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sezione lavoro; sentenza 26 marzo 1997, n. 2691; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Fedeli...

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sezione lavoro; sentenza 26 marzo 1997, n. 2691; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Fedeli (concl. conf.); Soc. Foodservice System Italia (Avv. Tamburro, Fanfani) c. Nilo (Avv. Bellotti). Cassa Trib. Firenze 21 marzo 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1811/1812-1823/1824 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192018 . Accessed: 24/06/2014 23:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.24 on Tue, 24 Jun 2014 23:43:01 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 26 marzo 1997, n. 2691; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Fedeli(concl. conf.); Soc. Foodservice System Italia (Avv. Tamburro, Fanfani) c. Nilo (Avv. Bellotti).Cassa Trib. Firenze 21 marzo 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1811/1812-1823/1824Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192018 .

Accessed: 24/06/2014 23:43

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1811 PARTE PRIMA 1812

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 marzo

1997, n. 2691; Pres. Ianniruberto, Est. Vronu, P.M. Fedeli

(conci, conf.); Soc. Foodservice System Italia (Avv. Tambur

ro, Fanfani) c. Nilo (Aw. Bellotti). Cassa Trib. Firenze

21 marzo 1994.

Lavoro (rapporto di) — «Part-time» — Clausole c.d. elastiche — Illegittimità

— Conseguenze — Fattispecie (D.l. 30 otto

bre 1984 n. 726, misure urgenti a sostegno e ad incremento

dei livelli occupazionali, art. 5; 1. 19 dicembre 1984 n. 863, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 ottobre

1984 n. 726, art. unico).

Le c.d. clausole elastiche, per le quali le parti si limitano a de

terminare la durata del periodo lavorativo senza specificare la quantità e la collocazione della prestazione (nella specie, si era indicato l'orario settimanale di ventiquattro ore senza

specificazione dell'orario giornaliero, e con turni variabili sta

biliti di settimana in settimana o di giorno in giorno e mai

concordati), sono incompatibili con il contratto di lavoro a

tempo parziale e quindi illegittime, e comportano non la nul

lità dell'intero contratto né la conversione del contratto a tempo

parziale in contratto a tempo pieno, bensì che il trattamento

economico tenga conto non solo delle prestazioni effettiva mente eseguite dal lavoratore, ma anche della disponibilità

richiesta, incombendo a tal fine al lavoratore di provare la

maggiore penosità ed onerosità della prestazione effettuata in ragione degli effetti pregiudizievoli prodotti dalla disponi bilità stessa, e dovendosi ricorrere alla determinazione equita tiva del danno ex art. 432 c.p.c. solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà di prova sull'effettiva entità del danno

subito dal lavoratore. (1)

(1, 3) Le sentenze in epigrafe si pronunciano conformemente — con le articolazioni e le puntualizzazioni legate ai casi concreti, evidenziate nelle massime — in tema di c.d. clausole elastiche apposte ai contratti di lavoro a tempo parziale, la meno recente con riferimento ad una

fattispecie perfezionatasi anteriormente all'entrata- in vigore dell'art. 5 d.l. n. 726 del 1984, convertito nella 1. n. 863 dello stesso anno. Le decisioni costituiscono lo sviluppo di Corte cost. 11 maggio 1992, n.

210, Foro it., 1992, I, 3232, con nota di A. Alaimo, La nullità della clausola sulla distribuzione dell'orario nel «part-time»: la Corte costitu

zionale volta pagina?', Riv. it. dir. lav., 1992, II, 731, con nota di P.

Ichtno, Limitate, non drasticamente vietate, le clausole di elasticità nel

«part-time» ad opera della Corte costituzionale; Mass. giur. lav., 1992, 121, con nota di A. Rondo, La Corte costituzionale e le clausole di distribuzione dell'orario di lavoro nel contratto a «part-time», e ibid., 445, con nota di A. Lorusso, Forma scritta e determinazione dell'ora rio di lavoro nel contratto a «part-time»', Riv. giur. lav., 1992, II, 433, con nota di A. Chiacchieroni, Lo «ius variandi» nel «part-time»-, Giur. it., 1992, I, 1, 2043, con nota di S. Genovese, «Part-time» e clausole

«elastiche»-, sentenza che, nel dichiarare infondata la questione di costi tuzionalità dell'art. 5, 2° comma, d.l. n. 726, cit., ha escluso l'ammissi bilità delle clausole elastiche laddove importino il riconoscimento al da tore di lavoro del potere di disporre ad libitum della prestazione e non entro coordinate temporali contrattualmente determinate ed oggettiva mente predeterminabili (c.d. lavoro a comando), ed ha affermato che dalla nullità del part-time non derivi automaticamente la nullità del con tratto di lavoro, potendo invece scaturire una pluralità di soluzioni, la scelta tra le quali dipende dal caso concreto ed anche da opzioni interpretative spettanti al giudice ordinario.

La giurisprudenza di legittimità formatasi (come Cass. 2340/97 in

epigrafe) su fattispecie anteriori al d.l. n. 726, cit. si era invece pronun ciata per la legittimità di clausole siffatte: cfr. Cass. 24 marzo 1992, n. 3646, Foro it., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 606; 22 marzo

1990, n. 2382, id., 1990, I, 1516, con nota di richiami; Riv. it. dir. lav., 1990, II, 630, con nota di Ichino, Interessi individuali, collettivi e dell'impresa in materia di distribuzione dell'orario di lavoro-, Mass.

giur. lav., 1990, 421, con nota di P. Morgera, La predeterminazione, elastica o rigida, dell'orario di lavoro nel «part-time», con una più risa lente contraddizione (Cass. 8 aprile 1987, n. 3450, Foro it., 1988, I, 1584, e Mass. giur. lav., 1987, 361, con nota di Morgera, Vecchi e nuovi problemi sul rapporto di lavoro «part-time» annuo, che ha di chiarato nulla ex art. 1356 c.c. la clausola, con conseguente trasforma zione del contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno) cui ha fatto seguito, recentissimamente, con riferimento ad un'ipotesi suc cessiva all'art. 5 cit., Cass. 22 aprile 1997, n. 3451, Foro it., Mass., 325, la quale ha però deciso la controversia sottoposta a suo esame anche per altro motivo. Non sembra invece aver preso posizione in punto

Il Foro Italiano — 1997.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 marzo

1997, n. 2340; Pres. Lanni, Est. Ianniruberto, P.M. Mar

tone (conci, diff.); Soc. Autostrade (Aw. Marazza) c. Pria no (Avv. Spanò, Lepore). Cassa Trib. Genova 29 luglio 1993.

Lavoro (rapporto di) — «Part-time» — Contratto stipulato «an

te» d.l. 726/84 — Forma scritta — Necessità — Esclusione

(D.l. 30 ottobre 1984 n. 726, art. 5; 1. 19 dicembre 1984 n. 863, art. unico).

Lavoro (rapporto di) — «Part-time» — Clausole c.d. elastiche

inserite in contratti stipulati «ante» d.l. 726/84 — Nullità —

Conseguenze — Fattispecie (D.l. 30 ottobre 1984 n. 726, art.

5; 1. 19 dicembre 1984 n. 863, art. unico).

La forma scritta non è necessaria affinché i contratti a tempo

parziale stipulati anteriormente all'entrata in vigore dell'art.

5 d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito, con modificazioni, nella l. 19 dicembre 1984 n. 863, continuino a produrre i loro

effetti. (2) Le c.d. clausole elastiche apposte al contratto di lavoro a tempo

parziale (nella specie, il contratto prevedeva solo quattro ore

giornaliere e ventiquattro settimanali, e al lavoratore era ri

chiesto di prestare servizio di volta in volta — la programma zione riguardava il 33% dell'attività, e in un primo momento

il 25% — in funzione delle esigenze aziendali con un preavvi so di quarantotto ore o senza preavviso per la sostituzione

di personale ammalato), pur stipulato nel regime anteriore

all'art. 5 d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, sono nulle, e comporta no non la nullità dell'intero contratto né la conversione del

contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno, bensì

che il trattamento economico tenga conto non solo delle pre stazioni effettivamente eseguite dal lavoratore, ma anche del

(come risulterebbe dalla massima in Dir. e pratica lav., 1996, 880) Cass. 26 ottobre 1995, n. 11121, Foro it.. Rep. 1995, voce Sentenza civile, n. 37, che si è limitata a dare atto del decisum di Corte cost. n. 210 del 1992, cit., per poi cassare — v., infatti, la massima ufficiale (ap punto ibid.) — la sentenza impugnata per violazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c.

