sezione lavoro; sentenza 27 luglio 1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vidiri, P.M. DeGregorio (concl. conf.); Soc. Scic (Avv. Salimbene, Magrini) c. Ispettorato provinciale del lavorodi Avellino. Conferma Pret. Avellino 27 dicembre 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 11 (NOVEMBRE 1997), pp. 3369/3370-3375/3376Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191512 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
soggettiva nella parte datoriale del rapporto; in questo caso —
contrariamente a quanto sembra sostenere l'Inps, che pare ne
gare rilevanza, ai fini per cui è causa, all'anzianità pregressa nelle ipotesi di mero mutamento di titolarità dell'impresa —
deve ribadirsi che l'applicazione dell'art. 8 1. 1115/68 va ritenu
ta pacifica, interpretando il concetto di impresa nel senso og
gettivo, poiché il lavoro deve essere considerato prestato sempre alle dipendenze della «stessa impresa» e cioè della stessa orga nizzazione aziendale. Nel caso qui esaminato, del resto, la con
servazione ad ogni effetto dell'anzianità pregressa da parte del
lavoratore «passato» deve ritenersi regolata analogamente al caso
di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., questa essendo
passata, nella specie, nel suo complesso da un cedente (alienan
te) ad un cessionario (acquirente), così restando confermata la
equivalenza dei risultati della interpretazione delle due norme
qui citate.
Si può, dunque, da quanto detto trarre la conclusione che,
se è vero che in via generale il «passaggio diretto» (del quale istituto non pare soddisfacente neanche la ricostruzione giuris
prudenziale, fino ad ora pacifica: tra tante, Cass. 16 dicembre
1988, id., Rep. 1988, voce Lavoro (collocamento), n. 41, come
unico complesso negozio nel quale si attua l'incontro delle vo
lontà dei tre soggetti interessati — lavoratore, datore di lavoro
precedente e datore di lavoro successivo —, poiché in realtà
il lavoratore pare subire il passaggio, intervenendo egli solo quan do deve stipulare il nuovo contratto di lavoro con il successivo
imprenditore e rimanendo estraneo nel momento, altrettanto per lui rilevante per la definizione del precedente servizio prestato, in cui viene «rilasciato» dal suo precedente datore di lavoro)
determina la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro previa estinzione del precedente, con conseguente perdita dell'anziani
tà pregressa, ogni fattispecie va esaminata caso per caso pro
prio al fine di verificare se si sia, invece, trattato in realtà uni
camente di una mera sostituzione nella titolarità della impresa,
ipotesi in cui non può essere esclusa — come rilevato — la
conservazione a tutti gli effetti della detta anzianità.
In conclusione, il ricorso va respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 luglio
1996, n. 6789; Pres. Pontrandolfi, Est. Vronu, P.M. De
Gregorio (conci, conf.); Soc. Scic (Aw. Salimbene, Magri
ni) c. Ispettorato provinciale del lavoro di Avellino. Confer ma Pret. Avellino 27 dicembre 1991.
Intervento in causa e litisconsorzio — Intermediazione e inter
posizione nelle prestazioni di lavoro — Ordinanza-ingiunzione — Opposizione dell'imprenditore interponente — Litisconsor
zio necessario dell'imprenditore interposto e dei lavoratori —
Esclusione (Cod. proc. civ., art. 102; 1. 29 aprile 1949 n. 264,
provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assi
stenza dei lavoratori involontariamente disoccupati, art. 27;
1. 23 ottobre 1960 n. 1369, divieto di intermediazione ed in
terposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina del
l'impiego di manodopera negli appalti di opere, art. 1; 1. 28
febbraio 1987 n. 56, norme sull'organizzazione del mercato
del lavoro, art. 26).
In caso di violazione del divieto di intermediazione e interposi
zione nelle prestazioni di lavoro, non sussiste il litisconsorzio
necessario dei lavoratori e dell'imprenditore interposto, nel
giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione emes
sa dall'ispettorato del lavoro per violazione dell'art. 27 l. 29
aprile 1949 n. 264, nei confronti dell'imprenditore interpo
nente ritenuto effettivo beneficiario delle prestazioni lavo
rative. (1)
(1) La fattispecie dell'interposizione e intermediazione nelle presta zioni di lavoro vietata dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, solleva
Il Foro Italiano — 1997.
