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sezione lavoro; sentenza 25 maggio 2006, n. 12445; Pres. Ciciretti, Est. De Luca, P.M. Matera...

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sezione lavoro; sentenza 25 maggio 2006, n. 12445; Pres. Ciciretti, Est. De Luca, P.M. Matera (concl. conf.); Mastroianni (Avv. Brognieri) c. Associazione nazionale mutilati ed invalidi del lavoro (Avv. Martorano). Cassa Trib. Potenza 29 aprile 2003 Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 10 (OTTOBRE 2006), pp. 2737/2738-2745/2746 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23202026 . Accessed: 25/06/2014 07:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.51 on Wed, 25 Jun 2014 07:47:53 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 25 maggio 2006, n. 12445; Pres. Ciciretti, Est. De Luca, P.M. Matera(concl. conf.); Mastroianni (Avv. Brognieri) c. Associazione nazionale mutilati ed invalidi dellavoro (Avv. Martorano). Cassa Trib. Potenza 29 aprile 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 10 (OTTOBRE 2006), pp. 2737/2738-2745/2746Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23202026 .

Accessed: 25/06/2014 07:47

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nello sforzo), altre sono di carattere diffusivo, ambientale (ad

es., energia elettrica, nucleare, termica, sostanze tossiche). Un agente lesivo, presente nell'ambiente di lavoro in modo

esclusivo o in misura significativamente superiore che nell'am

biente esterno, il quale produca un abbassamento delle difese

immunitarie, rientra nella nozione attuale di causa violenta. Dal

suo meccanismo d'azione, se rapido e concentrato, oppure len

to, deriva poi la collocazione dell'evento tra gli infortuni sul la

voro o le malattie professionali. Nel caso in esame il fattore causale è stato individuato dal

c.t.u., e fatto proprio dal giudice d'appello, nell'azione di alcune

proteine della carne, non identificate, le quali importano la di

strazione delle difese immunologiche della cute, provocano l'abbassamento della soglia di controllo dell'organismo, con

conseguente esplosione della virulenza del virus già di per sé

presente, allo stato latente, in molti organismi umani. Tale fatto

re detiene quel carattere di alterità ed esteriorità richiesto dalla

nozione originaria di causa violenta. L'unica particolarità, che il

giudice del merito ha ritenuto ostativa, è che non importa pene trazione del virus dall'esterno nell'organismo umano, ma ciò

non esclude che il fattore causale possa appartenere all'am

biente di lavoro, il che è sufficiente ad integrare quella che, con

fedeltà lessicale, continua ad essere denominata causa violenta.

Il terzo carattere, quello dell'efficienza causale, si risolve nel

generale problema del nesso causale, di cui infra. 3. - La nozione attuale di nesso causale. Anche il nesso cau

sale è un fatto, che deve essere provato dal lavoratore ricorrente, ma esso è un fatto sui generis, da qualificare come tale ai fini

del principio decisorio dell'onere della prova, ma non quanto a

disponibilità e qualità dei mezzi istruttori per il suo accerta

mento. Il suo accertamento non può essere affidato alle opinioni

soggettive, e perciò inammissibili, dei testi, né ad un certificato

di parte; esso ha una preminente componente valutativa che ri

chiede necessariamente l'intervento di un ausiliare del giudice, munito di professionalità medico-legale.

Nella valutazione della pregnanza della prova la giurispru denza di legittimità è passata da un giudizio di certezza, ad uno

di probabilità, desunta anche dalla compatibilità. Va sicuramente esclusa la mera possibilità.

Questa corte ha affermato che la prova deve avere un grado di

ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della

mera possibilità dell'eziopatogenesi professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di pro babilità, per accertare il quale il giudice deve non solo consenti

re all'assicurato di esperire i mezzi di prova ammissibili e ri

tualmente dedotti, ma deve altresì valutare le conclusioni pro babilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, fa

cendo ricorso anche ad ogni utile iniziativa ex officio diretta ad

acquisire ulteriori elementi, in relazione all'entità ed alla espo sizione del lavoratore ai fattori di rischio (Cass. 20 maggio 2000, n. 6592, id., Rep. 2001, voce Lavoro e previdenza (con

troversie), n. 238; 8 luglio 1994, n. 6434, id., Rep. 1995, voce

Infortuni sul lavoro, n. 105; 23 aprile 1997, n. 3523, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 138; 7 aprile 1998, n. 3602, ibid., n. 132; 11

giugno 2004, n. 11128, id., Rep. 2005, voce cit., n. 91). Il c.t.u. può giungere al giudizio di ragionevole probabilità

anche in base alla compatibilità della malattia non tabellata con

la noxa professionale, desunta dalla tipologia delle lavorazioni

svolte, dalla natura dei macchinari presenti sul luogo di lavoro,

della durata della prestazione lavorativa, e per l'esclusione di

altri fattori extra-professionali (Cass. 13 aprile 2002, n. 5352,

id., Rep. 2002, voce cit., n. 100; 21 febbraio 2003, n. 2716, id.,

Rep. 2003, voce cit., n. 96; 24 marzo 2003, n. 4292, ibid., n.

95). Così, ad es., per le malattie microbiche, è sufficiente che l'in

fezione virale sia plausibile con l'ambiente lavorativo, senza

necessità di prova del preciso momento di penetrazione dell'a

gente infettivo (Cass. 13 marzo 1992, n. 3090, id., Rep. 1992, voce cit., n. 72, e 8 aprile 2004, n. 6899, id., Rep. 2005, voce

cit., n. 70). Si possono a tale scopo utilizzare congiuntamente anche dati

epidemiologici (Cass. 24 luglio 1991, n. 8310, id., Rep. 1992, voce cit., n. 120; sez. un. 4 giugno 1992, n. 6846, ibid., n. 103; 27 giugno 1998, n. 6388, id., Rep. 1998, voce cit., n. 130; 29 settembre 2000, n. 12909, id., Rep. 2000, voce cit., n. 115), per

suffragare una qualificata probabilità (Cass. 5638/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 102; 3 aprile 1990, n. 2684, id., Rep. 1990, voce cit., n. 106).

Il Foro Italiano — 2006.