L'aspetto delle conseguenze giuridiche dell'apposizione delle clausole elastiche è stato oggetto delle numerose decisioni attinenti la violazione della forma scritta prevista per i contratti «part-time» dall'art. 5 d.l. n. 726, cit.: disatteso l'indirizzo di merito per il quale la violazione si traduce in mera irregolarità soggetta alla sola sanzione amministrati va (cfr. Trib. Firenze 19 marzo 1992, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rap porto), n. 547, e Riv. it. dir. lav., 1993, II, 182, con nota di A. Valle

bona, Sul regime del contratto di lavoro a tempo parziale non stipulato per iscritto), la giurisprudenza di legittimità si è consolidata nel senso di ritenere la nullità della clausola, da intendersi ad substantiam e non ad probationem (più di recente Cass. 14 febbraio 1996, n. 1121, Foro it., Mass., 116, e Notiziario giur. lav., 1996, 378), e del contratto di

lavoro, senza quindi che il contratto a tempo parziale si trasformi in contratto a tempo pieno (cfr. Cass. 14 giugno 1995, n. 6713, Foro it., 1995, I, 2444, con nota di richiami), e con applicazione alle prestazioni eseguite dell'art. 2126 c.c. (Cass. 30 maggio 1994, n. 5265, id., Rep. 1994, voce cit., n. 546; 7 febbraio 1994, n. 1226, ibid., n. 547, e Riv.

giur. lav., 1994, II, 708, con nota di M. Brollo, Vizio di forma del

«part-time»: l'effimera tutela dell'art. 2126 c.c. e le soluzioni alternati ve; 10 giugno 1993, n. 6487, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 546, e Mass. giur. lav., 1993, 442, con nota di Morgera, Nullità del con tratto di lavoro a tempo parziale per vizio di forma: art. 2126, 2 ° com ma, c.c. e diritto alla retribuzione; Riv. it. dir. lav., 1994, II, 475, con nota di Vallebona, Ancora sul difetto di forma scritta nel contrat to di lavoro a tempo parziale; anche commentata da F. Rotondi, in Dir. e pratica lav., 1993, 2053; 3 maggio 1991, n. 4811, Foro it., 1991, I, 3095, con nota di Alaimo, Sugli effetti della mancata indicazione scritta dell'orario di lavoro nel «part-time»; 24 aprile 1991, n. 4482, id., Rep. 1991, voce cit., n. 525; 11 agosto 1990, n. 8169, id., 1991, I, 3096, con nota di Alaimo, cit.; cfr., inoltre, Cass. 28 novembre 1994, n. 10121, id., Rep. 1994, voce cit., n. 536, con riferimento a c.d. con tratto a tempo limitato degli impiegati agricoli, ex art. 45 ccnl 28 gen naio 1982).

Le due sentenze in epigrafe, pur sottolineando che i casi sottoposti al loro esame riguardano un profilo del contenuto o della causa del contratto, e non un profilo formale (diversamente, proprio Trib. Firen ze 22 marzo 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 568, e Riv. it. dir. lav., 1995, II, 345, con nota di F. Malerba, Ancora sulle c.d. clausole elastiche nel lavoro a tempo parziale: il caso Food Service, cassata da Cass. 2691/97 in epigrafe [in cui la sentenza stessa è indicata con la

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

la più ampia disponibilità richiesta al medesimo, a tal fine dovendo verificarsi quali siano stati il tempo di preavviso pre visto o osservato per la richiesta «a comando», la eventuale

quantità di lavoro predeterminata in maniera fissa, l'inciden za che l'attuazione del contratto abbia avuto sulla possibilità del dipendente di svolgere altre attività economicamente red

ditizie, l'eventuale convenienza dello stesso lavoratore a con

cordare di volta in volta le modalità della prestazione, fermo restando che in ogni caso la posizione di disponibilità non è da parificare a lavoro effettivo. (3)

data 21 marzo 1994] in accoglimento di altra censura ma confermata in punto con differente motivazione; Trib. Firenze 22 marzo 1994, che, riformando Pret. Firenze 16 febbraio 1993, Foro it., Rep. 1993, voce

cit., n. 568, e Riv. giur. lav., 1994, II, 155, ha escluso la nullità per difetto di precisazione scritta della collocazione temporale delle ore di

lavoro, riconoscendo invece, il risarcimento del danno da inadempi mento di un'obbligazione essenziale ma accessoria; analogamente, Trib. Firenze 22 dicembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 606, e Riv. it. dir. lav., 1994, II, 713, con nota di F. Scarpelli, Questioni interpretative in materia di clausole di «elasticità» nel «part-time»), hanno

però anche posto in luce che l'orientamento ora indicato diverge dal

l'impostazione seguita da Corte cost. 210/92, cit., e facendo ricorso alla tecnica dell'integrazione-inserzione automatica di regole legali im

perative, e, in particolare, di quella dell'art. 36 Cost. (Cass. 2691/97 richiama anche l'art. 2099 c.c.), hanno «salvato» la validità del contrat to (a tempo parziale); cfr., in senso conforme, Trib. Torino 17 marzo

1995, Foro it., 1995, I, 2445, con nota di richiami, e Riv. it. dir. lav., 1996, II, 380, con nota di M. Caro, Requisiti di forma e di contenuto delle clausole relative alla determinazione e distribuzione dell'orario nel

«part-time». Secondo Cass. 25 novembre 1994, n. 10029, Foro it., 1995, I, 2445, con nota di richiami, e Riv. giur. lav., 1995, II, 470, con nota di G. Riganò, Aspetti retributivi nel lavoro a tempo parziale; Mass.

giur. lav., 1995, 36, con nota di Morgera, Profili del «part-time», è solo l'autonomia collettiva o individuale a poter valorizzare gli aspetti qualitativi della prestazione part-time, introducendo condizioni più fa vorevoli di quelle scaturenti dalla semplice e meccanica attuazione del

principio di proporzionalità. Per l'applicabilità, in generale, appunto del principio della propor

zionalità della retribuzione alla qualità e quantità della prestazione di lavoro anche in caso di contratto a tempo parziale, cfr. Cass. 17 marzo

1992, n. 3240, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 1103, e Riv. it. dir. lav., 1993, II, 190, con nota di V. A. Poso; 4 luglio 1991, n. 7393, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 916; 10 febbraio 1989, n. 834, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 1133; cfr. ulteriori riferimenti nella nota di F. Paternò, id., 1988, I, 1584.

Con riguardo a Cass. 2691/97 sopra riportata, va sottolineato l'inci so per il quale l'art. 5, 2° comma, cit. debba essere interpretato nel senso della necessità della preventiva determinazione nel contratto della distribuzione dell'orario giornaliero (in caso di part-time orizzontale) o dei giorni nell'arco della settimana o dei mesi (in caso di part-time verticale); inciso che nel contesto in cui viene espresso sembra dire che la preventiva determinazione debba essere un profilo del contenuto del contratto. Cass. 12 marzo 1996, n. 2009, Notiziario giur. lav., 1996, 693, ha affermato incidentalmente — nulla quindi risulta dalla massima ufficiale: Foro it., Mass., 207 — che ove il giudice abbia liquidato una somma a titolo risarcitorio per avere, il concreto svolgimento del rap porto, vanificato il diritto del lavoratore di disporre del proprio tempo libero, la decisione non sia censurabile se congruamente motivata e se non siano indicate specifiche circostanze di fatto non esaminate o insuf ficientemente valutate.

Sulla immodificabilità unilaterale della concordata collocazione tem

porale della prestazione a tempo parziale, cfr. Cass. 3451/97, cit.; 17

luglio 1992, n. 8721, id., Rep. 1993, voce cit., n. 557, e Riv. critica dir. lav., 1993, 131, con nota di R. Muggia; Riv. giur. lav., 1992, II, 996, con nota di M. A. Bianca, Sui limiti alla modificabilità della collocazione temporale della prestazione lavorativa nel «part-time»; 19 dicembre 1991, n. 13728, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 609; 9 no vembre 1991, n. 11966, ibid., n. 610, e Riv. giur. lav., 1992, II, 996, con la citata nota di M. A. Bianca e l'altra di M. Bianca, La determi nazione dell'orario di lavoro nel «part-time»; cfr., inoltre, nella più recente giurisprudenza di merito, Pret. Milano 29 aprile 1995, Riv. cri tica dir. lav., 1995, 957, che ha precisato che l'orario concordato nel contratto individuale non può essere legittimamente modificato neppu re mediante accordo con organizzazione sindacale ove il lavoratore non abbia conferito ad essa espresso mandato; Pret. Milano 7 gennaio 1994, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 550, e Riv. it. dir. lav., 1995, II, 109, con nota di M. Lai, I limiti al potere del datore di variare unilate ralmente la collocazione dell'orario di lavoro; contra, con riguardo a contratto stipulato prima del d.l. n. 726, cit., Trib. Roma 19 aprile 1994, Foro it., 1995, I, 2446, con nota di richiami.

