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sezione lavoro; sentenza 25 marzo 1997, n. 2630; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Nardi (concl....

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sezione lavoro; sentenza 25 marzo 1997, n. 2630; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Nardi (concl. conf.); Ina e altro (Avv. Amici, Angelino) c. Volpi (Avv. Rufini). Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Roma 17 aprile 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1825/1826-1827/1828 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192019 . Accessed: 28/06/2014 10:12 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.97.126 on Sat, 28 Jun 2014 10:12:28 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 25 marzo 1997, n. 2630; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Nardi (concl.conf.); Ina e altro (Avv. Amici, Angelino) c. Volpi (Avv. Rufini). Dichiara inammissibile ricorsoavverso Trib. Roma 17 aprile 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1825/1826-1827/1828Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192019 .

Accessed: 28/06/2014 10:12

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 25 marzo

1997, n. 2630; Pres. Lanni, Est. Prestipino, P.M. Nardi

(conci, conf.); Ina e altro (Avv. Amici, Angelino) c. Volpi

(Avv. Rotini). Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib.

Roma 17 aprile 1992.

Impugnazioni civili in genere — Termine annuale — Mancata

comunicazione del deposito della sentenza — Irrilevanza —

Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 97, 111, 113; cod. proc. civ., art. 133, 327).

È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 327, 1° comma, c.p.c. interpretato nel senso

che il termine annuale per la proposizione dell'impugnazione decorre dalla data del deposito del provvedimento ancorché

il cancelliere non abbia provveduto a comunicare tale deposi to alla parte. (1)

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 17 aprile 1992

il Tribunale di Roma, nel rigettare l'appello proposto dalla s.p.a. Ina, agenzia generale di Roma Ina-Assitalia, ha confermato la

decisione con la quale il pretore della stessa città aveva dichia

rato che Mauro Volpi aveva prestato attività di lavoro subordi

nare alle dipendenze della suddetta società.

Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassa

zione la società soccombente, sulla base di tre articolati motivi. Ha resistito con controricorso e con successiva memoria il Vol

pi, che ha eccepito l'inammissibilità del ricorso.

(1) I. - Giurisprudenza pacifica: Cass. 20 dicembre 1994, n. 10963, Foro it., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, nn. 51, 52, e Giur. it. 1995, I, 1, 1182, che ha ritenuto palesemente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 327, 1° comma, c.p.c., per contrasto con l'art. 24 Cost.; ord. 1° dicembre 1994, n. 954, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 53, che ha ribadito il principio relativamente alla proposi zione del ricorso per cassazione avverso le pronunce della Corte dei conti già espresso dall'ordinanza 8 novembre 1985, n. 613, id., Rep, 1985, voce Corte dei conti, n. 8; 18 gennaio 1994, n. 415, id., Rep. 1995, voce Impugnazioni civili, n. 50, e Giur. it., 1995, I, 1, 706; 28

maggio 1991, n. 6032, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 36, riguardo la decorrenza del termine lungo per proporre ricorso per cassazione avverso le decisioni della Commissione tributaria centrale; 21 settembre

1990, n. 9632, id., Rep. 1990, voce cit., n. 40; 20 aprile 1990, n. 3299, ibid., n. 38, citata nella motivazione di Cass. 10963/94, che esclude contrasto con gli art. 3 e 24 Cost, presupponendo la normale diligenza del procuratore chiamato a «verifica periodica» nel termine «lungo»; 2 aprile 1990, n. 2654, ibid., n. 41; 2 febbraio 1990, n. 732, ibid., n. 39; 16 novembre 1984, n. 5819, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 37, 39; 10 dicembre 1979, n. 6412, id., Rep. 1979, voce cit., n. 51, che evidenzia come la comunicazione del deposito assuma rilevanza solo in casi espressamente previsti dalla legge, ad esempio dall'art. 47, 2° comma, c.p.c., riguardo al termine per la proposizione del regolamento di competenza; sez. un. 22 giugno 1979, n. 3501, ibid., nn. 49, 50, che ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità ed ha precisa to che la mancata comunicazione del deposito «non è sanzionata in caso di omissione ed è realizzabile anche verbalmente, senza la conse

gna materiale del biglietto di cancelleria, nel qual caso è sufficiente il visto di ricevuta della parte o del suo patrono e anche la semplice attestazione del cancelliere di aver comunicato personalmente la notizia».

In generale, sulla decorrenza del termine annuale, si segnalano an che: Cass. 23 giugno 1992, n. 7685, id., Rep. 1992, voce cit., n. 27, secondo cui non può considerarsi equipollente della pubblicazione della sentenza, non formalizzata, il deposito in cancelleria di copia autentica ta in carta libera della sentenza a disposizione dell'avvocatura dello Sta to, ex art. 14 1. 103/79; 11 gennaio 1988, n. 75, id., Rep. 1988, voce

cit., n. 28, secondo cui, pur in mancanza della prescritta formalità, la pubblicazione deve considerarsi avvenuta con l'atto che necessaria mente la presuppone, quale l'apposizione della formula esecutiva, con la conseguenza che dalla data di tale attività decorre il termine lungo.

Si osservi, infine, limitatamente al procedimento dinanzi al pretore, che ai sensi dell'art. 315 c.p.c., nel caso di discussione orale, la senten za si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene e non con il successivo — ancorché «immedia to» — deposito in cancelleria.

II. - Quanto specificamente alla questione di costituzionalità ritenuta

palesemente infondata, la sentenza ha dapprima escluso contrasto del l'art. 327, 2° comma, c.p.c., interpretato nel senso della decorrenza del termine dal deposito della sentenza e non dalla comunicazione dello

stesso, con gli art. 97, 111 e 113 Cost., osservando in particolare, con

riguardo all'art. 97 ed al principio di buon andamento e organizzazione della pubblica amministrazione, che non possono assumere rilevanza le dedotte disfunzioni degli uffici del Tribunale di Roma che nella spe

li. Foro Italiano — 1997.

Motivi della decisione. — Premesso in punto di fatto che il

ricorso per cassazione è stato notificato al Volpi il 26 aprile

1994, dopo oltre due anni dalla pubblicazione della sentenza

impugnata (effettuata il 17 aprile 1992), sostiene la ricorrente

che, ciò nonostante, l'impugnazione deve essere considerata am

missibile. A detta della medesima ricorrente, infatti, la proposi zione del ricorso dopo la scadenza del termine, c.d. lungo, pre visto dall'art. 327 c.p.c. è stata determinata, in violazione del

l'art. 133 c.p.c., dalla mancata comunicazione dell'eseguito

deposito della sentenza in cancelleria; e, dovendosi ritenere che

il suddetto termine lungo decorra dalla avvenuta comunicazione

e non già dalla pubblicazione della sentenza medesima, la corte

non dovrebbe «sentirsi vincolata ad una interpretazione del sud

detto art. 327 negatoria della proponibilità del ricorso», giac ché, in caso contrario, tale articolo di legge sarebbe costituzio

nalmente illegittimo. Come bene eccepisce il resistente, il ricorso è inammissibile.

Questa corte ha da tempo affermato che la comunicazione

alle parti costituite dell'avvenuto deposito della sentenza nella

cancelleria del giudice che l'ha emessa, a norma del 2° comma dell'art. 133 c.p.c., resta estranea al procedimento di pubblica zione e non può essere considerata un elemento costitutivo o

integrativo dell'efficacia di tale atto; ne deriva che il termine

di un anno per l'impugnazione, stabilito dall'art. 327 c.p.c. in

mancanza della notificazione della sentenza, decorre dal giorno della pubblicazione, vale a dire da quello del deposito del prov vedimento in cancelleria ai sensi del 1° comma dell'art. 133 c.p.c.,

eie — sembra di capire — avevano comportato la mancata comunica zione del deposito, posto che comunque tale comunicazione non incide sulla decorrenza del termine.

Sul contrasto con gli art. 3 e 24 Cost., la Cassazione ha fatto richia mo sia a Corte cost. 28 dicembre 1990, n. 584 (id., 1991, I, 2665, con nota critica di Donati) sia ai suoi precedenti richiamati supra (sentenze 3299/90 e 10963/94).

Il giudice delle leggi ha ritenuto inammissibile la questione in quanto volta a conseguire «una sentenza che sconvolgerebbe la coerenza del sistema delle impugnazioni»; infatti, la decorrenza del termine annuale dalla comunicazione del deposito confliggerebbe, da un lato, con il prin cipio — di cui l'art. 327, 1° comma, c.p.c. è un corollario — che il giudicato si forma, dopo un certo lasso di tempo, indipendentemente dalla notifica della sentenza; dall'altro implicherebbe la modifica del 2° comma dell'art. 327 — in quanto il termine per il contumace do vrebbe coerentemente decorrere dalla notificazione della sentenza ex art. 292, ultimo comma, c.p.c. — e dello stesso art. 292, che dovrebbe pre vedere la notifica d'ufficio della sentenza al contumace.

I precedenti della Cassazione* invece, come già ricordato, escludono la menomazione del diritto di difesa sul rilievo che il termine annuale non obbliga la parte ed i suoi difensori ad una diligenza eccezionale: il difensore della parte, dopo l'udienza nella quale la causa è stata deci sa o trattenuta in decisione, ed a maggior ragione dopo la lettura del dispositivo nelle cause soggette al rito del lavoro (cfr. la motivazione di Cass. 415/94, cit.), ben può attivarsi negli uffici per verificare perio dicamente se la sentenza è stata pubblicata.

Tale ultima affermazione di principio, certamente condivisibile da un punto di vista logico, sembra tuttavia non del tutto soddisfacente in

quanto non tiene conto che in concreto le stesse (gravissime) «disfun zioni» che hanno causato la mancata comunicazione del deposito della sentenza ben possono aver comportato la materiale impossibilità del difensore, sia pur «diligente», di avere nozione del deposito stesso, ad esempio per mancata annotazione nel registro cronologico dei provvedi menti o comunque non corretta tenuta dello stesso.

È notorio, d'altra parte, il ritardo con cui molti giudici provvedono al deposito della sentenza, talché la mancata comunicazione del deposi to non sempre è, di per sé, circostanza idonea ad allarmare il patrono e suggerire il ripetuto accesso agli uffici.

Ne consegue che al difensore della parte potrà essere immediatamen te (ma ingiustamente) riferita responsabilità per inadempimenti non pro pri, con estrema difficoltà di discolpa (ovvero di rivalsa) in presenza di cancelleria non funzionante; re melius perpensa, tenuto conto che la citata Cass. 3501/79 considera sufficiente, ai fini della comunicazio

ne, la mera attestazione del cancelliere — dotata di efficacia probatoria sino a querela di falso — la Cassazione finisce per addossare alla parte (o meglio, al suo difensore) una inaccettabile probatio diabolica in or dine all'effettiva ed esclusiva responsabilità dell'ufficio.

Sembrerebbe quindi auspicabile (oltre a un maggior controllo sull'ef ficienza degli uffici di cancelleria, al fine di ridurre al minimo le «di

sfunzioni», che evidentemente devono essere non poche, dato il numero di sentenze della Cassazione nella materia che ci occupa) una revisione dell'orientamento tradizionale da parte della Cassazione, volta quanto meno a non privare di ogni pratica rilevanza il 2° comma dell'art. 133 del codice di rito. [V. Farnararo]

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1827 PARTE PRIMA 1828

e non già dalla comunicazione dell'avvenuto deposito fatta dal

cancelliere alla parte costituita (v., fra le tante sentenze, Cass.

20 dicembre 1994, n. 10963, e 18 gennaio 1994, n. 415, Foro

it., Rep. 1994, voce Impugnazioni civili, nn. 46, 45) secondo cui, avendo la comunicazione del cancelliere un valore pura mente informativo, il termine decorre anche se la comunicazio

ne non sia stata fatta «per una qualsiasi ragione»). A questi principi deve essere data completa adesione, essendo

gli stessi conseguenza diretta dell'interpretazione letterale della

disposizione contenuta nel 1° comma del suddetto art. 327 c.p.c.,

corrispondente alla sua ratio. Ed invero, anche a prescindere da quanto è stato rilevato in dottrina — vale a dire che la pub blicazione della sentenza, oltre a rendere il provvedimento giu ridicamente esistente, ha anche una funzione di conoscenza —

va richiamato quanto è stato asserito nella sentenza n. 584 del

28 dicembre 1990 della Corte costituzionale (id., 1991, I, 2665), secondo cui la previsione dell'art. 327, 1° comma, c.p.c. è un

corollario della regola che prevede che «dopo un certo lasso

di tempo la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla

notificazione della sentenza ad istanza di parte»; sicché, tenuto

conto soprattutto del fatto che la regola in questione risponde ad un'esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici

(v. in tal senso l'ordinanza 8 novembre 1985, n. 613, id., Rep.

1985, voce Corte dei conti, n. 8, emessa dalle sezioni unite di

questa corte), dalla regola stessa deriva, come logica conseguen

za, che il decorso del termine annuale, che ha inizio dal giorno della pubblicazione della sentenza, impedisce la proposizione dei

c.d. mezzi ordinari di impugnazione. D'altra parte, al contrario di quanto sostiene la ricorrente,

la suddetta disposizione contenuta nel 1° comma dell'art. 327

c.p.c., interpretata nel senso sopra indicato, palesemente non

contrasta con i principi dettati dagli art. 3, 24, 97, 111 e 113 Cost.

In proposito, va innanzi tutto affermata l'inutilità del riferi

mento fatto nel ricorso per cassazione agli art. 97, 111 e 113

Cost.: quanto al primo di tali articoli, perché, una volta che

si esclude che la comunicazione prevista dall'art. 133 c.p.c. pos sa incidere sulla decorrenza del termine lungo per impugnare la sentenza, del tutto prive di rilevanza sono le considerazioni

esposte nel ricorso per denunciare, allo scopo di invocare il prin

cipio di organizzazione della pubblica amministrazione, le di

sfunzioni che intralcerebbero l'attività delle cancellerie dei gran di uffici giudiziari, come quello di Roma; quanto al secondo,

perché l'art. 327 non stabilisce che la sentenza non possa essere

impugnata, ma fissa un termine, oltre tutto di un anno (e quin di lungo), per la relativa impugnazione; quanto al terzo, perché

qui è in discussione l'impugnazione non già di un atto ammini

strativo, ma di un provvedimento giurisdizionale, del quale vie

ne regolato il procedimento in relazione al termine.

Per quanto concerne, poi, l'asserito contrasto dell'art. 327

c.p.c. con gli art. 3 e 24 Cost., basta riportare le argomentazio ni svolte in precedenti pronunce emesse dalla giurisprudenza di

legittimità nonché nella sentenza della Corte costituzionale so

pra indicata. Da parte di questa corte, allo scopo della dichiara

zione di manifesta infondatezza della questione di costituziona

lità, è stato asserito che il diritto alla difesa e alla parità di

trattamento potrebbe ritenersi inciso soltanto se, a causa della

brevità del termine previsto dalla legge per la proposizione del

l'impugnazione, si richiedesse alla parte e ai suoi difensori l'uso

di una diligenza eccezionale e superiore a quella, normale, soli

tamente esplicata per il controllo dell'avvenuto deposito in can

celleria degli atti processuali (Cass., sez. un., 22 giugno 1979, n. 3501, id., Rep. 1979, voce Impugnazioni civili, nn. 49, 50. alla quale hanno poi fatto riferimento Cass. 9 settembre 1989, n. 3906, id., Rep. 1989, voce cit., n. 20; 20 aprile 1990, n.

3299, id., Rep. 1990, voce cit., n. 38; e 20 dicembre 1994, n.

10963, cit.; v. anche l'ordinanza delle sezioni unite n. 613 dell'8

novembre 1985, sopra indicata). Nella sentenza della Corte co

stituzionale, al fine della dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, è stato affermato che lo

spostamento del termine iniziale dalla data della pubblicazione della sentenza a quella della comunicazione confliggerebbe, ol

tre che con il principio sopra enunciato — secondo cui la cosa

giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della

sentenza — anche con la regola che prevede che il cancelliere

deve dare la comunicazione solamente alle parti costituite, atte

so che, se si ritenesse che il termine debba decorrere dalla co

municazione, sorgerebbe la necessità di modificare sia la norma

Il Foro Italiano — 1997.

contenuta del 2° comma del medesimo art. 327 c.p.c., sia la

disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 292 stesso codice.

Ma siffatte modificazioni, come viene precisato nella medesima

sentenza, potrebbero essere effettuate soltanto dal legislatore al

quale dalla Costituzione è riservato il potere di emanare le leggi. Alla stregua di questi ultimi rilievi deve essere dichiarata la

manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzio

nale dedotta dalla ricorrente, la cui impugnazione, tenuto anche

conto di tutte le altre argomentazioni che precedono, deve esse

re quindi dichiarata inammissibile.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 mar

zo 1997, n. 2484; Pres, Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Ca

scio (conci, conf.); Daffara (Aw. Solerio) c. Soc. Akzo Coa

tings e Credito italiano. Conferma App. Milano 10 marzo

1995.

Arricchimento senza causa — Giusta causa — Inerzia dell ìm

poverito — Fattispecie (Cod. civ., art. 2041, 2042).

Non costituisce giusta causa di arricchimento l'inerzia dell'im

poverito (nella specie, un istituto di credito, avendo tardato

nell'esperimento della procedura di ammortamento di un as

segno smarrito, aveva omesso, per il corrispondente periodo, di richiedere l'addebito al traente della relativa valuta). (1)

(1) Occorre risalire a Cass. 21 agosto 1985, n. 4473, Foro it., Rep. 1986, voce Arricchimento senza causa, n. 14, per un precedente di ana

logo tenore. In quel frangente, la Cassazione escluse che la semplice omissione dell'attività difensiva da parte dell'impoverito costituisse giu sta causa di arricchimento. Per un precedente in materia di titoli di

credito, si veda Cass. 23 luglio 1984, n. 4307 (id., Rep. 1984, voce

cit., n. 8), dove il prenditore di un assegno si era visto accreditare l'im

porto, benché l'assegno stesso fosse stato smarrito dalla banca trattaria

successivamente al versamento. La sentenza in epigrafe non smentisce l'assunto della dottrina dominante circa l'unicità del fatto che produce l'ingiusta locupletazione (su cui cfr. P. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi-contratti (i rimedi restitutori), in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1996, 35), configurando, nel caso concreto, il

ritardo soltanto come circostanza aggravante nella fattispecie causale

dell'impoverimento. Resta, quindi, pacifico che la giusta causa del tra sferimento e mantenimento della ricchezza sia costituita da un titolo

legale o negoziale. In questi termini, Cass., sez. un., 9 novembre 1992, n. 12076, id., Rep. 1992, voce cit., n. 4, dove si afferma che la giusta causa presuppone un corrispettivo o una intenzione liberale e, ancor

prima, Cass. 8 ottobre 1990, n. 9859, id., Rep. 1990, voce cit., n. 4,

per l'assimilazione della giusta causa ad un contratto o ad altro rapporto. In dottrina, ci si è domandati se si possa esperire Vactio de in rem

verso in un'ipotesi particolare di inerzia dell'impoverito, vale a dire in caso di usucapione (l'interrogativo risale a R. Sacco, L'arricchimen to ottenuto mediante fatto ingiusto. Contributo alla teoria della respon sabilità estracontrattuale, Torino, 1959, 87). La risposta, negativa, si fonda sulla impossibilità di eludere la disciplina dell'usucapione e sulla volontà del legislatore di punire l'inerzia o la negligenza di una parte (Gallo, cit., 41).

Con la decisione in epigrafe la Suprema corte arricchisce il contenuto della giusta causa di locupletazione, colmando difficoltà già denunciate in materia. Mettono in luce la (generalmente) scarsa considerazione del la dottrina italiana per i rimedi restitutori, Gallo, op. cit., 5, e A.

Trabucchi, Arricchimento (azione di), voce dell' Enciclopedia del dirit

to, Milano, 1958, III, 66, mentre E. Moscati, Arricchimento (azione di), voce del Digesto civ., Torino, 1987, I, 454, indica nell'elaborazione

degli interpreti il modo migliore per colmare la clausola generale del l'art. 2041 c.c. Il caveat della dottrina sulla centralità della giusta causa nell'azione generale di arricchimento (v. S. Di Paola-R. Pardolesi, Azione di arricchimento-diritto civile, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, II, 3, ove richiami di diritto comparato) vale a corroborare una (altrimenti) non troppo convincente decisione della corte di legittimità. È lecito chiedersi se il mancato addebito della cifra

portata dall'assegno sia il vero fatto che determina l'impoverimento o

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