La mancata utilizzazione di tale criterio epidemiologico da

parte del giudice del merito, nonostante la richiesta della difesa

corroborata da precise deduzioni del consulente tecnico di parte,

può essere denunciata per cassazione (Cass. 27 aprile 2004, n.

8073, id., Rep. 2005, voce cit., n. 96). La riassunta posizione della giurisprudenza di questa corte ha

ricevuto riscontro e avallo scientifici dalla commissione medica

nominata ai sensi dell'art. 10, 4° comma, d.leg. 23 febbraio

2000 n. 38, i cui lavori sono stati recepiti nel d.m. 27 aprile 2004, secondo cui per le malattie professionali non si può più

parlare di certezza dell'origine lavorativa, ma solo di grado di

probabilità, a causa del cambiamento delle esposizioni lavorati

ve e per le interazioni tra causa morbigena e suscettibilità indi

viduale.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, e la causa rimessa al giudice del rinvio, che si designa nella

Corte d'appello di Bologna, la quale deciderà la causa attenen

dosi ai due seguenti principi di diritto: «La nozione attuale di causa violenta comprende qualsiasi

fattore presente nell'ambiente di lavoro, in maniera esclusiva o

in misura significativamente diversa che nell'ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel

primo caso) un infortunio sul lavoro, o (nel secondo) una ma

lattia professionale». «La prova del nesso causale deve avere un grado di ragione

vole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera pos sibilità dell'eziopatogenesi professionale, questa può essere in

vece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità,

per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni

probabilistiche del consulente, desunte anche da dati epidemio

logici».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 25 mag

gio 2006, n. 12445; Pres. Ciciretti, Est. De Luca, P.M. Ma

tera (conci, conf.); Mastroianni (Avv. Brognieri) c. Asso

ciazione nazionale mutilati ed invalidi del lavoro (Avv. Mar

torano). Cassa Trib. Potenza 29 aprile 2003.

Lavoro (rapporto di) — «Mobbing» —

Responsabilità del

datore di lavoro — Prova liberatoria — Insufficienza —

Fattispecie (Cod. civ., art. 1218, 1228, 2087, 2697).

Posta la natura contrattuale della responsabilità da mobbing, non assolve l'onere della prova liberatoria il datore di lavoro

che si limiti ad allegare di aver deferito al collegio dei probi viri l'autore dei fatti mobbizzanti. (1)

( 1 ) I. - La Cassazione delinea un ulteriore tassello della disciplina del

mobbing. Il caso esaminato è un'ipotesi classica di mobbing, consistito nelle

vessazioni compiute nei confronti di una lavoratrice dal presidente del l'associazione datrice di lavoro. Expressis verbis la sentenza in epigrafe riconduce nell'ambito applicativo dell'art. 2087 c.c. l'obbligo del dato

re di prevenire le condotte mobbizzanti del proprio dipendente (anche se, paradossalmente, nel caso in esame, la condotta era stata compiuta

proprio dal presidente dell'associazione) e, in applicazione delle regole che presidiano la responsabilità contrattuale, reputa insufficiente a sod

disfare la prova liberatoria incombente sull'obbligato il mero deferi

mento al collegio dei probiviri dell'autore della condotta vessatoria.

Il principio è accennato anche in Cass. 23 marzo 2005, n. 6326, Foro

it., 2005, I, 3356, con nota di A.M. Perrino, Danno da «mobbing»:

perplessità sulla categoria, che ha riconosciuto il danno da mobbing derivante dalla condotta di colleghi del danneggiato tollerata dal datore

di lavoro. Finanche la prima sentenza di legittimità che, sia pure di

sfuggita, ha menzionato il mobbing, reputava che le molestie sessuali

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2739 PARTE PRIMA 2740

Svolgimento del processo. — Con la sentenza ora denunciata, il Tribunale di Potenza confermava la sentenza del pretore della

stessa sede, che — pronunciando sulla domanda proposta da

Maria Mastroianni contro l'Associazione nazionale mutilati ed

invalidi del lavoro (Anmil), sezione provinciale di Potenza, della quale era stata dipendente fino alle proprie dimissioni per

giusta causa, e diretta ad ottenere il risarcimento dei danni (pa trimoniali, psicologici e morali) subiti in dipendenza del «com

portamento vessatorio tenuto nei suoi confronti dal presidente dell'associazione, Picaroni Antonio» — aveva, bensì, ricono

sciuto il diritto della lavoratrice all'indennità sostitutiva del pre avviso, in dipendenza delle dimissioni per giusta causa, mentre

commesse dal datore di lavoro o dai suoi stretti collaboratori nei con fronti di lavoratrici gerarchicamente subordinate fossero condotte ido nee a ledere la personalità morale e l'integrità psico-fisica delle lavora trici: Cass 8 gennaio 2000, n. 143, id., 2000, I, 1554, con nota di A.M.

Perrino, e commento di L. de Anqelis, Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore.

In tema di mobbing, v. Corte cost. 22 giugno 2006, n. 238, in questo fascicolo, I, 2593.

Su mobbing e danno esistenziale, Trib. Forlì 28 gennaio 2005, Lavo ro giur., 2006, 370, con nota di R. Nunin, nonché, in dottrina, C. Sorgi, Le violazioni dei diritti dei lavoratori, in P. Cendon-A. Baldassari, Il danno alla persona, Bologna, 2006, 111; AA.VV., «Mobbing» e rap porto di lavoro, in 1 saggi di Notiziario giur. lav., 2006, 8.

La definizione del mobbing accolta dalla giurisprudenza si rinviene anche nella decisione dell'Ufficio di presidenza della camera dei de

putati, sezione giurisdizionale del 21 dicembre 2005, Lavoro giur., 2006, 685, con nota di F.M. Gallo.

II. - Lo strumento che consente di ricondurre nell'ambito della re

sponsabilità datoriale per inadempimento dell'obbligazione ex art. 2087 c.c. le condotte mobbizzanti compiute dai dipendenti è l'art. 1228 c.c., dettato in tema di responsabilità per fatto degli ausiliari.

Sull'applicazione dell'art. 1228 all'ente ospedaliero, v., da ultimo, Cass. 28 maggio 2004, n. 10297, Foro it., 2005, I, 2479, con nota di ri chiami, cui adde, in dottrina, G. Ceccherini, Responsabilità per fatto degli ausiliari - Clausole di esonero da responsabilità, Milano, 2003.

III. - Il mobbing è, dunque, occasione di aggiornamento delle catego rie della responsabilità contrattuale e di quella extracontrattuale: erano sinora ricorrenti in astratto l'affermazione secondo cui il datore di lavo ro risponde delle condotte illecite dei propri dipendenti (in genere, delle molestie sessuali) per il tramite dell'art. 2049 c.c. e, in concreto, l'e sclusione della responsabilità in base all'argomento che tali condotte si collocano nella sfera personale e privata del loro autore: Trib. Venezia 15 gennaio 2002, Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1168

(e Foro pad., 2002, I, 404); Pret. Modena 29 luglio 1998, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 1739 (e Lavoro giur., 1999, 559, con nota di A. La

notte), e, con qualche distinzione, in termini con la Cassazione in epi grafe, v. Trib. Milano 9 maggio 1998, Foro it.. Rep. 1998, voce cit., n. 1321 (e Orient, giur. lav., 1998,1, 345).

In ipotesi di atti di libidine violenti e di violenza carnale commessi in danno di una lavoratrice dal superiore diretto, peraltro, ravvisa la re

sponsabilità datoriale ex art. 2049 c.c., facendo leva sul nesso di occa sionalità necessaria col rapporto di lavoro, Trib. Milano 9 maggio 2003, Foro it.. Rep. 2003, voce cit., n. 1377 (e Riv. critica dir. lav., 2003, 649).

Per l'affermazione della responsabilità concorrente ex art. 2087 e 2049 c.c., v. Tar Lazio, sez. Ili, 25 giugno 2004, n. 6254, Foro it., Rep. 2004, voce cit., n. 1190 (e Trib. amm. reg., 2004,1, 1639); Pret. Milano 31 gennaio 1997, Foro it., Rep. 1998, voce Responsabilità civile, n. 208 (e Riv. critica dir. lav., 1997, 619).

Qualificano, invece, la condotta di mobbing come inadempimento dell'obbligazione contrattuale contemplata dall'art. 2087 c.c., Cass. 6 marzo 2006, n. 4774, Foro it., 2006, I, 1344, con nota di richiami, cui adde, per la giurisprudenza di merito, Trib. Campobasso 16 gennaio 2004, id., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1195 (e Riv. critica dir. lav., 2004, 107); Trib. Tempio Pausania 10 luglio 2003, Foro it., Rep. 2004, voce cit., n. 1196 (e Riv. it. dir. lav., 2004, II, 304).

Da ultimo, sulla responsabilità ex art. 2049 c.c. della banca per il

comportamento illecito di un suo funzionario, v. Cass. 16 maggio 2006, n. 11375, Foro it., 2006,1, 2014.

In dottrina, G. Leotta, Sulla responsabilità del datore di lavoro ex art. 2049 c.c. (nota a Trib. Roma 12 ottobre 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 879), in Riv. giur. lav., 2001, II, 399; A.V. D'Oronzo, Sulla responsabilità del datore di lavoro ex art. 2049 c.c. (nota a Cass. 13 novembre 2001, n. 14096, Foro it.. Rep. 2002, voce Responsabilità civile, n. 265), Giusi, civ., 2002,1, 2204.

IV. - L'evoluzione della giurisprudenza risente della labilità della li nea di confine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

La distinzione si fonda non già sulla natura dell'interesse leso, ma sull'esistenza o sull'inesistenza di un programma specifico di com

portamento: la responsabilità aquiliana presidia lo status quo ante

Il Foro Italiano — 2006.

aveva rigettato le altre domande — dirette ad ottenere il risar

cimento dei danni — essenzialmente, in base ai rilievi seguenti: — la violazione della disposizione

— correttamente invocata

dalla lavoratrice, in quanto idonea a tutelare la propria persona lità morale ed integrità psico-fisica (art. 2087 c.c.) — è fonte di

responsabilità contrattuale, in relazione alla quale la prova libe

ratoria, a carico del datore di lavoro, risulta particolarmente ri

gorosa, dovendo dimostrare di «avere fatto tutto il possibile per evitare l'evento dannoso»;

— ora «i fatti mobbizzanti, posti in essere dal Picaroni, hanno

prodotto (alla lavoratrice) delle rilevanti conseguenze sul piano morale e psico-fisico»;

l'illecito, ripristinandolo con l'eliminazione dei danni ex art. 2049

c.c., là dove la responsabilità contrattuale tutela le aspettative per l'adempimento.

Sulla risarcibilità dei danni non patrimoniali anche in ipotesi di re

sponsabilità contrattuale, v., da ultimo, Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, Foro it., 2006,1, 1344.

Su questi temi, in dottrina, oltre ai richiami contenuti nella nota che correda Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, cit., v. F. Giardina,

Responsabilità aquiliana e da inadempimento: un tema che non ha solo il fascino della tradizione, in Danno e resp., 1997, 538; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 647.

V. - L'ampliamento dell'ambito applicativo dell'art. 2087 c.c., comunemente ritenuto norma di chiusura della normativa sulla sicu rezza del lavoratore, è coerente con l'approccio rigoroso della giuris prudenza.

Per l'affermazione che la condotta del lavoratore è idonea ad esclu dere il rapporto causale fra inadempimento ed evento soltanto se auto sufficiente a determinare l'evento, ossia quando abbia carattere abnor

me, v. Cass. 19 agosto 2004, n. 16253, Foro it.. Rep. 2004, voce In

fortuni sul lavoro, n. 148; 28 luglio 2004, n. 14270, ibid., voce Lavoro

(rapporto), n. 1410; 17 aprile 2004, n. 7328, id.. Rep. 2005, voce cit., n.

1416; 24 marzo 2004, n. 5920, ibid., voce Infortuni sul lavoro, n. 173; 27 febbraio 2004, n. 4075, id., Rep. 2004, voce cit., n. 243; 1° ottobre 2003, n. 14645, ibid., n. 94 (e Orientamenti giur. lav., 2003, I, 85); Trib. Vicenza 3 giugno 2004, Foro it.. Rep. 2004, voce Lavoro (rap porto), n. 1428. Esclude la responsabilità datoriale in ipotesi di rischio elettivo del lavoratore, Trib. Milano 14 marzo 2003, id., Rep. 2003, vo ce cit., n. 1378 (e Riv. critica dir. lav., 2003, 674).

VI. - Reputa che le esigenze di sicurezza vadano anteposte al profit to, Cass. 30 agosto 2004, n. 17314, Foro it., Rep. 2004, voce cit., n. 1408.

VII. - Sul contenuto dell'onere della prova rispettivamente incom bente sul lavoratore danneggiato e sul datore di lavoro obbligato ex art. 2087 c.c., v. Cass. 23 luglio 2004, n. 13887, id., Rep. 2005, voce cit., n.

1174; 26 giugno 2004, n. 11932, ibid., n. 1177; 2 settembre 2003, n. 12789, id., Rep. 2003, voce cit., n. 1350; 25 agosto 2003, n. 12467, ibid., n. 1351: 20 agosto 2003, n. 12253, ibid., n. 1352; 3 luglio 2003, n. 10548, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1421 (e Orientamenti giur. lav., 2003,1, 563); 20 giugno 2003, n. 9909, Foro it.. Rep. 2003, voce cit., n.

1356; 26 ottobre 2002, n. 15133, id., 2003, I, 505, e, quanto alla giuris prudenza di merito, Trib. Lucerà 19 gennaio 2006, Lavoro giur., 2006, 557, con nota di M. Dibitonto.

Vili. - Sulla ingiustificatezza del licenziamento irrogato al lavoratore che si rifiuti di svolgere prestazioni la cui esecuzione possa arrecare

pregiudizio alla salute, v. Cass. 9 maggio 2005, n. 9576, Foro it.. Rep. 2005, voce cit., n. 1168.

Sulla sussistenza della giusta causa di dimissioni in ipotesi di man cata adozione delle misure necessarie a garantire l'integrità psico-fisica del lavoratore, v. Trib. Firenze 21 ottobre 2002, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 1471.

IX. - Sui presupposti della responsabilità per omicidio colposo in ca so di subappalto, v. Cass. 23 aprile 2001, Andreini, id., 2003, II, 22.

Sull'obbligo datoriale di accertare i rischi conseguenti all'affida mento di lavori a soggetti terzi, v. Cass. 5 dicembre 2003, n. 18603, id., Rep. 2004, voce cit., n. 1418 (e Notiziario giurisprudenza lav., 2004, 496).

X. - In dottrina, G. De Fazio, Art. 2087 c.c.: obblighi di protezione e

responsabilità d'impresa (nota a Cass. 20 aprile 1998, n. 4012, Foro it., 1999, I, 969), in Resp. civ., 1999, 449; L. Forte, Gli obblighi del datore di lavoro in materia di sicurezza dell'ambiente di lavoro (nota a Cass. 2 ottobre 1998, n. 9805, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 1365), in Riv. giur. lav., 1999, II, 642; A. Rocchi, Responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. e onere probatorio in caso di infortunio (nota a Cass. 6 luglio 2002, n. 9856, Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 1085), in Giur. it., 2003, 1603; G. Gaeta, Le duttilità applicative dell'art. 2087 c.c. (nota a Cass. 22 marzo 2002, n. 4129, Foro it.. Rep. 2002, voce cit., n. 1090), in Riv. giur. lav., 2003, II, 323; D. Moraggi, La respon sabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso al dipendente (nota a Cass. 5 marzo 2002, n. 3162, Foro it.. Rep. 2002, voce cit., n. 1092), in Informazione prev., 2003, 505. [A.M. Perrino]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

— tuttavia, «come congruamente argomentato dal giudice di

prime cure, detti fatti sono ascrivibili alla persona fisica (Pica roni), dimodoché non è ravvisabile in capo all'associazione una

diretta ed immediata responsabilità»; — infatti non è possibile «colpevolizzare» l'associazione —

in base al criterio che il datore di lavoro «è tenuto a predisporre tutti i mezzi e ad adottare tutte le cautele richieste in generale dalla norma e da identificarsi in concreto, caso per caso, in base

al criterio della diligenza, prudenza e perizia» — in quanto gli

interventi della sede centrale dell'associazione — che (previa audizione della lavoratrice alle date del 22 febbraio, 7 e 23

maggio 1990) ha deferito il Picaroni al collegio dei probiviri — sono «da considerarsi tempestivi e, soprattutto, esaustivi degli obblighi contrattuali e dei doveri giuridici posti a carico del da

tore di lavoro a tutela del lavoratore» (infatti non risulta provato che la lavoratrice abbia informato, sin dal settembre 1989, la se de centrale dell'associazione, nel difetto di qualsiasi timbro od

altro elemento atto a dimostrare la data di spedizione del docu

mento prodotto con l'indicazione «missiva della Mastroianni

del settembre 1989»), Avverso la sentenza d'appello, Maria Mastroianni propone

ricorso per cassazione, affidato a due motivi ed illustrato da

memoria.

L'intimata Associazione nazionale mutilati ed invalidi del la

voro (Anmil), sezione provinciale di Potenza, resiste con con

troricorso.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso — denunciando violazione e falsa applicazione di norme di di

ritto (art. 1228, 2087, 2104, 2° comma, 2118, 2119, 2909 c.c., 2,

15, 32, 35 Cost., 4, 9 1. 20 maggio 1970 n. 300), nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)

— Maria Mastroianni

censura la sentenza impugnata —

per averle negato il risarci

mento dei danni subiti, in dipendenza delle vessazioni del presi dente dell'associazione dalla quale dipendeva (Associazione na

zionale mutilati ed invalidi del lavoro — Anmil, sezione pro vinciale di Potenza) — sebbene inducessero ad opposta decisio

ne, tra l'altro, le circostanze e le considerazioni seguenti: — il riconoscimento della natura contrattuale della dedotta

responsabilità (per violazione dell'art. 2087) e del nesso di cau

salità — tra il comportamento del presidente dell'associazione

ed i danni (alla personalità morale ed all'integrità fisio-psichica) — nonché l'assenza della prova liberatoria — a carico del dato

re di lavoro — di avere adempiuto i propri obblighi di tutela

(della personalità morale, appunto e della integrità fisio-psichica) del lavoratore, non potendosi considerare tali eventuali provve dimenti di repressione dei comportamenti illeciti dell'autore

delle vessazioni; —

comunque la responsabilità per fatto del terzo (art. 1228

c.c.) è «una forma di responsabilità obiettiva, indipendente, cioè, dalla colpa del soggetto responsabile»;

— peraltro la colpa del datore di lavoro risulta accertata —

con autorità di giudicato — dalla sentenza di primo grado, lad

dove riconosce il diritto dell'attuale ricorrente all'indennità so

stitutivo del preavviso — che suppone, appunto, la colpa del

datore di lavoro — in dipendenza delle dimissioni per giusta causa.

Con il secondo motivo — denunciando violazione e falsa ap

plicazione di norme di diritto (art. 2087, 2697 c.c.), nonché vi

zio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) — la ricorrente

censura la sentenza impugnata —

per averle negato il risarci

mento dei danni subiti, in dipendenza delle vessazioni del presi dente dell'associazione dalla quale dipendeva (Associazione na

zionale mutilati ed invalidi del lavoro — Anmil, sezione pro vinciale di Potenza) —- sebbene sia «pacifico che nessun con

trollo sia stato posto in essere» dall'associazione, che — inter

venuta a seguito di segnalazione della stessa lavoratrice — si è

limitata al deferimento del responsabile delle vessazioni al col

legio dei probiviri, mentre non ne risulta neanche la sospensio ne.

Il ricorso è fondato.

2. - Invero il diritto al risarcimento è subordinato alla sussi

stenza dei presupposti rispettivi — almeno in parte diversi —

della responsabilità civile, contrattuale oppure extra contrattuale

(v., per tutte, Cass. 16250/03, Foro it., Rep. 2003, voce Infortu ni sul lavoro, n. 126; 2357/03, ibid., n. 128; 15133/02, id., 2003, I, 505; 1114/02, id.. Rep. 2003, voce Assicurazione (contratto), n. 99).

Il Foro Italiano — 2006.

Infatti la colpa risulta, bensì, essenziale per qualsiasi tipo di

responsabilità civile, ma — solo per quella contrattuale — vige

il regime particolare (previsto dall'art. 1218 c.c.) per la riparti zione dell'onere probatorio (v., per tutte, Cass. 16250/03, cit.; 15133/02, cit.; 12763/98, id., Rep. 1998, voce Lavoro (rappor to), n. 1290).

Ne risulta, infatti, stabilita — in deroga ai principi generali nella stessa materia (di cui all'art. 2697 c.c.), applicabili invece

ad ogni altro tipo di responsabilità — la presunzione legale di

colpa, appunto, a carico del (debitore inadempiente) responsa bile del danno da risarcire (v., per tutte, Cass. 16250/03, cit.;

2357/03, cit.; 15133, cit.; 3162/02, id., Rep. 2002, voce cit., n. 1092; 602/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1362; 9247/98, id., 1999, I, 1530; 7792/98, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1445; 4078/95, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1072).

Di conseguenza, risulta dispensato — dall'onere probatorio

relativo — proprio il creditore danneggiato, che — in quanto

agisce per il risarcimento — ne sarebbe gravato in base ai prin

cipi generali in materia (di cui all'art. 2697 c.c.). 3. - Ora ha natura contrattuale — ad avviso della giurispru

denza di questa corte (vedine, per tutte, le sentenze 15133/02, cit.; 9385/01, id.. Rep. 2002, voce Impiegato dello Stato, n. 525;

291/SU/99, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 1527, delle sezioni unite; e 16250/03, cit.; 2357/03, cit.; 4129/02, id., Rep. 2002, voce Lavoro (rapporto), n. 1090; 3162/02, cit.; 14469/00, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 1351; 5491/00, ibid., n. 1756; 1307/00, id.. 2000, I, 1554; 602/00, cit.; 7792/98, cit.; 12763/98, cit.; 9247/98, cit., della sezione lavoro) — la responsabilità del dato

re di lavoro per inadempimento dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.), che gli impone l'adozione delle misure — di sicu

rezza e prevenzione, appunto — che, «secondo la particolarità

del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare

l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavo

ro».

D'altro canto, nessun dubbio può sussistere sulla prospettata

qualificazione giuridica della stessa responsabilità — di natura

contrattuale, appunto — ove si consideri, da un lato, che il con

tenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato —

per

legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) — dalla disposizione che im

pone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c., cit., appunto) e, dal

l'altro, che la responsabilità contrattuale è configurabile tutte le

volte che risulti fondata sull'inadempimento di un'obbligazione

giuridica preesistente, comunque assunta dal danneggiarne nei

confronti del danneggiato. 4. - Dalla prospettata natura contrattuale della responsabilità,

la stessa giurisprudenza ricava, per quel che qui interessa, signi ficative implicazioni sul piano della distribuzione degli oneri probatori relativi.

Come è già stato anticipato, infatti, la presunzione legale di

colpa — stabilita (dall'art. 1218 c.c., cit.) a carico del datore di

lavoro inadempiente all'obbligo di sicurezza (di cui all'art.

2087, cit.) — deroga, parzialmente, il principio generale (art.

2697 c.c.), che impone — a «chi vuol fare valere un diritto in

giudizio» — l'onere di provare i «fatti che ne costituiscono il

fondamento».

Non ne risulta, tuttavia, un'ipotesi di responsabilità oggettiva, né la dispensa, da qualsiasi onere probatorio, del lavoratore

danneggiato.

Questi, infatti, resta gravato — in foiza del ricordato princi

pio generale (art. 2697 c.c., cit., appunto) — dell' jnere di pro vare il «fatto» costituente inadempimento dell'obbligo di sicu

rezza nonché il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre esula dall'onere proba torio a carico del lavoratore — in deroga, appunto, allo stesso

principio generale — la prova della colpa del datore di lavoro

danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie co

stitutiva del diritto al risarcimento (come ad ogni altro rimedio

contro il medesimo inadempimento). È lo stesso datore di lavoro, infatti, ad essere gravato (ai sensi

dell'art. 1218 c.c.) — quale «debitore», in relazione all'obbligo

di sicurezza, appunto — dell'onere di provare la non imputabi

lità dell'inadempimento. In altri termini, la prova sull'imputazione materiale e su

quella psicologica del danno (secondo una classica bipartizione dottrinaria) — anziché essere concentrata sul lavoratore (come, in genere, sul creditore) danneggiato, che agisca per ottenere il

risarcimento — risulta ripartita, in ipotesi di responsabilità con

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PARTE PRIMA 2744

trattuale appunto, tra lo stesso lavoratore (e, in genere, credito

re) e, rispettivamente, il datore di lavoro (e, in genere, il debito

re). 5. - Affatto diverso risulta, tuttavia (anche), il contenuto dei

rispettivi oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza —

asseritamente omesse — siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte parimenti vincolante), in

relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici (quali le misure previste dal d.leg. n. 626 del 1994 e successive inte

grazioni e modifiche, come dal precedente d.p.r. 27 aprile 1955

n. 547), oppure debbano essere ricavate dalla stessa disposizio ne (art. 2087 c.c., cit.) che impone l'obbligo di sicurezza.

Nel primo caso — di misure di sicurezza (o prevenzione), per così dire, nominate — il lavoratore ha l'onere di provare sol

tanto la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura stessa — cioè il rischio specifico, che s'intende

prevenire o contenere — nonché, ovviamente, il nesso di causa

lità materiale tra l'inosservanza della misura ed il danno subito.

La prova liberatoria a carico del datore di lavoro, poi, pari menti si esaurisce nella negazione degli stessi fatti privati dal

lavoratore: negazione, cioè, dell'obbligo o, comunque, dell'ina

dempimento — in relazione a quella stessa misura di sicurezza

(o di prevenzione) — nonché del nesso di causalità tra inadem

pimento e danno.

È da escludersi, invece, che possa risultare parimenti liberato

ria la prova della «impossibilità sopravvenuta» della prestazione di sicurezza — che sia stata omessa — risolvendosi la presta zione stessa, almeno di regola, nella messa a disposizione di be

ni generici, per i quali non è configurabile, appunto, l'istituto

dell'impossibilità sopravvenuta. Nel secondo caso — di misure di sicurezza (o prevenzione),

per così dire, innominate — fermo restando l'onere probatorio a

carico del lavoratore, la prova liberatoria, a carico del datore di

lavoro, risulta invece variamente definita in relazione alla quan tificazione della diligenza (ritenuta) esigibile

— nella predispo sizione di quelle misure di sicurezza — e perciò registra, anche

in giurisprudenza, significative oscillazioni — che non rilevano,

tuttavia, per la decisione della presente controversia — tra l'im

posizione al datore di lavoro dell'onere di provare l'adozione di

ogni misura idonea ad evitare l'infortunio dedotto in giudizio (v., per tutte, Cass. 9401/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1102)

oppure soltanto l'adozione di comportamenti specifici, non im

posti dalla legge (o da altra fonte di diritto parimenti vincolan

te), ma suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, stan

dard di sicurezza adottati normalmente o da altre fonti analoghe

(v., per tutte, Corte cost. 312/96, id., 1996, I, 2957; Cass.

16250/03, cit.; 3740/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1107). 6. - Il datore di lavoro, poi, è responsabile dei danni subiti dal

proprio dipendente, non solo quando ometta di adottare idonee

misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vi

gilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso (anche) da

parte dello stesso dipendente, con la conseguenza che — secon

do la giurisprudenza di questa corte (vedine, per tutte, le senten

ze 16250/03, cit.; 2357/03, cit.; 15133/02, cit.; 9304/02, id., Rep. 2002, voce cit., n. 1086; 9016/02, ibid., voce Infortuni sul

lavoro, n. 211; 5024/02, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1088;

326/02, ibid., n. 1093; 7052/01, ibid., voce Infortuni sul lavoro, n. 143; 13690/00, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 120; 6000/98, id., 1999, I, 1531; 4227/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 142) — si può configurare un esonero totale di responsabilità, per il datore

di lavoro appunto, solo quando il comportamento del dipendente

presenti i caratteri dell'abnormità e dell'assoluta imprevedibilità (sullo specifico punto, vedi, per tutte, Cass. 13690/00, cit.;

326/02, cit.). Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impu

gnata merita le censure — che le vengono mosse dalla ricor

rente — non solo per violazione dei principi di diritto enunciati, ma anche sotto il profilo del vizio di motivazione (art. 360, n. 5,

c.p.c.). 7. - Invero la denuncia di un vizio di motivazione in fatto,

nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi

dell'art. 360, n. 5, c.p.c.) — vizio nel quale si traduce anche la

mancata ammissione di un mezzo istruttorio (v., per tutte, Cass.

13730/04, id., Rep. 2004, voce Cassazione civile, n. 151;

9290/04, ibid., n. 239), nonché l'omessa od erronea valutazione

di alcune risultanze probatorie (v., per tutte, Cass. 3004/04,

ibid., n. 149; 3284/03, id., Rep. 2003, voce cit., n. 187) — non

Il Foro Italiano — 2006.

conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare auto

nomamente il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le

argomentazioni — svolte dal giudice del merito, al quale spetta

in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito dell'insinda

cabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convinci

mento — con la conseguenza che il vizio di motivazione deve

emergere — secondo l'orientamento (ora) consolidato della giu

risprudenza di questa corte (vedine, per tutte, le sentenze

13045/97 delle sezioni unite, id.., Rep. 1997, voce cit., n. 81, e

8153/05, id., Rep. 2005, voce Lavoro (rapporto), n. 730;

7936/05, ibid., n. 733; 7745/05, ibid., n. 806; 4017/05, ibid., n. 745; 3452/05, ibid., n. 734; 3333/05, ibid., n. 743; 236/05, ibid., n. 753; 24219/04, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 838; 23411/04, ibid., n. 1110; 22838/04, ibid., n. 1611; 22751/04, ibid., n. 751; 21826/04, ibid., n. 1730; 20272/04, ibid., n. 1585; 16213/03, id., Rep. 2003, voce cit., n. 1563; 16063/03, ibid., voce Cassazione

civile, n. 95; 11936/03, ibid., n. 98; 11918/03, ibid., n. 92; 6753/03, ibid., n. 193; 5595/03, ibid., n. 293; 3161/02, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 123; 4667/01, id., Rep. 2001, voce cit., n. 129; 14858/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 138; 9716/00, ibid., n. 114; 4916/00, ibid., n. 118; 8383/99, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 119, delle sezioni semplici)

— dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impu

gnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragiona mento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insuffi

ciente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile

contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale

da non consentire l'identificazione del procedimento logico

giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera

divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente e, in genere, dalle parti, né, comunque, una diversa valutazione dei

medesimi fatti.

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto — consentito al giudice di legittimità (dall'art. 360, n. 5, c.p.c.)

non equivale alla revisione del «ragionamento decisorio», ossia

dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una de

terminata soluzione della questione esaminata: invero una revi

sione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova

formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del me

rito e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dal

l'ordinamento al giudice di legittimità. Pertanto, al giudice di legittimità non compete il potere di

adottare una propria motivazione in fatto (arg. ex art. 384, 2°

comma, c.p.c.) né, quindi, di scegliere la motivazione più con

vincente — tra quelle astrattamente configurabili e, segnata mente, tra la motivazione della sentenza impugnata e quella

prospettata dal ricorrente — ma deve limitarsi a verificare se —

nella motivazione in fatto della sentenza impugnata, appunto —

siano stati dal ricorrente denunciati specificamente — ed esista

no effettivamente — vizi che, per quanto si è detto, siano dedu

cibili in sede di legittimità. 8. - Tuttavia la motivazione in fatto della sentenza d'appello

— che confermi, come nella specie, la sentenza di primo grado —

può risultare — secondo la giurisprudenza di questa corte

(vedine, per tutte, le sentenze 7182/97, id., Rep. 1997, voce

Sentenza civile, n. 51; 132/96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 45; 12035/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 52) — dall'integrazione della parte motiva delle due sentenze.

Coerentemente, deve essere denunciato e verificato — in re

lazione alla prospettata integrazione della parte motiva delle

sentenze di primo e di secondo grado — il vizio di motivazione

in fatto (art. 369, n. 5, c.p.c.). Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impu

gnata — come è stato anticipato

— merita le censure — che le

vengono mosse dalla ricorrente — anche sotto il profilo del vi

zio di motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.). 9. - Infatti la sentenza impugnata

— come è stato ricordato in

narrativa — ha, tra l'altro, accertato che «i fatti mobbizzanti,

posti in essere dal Picaroni, hanno prodotto (alla lavoratrice) delle rilevanti conseguenze sul piano morale e psico-fisico».

E tale accertamento di fatto — che conferma (anche), sul

punto, la sentenza di primo grado, disattendendo la domanda in

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

senso contrario, riproposta in appello dall'attuale resistente (ai sensi dell'art. 346 c.p.c.)

— ha acquistato autorità di giudicato, non risultando investito da ricorso incidentale della stessa resi

stente (in tal senso, v., per tutte, Cass. 3261/03, id., 2004, I, 3463; 100/03, id., 2003, I, 1944; 14075/02, id.. Rep. 2002, voce Cassazione civile, n. 262; 5357/02, ibid., n. 261).

Coerente con la giurisprudenza di questa corte (vedine le

sentenze 8438/04 delle sezioni unite, id., 2004,1, 1692; 6326/05

della sezione lavoro, id., 2005,1, 3356) risulta, poi. la qualifica zione come contrattuale — che la sentenza impugnata propone — della dedotta responsabilità del datore di lavoro (ed attuale

resistente) per danno da mobbing, derivante da inadempimento

dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.). Né lo stesso datore di lavoro (ed attuale resistente) assolve

l'onere della prova liberatoria — che, per quanto si è detto, è

posto a suo carico — in quanto, lungi dall'allegare (e, tantome

no, dal dimostrare) l'adozione di una qualsiasi misura idonea a

prevenire il dedotto evento dannoso, si limita alla deduzione di

una propria iniziativa (quale il deferimento, al collegio dei pro biviri, del responsabile dei «fatti mobbizzanti»), volta alla re

pressione — non già alla prevenzione

— degli stessi «fatti

mobbizzanti», che — come è stato accertato, con autorità di

giudicato — «hanno prodotto (alla lavoratrice) delle rilevanti

conseguenze sul piano morale e psico-fisico». Tanto basta per accogliere il ricorso.

10. - Il ricorso, pertanto, deve essere accolto.

Per l'effetto, la sentenza va cassata con rinvio ad altro giudice

d'appello —

designato in dispositivo —

perché proceda al rie

same della controversia — uniformandosi al principio di diritto

enunciato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 24 maggio 2006, n. 12358; Pres. Sabatini, Est. Manzo, P.M.

Apice (conci, conf.); C. e W. Vitalone (Avv. W. Vitalone) c.

Incagliati (Avv. Coccia, Cialdini). Conferma App. Roma 7

giugno 2004.

Responsabilità civile — Diffamazione — Cronaca giudizia ria — Diritto di cronaca — Efficacia scriminante — Pre

supposti (Cost., art. 21; cod. civ., art. 2043; cod. pen., art. 51,

595).

Con riferimento alla cronaca giudiziaria, e ai fini dell'attribu

zione di efficacia scriminante all'esercizio del diritto di cro

naca. il criterio della verità sostanziale della notizia non ri

guarda il contenuto della dichiarazione e l'attendibilità del

dichiarante, ma va riferito al fatto rappresentato e, cioè, al

fatto che quella dichiarazione sia stata effettivamente resa in

sede giudiziaria, con l'indicazione del relativo contesto, se

ciò è necessario per fornire al lettore un'informazione com

pleta; è altresì necessario che i concetti e le parole riportate siano effettivamente rispondenti al reale contenuto della di

chiarazione, senza alterazioni del significato sostanziale, ido

nee a creare nel lettore una rappresentazione della realtà di

versa da quella che è effettivamente possibile ricavare dalla

dichiarazione. (1)

(1) In tema di cronaca giudiziaria, la sentenza individua esattamente

quali caratteristiche consentono di ritenere rispettato il criterio della ve

rità della notizia pubblicata, allorquando la stessa riguardi dichiarazioni

rese in sede giudiziaria. Viene affermato il principio secondo cui, una volta osservati i canoni

della continenza e della pertinenza (due delle regole auree fissate per la

prima volta da Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, Foro it., 1984, I, 2711, con osservazioni di R. Pardolesi). la scriminante del diritto di cronaca

Il Foro Italiano — 2006.

