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sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6786; Pres. Nuovo, Est. Roselli, P.M. Iannelli (concl....

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sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6786; Pres. Nuovo, Est. Roselli, P.M. Iannelli (concl. conf.); Perotto (Avv. Del Col, Fiorenza) c. Min. interno. Cassa Trib. Trieste 4 gennaio 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 4 (APRILE 1997), pp. 1221/1222-1225/1226 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191416 . Accessed: 24/06/2014 21:19 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.162 on Tue, 24 Jun 2014 21:19:11 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6786; Pres. Nuovo, Est. Roselli, P.M. Iannelli (concl.conf.); Perotto (Avv. Del Col, Fiorenza) c. Min. interno. Cassa Trib. Trieste 4 gennaio 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 4 (APRILE 1997), pp. 1221/1222-1225/1226Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191416 .

Accessed: 24/06/2014 21:19

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1221 PARTE PRIMA 1222

scenze e procedure per così dire normali, l'appaltatore potrebbe andare esente da responsabilità per vizi e difformità della co

struzione che dipendessero dalla mancata o insufficiente consi

derazione di quelle condizioni.

Pertanto, si deve affermare che l'indagine sulla natura e con

sistenza del suolo edificatorio rientra tra gli obblighi dell'appal

tatore, dipendendo l'esecuzione a regola d'arte di una costru

zione dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologi che del terreno su cui devono essere poste le fondazioni. Poiché

non risulta dalla sentenza che nella specie l'indagine presentasse difficoltà particolari superiori alle conoscenze che devono esse

re assicurate dalla organizzazione necessaria allo svolgimento

dell'attività edilizia, l'appaltatore deve rispondere in solido con

il progettista dei vizi dell'opera dipendenti dal cedimento delle

fondazioni dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo non

tenute presenti dal progetto (v. Cass. 16 novembre 1993, n. 11290,

Foro it., Rep. 1993, voce Appalto, n. 35; 28 marzo 1987, n.

2725, id., Rep. 1987, voce cit., n. 33). Infatti, non può essere condivisa la tesi sostenuta dal ricor

rente principale, con cui si prospetta che la responsabilità an

drebbe posta a esclusivo carico della ditta appaltatrice sul pre

supposto che sull'appaltatore gravi l'obbligo di controllare la

validità del progetto in relazione alle caratteristiche geologiche

del terreno su cui l'edificio deve sorgere. Di tali condizioni in

fatti anche il progettista deve tenere conto nella redazione del

compito professionale commessogli, posto che questo non con

siste in un'esercitazione astratta di carattere architettonico od

estetico, ma nella redazione di un modello in funzione della

sua realizzazione in uno specifico manufatto. Il fatto che la

traduzione del modello in un'opera concreta spetti all'appalta

tore non fa venir meno la responsabilità del professionista nei

confronti del committente, qualora i vizi e le manchevolezze

della costruzione dipendano da una progettazione rivelatasi ina

deguata alle condizioni geologiche del terreno sul quale il pro

gettista non aveva svolto la necessaria indagine geognostica. Si

tratta invero di imperfetto adempimento dell'obbligazione as

sunta con il contratto d'opera professionale (art. 2235 c.c.) —

in ordine al quale non è stato comunque eccepito trattarsi di

prestazione implicante soluzione di problemi tecnici di speciale

difficoltà — che è fonte di responsabilità, allorché l'inadeguata

progettazione in relazione alle caratteristiche geologiche del ter

reno abbia costituito, come nella specie, uno degli antecedenti

eziologicamente rilevanti dei difetti della costruzione.

Orbene, la sentenza impugnata merita censura non nella sta

tuizione in cui ha riconosciuto la responsabilità del progettista,

essendosi informata ai sopra esposti principi normativi, ma in

quella in cui l'ha ritenuta esclusiva e non concorrente e solidale

con quella dell'appaltatrice, che, come si è sopra rilevato, deve

rispondere dei vizi della costruzione sulla base del contratto di

appalto. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rin

vio ad altra sezione della stessa corte d'appello, la quale, uni

formandosi ai sopra esposti principi di diritto, dovrà valutare

se l'appaltatrice debba rispondere dei vizi della costruzione ai

sensi dell'art. 1669 c.c. in solido con il progettista.

li Foro Italiano — 1997.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 luglio

1996, n. 6786; Pres. Nuovo, Est. Roselli, P.M. Iannelli

(conci, conf.); Perotto (Avv. Del Col, Fiorenza) c. Min.

interno. Cassa Trib. Trieste 4 gennaio 1993.

