicurato però la moglie, giocando d'anticipo, dichiara alla compagnia di assicurazio ne di essere l'unica erede e si fa liquidare l'intero indennizzo senza

«spartirlo» con gli altri designati. I parenti esclusi, per recuperare le

quote «scippate», si rivolgono al Tribunale di Roma, che, accogliendo le richieste, condanna la moglie alla restituzione dell'indennizzo pro quota agli altri beneficiari, statuendo che l'indennizzo va diviso in parti uguali. La vedova, a suo dire privata di un legittimo diritto, propone appello alla sentenza e chiede che il riparto delle quote venga fatto nel

rispetto delle norme sulla successione legittima. La corte d'appello, con una decisione singolare nel quadro della giurisprudenza e della dottrina

(più avanti illustrate), accoglie l'appello (affermando che «la riparti zione dell'indennizzo tra gli eredi legittimi doveva avvenire secondo il

Il Foro Italiano — 2001.

Svolgimento del processo. — Con ricorso al presidente del

Tribunale di Roma in data 2 luglio 1984 D'Arienzo Antonietta e

Francia Vittorio, Stefano e Fabiola, i primi due nella qualità di

genitori, il terzo e la quarta nella qualità di fratelli di Francia

Massimo, esponevano che quest'ultimo era deceduto I'll giu

gno 1988, lasciando eredi la moglie, Vignaroli Nadia, e loro

stessi; che il defunto, dipendente della Agip Petroli, era titolare

di una polizza assicurativa per infortuni, a tenore dell'art. 14

della quale, in caso di morte dell'assicurato, la somma assicu

rata, in mancanza di beneficiari designati, doveva essere liqui

criterio stabilito dall'art. 582 c.c., anche perché un diverso criterio di

ripartizione avrebbe dovuto essere espressamente previsto dalla clau sola . . ., la quale invece, sul punto specifico, nulla disponeva»), e con danna la moglie a restituire il terzo dell'indennizzo totale. Puntuali, i

parenti e la moglie impugnano la sentenza, ognuno ha qualcosa di cui

«lagnarsi»: gli uni di essere stati reintegrati nel loro diritto solo in parte e l'altra di non dover restituire alcunché. La Cassazione, con sentenza 10 novembre 1994, n. 9388, Foro it., Rep. 1995, voce Assicurazione

(contratto), n. 117, e Giust. civ., 1995, I, 949, nel tentativo di dirimere una controversia che, a dispetto di ogni pronostico, è destinata ad avere un seguito, cassa la decisione del giudice di appello e rinvia ad altro

giudice, al quale detta il principio di diritto seguente: «Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore del terzo, cui si applica la di

sciplina dell'assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell'art.

1920, 3° comma, c.c. (secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione) deve essere interpretato nel senso che il diritto del beneficiario alla presta zione dell'assicuratore trova fondamento nel contratto ed è autonomo, cioè non derivato da quello del contraente; pertanto, quando in un con tratto di assicurazione contro gli infortuni, compreso l'evento morte, sia stato previsto, fin dall'origine, che l'indennità venga liquidata ai beneficiari designati o, in difetto, agli eredi, tale clausola va intesa nel senso che il meccanismo sussidiario di designazione del beneficiario è idoneo a far acquistare agli eredi i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, 2° e 3° comma, c.c.); mentre l'individuazione dei beneficiari-eredi va effettuata attraverso l'accertamento della qua lità di erede secondo i modi tipici di delazione dell'eredità (testamenta ria o legittima: art. 475, 1° comma, e 565 c.c.) e le quote tra gli eredi, in mancanza di uno specifico criterio di ripartizione, devono presumersi uguali, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto e non ap plicandosi, quindi, la disciplina codicistica in materia di successione con le relative quote (nella specie, trattavasi di successione legittima del coniuge con i genitori ed i fratelli del de cuius)».

La corte basa la sua decisione su quattro punti cardinali: 1) gli eredi «. . . in quanto originariamente designati (sia pure in modo generico . . .), [diventano] titolari, alla morte del contraente, di un 'proprio' di ritto all'indennizzo (art. 1920, 3° comma, c.c.) .. .»; 2) «la fonte rego latrice della controversia non può essere costituita che dal contratto sti

pulato in loro favore»; 3) «... in siffatti contratti, ... la generica espressione 'eredi', utilizzata per designare i beneficiari, . .. serve . . . unicamente ad individuare le persone dei beneficiari ... [e] non può assolutamente intendersi come una sorta di 'rinvio materiale' alla di

sciplina codicistica in materia di successione (testamentaria o legitti ma)»; 4) «se, dunque, la fonte regolatrice della controversia è costituita esclusivamente dal contratto, ne consegue che, ove questo preveda una

pluralità di beneficiari rispetto all'indennità dovuta dall'assicuratore

per il caso di morte dello stipulante e non prefiguri uno specifico crite rio di ripartizione delle quote tra i beneficiari medesimi, le quote stesse devono presumersi uguali».

III. - Nonostante che il giudice di rinvio si sia adeguato ai principi di diritto espressi dalla Cassazione, le parti trovano il coraggio e la forza di ricorrere anche avverso la decisione della corte di rinvio per conte stare (in modo assai irrituale) il criterio di ripartizione dell'indennizzo, la misura ed il calcolo degli interessi ed altro ancora.

L'occasione è colta dai giudici di legittimità per ribadire la prece dente decisione 9388/94 ed affermare i seguenti principi:

1) all'assicurazione contro gli infortuni a favore di terzo si applica la

disciplina dettata dalla legge in materia di assicurazione sulla vita a fa vore di terzi;

2) la designazione generica agli «eredi» è ammessa; 3) il diritto del beneficiario all'indennizzo è un diritto autonomo ed

estraneo al diritto successorio;

4) la mancata previsione di un criterio di riparto dell'indennizzo

comporta la sua ripartizione in parti uguali tra tutti i beneficiari. In merito al primo punto, la Cassazione si uniforma ad una giuris

prudenza, costante sull'argomento, che tende ad applicare l'art. 1920 c.c., dettato in materia di assicurazione sulla vita, anche all'assicura zione contro gli infortuni. In tal senso, Cass. 23 aprile 1992, n. 4912, Foro it.. Rep. 1993, voce Successione ereditaria, n. 48, e Giur. it., 1993,1, 1, 378; 28 luglio 1980, n. 4851, Foro it., Rep. 1980, voce Assi curazione (contratto) n. 297; Trib. Lamezia Terme 24 luglio 1978, id., 1979, I, 528; Cass. 4 aprile 1975, n. 1205, id.. Rep. 1975, voce cit., n.

This content downloaded from 185.44.78.156 on Tue, 24 Jun 2014 23:33:47 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended