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sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vidiri, P.M. De Gregorio...

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sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vidiri, P.M. De Gregorio (concl. conf.); Soc. Scic (Avv. Salimbene, Magrini) c. Ispettorato provinciale del lavoro di Avellino. Conferma Pret. Avellino 27 dicembre 1991 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 11 (NOVEMBRE 1997), pp. 3369/3370-3375/3376 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191512 . Accessed: 28/06/2014 08:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 08:37:00 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vidiri, P.M. DeGregorio (concl. conf.); Soc. Scic (Avv. Salimbene, Magrini) c. Ispettorato provinciale del lavorodi Avellino. Conferma Pret. Avellino 27 dicembre 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 11 (NOVEMBRE 1997), pp. 3369/3370-3375/3376Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191512 .

Accessed: 28/06/2014 08:37

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

soggettiva nella parte datoriale del rapporto; in questo caso —

contrariamente a quanto sembra sostenere l'Inps, che pare ne

gare rilevanza, ai fini per cui è causa, all'anzianità pregressa nelle ipotesi di mero mutamento di titolarità dell'impresa —

deve ribadirsi che l'applicazione dell'art. 8 1. 1115/68 va ritenu

ta pacifica, interpretando il concetto di impresa nel senso og

gettivo, poiché il lavoro deve essere considerato prestato sempre alle dipendenze della «stessa impresa» e cioè della stessa orga nizzazione aziendale. Nel caso qui esaminato, del resto, la con

servazione ad ogni effetto dell'anzianità pregressa da parte del

lavoratore «passato» deve ritenersi regolata analogamente al caso

di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., questa essendo

passata, nella specie, nel suo complesso da un cedente (alienan

te) ad un cessionario (acquirente), così restando confermata la

equivalenza dei risultati della interpretazione delle due norme

qui citate.

Si può, dunque, da quanto detto trarre la conclusione che,

se è vero che in via generale il «passaggio diretto» (del quale istituto non pare soddisfacente neanche la ricostruzione giuris

prudenziale, fino ad ora pacifica: tra tante, Cass. 16 dicembre

1988, id., Rep. 1988, voce Lavoro (collocamento), n. 41, come

unico complesso negozio nel quale si attua l'incontro delle vo

lontà dei tre soggetti interessati — lavoratore, datore di lavoro

precedente e datore di lavoro successivo —, poiché in realtà

il lavoratore pare subire il passaggio, intervenendo egli solo quan do deve stipulare il nuovo contratto di lavoro con il successivo

imprenditore e rimanendo estraneo nel momento, altrettanto per lui rilevante per la definizione del precedente servizio prestato, in cui viene «rilasciato» dal suo precedente datore di lavoro)

determina la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro previa estinzione del precedente, con conseguente perdita dell'anziani

tà pregressa, ogni fattispecie va esaminata caso per caso pro

prio al fine di verificare se si sia, invece, trattato in realtà uni

camente di una mera sostituzione nella titolarità della impresa,

ipotesi in cui non può essere esclusa — come rilevato — la

conservazione a tutti gli effetti della detta anzianità.

In conclusione, il ricorso va respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 luglio

1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vronu, P.M. De

Gregorio (conci, conf.); Soc. Scic (Aw. Salimbene, Magri

ni) c. Ispettorato provinciale del lavoro di Avellino. Confer ma Pret. Avellino 27 dicembre 1991.

Intervento in causa e litisconsorzio — Intermediazione e inter

posizione nelle prestazioni di lavoro — Ordinanza-ingiunzione — Opposizione dell'imprenditore interponente — Litisconsor

zio necessario dell'imprenditore interposto e dei lavoratori —

Esclusione (Cod. proc. civ., art. 102; 1. 29 aprile 1949 n. 264,

provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assi

stenza dei lavoratori involontariamente disoccupati, art. 27;

1. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di intermediazione ed in

terposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina del

l'impiego di manodopera negli appalti di opere, art. 1; 1. 28

febbraio 1987 n. 56, norme sull'organizzazione del mercato

del lavoro, art. 26).

In caso di violazione del divieto di intermediazione e interposi

zione nelle prestazioni di lavoro, non sussiste il litisconsorzio

necessario dei lavoratori e dell'imprenditore interposto, nel

giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione emes

sa dall'ispettorato del lavoro per violazione dell'art. 27 l. 29

aprile 1949 n. 264, nei confronti dell'imprenditore interpo

nente ritenuto effettivo beneficiario delle prestazioni lavo

rative. (1)

(1) La fattispecie dell'interposizione e intermediazione nelle presta zioni di lavoro vietata dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, solleva

Il Foro Italiano — 1997.

Svolgimento del processo. — Con atto depositato in data 10

gennaio 1991, Paolo Marano, rappresentante legale della Scic

s.p.a., proponeva formale opposizione avverso l'ordinanza con

la quale l'Ispettorato del lavoro di Avellino gli aveva ingiunto il pagamento, a titolo di sanzione amministrativa, della somma

di lire 63.875.000 per non avere assunto per il tramite della com

petente commissione circoscrizionale settantatre lavoratori. A

sostegno della sua opposizione rilevava che la Scic aveva sotto

scritto regolari contratti di appalto con alcune cooperative e

che erroneamente l'ispettorato del lavoro aveva ritenuto sussi

stere l'ipotesi di intermediazione ed interposizione di prestazio ne vietata dalla 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, in quanto le suddette

cooperative lavoravano usando proprie attrezzature, la direzio

ne dei lavori era di loro esclusiva competenza ed ancora i dipen denti erano pagati e dipendevano esclusivamente da esse.

alcuni problemi processuali, tra cui in particolare la questione della sus

sistenza o meno del litisconsorzio necessario dell'imprenditore interpo nente, di quello interposto e dei lavoratori nei giudizi relativi a tale

rapporto di lavoro. La pronuncia in epigrafe affronta la suddetta questione con riferi

mento ad una controversia tra ispettorato del lavoro e imprenditore

interponente, in ordine alla legittimità dell'ordinanza con cui lo stesso

ispettorato ingiunge il pagamento di una sanzione per violazione della

normativa in tema di collocamento della manodopera di cui all'art. 27

1. 29 aprile 1949 n. 264. La soluzione adottata è per l'esclusione del

litisconsorzio necessario dei lavoratori e dell'imprenditore interposto e

ciò in quanto l'accertamento dell'intermediazione vietata ha solo valore

di accertamento incidenter tantum avente efficacia tra le parti per stabi

lire la sussistenza dell'obbligo di pagare la sanzione, ma non ha alcun

effetto vincolante per i soggetti che non hanno partecipato al processo. Non risultano precedenti relativi ad un giudizio tra ispettorato del

lavoro e imprenditore interponente, ma la soluzione adottata nel caso di specie è conforme all'orientamento prevalente della Suprema corte

sul problema del litisconsorzio nelle controversie relative ad ipotesi di

intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro.

La decisione odierna distingue tra diverse ipotesi. In primo luogo, afferma che sussiste il litisconsorzio necessario del

l'imprenditore interponente, effettivo beneficiario delle prestazioni di

lavoro, nel giudizio instaurato dall'interposto per l'accertamento del

l'interposizione stessa e della conseguente insussistenza di qualsiasi ob

bligazione da parte sua nei confronti del prestatore di lavoro. Ciò deri

va dalla natura unitaria e trilatera del rapporto tra interponente, inter

posto e lavoratori e dalla conseguente necessità di accertare la sussistenza

del rapporto tra effettivo datore di lavoro e lavoratori ogniqualvolta sia chiesto l'accertamento negativo del rapporto di lavoro con l'interpo sto. In mancanza di tale duplice accertamento, infatti, si rischierebbe

di liberare il datore di lavoro da ogni obbligo nei confronti dei lavora

tori senza assicurare agli stessi la soddisfazione dei propri diritti da

parte dell'interponente, e ciò in aperto contrasto con la ratio legis di

tutela dei lavoratori. Sulla natura trilatera del rapporto in questione, vedi: Cass. 27 otto

bre 1988, n. 5824, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 456, e Informazione prev., 1989, 283 ; 26 ottobre 1982, n. 5598, Foro it.,

Rep. 1983, voce cit., 679, e Giust. civ., 1983, I, 463 con nota di Mam

mone, entrambe citate in motivazione, e 4 ottobre 1985, n. 4800, Foro

it., Rep. 1986, voce cit., nn. 442, 443. Sulla sussistenza del litisconsorzio necessario nel caso di giudizio in

staurato dall'interposto per l'accertamento negativo di obblighi da par te sua nei confronti dei lavoratori, vedi Cass. 23 febbraio 1979, n. 1182,

id., 1980, I, 1435 con nota di richiami. In secondo luogo, la Suprema corte esclude il litisconsorzio necessa

rio dell'interposto nel caso in cui il lavoratore citi in giudizio il commit

tente affinché sia accertata la sussistenza del rapporto di lavoro con

quest'ultimo, e ciò in quanto tale accertamento può avere soltanto un'ef

ficacia riflessa nei confronti dell'interposto tale da giustificare solo un

intervento ad adiuvandum. Vedi in questo senso: Cass. 6 giugno 1989, n. 2740, id., Rep. 1989, voce cit., nn. 452, 453, e in Notiziario giuris

prudenza lav., 1989, 392; 8 aprile 1989, n. 1708, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 454; 28 aprile 1987, n. 4104, id., Rep. 1988, voce Interven

to in causa e litisconsorzio, n. 9, e Giust. civ., 1988, I, 2365; 17 gennaio

1986, n. 320, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 15; 22 novembre 1985, n. 5800, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 460, e Mass. giur.

lav., 1986, 207; 4 marzo 1980, n. 1465, Foro it., Rep. 1980, voce Inter

vento in causa e litisconsorzio, n. 28, tutte citate in motivazione; v.,

inoltre, Cass. 21 gennaio 1986, n. 375, id., Rep. 1986, voce Lavoro

(rapporto), n. 438.

Infine, viene considerato il caso della controversia tra istituto previ denziale ed effettivo beneficiario delle prestazioni di lavoro per viola

zione degli obblighi assicurativi e contributivi, e viene escluso a tale

proposito il litisconsorzio necessario dei lavoratori. Vedi in questo sen

so: Cass. 23 novembre 1994, n. 9928, id., Rep. 1995, voce Intervento

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3371 PARTE PRIMA 3372

Dopo la costituzione dell'ispettorato del lavoro e dopo l'e

spletamento della prova per testi, il Pretore di Avellino con sen

tenza del 10 ottobre - 27 dicembre 1991, in parziale accoglimen to della proposta opposizione, riduceva a lire 46.375.000 la san

zione irrogata, confermando nel resto il provvedimento opposto. Nel pervenire a tale conclusione, il pretore osservava che la

sussistenza delle ipotesi di mere prestazioni di lavoro con conse

guente violazione della normativa in tema di collocamento di

cui alla 1. 29 aprile 1949 n. 264, doveva ritenersi indubitabile

in relazione a cinquantatre dipendenti di cui al contratto inter

corso con la cooperativa Leonessa. Infatti, i testi escussi aveva

no confermato che nella esecuzione dei lavori i dipendenti della

cooperativa si erano serviti di grù di proprietà della s.p.a. Scic, ed il teste Licenza Fiore, titolare della cooperativa Leonessa, aveva precisato che, relativamente ai lavori di cemento armato

eseguiti, la Scic gli aveva fornito detto cemento, il ferro ed i

pannelli prefabbricati, restando a carico della cooperativa solo

elementi del tutto secondari nell'economia dei lavori. Del resto, la cooperativa non era assolutamente in grado, sotto il profilo

strutturale, di acquisire l'appalto dei lavori di cui si discuteva, del valore di circa due miliardi, essendo iscritta all'albo nazio

nale dei costruttori per l'esecuzione di lavori sino a trecento

milioni, ed avendo negli anni precedenti eseguito lavori che,

per il loro ridotto importo, attestavano, al di là di ogni discus

sione, le effettive dimensioni e la capacità operativa della socie

tà in questione. A diverse conclusioni doveva invece pervenirsi per gli operai

del Colorificio Sole s.r.l. e per quelli della Euroedil Costruzio

ni, non essendo per costoro emersi agli atti elementi che poteva no far propendere per la sussistenza di una intermediazione vie

tata. Per concludere, quindi, il pretore, premesso che per cia

scun operaio assunto in violazione delle norme sul collocamento

la sanzione comminata era stata di lire 875.000 e che tale deter

minazione doveva ritenersi congrua, fissava la sanzione com

plessiva in lire 46.375.000 (lire 875.000 x cinquantatre operai), oltre alle spese di notifica.

Avverso tale sentenza la s.p.a. Scic propone ricorso per cas

sazione, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l'Ispet torato provinciale del lavoro di Avellino.

Motivi della decisione. — Ai fini di un ordinato iter motiva

zionale va esaminata innanzitutto, per evidenti motivi di priori

in causa e litisconsorzio, n. 22, e Informazione prev., 1995, 285, citata in motivazione.

Quest'ultima ipotesi è particolarmente interessante perché si avvicina al caso di specie relativo ad una controversia tra l'ispettorato del lavoro e l'imprenditore interponente per violazione della normativa in tema di collocamento della manodopera, anch'esso risolto dalla presente pro nuncia nel senso di escludere il litisconsorzio necessario dei lavoratori e dell'imprenditore interposto.

La giurisprudenza di merito non si è però integralmente conformata all'orientamento della Cassazione. Numerose sono infatti le pronunce che estendono il litisconsorzio a tutti i giudizi relativi all'art. 1 1. 1369/60, senza distinguere a seconda dell'oggetto del giudizio e del soggetto che ha instaurato la causa, e ciò in quanto il rapporto tra interponente, interposto e lavoratori darebbe comunque luogo ad una fattispecie uni

ca, anche se complessa e plurisoggettiva. Vedi in questo senso: Pret. Volterra 21 luglio 1987, Foro it., Rep.

1988, voce Lavoro (rapporto), n. 463, e Toscana giur. lav., 1988, 281, con nota di Capponi; Trib. Napoli 23 ottobre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 16, e Lavoro 80, 1986, 317; Pret. Roma 5 maggio 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 43, e Dir. lav., 1982, II, 131, con nota adesiva di Capponi. In quest'ultima pronuncia si fa espresso riferimento al giudizio instaurato dal lavorato re nei confronti dell'effettivo datore di lavoro, e si sostiene la necessità, nel caso di specie, di integrare il contraddittorio con la chiamata in causa dell'imprenditore interposto, in aperto contrasto con l'opposta soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità.

Sul problema specifico del litisconsorzio necessario nelle controversie relative ad ipotesi di interposizione ed intermediazione nelle prestazioni di lavoro, vedi di recente: Grandi-Pera, Comm. breve alle leggi sul lavoro, Padova, 1996, sub art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, 669.

In generale, sul divieto di interposizione ed intermediazione nelle pre stazioni di lavoro, vedi in giurisprudenza: Cass. 19 ottobre 1990, n. 10183, Foro it., 1992, I, 523, con nota di richiami di Scarpelli, e, in dottrina, Mantovani, L'interposizione illecita nei rapporti di lavoro, Padova, 1993; Esposito, Problemi ricostruttivi e prospettive in tema di interposizione nel rapporto di lavoro, in Lavoro e dir., 1993, 361 ss. Da ultimo, cfr. Cass. 21 marzo 1997, n. 2517, in questo fascicolo, I, 3318, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1997.

tà logica, il motivo di ricorso con il quale la società ricorrente

denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 1 1. 23 otto

bre 1969 n. 1369 e 102 c.p.c. In particolare, la società deduce

che il pretore ha errato nel pronunziarsi sull'intermediazione

illecita in contraddittorio del solo imprenditore pretesamente uti

lizzatore di manodopera, ritenendo non necessaria l'integrazio ne del contraddittorio anche nei confronti dei lavoratori e del

preteso intermediario, e cioè della cooperativa La Leonessa.

La censura è infondata e pertanto va rigettata. Come ha ri

cordato la ricorrente, questa Corte di cassazione ha affermato

che l'interposizione e l'intermediazione nelle prestazioni di la

voro, oggetto del divieto stabilito dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960

n. 1369, presuppongono necessariamente un rapporto trilaterale

fra imprenditore interponente (pseudoappaltante), interposto o

intermediario (pseudoappaltatore) e lavoratori (ancorché il ruo

lo di interposto o intermediario possa essere svolto della società

di fatto fra i lavoratori occupati per violazione del divieto), con

la conseguenza che, per accertare la sussistenza dello pseudoap

palto vietato, occorre indagare, oltre che sul rapporto diretto

tra l'imprenditore (pseudoappaltante) ed i lavoratori, anche sul

ruolo interpositorio (effettivo o legalmente presunto) della so

cietà di fatto fra i lavoratori medesimi (cfr. Cass. 27 ottobre

1988, n. 5824, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 456; 26 ottobre 1982, n. 5598, id., Rep. 1983, voce cit., n.

679). Da qui l'ulteriore statuizione che allorquando il datore

di lavoro faccia valere in giudizio la propria interposizione fitti

zia nel contratto, affinché si accerti la insussistenza di una qual siasi obbligazione nei confronti del prestatore di lavoro subor

dinato, si viene a determinare un litisconsorzio necessario, ai

sensi dell'art. 102 c.p.c., nei confronti del soggetto indicato co

me effettivo datore di lavoro, e ciò sia nel caso che la domanda

resti circoscritta nei termini dell'interposizione fittizia in genere, sia nel caso in cui la domanda sia considerata dal giudice di

merito come diretta all'accertamento della fattispecie interposi toria prevista dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 sul divieto

di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro

(cfr. in tali sensi: Cass. 23 febbraio 1979, n. 1182, id., 1980,

I, 1435). Questa stessa corte ha però ripetutamente statuito che in te

ma di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di la

voro ove il dipendente dell'appaltatore convenga- in giudizio il

committente perché sia dichiarato a norma dell'art. 1, ultimo

comma, 1. n. 1369 del 1960, che nei suoi confronti è in realtà

intercorso il rapporto di lavoro per avere egli effettivamente

utilizzato le sue prestazioni, non sussiste una ipotesi di litiscon

sorzio necessario con l'appaltatore, giacché il lavoratore non ha l'onere di fare anche dichiarare con efficacia di giudicato la nullità del rapporto di appalto (o di intermediazione) tra com

mittente ed appaltatore, rapporto cui egli è estraneo, ma si de

termina soltanto una situazione che — in ragione dell'efficacia

riflessa che l'accertamento domandato dal lavoratore può avere

sul rapporto tra committente ed appaltatore — giustifica l'in tervento ad adiuvandum di quest'ultimo (cfr. in tali sensi ex

plurimis: Cass. 6 giugno 1989, n. 2740, id., Rep. 1989, voce

cit., n. 452; 22 novembre 1985, n. 5800, id., Rep. 1986, voce

cit., n. 460; 4 marzo 1980, n. 1465, id., Rep. 1980, voce Inter vento in causa e litisconsorzio, n. 28; cui adde, anche per fatti

specie aventi alcuni caratteri in comune con quella in oggetto, Cass. 8 aprile 1989, n. 1708, id., Rep. 1989, voce Lavoro (rap porto), n. 454; 28 aprile 1987, n. 4104, id., Rep. 1988, voce

Intervento in causa e litisconsorzio, n. 9; 17 gennaio 1986, n.

320, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15). E proprio di recente la

Suprema corte ha ribadito, sempre con riguardo ad ipotesi di

violazione del divieto di intermediazione ed interposizione nelle

prestazioni di lavoro di cui all'art. 1 1. 23 ottobre 1969 n. 1369, che i lavoratori non sono litisconsorti necessari nella controver sia (concernente la violazione degli obblighi assicurativi e con tributivi connessi ai rapporti di lavoro) fra istituto previdenziale ed imprenditore che abbia effettivamente utilizzato le prestazio ni dei lavoratori medesimi (cfr. Cass. 23 novembre 1994, n.

9928, id., Rep. 1995, voce cit., n. 22). Sulla base di tali principi giurisprudenziali, che vanno ribaditi

in questa sede non ravvisandosi ragioni valide per la loro disap plicazione, va affermato che, contrariamente a quanto sostenu to dalla società ricorrente, non ricorre una ipotesi di litisconsor zio necessario, che richieda la presanza in giudizio ex art. 102

c.p.c., oltre che dei lavoratori anche dell'imprenditore interpo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nente (pseudoappaltante) e di quello interposto (pseudoappalta

tore), nella controversia tra ispettorato del lavoro e l'imprendi tore che abbia effettivamente utilizzato le prestazioni dei lavo

ratori, avente ad oggetto la legittimità di una ordinanza

ingiunzione emessa, alla stregua della 1. 24 novembre 1981 n.

689, dall'ispettorato stesso per violazione dell'art. 27 1. 29 apri le 1949 n. 264, modificato dall'art. 26 1. 28 febbraio 1987 n.

56, nei confronti dell'imprenditore ritenuto effettivo beneficia

rio di prestazioni lavorative prestate in violazione del disposto dell'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369. Ed infatti, in tale contro

versia, l'accertamento dell'avvenuta intermediazione ed interpo sizione nelle prestazioni di lavoro, non essendo destinata a for

mare giudicato, costituisce solo un accertamento incidentale aven

te efficacia tra le parti ai fini di stabilire la sussistenza dell'obbligo

dell'imprenditore al pagamento delle sanzioni pecuniarie deri

vanti dall'inosservanza delle norme sul collocamento della ma

nodopera, con effetti non vincolanti i soggetti che non hanno

partecipato al giudizio e che da esso non possono, quindi, rice

vere alcun pregiudizio. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denunzia

violazione e falsa applicazione degli art. 1, ultimo comma, e

2 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, nonché dell'art. 26, 2° comma,

1. 28 febbraio 1987 n. 56 (art. 360, n. 3, c.p.c.). In particolare, la ricorrente sostiene che non poteva condividersi la tesi, segui ta dal primo giudice, della connessione automatica tra interme

diazione vietata e violazione delle norme sul collocamento. Ed

invero la lettera dell'art. 2 1. n. 1369 del 1960 indica soltanto

la possibilità, e non la necessità, di applicare le sanzioni previ

ste per la violazione delle disposizioni sul collocamento. Sul piano

logico poi, una volta che l'intermediario aveva osservato le nor

me sul collocamento nell'assunzione della manodopera, nessun

addebito era consentito muovere all'imprenditore interponente,

perché a questi devono farsi risalire, alla stregua dell'ultimo

comma dell'art. 1 della suddetta 1. n. 1369 del 1960, tutti gli

atti ed i comportamenti tenuti dall'intermediario.

Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa

applicazione degli art. 1 e 3 1. n. 1369 del 1960 nonché dell'art.

116 c.p.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria

su punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).

Più specificamente lamenta che la sentenza impugnata aveva

dato per accertato che i cinquantatre soci della cooperativa Leo

nessa per i quali era intervenuta una sanzione pecuniaria a cari

co della società Scic avessero lavorato a beneficio di quest'ulti

ma società, laddove dalla documentazione acquisita in giudizio risultava che la cooperativa aveva eseguito contemporaneamen

te, negli anni 1988 e 1989, lavori per più committenti e che,

quindi, almeno una parte dei lavoratori erano stati utilizzati

da altri imprenditori. La sentenza impugnata per di più aveva

fatto una non corretta utilizzazione delle disposizioni testimo

niali, disattendendo ingiustificatamente le dichiarazioni rese dai

testi Voj e Promutico, e risultava, per di più, censurabile, nella

parte della motivazione in cui aveva valorizzato il dato della

proprietà dei macchinari dell'appaltante, definendo invece «ri

sibili» le attrezzature della cooperativa. La decisione impugnata

presentava infine caratteri di palese illogicità per avere tratto

ingiustificate deduzioni dall'importo dei lavori per cui era stato

disposta l'iscrizione della cooperativa nell'albo costruttori, non

ché dalla mancata domanda di iscrizione alla cooperativa e dal

mancato versamento della quota da parte di un solo lavoratore,

a fronte dei pretesi cinquantatre, che si sosteneva avere lavora

to a favore delle Scic.

I suddetti motivi di ricorso — da esaminarsi congiuntamente

perché la decisione di essi impone la soluzione di questioni tra

loro connesse — vanno rigettati perché privi di fondamento.

La Suprema corte ha più volte statuito che in tema di inter

posizione nelle prestazioni di lavoro, l'utilizzazione da parte del

l'appaltatore di capitali, di macchine ed attrezzature fornite dal

l'appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sus

sistenza della fattispecie vietata dall'art. 1 1. n. 1369 del 1960

solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale

da rendere del tutto marginale ed accessorio l'apporto dell'ap

paltatore. In assenza di tale presupposto la configurabilità di

detta fattispecie vietata può essere esclusa quando, nonostante

la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell'appaltan

te, sia verificabile un rilevante apporto da parte dell'appaltatore

mediante il conferimento di capitale diverso da quello impiega

to in retribuzioni (ed in genere per sostenere il costo del lavoro)

Il Foro Italiano — 1997.

nonché di beni immateriali, aventi rilievo preminente nell'eco

nomia dell'appalto (cfr., ex plurimis, Cass. 11 maggio 1994, n. 4585, 26 febbraio 1994, n. 1979 e 31 dicembre 1993, n. 13015,

id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), nn. 477, 480, 482).

Orbene, il Pretore di Avellino, con una motivazione adegua

ta, improntata a ineccepibili criteri logici, e rispettosa dei prin

cipi di diritto innanzi enunciati, e pertanto non suscettibile di

censura in questa sede di legittimità, ha ritenuto che la società

Scic e la cooperativa la Leonessa avevano violato il disposto dell'art. 1 1. n. 1369 del 1960, mettendo in atto una intermedia

zione nelle prestazioni di lavoro. Sulla base di accertamenti di

fatto e di una attenta ed esauriente valutazione delle risultanze

istruttorie, il primo giudice ha infatti affermato che nell'effet

tuazione dei lavori la s.p.a. Scic forniva il cemento armato, il ferro ed i pannelli prefabbricati, nonché le gru con le quali detti pannelli venivano trasportati, rimanendo invece a carico

della cooperativa solo elementi del tutto secondari, sicché tale

società finiva in realtà con il fornire soltanto la manodopera. Il pretore, inoltre, nel ravvisare nella fattispecie sottoposta al

suo esame una ipotesi di intermediazione vietata ha fatto riferi

mento ad un complesso di ulteriori circostanze (la mancanza

nella cooperativa di personale tecnico, altamente qualificato, ri

chiesto in ragione della natura e della entità dei lavori appaltati; l'iscrizione della cooperativa nell'albo dei costruttori per lavori

di non alto importo; l'effettuazione, negli anni precedenti, di

opere di scarsa consistenza e di non rilevante importo) che, con

trariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, erano significa tive della trascurabile capacità operativa e delle ridotte dimen

sioni della società cooperativa. Ciò premesso, va dunque ribadito che la valutazione del giu

dice del merito, che alla stregua delle risultanze probatorie ac

quisite, ravvisi in concreto la sussistenza di un appalto di mere

prestazioni di lavoro, vietato dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n.

1369, è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da moti

vazione adeguata ed immune da vizi e se si appalesa corretta

l'indagine in linea di diritto (cfr. al riguardo: Cass. 22 marzo

1984, n. 1898, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 720, 729; 5 feb

braio 1983, n. 990, id., 1984, I, 1025). Le considerazioni sinora svolte portano a ritenere che la sta

tuizione del primo giudice in merito alla responsabilità della

s.p.a. Scic per la violazione della legge sul collegamento non

merita le ulteriori censure che le sono state mosse.

La violazione del divieto di interposizione della manodopera di cui all'art. 1 1. n. 1369 del 1960 non comporta necessaria

mente la realizzazione della disgiunta ipotesi di illecito derivan

te dall'inosservanza dell'obbligo di assumere i lavoratori per il

tramite dell'ufficio di collocamento, ai sensi dell'art. 13 1. n.

264 del 1949; tale violazione di legge concreta un'autonoma fat

tispecie caratterizzata da elementi sia soggettivi che oggettivi di

versi, la cui sussistenza deve essere accertata in concreto, non

rilevando ai fini del concorso delle due ipotesi la costituzione

ex lege del rapporto di lavoro tra l'imprenditore appaltatore ed i lavoratori illecitamente utilizzati (cfr., al riguardo, Cass.

29 gennaio 1994, n. 897, id., Rep. 1994, voce cit., n. 481).

La precisa volontà legislativa di concorso tra l'illecito concre

tizzantesi nella intermediazione ed interposizione delle presta zioni di lavoro e quello consistente nella violazione della legge

sul collocamento si evince con chiarezza dall'art. 2 della citata

1. n. 1369 del 1960, e specificamente dalla sua clausola di riser

va che recita testualmente «ferma restando l'applicabilità delle

sanzioni penali previste per la violazione della 1. 29 aprile 1949

n. 264 e delle altre leggi in materia», non valendo in contrario

il rilievo che la norma lascia ferma «l'applicabilità», e non già

«l'applicazione» delle sanzioni previste dalla legge sull'assun

zione obbligatoria, perché il legislatore, nella sua attività di pro

duzione della norma, stabilisce i termini di potenzialità applica

tiva, mentre spetta al giudice l'applicazione al caso concreto»

(cfr. in tali sensi: Cass. pen., sez. Ili, 4 febbraio 1986, imp.

Davitti, id., Rep. 1987, voce cit., n. 476).

Orbene, nella fattispecie in esame non si può dubitare che

la società Scic debba rispondere anche per la contestata viola

zione delle norme sul collocamento, in quanto è risultata pacifi

ca — anche a seguito degli accertamenti effettuati dall'ispetto

rato del lavoro — con riferimento a cinquantatre lavoratori in

carico alla cooperativa La Leonessa l'assunzione non per il tra

mite dell'ufficio di collocamento. Né può sottacersi che la so

cietà ricorrente da parte sua non ha mai addotto circostanze

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vidiri, P.M. De Gregorio (concl. conf.); Soc. Scic (Avv. Salimbene, Magrini) c. Ispettorato provinciale del

3375 PARTE PRIMA 3376

(soggettive o oggettive) idonee ad escludere il proprio obbligo di assunzione attraverso il suddetto ufficio, ma ha cercato di

sottrarsi alla relativa responsabilità attraverso una non condivi

sibile interpretazione del dato normativo. Per finire, pare op

portuno qualche cenno sulla doglianza della ricorrente relativa

all'utilizzazione del materiale probatorio da parte del giudice di primo grado.

A ben vedere, le censure mosse dal ricorrente tendono a so

stituire l'interpretazione che del materiale istruttorio dà la stes

sa ricorrente a quella seguita dalla sentenza impugnata. Sostitu

zione non consentita alla luce di consolidati principi. Il giudice di merito è libero, infatti, di formarsi il proprio convincimento

utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la de

cisione, senza necessità di prendere in considerazione tutte le

risultanze processuali e confutare ogni argomentazione prospet tata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui

quali fonda il proprio convincimento, dovendo ritenersi per im

plicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene

specificamente non menzionati, siano incompatibili con la deci

sione adottata. Ne consegue che i vizi di motivazione che legitti mano il sindacato del giudice di legittimità non possono consi

stere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove contenuto nella sentenza impugnata rispetto a quello preteso dalle parti (cfr., ex plurimis, Cass. 18 marzo 1995, n. 3205,

id., Rep. 1995, voce Cassazione civile, n. 82, 19 febbraio 1987, n. 1795, id., Rep. 1987, voce cit., n. 52).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 27 mar zo 1996, n. 2708; Pres. Di Ciò, Est. Corona, P.M. Lo Ca

scio (conci, conf.); Pacetti (Avv. Sulpizio) c. La Veglia (Aw.

Grillo). Conferma App. Roma 9 giugno 1993.

Comunione e condominio — Sopraelevazione — Limiti (Cod. civ., art. 1127).

Il mancato accertamento dell'idoneità statica dell'edificio a so

stenere la sopraelevazione impedisce l'esercizio del diritto di

sopraelevazione. (1)

(1) 1. - La sentenza si segnala per un elemento di novità che la Cas sazione introduce nell'interpretazione dell'art. 1127 c.c. (del 2° comma in particolare) rispetto all'orientamento giurisprudenziale precedente, cui pur tuttavia la corte sembra o, meglio, dichiara di rifarsi. Elemento di originalità che, pur prospettato dal Supremo collegio come sviluppo della linea interpretativa consolidatasi nei decenni, si pone palesemente in contraddizione con quelle stesse opzioni o premesse interpretative che il collegio ritiene di far proprie.

L'art. 1127 — ribadisce la corte richiamando Cass. 26 maggio 1986, n. 3532, Foro it., Rep. 1986, voce Comunione e condominio, n. 96, e Arch, locazioni, 1986, 419 — sottopone il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio a tre limiti, co stituiti dalle condizioni statiche del fabbricato (2° comma), dal pregiu dizio del suo aspetto architettonico e dalla diminuzione notevole di aria e luce nei piani sottostanti (3° comma); il primo «costituisce un divieto assoluto, cui è possibile ovviare soltanto se, con il consenso di tutti i condomini, il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo l'edi ficio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due . . . presuppongono l'opposizione facoltativa dei singoli condomini inte ressati».

Il valore assoluto del divieto dinanzi all'inidoneità statica delle strut ture esistenti si giustifica con il fatto che è «nell'interesse generale che si impedisca la realizzazione di edifici che possono crollare da un mo mento all'altro» e «l'eventuale consenso dei condomini non vale certo a rendere lecita una attività comportante un pericolo di disastro ed una minaccia all'incolumità pubblica» (così Cass. 5 aprile 1977, n. 1300, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 87, e Giusi, civ., 1977, I, 1782, con nota adesiva di Alvino, Diritto di sopraelevazione: condizioni e limiti). Il divieto, in latri termini, sussiste sempre, a prescindere dal consenso

Il Foro Italiano — 1997.

Svolgimento del processo. — Con citazione 17 febbraio 1986, i coniugi Giovanni La Veglia e Maria Pascuzzo, Matteo Rinaldi

e Lucia La Gatta, proprietari di due appartamenti siti nell'edifi

cio in Roma, via Gaggia 8, convennero davanti al Tribunale

di Roma Giovanni Pacetti, proprietario di una porzione del la

strico solare.