Invalidi civili e di guerra — Pensione di invalidità civile — Re

voca — Omessa tempestiva impugnazione in sede ammini

strativa — Successiva domanda di pensione — Conseguenze (Cod. proc. civ., art. 443; 1. 30 aprile 1969 n. 153, revisione

degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurez

za sociale, art. 26; d.l. 30 gennaio 1971 n. 5, provvidenze a favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 12, 15, 21; 1. 11 agosto 1973 n. 533, disciplina delle controversie individuali

di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e assi

stenza obbligatoria, art. 8; d.l. 8 febbraio 1988 n. 25, norme

in materia di assistenza ai sordomuti, ai mutilati ed invalidi

civili ultrasessantacinquenni, art. 1).

Poiché l'omessa tempestiva impugnazione in sede amministrati

va di un atto di revoca della pensione di invalidità civile ed

una successiva domanda amministrativa di pensione non im

portano di per sé acquiescenza all'atto di revoca, l'accertata

persistenza dei requisiti indicherà la sopravvivenza dell'origi nario diritto. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 7 dicembre 1990

(1) In tema di pensione di invalidità, ritiene che la proposizione di una nuova istanza da parte dell'assicurato che abbia visto respingere con provvedimento definitivo un'istanza precedente non comporti ac

quiescenza al primo provvedimento, Cass. 20 giugno 1978, n. 3050, Foro it., Rep. 1978, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 383, richiamata in motivazione.

Tale pronuncia, tuttavia, non àncora il principio enunciato alle nor me degli art. 8 1. n. 533 del 1973 e 443 c.p.c. Nella sentenza in epigrafe, invece, si afferma espressamente che la possibilità per il giudice di ac certare la illegittimità dell'atto amministrativo di revoca della prestazio ne previdenziale, ancorché non tempestivamente impugnato in sede am

ministrativa, deriva dalla previsione dell'art. 8 cit., per cui «nelle proce dure amministrative riguardanti le controversie di cui all'art. 442 c.p.c. non si tiene conto dei vizi, delle preclusioni e delle decadenze verificatesi».

Sulla positiva utilizzazione di tale norma, v. Cass. 24 novembre 1994, n. 9965, id., Rep. 1994, voce Previdenza sociale, n. 840 (nella motiva

zione, id., 1995, I, 1513); 25 luglio 1991, n. 8333, id., Rep. 1991, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 249; 13 aprile 1987, n. 3685,

id., Rep. 1987, voce cit., n. 561; 14 marzo 1985, n. 2009, id., Rep. 1985, voce cit., n. 479; 23 febbraio 1984, n. 1284, id., Rep. 1984, voce

Previdenza sociale, n. 976; 14 maggio 1983, n. 3345, id., Rep. 1983, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 620.

Circa la portata da attribuirsi a tale norma, la giurisprudenza netta

mente maggioritaria ritiene che essa sia di stretta interpretazione e va

da, quindi, limitata alla fase del procedimento amministrativo destinata

alla composizione della vertenza. Non sarebbe, invece, applicabile alle

decadenze conseguenti alla tardività della domanda iniziale (v. Cass. 4 novembre 1995, n. 11514, id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n. 991; 16 ottobre 1985, n. 5091, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1222; 23 ottobre 1985, n. 5213, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1046) e, più in generale, a quei termini aventi natura non meramente processuale, ma sostanziale (Cass. 21 marzo 1991, n. 3044, id., Rep. 1991, voce

Infortuni sul lavoro, n. 225; 28 giugno 1989, n. 3134, id., Rep. 1989, voce Previdenza sociale, n. 979; 19 febbraio 1987, n. 1814, id., Rep. 1987, voce cit., n. 1127; 10 agosto 1987, n. 6860, id., Rep. 1988, voce

cit., n. 1117; 28 luglio 1986, n. 4813, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1134; 26 gennaio 1985, n. 422, id., 1985, I, 695, con nota di richiami; 11

aprile 1985, n. 2399, ibid., 1999, con nota di richiami). In dottrina, M. Cinelli, I termini di decadenza in materia di prestazioni previden ziali, in Giust. civ., 1995, I, 1968; contra, S. Cabibbo, Sull'art. 8 l.