(2) Conformi, Cass. 17 novembre 1994, n. 9724, Foro it., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 545; 13 febbraio 1992, n. 1781, id., Rep. 1992, voce cit., n. 608.

Il Foro Italiano — 1997.

I

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso la società denunzia violazione dell'art. 360, n. 3, c.p.c., e preci samente violazione e falsa applicazione dell'art. 5 1. 19 dicem bre 1984 n. 863 e degli art. 36-38 Cost., nonché omessa, insuffi ciente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della

controversia. Deduce in particolare la ricorrente che l'art. 5 1.

n. 863 del 1984 — contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte

costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto dell'11

maggio 1992, n. 210 (Foro it., 1992, I, 3232) — impone solo l'indicazione della distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all'anno; richiede, in altri

termini, solo che sia indicata la quantità di ore, ma non anche

la dislocazione delle ore lavorative nell'arco della giornata, del

le settimane, del mese e dell'anno. A conforto del suo assunto

la ricorrente fa riferimento alla lettera della legge ed alla sua

ratio, che non va ravvisata nel consentire al lavoratore di pro

grammare una seconda attività lavorativa, ma nel mettere a di

sposizione delle imprese uno strumento di natura flessibile, e

quindi ad esse appetibile, con conseguenti benefici effetti sul

l'occupazione. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione del

l'art. 360, n. 3, violazione dell'art. 112 c.p.c., e dell'art. 2697

c.c., nonché violazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c. e difetto di

motivazione della impugnata sentenza.

In particolare lamenta la società che la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di ultra petita nella parte in cui ha ritenuto

di «maggiore penosità» la prestazione part-time con clausola

elastica, e nella parte in cui ha quatificato in termini monetari

tale «penosità». Precisa ancora la ricorrente che il giudice d'ap

pello non ha tenuto nel dovuto conto che il lavoratore aveva

liberamente accettato la distribuzione oraria fissata in contrat

to, non aveva mai lamentato una specifica gravosità delle pre stazioni lavorative né tanto meno aveva provato in alcun modo

di avere avuto occasioni di lavoro perdute per causa dell'orario

part-time in questione. Con il terzo motivo la società deduce violazione dell'art. 360,

n. 3, c.p.c. in relazione all'art. 1226 c.c. In particolare deduce

che il tribunale ha errato nel procedere alla liquidazione equita tiva dei danni a favore del lavoratore ed ha, a tal fine, ricorda

to, l'indirizzo di questa corte in base al quale il potere discre

zionale di liquidare il danno ai sensi dell'art. 1226 c.c. è subor

dinato alla condizione che sia impossibile, o molto difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare e che, in ogni caso, l'esercizio di tale potere sia fondato su presunzioni e su apprez zamenti di probabilità nonché sull'indicazione di congrue, an

che se sommarie, ragioni del processo attraverso cui si perviene alla liquidazione equitativa. Principi questi che — a parere del

la ricorrente — erano stati tutti trascurati dalla decisione im

pugnata. Con l'ultimo motivo la società censura ancora la sentenza

del tribunale per violazione dell'art. 360, n. 3, c.p.c. e dell'art.

112 c.p.c. Sostiene, in particolare la ricorrente, che il lavoratore

aveva basato sin dall'inizio del giudizio la sua domanda sulla trasformazione del contratto part-time in contratto a tempo pieno sicché il tribunale nel liquidare a suo favore i danni, alla stre

gua dell'art. 1226 c.c., era andato ultra petita. Ed invero, la

retribuzione di un rapporto lavorativo a tempo pieno, in cui

si concretizzava la richiesta del lavoratore, è ben distinta dalla

determinazione della «retribuzione» ai sensi dell'art. 36 Cost,

(domanda mai formulata), come dalla valutazione equitativa del

danno.

2. - Il primo motivo del ricorso, il cui esame impone la riso

luzione della questione della validità di un contratto part-time in cui si riscontrano le c.d. clausole elastiche (con le quali le

parti si limitano a determinare la durata del periodo lavorativo

senza specificarne la dislocazione nell'unità di tempo immedia

tamente più ampia) invece delle c.d. clausole rigide (recanti l'in

dicazione sia della quantità che della collocazione temporale della

prestazione), va rigettato. La Corte costituzionale, con sentenza 11 maggio 1992, n. 210,

con il dichiarare infondata la questione di legittimità costituzio nale dell'art. 5, 2° comma, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726 (conver

tito, con modificazioni, nella 1. 19 dicembre 1984 n. 863), ha statuito, con una decisione interpretativa di rigetto, che sul pia no letterale la prescrizione secondo cui nel contratto di lavoro

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1815 PARTE PRIMA 1816

a tempo parziale devono essere indicate, oltre alle mansioni, anche «la distribuzione dell'orario, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno», non appare poter essere

interpretata nel senso che il legislatore abbia considerato suffi

ciente l'indicazione della durata della prestazione lavorativa in

riferimento ai parametri temporali specificati dalla norma (e tanto

meno il riferimento ad alcuni soltanto di essi). Il ricorso al termine «distribuzione» ed il riferimento con

giunto a tutti i parametri temporali denotano con chiarezza che

il legislatore non ha considerato sufficiente che il contratto spe cifichi il numero di ore di lavoro al giorno (ovvero il numero

di giorni alla settimana, al mese o all'anno, ovvero il numero

di settimane al mese o all'anno, ovvero il numero di mesi al

l'anno) in cui la prestazione deve svolgersi, ma ha inteso stabili

re che, se le parti si accordano per un orario giornaliero di

lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve essere determinata la «distribuzione», e cioè la collocazio

ne nell'arco della giornata; se le parti hanno convenuto che il

lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana

inferiore a quello normale, la «distribuzione» di tali giorni nel

l'arco della settimana deve essere preventivamente determinata; se le parti hanno pattuito che la prestazione lavorativa debba

occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere pre ventivamente determinato dal contratto quali (e non solo quan

te) sono le settimane e i mesi in cui l'impiego lavorativo dovrà

essere adempiuto. Siffatta interpretazione letterale, è per il giudice delle leggi,

confortata dalla ratio, sottesa al disposto dell'art. 5, 2° com

ma, 1. 863/84. Il rapporto a tempo parziale si distingue da quello a tempo

pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitati va della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retri

buzione), lascia al prestatore d'opera un largo spazio per altre

eventuali attività, la cui programmabilità, da parte dello stesso

prestatore d'opera, deve essere salvaguardata, anche all'ovvio

fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a tempo par

ziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, 1° comma, Cost.) a realizzare una esistenza libera e dignitosa. Ne consegue che il carattere necessariamente bilaterale della vo

lontà in ordine alla riduzione quantitativa della prestazione, non

ché alla collocazione della prestazione stessa in un determinato

orario non può essere attuata unilateralmente dal datore di la

voro in forza del suo potere di organizzazione dell'attività azien

dale, essendo invece necessario il mutuo consenso di entrambe

le parti (cfr. in motivazione: Corte cost. 11 maggio 1992, n.

210, cit., che richiama Cass. 22 marzo 1990, n. 2382, id., 1990, I, 1516).

Né, nel valutare la ratio della disposizione in esame, può tra

scurarsi la considerazione che nel part-time il legislatore inten

de, certamente, soddisfare l'esigenza di consentire al lavoratore

di collocare le proprie prestazioni presso più datori di lavoro, attraverso una maggiore flessibilità del contratto di lavoro ca

pace di incentivare l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, come del resto si ricava indirettamente dall'art. 5, 6° comma, della stessa 1. n. 863 del 1984, che permette il cumulo delle

ore prestate in diversi rapporti di lavoro ai fini della correspon sione per l'intera misura degli assegni familiari.

Ma il rapporto a tempo parziale è anche funzionalizzato ad

offrire occasioni di lavoro a quanti, non essendo in grado di

lavorare a tempo pieno per altri, vogliono garantirsi spazi di

disponibilità del proprio tempo di vita per attendere ad altre

occupazioni, come è attestato dall'importanza che tale rapporto riveste per alcune categorie di persone (studenti, pensionati) e,

specialmente, per le donne, cui consente di conciliare il loro

ingresso (o la loro permanenza) nel mondo di lavoro con gli

impegni di assistenza familiare su di esse ancora in massima

parte gravanti. Come ha evidenziato la dottrina, il provvedimento legislativo

che disciplina il part-time intende conseguire molteplici scopi,

perché in primo luogo esso è inteso ad incrementare l'occupa zione ponendosi come ulteriore elemento di elasticizzazione del

le regole di accesso al mercato del lavoro, al pari della dilata

zione dell'area della richiesta nominativa e di nuove ipotesi di

contratto a termine; e perché esso consente, n secondo luogo, di soddisfare quelle esigenze di carattere fan iliare, culturale o

sociale o di maggior tempo libero, che in società di tipo post industriale tendono a caratterizzare l'offerta di manodopera, ren

II Foro Italiano — 1997.

dendola meno omogenea che in passato. Le sopra esposte con

siderazioni inducono questa corte a rivedere, quindi, quell'indi rizzo giurisprudenziale che, seppure formatosi su fattispecie sorte

prima dell'entrata in vigore della 1. n. 863 del 1984, avevano

riconosciuto la legittimità delle clausole c.d. elastiche inserite

nel contratto di lavoro a termine in base alla considerazione

che il datore di lavoro, nel richiedere l'effettuazione della ridot

ta prestazione lavorativa a seconda delle esigenze aziendali, non

esercitava i suoi poteri organizzativi in maniera arbitraria ma

in forza e nei limiti di un potere che veniva riconosciuto nel

contratto, sulla base di un assetto normativo liberamente accet

tato dalle parti e condiviso dallo stesso lavoratore (cfr. Cass.

24 marzo 1992, n. 3646, id., Rep. 1992, voce Lavoro (rappor

to), n. 606; 22 marzo 1990, n. 2382, cit.) anche se non era

mancata già all'epoca una decisione che aveva dichiarato nulla

ai sensi dell'art. 1356 c.c. — perché rimessa al mero arbitrio

dell'imprenditore (con conseguente trasformazione del contrat

to part-time in contratto a tempo pieno ed indeterminato) —

la clausola del contratto di lavoro a tempo parziale cosiddetto

verticale, che disponeva una rotazione tra i vari dipendenti del

l'impresa (cfr. Cass. 8 aprile 1987, n. 3450, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 635). L'indicato indirizzo, che ha ritenuto compatibili contratto di

lavoro part-time e clausole c.d. elastiche non può, quindi, esse

re condiviso perché dette clausole, che impongono al lavoratore

di farsi trovare (spesso sulla base di un semplice preavviso che

precede di ore o di qualche giorno l'effettuazione della presta

zione) in condizioni di reperibilità a disposizione della contro parte per tutto o parte del pattuito tempo lavorativo finisce per contraddire quella libertà contrattuale e personale che si è visto

caratterizzare il rapporto di cui si discute.

Le considerazioni sinora svolte portano al rigetto del primo motivo del ricorso, con il quale la società ricorrente ha sostenu

to la piena legittimità delle clausole elastiche, adducendo che

rientra nel modello legale del contratto a tempo parziale la de

terminazione per iscritto della mera durata della prestazione la

vorativa (nel caso di specie: quattro ore giornaliere e ventiquat tro settimanali).

Ed invero tale assunto non può essere giustificato deducendo

che la 1. n. 863 del 1984 tende a rendere conveniente per le

imprese il contratto part-time. Una siffatta ricostruzione teorica non valuta in maniera com

pleta la funzione del contratto in esame, che è diretto a salva

guardare anche l'interesse del lavoratore, facilitandone l'ingres so nel mercato del lavoro e consentendogli, nello stesso tempo, di disporre di spazi di tempo libero da dedicare ad occupazioni extra-lavorative.

3. - Il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, il cui esa

me deve effettuarsi unitariamente per riguardare questioni tra

loro strettamente connesse in quanto relative alla determinazio

ne del danno subito dal lavoratore, vanno accolti per quanto di ragione, risultano, cioè, fondati nei limiti che si passano ad

indicare.

Il giudizio sui suddetti motivi dipende dalla soluzione da dare

all'ulteriore problema relativo alle conseguenze della ritenuta

nullità delle c.d. clausole elastiche, come quelle di cui si discute, che prevedono rapporti di lavoro part-time in cui i tempi della

prestazione vengono rimessi, stante la diversità dei turni lavora

tivi, al «comando» dell'imprenditore, pur nel rispetto della in

tervenuta pattuizione con i lavoratori.

Al fine di un ordinato iter motivazionale appare, innanzitut

to, opportuno ricordare che, in relazione al problema della nul

lità per mancanza della forma scritta, la giurisprudenza di legit timità ha escluso la possibilità di una conversione del contratto

part-time in contratto full-time, facendo scaturire dal mancato

rispetto della forma, ai sensi dell'art. 1419, 1° comma, c.c., la nullità del contratto, con l'applicabilità per il periodo in cui

il rapporto ha avuto esecuzione del disposto dell'art. 2126 c.c.,

espressione c^l principio di effettività della prestazione (cfr. ex

plurimis: C?ds. 14 giugno 1995, n. 6713, id., 1995, I, 2444; 3

maggio 1991, n. 4811, id., 1991, I, 3095; 24 aprile 1991, n. 4482, id., Rep. 1991, voce cit., n. 525), anche se non ha manca

to — in una fattispecie di sostituzione di un lavoratore a tempo

pieno (con diritto alla conservazione del posto) con due lavora

tori a tempo parziale — di considerare a tempo indeterminato i rapporti part-time, in caso di superamento dell'orario pattui to, negando la loro convertibilità in rapporto a tempo pieno

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

in base al richiamo dell'art. 5, 4° comma, 1. n. 836 del 1984,

che sanziona in via amministrativa il divieto di prestazione sup

plementare (cfr. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11380, id., Rep. 1992,

voce cit., n. 578).

Esigenze di ordine logico impongono ora di procedere ad una

duplice puntualizzazione. Nella fattispecie in esame non si versa in una ipotesi di inos

servanza della forma scritta, perché discutendosi sulla validità

delle c.d. clausole elastiche si è in presenza di un dato di natura

sostanziale, riguardante il contenuto del contratto di lavoro part time e la sua compatibilità con pattuizioni che lasciano spazi di discrezionalità all'imprenditore nella determinazione della col

locazione oraria (con riferimento al giorno, alla settimana, al

mese o all'anno) della prestazione lavorativa.

La seconda precisazione attiene all'impossibilità di applicare alle c.d. clausole elastiche, ed al contratto che tali clausole con

templano, il disposto dell'art. 1419, 1° comma, c.c., facendo

dalla relativa applicazione scaturire la nullità dell'intero contratto.

Questa corte ritiene pienamente condivisibili le argomentazio ni sul punto riportate nella già citata decisione n. 210 dell'11

maggio 1992 del giudice delle leggi, laddove si afferma che la

nullità delle clausole di distribuzione dell'orario da parte del

l'imprenditore non può importare la nullità dell'intero contrat

to di part-time perché «sarebbe palesemente irrazionale che dal

la violazione di una norma imperativa regolante il contenuto

del contratto di lavoro a tempo parziale, e posta proprio al

fine di tutelare il lavoratore contro la pattuizione di clausole

vessatorie, potesse derivare la liberazione del datore di lavoro

da ogni vincolo contrattuale» in quanto «se questi fossero gli effetti della normativa in esame, essa di certo non sarebbe in

sintonia con la Costituzione».

Per di più va ricordato come la tesi demolitoria del contratto

per contrasto a norme imperative trovi, per quanto riguarda il rapporto lavorativo, margini certamente più ristretti di quelli riscontrabili in altri rapporti. Ed invero, in presenza di schemi

negoziali modellati in ragione delle diseguaglianze di fatto delle

parti del contratto e della loro differente forza, il principio del

la conservazione del negozio si spiega in tutta la sua efficacia, oltre che con l'attuazione del ricorso al generale principio del

l'art. 1424 c.c., anche con la predisposizione di meccanismi di

conversione legale in «normali» contratti di lavoro (es.: art. 2

1. 18 aprile 1962 n. 230 in tema di contratto a termine; art.

3 d.l. 30 ottobre 1984 n. 726 e art. 8 1. 29 dicembre 1990 n.

407, in tema di contratto di formazione e lavoro) nonché, infi

ne, attraverso il ricorso ad operazioni di sostituzione-integrazione delle clausole nulle con disposizioni imperative, che trova nel

combinato disposto degli art. 1339 e 1418, 2° comma, c.c. la

sua fonte primaria. La sostituzione automatica della volontà delle parti trasfusa

nelle clausole colpite da nullità, attraverso la quale si attua un

repechage del contratto, viene, così, ad assumere, ampia porta ta nel campo giuslavoristico perché, come si è visto, in detto

campo non hanno modo di trovare applicazione «quei limiti

all'operatività del principio di conservazione del rapporto che

sono strettamente collegati all'identificazione nel contratto del

la fonte primaria del regolamento negoziale, come si verifica

nell'ambito della disciplina comune» (cfr. in tali sensi: Corte

cost. 11 maggio 1992, n. 210, cit.) e perché, ancora, sulla rego lamentazione del rapporto di lavoro, che pure trova la sua ori

gine in un atto di autonomia privata, incidono in maniera rile

vante fonti eteronome (norme imperative, contratti collettivi)

indipendentemente dalla volontà delle parti di detto rapporto, e non di rado contro di essa.

4. - Nel quadro dei principi giuridici innanzi enunciati deve trovare soluzione la fattispecie in esame.

Per quanto sinora detto va scartata la tesi che fa derivare

dalla illegittimità della clausola elastica la nullità dell'intero con

tratto, in applicazione del disposto dell'art. 1419, 1° comma,

c.c. Si consentirebbe, infatti, una liberazione del datore di lavo

ro da ogni vincolo contrattuale con contestuale ingiustificato

pregiudizio del lavoratore, attesa l'impossibilità — in assenza

di una espressa disposizione di legge — di convertire il lavoro

a tempo parziale in ordinario rapporto di lavoro a tempo pie

no, che vincolerebbe in contrasto con la regola dell'art. 1424

c.c. ad effetti diversi da quelli che le parti (entrambe o quanto

meno il datore di lavoro) hanno voluto.

Il Foro Italiano — 1997.

Ma non sembra fondata neanche l'ulteriore opinione, che,

pur escludendo la nullità dell'intero contratto di lavoro part time per la presenza in detto contratto di clausole elastiche, e

pur limitando tale nullità unicamente a dette clausole, ammette

la conversione del rapporto in full-time, percorrendo la via di

richiamarsi al tipo legale di contratto di lavoro subordinato, enucleabile dall'art. 2094 c.c., e di sostituire, quindi, al tipo «deviato» di part-time il generale archetipo, costituito dall'ordi nario rapporto di lavoro a tempo pieno.

Siffatta soluzione ancora una volta presenta, sul piano gene

rale, l'inconveniente di trascurare eccessivamente l'autonomia

privata, obbligando le parti al rispetto di effetti da esse non

voluti e non previsti in alcun modo. Su di un diverso piano va attribuito il dovuto rilievo al dato normativo, che lungi dal

prevedere ipotesi di conversione negoziale, mostra invece di vo

lere conservare l'originario schema negoziale anche in presenza di infrazioni destinate a riflettersi sull'iniziale e prevista regola mentazione dell'orario lavorativo; ed invero nell'ipotesi di una

non giustificata effettuazione di lavoro supplementare, l'art. 5, 4° comma, 1. n. 863 del 1984, lungi dal prevedere il passaggio dal rapporto part-time in rapporto a tempo pieno, si limita a

contemplare a carico del datore di lavoro (che tale prestazione ha richiesto) la sanzione amministrativa di cui ai commi 13 e

14 dello stesso art. 5.

Le suddette argomentazioni inducono la corte a seguire l'opi

nione, fatta propria da un consistente indirizzo dottrinario, se

condo cui ferma la validità del contratto a tempo parziale l'in

tegrazione deve operare, contro la volontà delle parti, unica

mente in relazione al trattamento economico che, sulla base dei

principi dettati dall'art. 36 Cost, e dall'art. 2099, 2° comma,

c.c., deve tener conto non solo delle prestazioni effettivamente

eseguite dal lavoratore, ma anche della disponibilità richiesta

a quest'ultimo. In tale opera adeguatrice dovrà assegnarsi il do

vuto rilievo alla maggiore penosità ed onerosità, che viene di

fatto ad assumere la prestazione lavorativa per la messa a di

sposizione delle energie lavorative per un tempo maggiore a quello effettivamente lavorato. Detta più accentuata onerosità è deter

minata dal grado di difficoltà della programmazione di altre

attività (di lavoro o di tempo libero), dal tempo di preavviso

previsto, e dalla percentuale rivestita nell'ambito della intera

attività lavorativa dalle prestazioni a comando (massima, sotto

tale ultimo aspetto, è la onerosità della prestazione lavorativa

allorquando le clausole elastiche interessano non una parte ma

l'intera prestazione), anche se la posizione di disponibilità non

potrà mai essere equiparata a lavoro effettivo.

Corollario di tale soluzione è che sul versante processuale in

combe al lavoratore, al fine di pervenire ad un bilanciamento

delle prestazioni effettuate, dimostrare la maggiore penosità ed

onerosità della prestazione effettuata in ragione degli effetti pre

giudizievoli prodotti dalla disponibilità richiesta, salva sempre la possibilità da parte del datore di lavoro di contestare i fatti

addotti da controparte, dimostrandone l'infondatezza.

In un siffatto contesto il ricorso alla determinazione equitati va del danno ex art. 432 c.p.c. si configura come rimedio utiliz

zabile solo in caso di impossibilità (o di estrema difficoltà) di

prova sull'effettiva entità del danno subito dal lavoratore.

Per quanto sinora detto la sentenza impugnata va cassata per avere proceduto alla liquidazione del danno, sul presupposto di un presunto inadempimento contrattuale e per avere posto a parametro per la determinazione del danno la retribuzione

spettante al lavoratore sulla base della prestazione lavorativa

a tempo pieno, e non invece il disposto dell'art. 36 Cost.

Così facendo il tribunale, seppure non è incorso nel vizio di

ultra petita non avendo posto a fondamento un fatto giuridico diverso da quello dedotto dal lavoratore e dibattuto in giudizio — e non avendo integrato o sostituito gli elementi della causa

petendi (cfr. per una analoga fattispecie: Cass. 12 marzo 1996,

n. 2009, id., Mass., 207) — ha tuttavia, come innanzi si è det

to, proceduto ad una liquidazione del danno su presupposti errati.

Ne consegue che, ai sensi del testo novellato dell'art. 384 c.p.c.,

essendo necessari nuovi accertamenti di fatto, la causa va ri

messa ad un diverso giudice d'appello, che si designa nel Tri

buale di Pisa, che procederà ad un nuovo esame nei limiti indi

cati e nell'osservanza dei principi giuridici innanzi enunciati.

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1819 PARTE PRIMA 1820

II

Motivi della decisione. — (Omissis). 5. - In ordine logico va poi esaminata la questione relativa alla necessità di forma scrit

ta, anche per i contratti a tempo parziale stipulati prima del

l'entrata in vigore della 1. n. 863, al fine di conservarne la vali

dità anche dopo questa legge: la questione è trattata, insieme

ad altri profili, che verranno esaminati in seguito, con il primo e terzo motivo del ricorso principale e con il ricorso incidentale.

Al riguardo la corte non ha che da richiamare la propria pre cedente giurisprudenza (Cass. 24 marzo 1992, n. 3646, Foro

it., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 606; 17 novembre

1994, n. 9724, id., Rep. 1994, voce cit., n. 545), con la quale si è ritenuto che, alla stregua dei principi che disciplinano l'effi cacia della legge nel tempo, l'obbligo introdotto dalla 1. n. 863

del 1984 di stipulare per iscritto il contratto di lavoro a tempo

parziale, non solo non può riguardare i rapporti sorti in epoca

antecedente, ma non può rendere illecita la forma osservata in

conformità della precedente disciplina, né può condizionare la

permanenza degli effetti del contratto all'adempimento delle for

malità introdotte dalla nuova normativa. Questa opinione, che

trova il suo punto di forza nel noto principio che per la forma

degli atti tempus regit actum, deve essere riaffermata, per cui,

nel caso in cui il contratto che ha dato origine ad un certo

rapporto si sia completato sotto una disciplina, che lasciava li

bere le parti nell'adozione della forma, non è necessario perché

possa continuare a produrre i suoi effetti, che le parti si faccia

no carico di riprodurlo secondo la forma, quale prescritta da

una successiva norma.

6. - Con i motivi primo e terzo del ricorso principale e con

il ricorso incidentale viene sollevato l'ulteriore problema, se l'ob

bligo di fissare la distribuzione dell'orario di lavoro, previsto con la 1. n. 863, vada riferito anche ai rapporti sorti prima dell'entrata in vigore di tale legge.

Occorre premettere che con il terzo motivo la società censura

la decisione impugnata anche per aver ravvisato nella relazione

esistente tra le parti un sistema di lavoro «a comando» e/o «a

chiamata», mentre — a suo dire — in base agli elementi acqui siti al processo tutto questo non ricorreva.

Al riguardo, la corte ritiene che, con questa censura, la ricor

rente intende sottoporle la verifica di una ricostruzione e valu

tazione dei fatti, inammissibile in questa sede. Ed infatti il tri bunale, tenendo conto degli elementi acquisiti e delle stesse di

fese della società, ha posto in evidenza che, in forza dell'accordo

intercorso, al lavoratore era richiesto di prestare servizio di vol

ta in volta in fuzione delle esigenze aziendali; che la program mazione riguardava solo il 33% (in precedenza il 25%) della

prestazione richiesta; che la convocazione avveniva con un preav viso di quarantotto ore o addirittura senza preavviso per la so

stituzione del personale ammalato: da tutto questo ha tratto

la logica ed ineccepibile conclusione che al lavoratore non era

assolutamente consentito di programmare un'altra attività lavo

rativa, per cui sul punto la censura proposta risulta inammissibile.

Passando ai profili più propriamente di diritto prospettati dalle

parti e per dare ad essi una riposta, va ricordato che questa corte in precedenti sue decisioni e per fattispecie poste in essere

prima della 1. n. 863, ha ritenuto, da un lato, che non era con

sentito al datore di lavoro di variare unilateralmente i tempi concordati della prestazione lavorativa part-time, ma, dall'altro

lato, che erano legittime le c.d. clausole elastiche inserite nel

contratto, in forza delle quali il datore di lavoro aveva la facol

tà di chiedere che detta prestazione venisse resa a seconda delle

esigenze aziendali, dato che in tal modo il potere datoriale non

veniva ad essere esercitato in maniera arbitraria, ma in forza

e nei limiti di una clausola contrattuale compatibile con il pre cedente assetto normativo (Cass. 22 marzo 1990, n. 2382, id.,

1990, I, 1516; 24 marzo 1992, n. 3646, cit. Ma per Cass. 8 aprile 1987, n. 3450, id., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 635, si sarebbe in presenza di una clausola potestativa vietata).

La validità di questi precedenti va però verificata alla luce

dell'intervento di Corte cost. 11 maggio 1992, n. 210 (id., 1992, I, 3232).

Esaminando il problema della compatibilità con i principi co stituzionali dell'art. 5, 2° comma, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito nella 1. 19 dicembre 1984 n. 863, interpretato appun

II Foro Italiano — 1997.

to nel senso di riconoscere la validità delle c.d. clausole elasti

che, la corte ha richiamato il critreio ermeneutico, in forza del

quale, in presenza di più significati possibili di una medesima disposizione, l'interprete deve escludere quello, tra essi, che non

sia coerente con il dettato costituzionale. Partendo da questa

premessa, ha osservato che sul piano letterale la formulazione

della norma censurata non può essere interpretata nel senso che

il legislatore abbia considerato sufficiente l'indicazione della du rata della prestazione lavorativa in riferimento ai parametri tem

porali indicati nella norma, in quanto l'espressione «distribu

zione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al

mese e all'anno» palesa l'intento che la prestazione sia colloca

ta nell'arco del parametro temporale considerato. Del resto, con

tinua il giudice delle leggi, l'ammissibilità di un contratto part

time, nel quale sia riconosciuto il potere datoriale di fissare o

variare unilateralmente la collocazione temporale della presta zione pattuita nella sua quantità, sarebbe in contrasto con le

finalità, alle quali è ispirata la disciplina di questa figura con trattuale: se deve essere lasciata al lavoratore la possibilità di

svolgere altre attività nello spazio temporale disponibile, in mo

do da consentirgli l'utilizzazione secondo le sue opzioni perso nali e, quindi, se del caso anche collocando le sue energie lavo

rative in un'altra occupazione, così da permettergli di consegui re quel trattamento economico complessivo idoneo ad assicurargli un'esistenza libera e dignitosa, la previsione contenuta in un

patto che rimetta al datore di lavoro di richiedere — secondo

sue valutazioni e senza una predeterminazione delle modalità

temporali — la prestazione verrebbe a ledere quella libertà del

lavoratore di disporre del proprio tempo. Di fronte a queste osservazioni, che hanno portato la Corte

costituzionale a disattendere «nei sensi di cui in motivazione»

la questione di legittimità della norma in commento, sollevata

sulla base di una opposta interpretazione, si pone allora il pro blema di riaffermare o meno la precedente prevalente giurispru

denza, come sopra richiamata.

Non vi è dubbio, infatti, che le sentenze di rigetto delle que stioni di costituzionalità non sono vincolanti, ma ciò non toglie che l'autorevolezza dell'organo deputato alla verifica di legitti mità costituzionale deve indurre a rimeditare il problema.

Orbene, se la logica del contratto di lavoro part-time è quella di favorire l'incontro di volontà di due soggetti, l'uno dei quali ha l'interesse ad avvalersi di una prestazione lavorativa limitata

con conseguente riduzione della spesa, l'altro di offrire una pre stazione ridotta, è evidente che nel sinallagma contrattuale quello che è richiesto al lavoratore è di offrire alla controparte un tem

po definito e non già una disponibilità senza limiti del proprio

tempo: è ben noto, del resto, che, se pure non equiparabile al lavoro effettivo, anche la semplice disponibilità o reperibilità al di fuori dell'orario normale di lavoro — in modo da consen

tire al datore di lavoro, all'occorrenza, di potersene avvalere — deve avere ed ha una sua remunerazione (Cass. 9 settembre

1991, n. 9468, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1087; 21 dicembre

1995, n. 13055, id., Rep. 1995, voce cit., n. 922). Orbene, non

è dato comprendere in base a quale criterio si possa pretendere una disponibilità alla «chiamata», che vada al di là del tempo di lavoro convenuto e che dovrebbe comportare lo stesso tratta

mento economico, dovuto nel caso in cui questa disponibilità non sia richiesta.

Per altro verso, la giurisprudenza è univoca nel ritenere che, in assenza di accordo tra le parti, non è consentito al datore

di lavoro di modificare unilaterlmente l'orario di lavoro (Cass. 22 marzo 1990, n. 2382, cit.; 19 dicembre 1991, n. 13728, id., Rep. 1991, voce cit., n. 522; 17 luglio 1992, n. 8721, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1676), proprio perché diversamente al lavo

ratore sarebbe preclusa la possibilità di utilizzare il tempo di

sponibile in altra attività economicamente redditizia. E, sotto

tale aspetto, questa fattispecie provoca gli stessi effetti pregiudi zievoli per il lavoratore della clausola elastica.

Né può correttamente dirsi che, trattandosi di una limitazio

ne introdotta con la 1. n. 863, per i rapporti sorti in epoca ante

riore, ai quali non si applicherebbe la forma introdotta con quella

legge, la validità di una siffatta clausola sarebbe fuori discus

sione. Premesso che la validità o meno della clausola non di

pende dall'osservanza del requisito di forma, bensì da un vizio

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

che tocca il contenuto dell'atto, deve essere sottolineando che

l'intervento della Corte costituzionale concerne una legge che

ha regolato, con alcune limitazioni, il potere delle parti di stipu lare contratti di lavoro a tempo parziale, che prima di tale legge

potevano essere posti in essere liberamente, come espressione dell'esercizio dell'autonomia negoziale delle parti (Cass. 11 marzo

1981, n. 1372, id., Rep. 1981, voce cit., n. 903; 14 luglio 1983, n. 4805, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1503): orbene, posto che

gli argomenti posti dal giudice delle leggi a sostegno dell'inter

pretazione accolta — e relativa ad una normativa di per sé più

limitativa del potere in precedenza riconosciuto alle parti — si

fonda su principi già esistenti nell'ordinamento, non pare che

possa fondatamente dubitarsi sulla conclusione, alla quale la

corte ritiene di dover addivenire e che, cioè, le clausole elasti

che, che consentono al datore di lavoro di richiedere «a coman

do» la prestazione lavorativa dedotta in un contratto di part

time, concluso prima dell'entrata in vigore del d.l. 30 ottobre

1984 n. 726, convertito nella 1. 19 dicembre 1984 n. 863, sono

illegittime, in quanto potenzialmente lesive del diritto a conse

guire una retribuzione conforme all'art. 36 Cost., nella misura

in cui impongono al lavoratore tempi di disponibilità non utiliz

zabili in altre attività, siano esse redditizie o non.