Svolgimento del processo. — Il dott. Claudio Vitalone e

l'avv. Wilfredo Vitalone proponevano appello davanti alla

Corte d'appello di Roma contro la sentenza del Tribunale di

Roma che aveva rigettato la loro domanda di risarcimento dei

danni nei confronti di Pietro Incagliati, quale autore di un arti

colo apparso sul quotidiano 11 Mattino dell'8 luglio 1993 rite

nuto lesivo della reputazione, e Pasquale Nonno quale direttore

dello stesso giornale. La corte d'appello rigettava l'appello nei

confronti di Pietro Incagliati e dichiarava il non luogo a provve dere nei confronti di Pasquale Nonno, per rinunzia alla doman

da. Il giudice di appello riteneva che l'articolo in questione, sotto il titolo «Il p.m.: i Vitalone a giudizio», con la didascalia, «i Vitalone sempre più nei guai», riportava la vicenda giudizia ria relativa al procedimento per le accuse di estorsione conti

nuata e bancarotta fraudolenta delle suddette persone, insieme

ad altri nove, in relazione alle vicende del crack della coopera tiva Coate e del suo presidente Evaristo Benedetti, che aveva

dichiarato di aver versato a Claudio Vitalone, tramite il fratello

Wilfredo, tangenti miliardarie per un suo asserito interessa

mento al finanziamento bancario.

La corte territoriale considerava che nella fattispecie sussiste

va l'esimente del diritto di cronaca, poiché —

quanto al para metro della verità —, allorché si tratta di cronaca giudiziaria, non è necessario che il giornalista oltre a riportare l'atto giudi ziario, indaghi sulla veridicità dei fatti sottostanti ovvero effet

è da ritenersi sussistente se il giornalista si limita a riportare una dichia razione effettivamente resa in sede giudiziaria; e ciò a prescindere dal contenuto della dichiarazione e dall'attendibilità del dichiarante, essen do tale verifica di competenza dell'autorità giudiziaria. In questi casi il

giornalista si pone, dunque, quale mero intermediario tra il fatto in sé dell'avvenuta dichiarazione e l'opinione pubblica.

Si ribadisce così, nello specifico ambito della cronaca giudiziaria, una regola già fissata dai giudici di legittimità con riferimento all'atti vità giornalistica in via generale: ossia che la «verità oggettiva della notizia» deve essere intesa sotto un duplice significato, potendo tale

espressione essere riferita sia alla verità del fatto oggetto della notizia, sia alla verità della notizia come fatto in sé e, quindi, indipendente mente dalla verità del suo contenuto (cfr. Cass. 2 ottobre 2001, n.

12196, id., 2001,1, 3533, con osservazioni di A. Palmieri). Nel senso che il giornalista ha l'obbligo di controllare l'attendibilità

della fonte informativa, a meno che la notizia non provenga dall'auto rità investigativa o giudiziaria, v. Cass. 4 febbraio 2005, n. 2271, id.,

Rep. 2005, voce Responsabilità civile, n. 244; 19 luglio 2004, n. 13346, id., Rep. 2004, voce cit., n. 238.

Secondo Cass. 16 dicembre 2003, Cucinotta. id., Rep. 2005, voce In

giuria, n. 38, nell'ambito dell'esercizio specifico del diritto di cronaca

giudiziaria, non ricorre l'esimente di cui all'art. 51 c.p. quando il gior nalista si discosti dalla verità obiettiva dei fatti riferiti, alterando e mo dificando in senso diffamatorio le notizie riferite dalle fonti ufficiali. In

questo campo si pretende l'assoluto rispetto del limite interno della ve rità oggettiva di quanto esposto, nonché il rigoroso obbligo di rappre sentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di

sorta, senza che possa giovare al giornalista la verosimiglianza dei fatti

narrati: cfr. Cass. 14 febbraio 2005, Vinci, ibid., n. 73, dove si eviden zia come il sacrificio della presunzioné di innocenza richieda che non si

esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi.

In dottrina, sulla cronaca giudiziaria, v. S. Peron, Brevi note in tema di cronaca e di critica giudiziaria, in Resp. civ., 2005, 232; M. Cerase, Cronaca giudiziaria, illazioni e allusioni, in Cass. pen., 2001, 3051; L.

Fanti, La diffamazione a mezzo stampa tra cronaca giudiziaria e di vieto di pubblicazione di atti, in Dir. informazione e informatica, 2001,

743; L. Boneschi, Etica e deontologia del giornalista nella cronaca

giudiziaria: qualche regola da rispettare, id., 1999, 569; A. Manna, Tutela penale dell'onore, cronaca giudiziaria e diffusione di dati con cernenti fatti giudiziari, ibid., 271; C. De Martini, Cronaca giudiziaria e presunzione di innocenza, id., 1997, 195; V. Ricciuto, Sui limiti alla cronaca giudiziaria, id., 1992, 466; G. Giostra, I limiti alla cronaca

giudiziaria nel nuovo codice di procedura penale, id., 1990, 361; Id., Cronaca giudiziaria: il proibizionismo non serve, in Dir. pen. e proc., 1998, 799; A. Calabrese, Cronaca giudiziaria e danno da lesione della

reputazione e della credibilità economica dell'imprenditore, in Nuova

giur. civ., 1995, I, 39; M. Mantovani, Cronaca giudiziaria e limiti alla

tutela penale dell'onore del cittadino processato, in Giust. pen., 1991,

II, 519; R. Pardolesi, Rettifica, diffamazione e cronaca giudiziaria, in

Foro it., 1985,1,2781. In generale, sulla diffamazione a mezzo stampa, v., da ultimo, M.

Chiarolla, Diffamazione a mezzo stampa, critica e diritti dell'intervi

stato, id., 2005, I, 2408; A. Tesauro, Il bilanciamento nella struttura

della diffamazione tra teoria del reato e teoria dell'argomentazione

giudiziale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, 1083.

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