533/73, in Riv. giur. lav., 1980, III, 102, dove sono riassunte altre posi zioni dottrinali. Afferma la possibilità di applicare l'art. 8 a quei termi

ni che, pur se estranei allo stretto ambito della procedura amministrati

va, sono ad essa strettamente collegati, come i termini posti per l'inizio

dell'azione giudiziaria, Corte cost. 26 gennaio 1988, n. 88, Foro it.,

Rep. 1989, voce cit., n. 976. La pronuncia che si riporta fa, altresì, rinvio alla norma dell'art.

443 c.p.c., la quale, nel prevedere che l'esaurimento del procedimento

per la composizione in sede amministrativa costituisce mera condizione

di procedibilità, e non di proponibilità della domanda, impone al giudi ce di pronunciarsi in ogni caso sul contenuto del rapporto e di non

pervenire al rigetto della pretesa sulla sola base di una decadenza proce dimentale. Circa il suo ambito di applicazione, v. Cass., sez. un., 5

agosto 1994, n. 7269, id., 1994, I, 2661 (in motivazione); 11 dicembre

1995, n. 12661, id., Rep. 1995, voce Lavoro e previdenza (controver

sie), n. 284.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

al Pretore di Pordenone, Ida Perotto esponeva di essere stata

titolare di una pensione di inabilità, di cui all'art. 12 1. 30 mar

zo 1971 n. 118, fin dal 1981, a causa di un'invalidità totale.

Nel 1987 la prefettura le aveva comunicato essere stata accerta

ta un'invalidità minore, e precisamente dell'ottanta per cento;

nonostante ciò, l'Inps, ente erogatore del beneficio, aveva con

tinuato a pagare fino al 1990: il 12 giugno di quell'anno i paga menti erano stati sospesi ed anzi l'Inps aveva chiesto in restitu

zione quanto corrisposto a partire dal giugno 1987. Il 27 mag

gio 1987 ella aveva proposto un'altra domanda di pensione, che

però era stata disattesa, nonostante un nuovo riconoscimento, in data 8 aprile 1988, dell'invalidità totale, per difetto del requi sito di reddito.

Ciò premesso, la Perotto, affermando che il suo stato di in

validità si era sempre mantenuto al livello del cento per cento

e che perciò mai si era estinto il proprio originario diritto alla

pensione, pacificamente non sottoposto al requisito reddituale, chiedeva condannarsi l'Inps la pagamento dei ratei a partire dal giugno 1987, ossia a partire dalla data dell'illegittima revo

ca. Il pretore autorizzava l'integrazione del contraddittorio nei

confronti del ministero dell'interno, i cui uffici avevano accer

tato la riduzione dell'invalidità, e poi con decisione del 17 feb

braio 1992 accoglieva parzialmente il ricorso, negando il diritto

dell'Inps alla restituzione di quanto indebitamente pagato; ri

gettava per il resto.

Proposto appello dalla Perotto, il tribunale con sentenza del

gennaio 1993 confermava la prima decisione, osservando che

nel maggio 1987 il ministero aveva emesso un atto di revoca

della pensione, non tempestivamente impugnato dall'interessa

ta, che anzi vi aveva prestato tacita acquiescenza.

Quanto alla nuova domanda di pensione, proposta il 27 mag

gio 1987, essa era stata legittimamente respinta per difetto del

requisito reddituale, poiché l'art. 1,1° comma, d.l. 8 febbraio

1988 n. 25, conv. in 1. 21 marzo 1988 n. 93, aveva permesso

all'Inps di corrispondere, prescindendo dal detto requisito, le

pensioni «già liquidate», ma non anche quelle non ancora liqui

date, come nel caso di specie, al giorno di entrata in vigore dello stesso decreto legge.

Estraneo al caso in esame era poi l'art. 443 c.p.c., relativo

alla improcedibilità dell'azione giudiziaria nella materia previ denziale e assistenziale in difetto del previo esperimento del pro cedimento contenzioso amministrativo.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la Perotto. Re

siste il ministero dell'interno con controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo la ricorrente la

menta «violazione e falsa applicazione di norme di diritto con

riferimento alla pretesa acquiescenza prestata dalla ricorrente

al provvedimento riduttivo dell'invalidità». Ella sostiene che il

tribunale non avrebbe potuto ravvisare un atto di acquiescenza, manifestato da una pensionata per invalidità civile totale, di

fronte ad una comunicazione, resa dalla prefettura, di avvenuto accertamento di una riduzione dell'invalidità tale da escludere

la pensione. La semplice omissione del ricorso gerarchico con tro questa comunicazione e la proposizione di una nuova do manda di pensione non potevano, ad avviso della ricorrente,

equivalere ad una tacita accettazione della revoca del beneficio;

comunque, tale revoca non poteva essere ravvisata in un sem

plice accertamento negativo dell'invalidità.

Il terzo motivo di ricorso è di contenuto analogo al primo,

poiché tende ancora ad escludere la ravvisabilità di un atto di revoca della pensione, adottato dal ministero dell'interno e su scettibile di impugnazione. Secondo la ricorrente, spetta comun

que al giudice civile di accertare il diritto soggettivo alla pensio ne, a prescindere da qualsiasi atto emanato dalla pubblica am

ministrazione.

I due motivi sarebbero inammissibili per mancata «indicazio ne delle norme di diritto su cui si fondano» (art. 366, 1° com

ma, n. 4, c.p.c. Tuttavia, si può ritenere che con essi la ricor rente abbia inteso invocare per implicito l'art. 8 1. 11 agosto 1973 n. 533.

Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione del l'art. 443 c.p.c. ed insufficiente motivazione su un punto decisi vo della controversia, affermando che la sola omissione di tem

pestiva impugnazione di un atto amministrativo di revoca della

pensione non esonerava il giudice civile dal dovere di pronun ciarsi sulla persistenza dei requisiti sostanziali della medesima, posto che oggetto del processo civile non è semplicemente la

Il Foro Italiano — 1997.

legittimità di un atto amministrativo bensì l'intero rapporto che

lega il privato alla pubblica amministrazione.

Tutt'e tre i motivi possono essere esaminati insieme per la

loro stretta connessione.

La comprensione delle questioni che essi sottopongono alla

corte richiede la conoscenza di una lunga e complessa vicenda

legislativa in materia di tutela previdenziale e assistenziale degli ultrasettantenni invalidi, che così può essere riassunta.

In origine la pensione di invalidità si trasformava, al compi mento del sessantacinquesimo anno d'età dell'invalido, in pen sione sociale, e ciò automaticamente, ossia senza variazione del

le condizioni di reddito (art. 26 1. 30 aprile 1969 n. 153, 12, 13 e 19 1. 30 marzo 1971 n. 118, 10 e 11 1. 18 dicembre 1973

n. 854). Con successivi interventi normativi tra cui l'art. 14 septies

d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, conv. in 1. 29 febbraio 1980 n.

33, i limiti di reddito per la pensione di invalidità divennero meno onerosi rispetto a quelli della pensione sociale.

Ne conseguì che, per coloro che al compimento del sessanta

cinquesimo anno d'età non godessero di alcuno dei benefici in

discorso e all'evidente scopo di facilitare il conseguimento dei

benefici stessi, si instaurò la prassi amministrativa di riconosce

re il loro diritto alla pensione di invalidità, sulla base del requi sito reddittuale più favorevole, e di commutarla subito dopo e automaticamente in pensione sociale.

Questa prassi, dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato e

da questa stessa corte, venne abbandonata e ne risulto così che:

a) gli invalidi civili che, giunti al sessantacinquesimo anno d'età

già percepissero la pensione di invalidità, la vedevano automati

camente trasformata in pensione sociale; b) ove il trattamento

di invalidità non preesistesse a detta età, essi potevano ottenere

la pensione dall'Inps, ma con il più oneroso requisito reddituale

(Cass. 27 febbraio 1990, n. 1530, Foro it., 1990, I, 2209.