In questa prospettiva, allora, la tesi sostenuta dalla ricorrente

principale, che da una lettura coordinata dei commi 2° e 3°

dell'art. 5 vorrebbe trarre la conclusione che, attraverso la con

trattazione collettiva, anche a livello aziendale, sarebbe possibi le rendere flessibile la distribuzione del lavoro nelle unità tem

porali di riferimento (giorno, settimana, mese, anno), si pone in contrasto con il principio come sopra enunciato.

7. - L'ulteriore problema, che si pone all'esame della corte, è quello, sollevato con il quarto motivo del ricorso principale, relativo alle conseguenze della ritenuta nullità delle clausole che

prevedono rapporti part-time a comando.

Può essere utile ricordare che, in ordine all'altro problema delle conseguenze della nullità per mancanza della forma scrit

ta, la giurisprudenza di legittimità appare sostanzialmente uni

voca nell'escludere la possibilità di conversione del contratto

part-time in contratto full-time, sia pure attraverso argomenta zioni in parte diverse: si ritiene che, per la fattispecie occorre

rifarsi all'art. 1419, 1° comma, c.c. e, quindi, dichiarare la nul

lità del contratto, a meno che non risulti che le parti avrebbero

voluto porre in essere un rapporto full-time (ad esempio Cass.

3 maggio 1991, n. 4811, id., 1991, I, 3095; 17 novembre 1994, n. 9724, cit.; 14 giugno 1995, n. 6713, id., 1995, I, 2444), ovve ro che il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto

diverso, sempre che di questo abbia i requisiti di forma e di sostanza, se, avuto riguardo all'intenzione delle parti, debba ri

tenersi che le stesse o avrebbero voluto se avessero conosciuto

la nullità (Cass. 11 agosto 1990, n. 8169, id., Rep. 1990, voce

cit., n. 521; 10 giugno 1993, n. 6487, id., Rep. 1993, voce cit., n. 546); in ogni caso, poiché di fatto è stata eseguita una pre stazione lavorativa in forma ridotta, ha ritenuto la corte che

la nullità non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, così che il lavoratore ha diritto alla retri

buzione in relazione alla prestazione eseguita, ai sensi dell'art.

2126 c.c., che è espressione del principio di effettività nel diritto

del lavoro.

Questa impostazione diverge nettamente da quella seguita dalla

Corte costituzionale nella richiamata sentenza 210 del 1992, per la quale la nullità prevista a tutela del lavoratore non potrebbe

travolgere il contratto, liberando il datore di lavoro da ogni

vincolo, in quanto il sistema del diritto del lavoro è caratteriz

zato dal fatto che le norme imperative e quelle collettive regola no direttamente il rapporto, pur se questo abbia origine dalla

volontà delle parti, in misura certamente prevalente rispetto al

l'autonomia individuale, con la conseguenza che la richiamata

nullità non può estendersi all'intero contratto. Con tale decisio

ne, peraltro, la Corte costituzionale non ha specificato quale

debba essere la configurazione da dare alla fattispecie che risul

ta da quella impostazione, rientrando nei compiti del giudice ordinario trovare la soluzione al problema. Ma l'opinione della

conservazione del contratto, per l'ipotesi dell'inosservanza della

forma, comunque non vincolante per il giudice, non è stata se

guita da questa corte (Cass. 14 giugno 1995, n. 6713, cit.; 14

febbraio 1996, n. 1121, id., Mass., 116).

Il Foro Italiano — 1997.

La soluzione dell'interrogativo, che si propone nel presente

giudizio, a ben riflettere, va ricercata prescindendo da quello relativo alla mancanza di forma scritta, perché, come si è avuto

modo di dire in precdenza, nel caso di previsione di un potere di chiamata da parte del datore di lavoro, per essere stato inse

rita nel contratto la clausola «elastica», si è di fronte ad una

illegittimità che tocca il contenuto — o meglio la causa — del

contratto.

Come si è detto, il tribunale ha ritenuto che, a seguito del

l'entrata in vigore della 1. 863/84, la società era tenuta a redige re per iscritto il contratto part-time, predeterminando la distri

buzione dell'orario nelle varie unità temporali, con la conse

guenza che, da quella data, il rapporto si sarebbe convertito

in un normale rapporto a tempo pieno; che la mera violazione

della norma, di cui all'art. 5, 2° comma, non faceva sorgere il diritto alla conseguente retribuzione per il periodo preceden

te, diritto che invece è venuto ad esistenza nel momento in cui

il lavoratore, nel giugno 1990, dopo che con una lettera del

maggio 1987 si era limitato a chiedere la «formalizzazione scrit

ta del rapporto», aveva chiesto di essere utilizzato a tempo pieno.

Questa tesi non appare corretta per un duplice ordine di con

siderazioni. Premesso che la questione della distribuzione dell'orario non

attiene alla forma, bensì al contenuto del contratto, se, per quan to si è detto in precedenza, l'illegittimità della clausola di flessi

bilità non si pone in relazione alla 1. n. 863, far decorrere le

conseguenze di tale contrasto con principi dall'ordinamento dal

l'entrata in vigore della legge stessa, non appare giuridicamente corretto: se infatti la clausola è stata intesa dalla Corte costitu

zionale lesiva del diritto del lavoratore ad utilizzare il tempo residuo in altra occupazione redditizia o in altre attività secon

do le sue scelte, le conseguenze di questa illegittimità prescindo no dalla data di entrata in vigore della 1. n. 863 (o meglio del

d.l. n. 726), per cui, anche se la domanda del lavoratore è limi

tata al periodo successivo a questa data — ed in questi limiti

nel presente giudizio, per il rispetto del petitum, deve essere

esaminata — in linea di principio deve affermarsi che la rilevata

illegittimità prescinde dalla operatività della legge in oggetto. Sotto un diverso profilo la soluzione accolta dal tribunale

(che trova un precedente in Cass. 8 aprile 1987, n. 3450, cit., relativo ad un caso di part-time c.d. verticale, per il quale era

prevista nel contratto la facoltà, genericamente indicata e man

cante delle modalità temporali relative allo svolgimento delle

prestazioni, del datore di lavoro di far ruotare i lavoratori per evitare la riduzione del personale) non offre una risposta appa

gante sul modo in cui possa aversi la trasformazione del rap

porto in full-time, in assenza di una norma, in forza della quale si abbia l'inserzione automatica della diversa regola del contrat

to full-time, né spiega come la nullità, che riguarda la distribu

zione della prestazione convenuta, debba toccare anche la clau

sola, che legittimamente delimita la quantità di lavoro convenu

ta. Né il tentativo di dare un sostegno a siffatta costruzione

teorica, che secondo alcuni risiede nel primato e nella forza di

attrazione del tipo legale di contratto di lavoro subordinato (che è a tempo pieno) rispetto alle specie deviate da tale modello, fra le quali rientrerebbe il part-time, trova riscontro in alcun

dato positivo (Cass. 11 agosto 1990, n. 8169, id., 1991, I, 3096; 14 giugno 1995, n. 6713, cit., quest'ultima riferita però al diver

so problema della mancanza della forma scritta). In realtà, l'o

pinione che il rapporto di lavoro debba esaurire tutta la capaci tà lavorativa del prestatore di lavoro appare più che altro un

dato sociologico, tra l'altro non più in sintonia con un sistema

nel quale tende a diffondersi — ed anzi ad essere incoraggiato, anche nel pubblico impiego — un modello di rapporto, che da

un lato consenta una più diffusa occupazione e, dall'altro lato,

che lascia più ampio spazio allo spirito di iniziativa personale. In questo contesto, parlare di un favore del legislatore verso

l'occupazione a tempo pieno e, di contro, di un disfavore verso

il lavoro a tempo parziale, non appare in sintonia con gli orien

tamenti attuali.

Una diversa tesi è quella di ritenere valido il contratto di la

voro a tempo parziale, pur se privo della clausola di distribu

zione dell'orario di lavoro, il contenuto della quale potrebbe essere determinato, ai sensi dell'art. 1362, 2° comma, c.c., te

nendo conto del comportamento posteriore delle parti nella con

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Page 8: sezione lavoro; sentenza 26 marzo 1997, n. 2691; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Fedeli (concl. conf.); Soc. Foodservice System Italia (Avv. Tamburro, Fanfani) c. Nilo (Avv.