Esposero che il convenuto, in assenza della concessione edili

zia e in dispregio dei diritti degli altri condomini, aveva iniziato la sopraelevazione dell'ultimo piano, per destinarlo ad abitazio

ne, provocando, per il carico suppletivo arrecato alle strutture, un considerevole pericolo per la stabilità dell'edificio, nonché

degli altri condomini. È invece perfettamente lecito, per i condomini

interessati, prestare il consenso all'esecuzione di opere di rafforzamen to: l'approvazione unanime, quindi, deve «riguardare non il fatto in sé della sopraelevazione, ma la preventiva esecuzione» di quelle opere che, modificando le condizioni statiche dell'edificio «rendono possibile tecnicamente e lecito giuridicamente il sopralzo»; v. altresì Cass. 11

giugno 1983, n. 4009, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 85. Da ciò

consegue che, qualora le condizioni statiche inidonee siano state modi ficate con esecuzione di opere di rinforzo, «non ci sarà più alcun biso

gno di consensi, né scritti, né orali, dei condomini, perché riprenderà vita e vigore il diritto del condomino dell'ultimo piano ad eseguire la

sopraelevazione» [in questi termini, Cass. 5 aprile 1977, n. 1300, cit., con nota adesiva di Alvino, cui si rinvia per le considerazioni in ordine al problema della misura e delle modalità di manifestazione del consen so da parte dei condomini. Parimenti, Cass. 26 maggio 1986, n. 3532, cit., secondo la quale «il divieto perentorio della norma comporta la sola possibilità che con il consenso unanime dei condomini venga auto rizzato il proprietario dell'ultimo piano ad effettuare opere di rafforza mento delle condizioni statiche dell'edificio sì da renderlo idoneo (se non lo era in precedenza) a sopportare il peso della nuova costruzione»].

Alla luce del 4° comma — si è precisato — le condizioni statiche dell'edificio vengono in rilievo nel momento in cui il titolare del diritto 10 esercita e, conseguentemente, il diritto non potrà considerarsi perdu to se la statica non consenta la sopraelevazione: questa, infatti, «potrà compiersi in epoca successiva ove, nel frattempo, i condomini abbiano proceduto, nel proprio interesse, al consolidamento delle strutture por tanti della costruzione» (in tal senso, Bonacci, Diritto potestativo e

facoltà di sopraelevazione, in Dir. e giur., 1969, 416). Salvo dunque l'accordo di tutti i condomini in ordine all'esecuzione di interventi con solidativi, nel caso in cui le condizioni statiche «non permettano la so praelevazione, il diritto viene meno del tutto» (Cass. 10 novembre 1970, n. 2333, Foro it., 1971, I, 167, e Giust. civ., 1971, I, 593, con nota di Alvino). L'attuale disciplina «prevede solo limiti al diritto, cioè il diritto alla sopraelevazione non è consentito in ogni caso, sia pure sot toposto ad onere, ma è consentito solo se ristretto entro determinati limiti»: ove tali limiti «siano superati, viene meno del tutto il diritto e la sopraelevazione non può essere più eseguita» (così Cass. 19 novem bre 1963, n. 2996, Foro it., 1964, I, 60, e Riv. giur. edilizia, 1964, I, 20, con nota — in chiave problematica — di Salis, Sopraelevazione ed opere di consolidamento. In dottrina, riprendono alla lettera tali

argomentazioni Alvino, cit., 1785; Terzago, Sopraelevazione: art. 1127 c.c., interpretazione e poteri dell'amministratore, nota a Cass. 8 marzo 1986, n. 1552, Giur. it., 1987, I, 1, 268, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., nn. 97, 98).

Il 2° comma dell'art. 1127 — secondo un'interpretazione restrittiva e letterale — riconosce sostanzialmente ai condomini il diritto di oppor si alla sopraelevazione qualora sia incompatibile con le condizioni stati che ed indipendentemente da ogni rafforzamento e consolidamento che 11 sopraelevante sia disposto o dichiari di voler effettuare senza il con senso unanime degli altri condomini. Si è detto che la norma fissa un limite di carattere oggettivo «che va considerato in sé, senza essere altri menti condizionato» (Alvino, Diritto di sopraelevazione e divieto di opere di consolidamento, in Giust. civ., 1971, I, 594; Terzago, cit., 269).

Vivamente dibattute in dottrina e giurisprudenza sono l'interpretazio ne, l'estensione e la natura stessa di tale 'limite'. In particolare, ci si è domandati se chi procede alla sopraelevazione possa realizzare opere di consolidamento che, assicurando la staticità necessaria dell'edificio, consentano l'esercizio del suo diritto; in altri termini, se esse possano essere eseguite quale semplice onere condizionante l'esercizio del diritto di sopraelevazione e senza necessità del consenso da parte degli altri condomini (è il quesito che si sono posti in giurisprudenza, ad esempio: Cass. 10 luglio 1945, Foro it., Rep. 1943-45, voce cit., n. 80; 19 novem bre 1963, n. 2996, cit.; 7 gennaio 1966, n. 134, id., Rep. 1966, voce cit., n. 235, e Riv. giur. edilizia, 1966, I, 527; 10 novembre 1970, n. 2333, cit.; 9 luglio 1973, n. 1981, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 50; 8 aprile 1975, n. 1277, id., Rep. 1975, voce cit., n. 132; 5 aprile 1977, n. 1300, cit.; 26 maggio 1986, n. 3532, cit. In dottrina, oltre ai già citati Alvino, Terzago e Salis, si ricordano sempre di Salis, So praelevazione dell'edificio, voce del Novissimo digesto, Torino, 1970, XVII, 904; Condominio negli edifici, Torino, 1959, 219 ss.; Rizzi, Il condominio negli edifici, Bologna, 1983, II, 257 ss.; Branca, in Com mentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, sub art. 1127, 519; Vi sco, Le cose in condominio, Milano, 1964, 609 ss.).

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