La suddetta prassi illegittima venne però sanata dal legislato re per il passato. L'art. 1, 1° comma, d.l. n. 497 del 1987 sancì

testualmente: «Gli art. 10 e 11 1. 18 dicembre 1973 n. 854 devo

no intendersi nel senso che i sordomuti e i mutilati e invalidi

civili, anche se siano stati riconosciuti tali a seguito di istanza

presentata dopo il compimento del sessantacinquesimo anno d'e

tà, sono ammessi al godimento della pensione sociale... in base

ai limiti di reddito stabiliti per l'erogazione delle prestazioni eco

nomiche da parte del ministero dell'interno alle rispettive cate

gorie d'appartenenza». In difetto della conversione, tuttavia, questo decreto legge

avrebbe perduto sin dall'inizio qualsiasi efficacia, se il legislato re, ai sensi dell'art. 77, ultimo comma, Cost., non avesse rego laro i rapporti giuridici sorti sulla sua base.

L'art. 1 d.l. 25/88, nel testo modificato dalla legge di conver

sione 33/88, stabilisce infatti: «L'Inps è autorizzato a corrispon dere le prestazioni già liquidate in favore dei mutilati invalidi civili e sordomuti, anche se riconosciuti tali dopo il compimen to del sessantacinquesimo anno d'età». L'art. 1, 2° comma,

legge di conversione aggiunge: «Restano validi gli atti ed i prov vedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rap porti giuridici sorti sulla base del d.l. 9 dicembre 1987 n. 495»

(non convertito). Poiché era sorta una controversia interpretativa circa il signi

ficato da attribuire all'espressione «provvedimenti già adotta

ti», contenuta nell'ora riportato art. 1 d.l. n. 25 del 1988, soste nendosi da alcuni la sufficienza della delibera favorevole del comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica, com

petenete ai sensi dell'art. 14 1. n. 118 del 1971, e affermandosi invece da altri la necessità anche del successivo provvedimento liquidatorio dell'ente erogatore, ossia dell'Inps, intervenne il le

gislatore che, in via di interpretazione autentica, risolse la con

troversia nel secondo senso con l'art. 13, 3° comma, 1. 30 di cembre 1991 n. 412, secondo cui «l'art. 1, 2° comma, 1. 21 marzo 1988 n. 93, si interpreta nel senso che la salvaguardia degli effetti giuridici, derivanti dagli atti e provvedimenti adot tati durante il periodo di vigenza del d.l. 9 dicembre 1987 n.

495, resta limitata a quelli adottati dal competente ente eroga tore delle prestazioni» (vale a dire ai provvedimenti di liquida zione emessi dall'Inps).

La questione sottoposta nell'attuale processo ai giudici di me rito consisteva pertanto nello stabilire se l'attuale ricorrente, as sistita con una pensione di invalidità civile fin dal 1981, avesse manifestato una tacita rinuncia al beneficio attraverso l'omis

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1225 PARTE PRIMA 1226

sione di tempestiva impugnazione del provvedimento di revoca

della medesima ed attraverso la proposizione di una nuova do

manda di pensione. La risposta positiva a questo quesito avreb

be permesso di ravvisare la perdita del diritto acquisito fin dal

1981 e avrebbe reso necessario accertare i requisiti, presupposti dal citato art. 1,1° comma, d.l. n. 25 del 1988, come converti

to dalla 1. n. 93 del 1988, per l'acquisto di un nuovo diritto

alla pensione. Al contrario, l'esclusione della tacita rinuncia avrebbe impo

sto di accertare la legittimità, contestata nell'attuale processo, del provvedimento di revoca. Infatti, la dichiarazione di illegit

timità, resa dal giudice anche dopo l'entrata in vigore del decre

to legge ult. cit., avrebbe retroagito fino al momento della re

voca stessa ed avrebbe permesso di riconoscere la persistente efficacia dell'originario atto di liquidazione.