1823 PARTE PRIMA 1824

creta attuazione della convenuta prestazione. Ma contro questa

opinione si è giustamente rilevato che la stessa, oltre ad essere

in contrasto con le categoriche enunciazioni della Corte costitu

zionale, svuoterebbe di fatto la portata dell'art. 5 1. n. 863,

riattribuendo al datore di lavoro uno ius variandi, che questa

corte ha ripetutamente disconosciuto (Cass. 22 marzo 1990, n.

2382, cit.; 24 marzo 1992, n. 3646, cit.). Di segno diametralmente opposto alle due precedenti è la tesi

secondo cui la nullità della clausola si riflette su tutto il contrat

to, con la conseguenza che, per il passato, dovrà farsi applica

zione dell'art. 2126 c.c., mentre per il futuro il contratto sarà

improduttivo di effetti: è una soluzione (accolta da Cass. 11

agosto 1990, n. 8169, cit.) che si fonda sull'art. 1419, 1° com

ma, c.c. per il caso in cui risulti che i contraenti (o uno di

essi) non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del

suo contenuto (nella specie: la clausola di flessibilità) colpita dalla nullità.

Questa tesi — che, nella sua assolutezza, per tutelare il con

traente più debole, in buona sostanza lo priva della garanzia

della continuazione del rapporto — è stata decisamente criticata

dalla più volte richiamata Corte cost. 210/92, ma in effetti può

costituire solo il punto di partenza per la soluzione del problema.

8. - Nel vigente sistema giuridico la norma giuridica in linea

di massima presenta due tipi di efficacia: in base all'uno, il

regolamento del rapporto contrario al comando si risolve nega

tivamente, nel senso che le disposizioni contrattuali vengono fatte

caducare; nell'altro caso si produce un effetto positivo, per mezzo

della sostituzione delle clausole negoziali contrastanti, ovvero

dell'integrazione, che così viene a colmare le eventuali lacune

verificatesi nel regolamento pattizio.

L'art. 1374 c.c. dispone infatti che il contratto obbliga le par

ti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte

le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancan

za, secondo gli usi e l'equità; a sua volta l'art. 1339 c.c. dispo

ne che le clausole imposte dalla legge sono di diritto inserite

nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi ap

poste dalle parti. Da tanto deriva che l'art. 1374, nel disciplina

re gli effetti legali del contratto, comprende nella sua previsione

anche quelli regolati dall'art. 1339 e, quindi, anche gli effetti

che urtano contro quelli voluti dalle parti.

Questo assetto trova conferma in altre regole del vigente or

dinamento in tema di nullità parziale, in quanto l'art. 1419,

2° comma, c.c. dispone che la nullità di singole clausole non

importa quella dell'intero contratto, quando le clausole sono

sostituite di diritto da norme imperative, assetto che, quindi,

si sovrappone alla diversa volontà delle parti trasfusa nelle clau

sole sanzionate con la nullità, così imponendo la conservazione

coattiva del contratto interessato dal meccanismo di sostituzione

integrazione automatica. Esiste, dunque, nel nostro ordinamen

to una linea di tendenza, che palesa l'intento del legislatore di

salvare, il più possibile, il contratto in presenza di clausole con

trastanti con interessi ritenuti meritevoli di particolare tutela:

ora, se si pensa che il sistema del diritto del lavoro, come è

noto, è caratterizzato da un forte condizionamento della volon

tà contrattuale per la presenza di una disciplina inderogabile di legge o della contrattazione collettiva, la regola, contenuta

nel 1° comma dell'art. 1419, non può che cedere alla previsione del 2° comma, per cui la volontà delle parti, in ordine alla clau

sola nulla, viene ad essere sostituita da un regolamento confor

me alle norme imperative, donde la conclusione, autorevolmen

te e diffusamente sostenuta in dottrina, che l'efficacia mera

mente invalidante trova ingresso solo in ipotesi eccezionali e

ben circoscritte e che al «voluto» dalle parti vengono ricollegati

degli «effetti» previsti dalla norma.

Da questa premessa si ricava un punto fermo: non tutto il

contratto part-time perde validità, ma solo quella parte di esso

che riserva al datore di lavoro il potere unilaterale di fissare

le modalità temporali della prestazione pattuita. L'ulteriore passaggio è quello di individuare la regola di dirit

to, che si sostituisce alla clausola nulla.

Orbene, nell'ottica di una lettura conforme ai principi costi

tuzionali, è evidente la contrarietà a che al lavoratore vengano

imposti tempi di disponibilità non adeguatamente retribuiti, per cui un compenso, che venga ragguagliato solamente alle ore di

lavoro effettivamente rese, non risponde al principio di corri

li. Foro Italiano — 1997.

spettività, che è alla base del rapporto di lavoro e che trova

la sua tutela imperativa nell'art. 36 Cost.

In base a questa ricostruzione, ritiene la corte che una rispo sta all'interrogativo si possa dare. Se si parte dal presupposto che nel diritto del lavoro vi siano delle fonti eteronome (legge

e contratto collettivo), che si impongono e prevalgono anche

sulla volontà dei soggetti contraenti — nel caso in cui questa

comporti condizioni meno favorevoli per il lavoratore rispetto

alla norma inderogabile — l'inserimento sostitutivo, che opera

anche contro la volontà delle parti, riguarda l'aspetto del trat

tamento economico, che deve compensare non solo la presta

zione effettivamente eseguita, ma anche quella più ampia dispo

nibilità richiesta al lavoratore. E come in un qualsiasi rapporto

di lavoro può essere demandato al giudice la determinazione

della retribuzione adeguata e proporzionata alla qualità e quan tità del lavoro svolto — senza che per questo venga travolto

nella sua interezza il contratto di lavoro in caso di negazione

del compenso o di una accertata incongruità — con la mera

sostituzione, in forza dell'art. 1419, 2° comma, di quella parte del contratto relativa alla retribuzione, a mezzo della previsione

di un trattamento conforme al precetto costituzionale (cfr. Cass.

3 aprile 1996, n. 3092, id., Mass., 302), allo stesso modo il

contratto part-time conserva la sua validità attraverso il mecca

nismo di inserimento sostitutivo di un regime che riporti all'e

quilibrio, imposto dalla norma imperativa, la relazione tra le

parti. Tutto questo non esclude, ovviamente, che dopo la iniziale

pattuizione della clausola elastica, in un secondo momento si

possa regolarizzare la situazione, prefissando nelle singole unità

di misura temporali la distribuzione della quantità di orario

pattuita. Per il periodo, in cui la prestazione di lavoro è stata resa

in base alla clausola nulla, ritiene la corte che occorre allora

verificare, per determinare il compenso dovuto al lavoratore,

quale sia stato in concreto il tempo di preavviso previsto o os

servato per la richiesta di lavoro «a comando», dell'eventuale

quantità di lavoro predeterminata in maniera fissa (si assume

in ricorso che per una certa quota la preventiva distribuzione

era fissata e che il lavoratore poteva anche rifiutare la presta

zione se il preavviso era inferiore a quarantotto ore), tenendo

conto della concreta incidenza che l'attuazione del contratto ab

bia avuto sulla possibilità di svolgere altre attività economica

mente redditizie, dell'eventuale convenienza dello stesso lavora

tore a concordare di volta in volta le modalità di prestazione, del fatto che in ogni caso la posizione di disponibilità non è

da parificare a lavoro effettivo.

9. - In conclusione, ritiene la corte che le clausole elastiche

nel contratto di lavoro part-time sono nulle, ma tale nullità non

travolge l'intero contratto, che resta valido mediante l'inserzione

sostituzione di una clausola, in forza della quale la disponibili

tà, di fatto richiesta al lavoratore, alla chiamata del datore di

lavoro, per rendere la prestazione pattuita, deve trovare ade

guato compenso, tenendo conto di come quella disponibilità ab

bia avuto in concreto incidenza sulla possibilità di attendere ad

altre attività redditizie.

Pertanto, in accoglimento per quanto di ragione sia del ricor

so principale che di quello incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altro giudice, il quale, sulla

base del principio di diritto affermato, provvederà, se del caso

all'esito degli accertamenti di fatto che riterrà necessari, a de

terminare il compenso dovuto al lavoratore per la disponibilità in concreto richiestagli per l'esecuzione della prestazione con

venuta.

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