Nella sentenza qui impugnata il tribunale afferma l'impossi bilità di accertare l'illegittimità dell'atto amministrativo di revo

ca giacché la sua omessa impugnazione nel termine decadenzia

le previsto nell'art. 21 1. n. 118 del 1971 e la successiva proposi zione di una nuova domanda amministrativa di pensione

imporrebbero di ravvisare una «acquiescenza», ossia una tacita

rinuncia al diritto alla pensione da parte della beneficiaria. La

successiva domanda servirebbe infatti all'esercizio di un nuovo,

distinto diritto soggettivo alla pensione. L'affermazione del tribunale si fonda anzitutto sul detto ter

mine decadenziale previsto nell'art. 21 cit., secondo cui «Il co

mitato provinciale di assistenza pubblica, di cui all'art. 14 (os sia l'organo competente a deliberare la concessione della pen sione o dell'assegno d'inabilità), può disporre accertamenti sulle

condizioni economiche, di inabilità e di incollocabilità nei con fronti dei beneficiari della pensione o dell'assegno, deliberando,

se del caso, la revoca della concessione» (1° comma). «Avverso

il provvedimento di revoca è ammesso ricorso nei termini e con

le modalità di cui all'art. 15» (2° comma).

Questo art. 15, 1° comma, dispone a sua volta dover essere

presentato il ricorso al ministro dell'interno entro trenta giorni dalla «notifica» della deliberazione impugnata.

Nel caso di specie, la beneficiaria della pensione in questione,

spettante a chi sia affetto da «totale inabilità lavorativa» (art.

12, 1° comma, 1. cit.), ricevette dalla prefettura una comunica

zione di accertamento della riduzione della sua inabilità all'ot

tanta per cento, ciò che comportava, ad avviso dell'Inps, una

revoca del beneficio ai sensi dell'art. 21, 1° comma, cit.

Ella non impugnò tale provvedimento entro il termine stabili

to nell'art. 15 cit., ma anzi preferì proporre una nuova doman

da di pensione, così tacitamente manifestando, a giudizio del

tribunale, una rinuncia sostanziale al precedente diritto sogget tivo ed esercitando un nuovo diritto soltanto pro futuro. Infat

ti, caratteristica del diritto soggettivo alla pensione di inabilità — in ciò simile al diritto agli alimenti di cui all'art. 445 c.c. — è di venire ad esistenza non già quando se ne siano avverati

tutti gli elementi di fatto, sanitari e reddituali, e neppure quan do sia stato accertato dall'autorità amministrativa (cfr. Corte

cost. n. 209 del 1995, id., 1995, I, 3041), bensì «dal primo gior no del mese successivo a quello della presentazione della do

manda (amministrativa) per l'accertamento dell'inabilità».

La nuova domanda di pensione non potè però conseguire ef

fetto positivo poiché, com'è pacifico, il provvedimento di liqui dazione dell'Inps non venne emesso entro l'8 febbraio 1988,

giorno di entrata in vigore del d.l. 25/88.

Queste le affermazioni rese, sia pure in forma sintetica e non

sempre lineare, dal tribunale.

Ad esse si contrappongono le tesi della ricorrente, svolte nei

motivi sopra riassunti, secondo i quali: a) l'inutile esaurimento

del termine mensile di decadenza di cui agli art. 15 e 21 1. n.

188 del 1971 non poteva precludere l'esercizio del diritto al ri

pristino della pensione originaria, giacché l'art. 8 1. n. 533 del 1973 vieta di tener conto delle decadenze verificatesi nel proce

dimento amministrativo previdenziale; b) l'art. 443 c.p.c., qua

lificando il detto procedimento come condizione non già di pro

ponibilità bensì solo di procedibilità della domanda giudiziaria, impone al giudice di pronunciarsi in ogni caso sul contenuto

del rapporto e di non pervenire al rigetto della pretesa sostan

ziale sulla sola base di una decadenza procedimentale; c) così

esclusa l'operatività della decadenza, neppure poteva essere rav

visato nel comportamento della pensionata una tacita rinuncia

al proprio diritto sostanziale, stante che la rinnovazione della

Il Foro Italiano — 1997.

domanda amministrativa aveva un mero scopo precauzionale e non esprimeva alcuna volontà abdicativa per il passato.

Queste tesi sono fondate. L'art. 443 cit. stabilisce nel 1° com

ma che la domanda giudiziaria avente ad oggetto una prestazio ne previdenziale o assistenziale non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini

ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano,

comunque, decorsi centottanta giorni dalla data in cui è stato

proposto ricorso amministrativo. I due successivi commi dispon

gono circa la sospensione del processo giudiziale, necessaria per

permettere il previo svolgimento del procedimento contenzioso

amministrativo.

Queste disposizioni non significano soltanto che nella materia

previdenziale e assistenziale il giudice non può procedere prima dell'esaurimento del procedimento amministrativo contenzioso, eventualmente previsto dalla legge (qiuestione che qui non viene

neppure sollevata) ma esse debbono essere coordinate con l'art.

8 1. n. 533 del 1973, secondo cui «nelle procedure amministrati

ve riguardanti le controversie di cui all'art. 442 c.p.c. (ossia

previdenziali e assistenziali) non si tiene conto dei vizi, delle

preclusioni e delle decadenze verificatesi».

Tutto ciò significa che il giudice non può rigettare una do

manda di pensione solo perché è inutilmente scaduto un termi

ne di decadenza relativo ad un ricorso amministrativo gerarchi

co, come quello di cui ai più volte citati art. 15 e 21 1. n. 118

del 1971. Però il tribunale ha fondato la sua pronuncia di rigetto non

semplicemente sulla detta decadenza, bensì ha posto in relazio

ne questa con la successiva proposizione di una domanda am

ministrativa, pervenendo a ravvisare nel comportamento com

plessivo dell'interessata una rinuncia sostanziale al proprio di

ritto e così negando di poter applicare il principio, in passato enunciato da questa corte, secondo cui la proposizione di una

nuova istanza di pensione da parte dell'interessato, che abbia

visto respingere con provvedimento definitivo un'istanza prece

dente, non significa acquiescenza al primo provvedimento e perciò non preclude l'azione giudiziaria contro di esso (Cass. 20 giu

gno 1978, n. 3050, id., Rep. 1978, voce Lavoro e previdenza

(controversie), n. 383).

Questa decisione è, oltreché immotivata, in contrasto col ri

portato art. 8 1. n. 533 del 1973. Alla decadenza da un termine

procedimentale non può, nella materia previdenziale e assisten

ziale, attribuirsi un'efficacia sostanziale, con vanificazione del

lo stesso art. 8, solo perché l'interessato ha deciso di insistere

nella propria pretesa, senza manifestare alcuna volontà abdica

tiva per il passato, attraverso la proposizione di una nuova do

manda amministrativa.

Fondate sono perciò le doglianze della ricorrente, la quale, rivoltasi al giudice civile, aveva diritto ad ottenere una pronun cia sulla legittimità dell'impugnato atto di revoca della pensio

ne, motivato con una sopravvenuta riduzione dell'invalidità, poco

dopo negata dalla stessa amministrazione, che ritenne di nuovo

l'invalidità totale solo nell'anno successivo.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata ed il giu dizio rinviato ad altro giudice d'appello, che si designa nel Tri

bunale di Udine e che si uniformerà al seguente principio di

diritto:

«L'omessa tempestiva impugnazione in sede amministrativa

di un atto di revoca della pensione di invalidità civile ed una

successiva domanda amministrativa di pensione non importano di per sé, come risulta anche dal sistema degli art. 443 c.p.c. e 8 1. n. 533 del 1973, acquiescenza all'atto di revoca e non

comportano perciò necessariamente che il positivo accertamen

to dei requisiti produca la nascita di un nuovo diritto alla pen

sione, con effetto dalla nuova domanda e correlativa perdita

dei diritti relativi al periodo precedente: al contrario, l'accertata

persistenza dei requisiti indicherà la sopravvivenza dell'origina rio diritto».

Ove il giudice di rinvio, nell'apprezzamento di merito che gli

è riservato, escluda l'atto di acquiescenza, dovrà poi accertare

la legittimità della revoca, vale a dire la persistenza o meno

dell'originario diritto alla pensione, e quindi la non necessità

di una nuova domanda e dei requisiti esistenti all'epoca del

l'art. 1, 1° comma, d.l. n. 25 del 1988, più volte citato.

La spettanza ad esso dell'eventuale controllo incidentale di

legittimità della revoca assorbe il quarto motivo di ricorso, con

cernente la legittimità medesima sotto il profilo della competenza.

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