Svolgimento del processo. — Con atto depositato in data 10
gennaio 1991, Paolo Marano, rappresentante legale della Scic
s.p.a., proponeva formale opposizione avverso l'ordinanza con
la quale l'Ispettorato del lavoro di Avellino gli aveva ingiunto il pagamento, a titolo di sanzione amministrativa, della somma
di lire 63.875.000 per non avere assunto per il tramite della com
petente commissione circoscrizionale settantatre lavoratori. A
sostegno della sua opposizione rilevava che la Scic aveva sotto
scritto regolari contratti di appalto con alcune cooperative e
che erroneamente l'ispettorato del lavoro aveva ritenuto sussi
stere l'ipotesi di intermediazione ed interposizione di prestazio ne vietata dalla 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, in quanto le suddette
cooperative lavoravano usando proprie attrezzature, la direzio
ne dei lavori era di loro esclusiva competenza ed ancora i dipen denti erano pagati e dipendevano esclusivamente da esse.
alcuni problemi processuali, tra cui in particolare la questione della sus
sistenza o meno del litisconsorzio necessario dell'imprenditore interpo nente, di quello interposto e dei lavoratori nei giudizi relativi a tale
rapporto di lavoro. La pronuncia in epigrafe affronta la suddetta questione con riferi
mento ad una controversia tra ispettorato del lavoro e imprenditore
interponente, in ordine alla legittimità dell'ordinanza con cui lo stesso
ispettorato ingiunge il pagamento di una sanzione per violazione della
normativa in tema di collocamento della manodopera di cui all'art. 27
1. 29 aprile 1949 n. 264. La soluzione adottata è per l'esclusione del
litisconsorzio necessario dei lavoratori e dell'imprenditore interposto e
ciò in quanto l'accertamento dell'intermediazione vietata ha solo valore
di accertamento incidenter tantum avente efficacia tra le parti per stabi
lire la sussistenza dell'obbligo di pagare la sanzione, ma non ha alcun
effetto vincolante per i soggetti che non hanno partecipato al processo. Non risultano precedenti relativi ad un giudizio tra ispettorato del
lavoro e imprenditore interponente, ma la soluzione adottata nel caso di specie è conforme all'orientamento prevalente della Suprema corte
sul problema del litisconsorzio nelle controversie relative ad ipotesi di
intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro.
La decisione odierna distingue tra diverse ipotesi. In primo luogo, afferma che sussiste il litisconsorzio necessario del
l'imprenditore interponente, effettivo beneficiario delle prestazioni di
lavoro, nel giudizio instaurato dall'interposto per l'accertamento del
l'interposizione stessa e della conseguente insussistenza di qualsiasi ob
bligazione da parte sua nei confronti del prestatore di lavoro. Ciò deri
va dalla natura unitaria e trilatera del rapporto tra interponente, inter
posto e lavoratori e dalla conseguente necessità di accertare la sussistenza
del rapporto tra effettivo datore di lavoro e lavoratori ogniqualvolta sia chiesto l'accertamento negativo del rapporto di lavoro con l'interpo sto. In mancanza di tale duplice accertamento, infatti, si rischierebbe
di liberare il datore di lavoro da ogni obbligo nei confronti dei lavora
tori senza assicurare agli stessi la soddisfazione dei propri diritti da
parte dell'interponente, e ciò in aperto contrasto con la ratio legis di
tutela dei lavoratori. Sulla natura trilatera del rapporto in questione, vedi: Cass. 27 otto
bre 1988, n. 5824, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 456, e Informazione prev., 1989, 283 ; 26 ottobre 1982, n. 5598, Foro it.,
Rep. 1983, voce cit., 679, e Giust. civ., 1983, I, 463 con nota di Mam
mone, entrambe citate in motivazione, e 4 ottobre 1985, n. 4800, Foro
it., Rep. 1986, voce cit., nn. 442, 443. Sulla sussistenza del litisconsorzio necessario nel caso di giudizio in
staurato dall'interposto per l'accertamento negativo di obblighi da par te sua nei confronti dei lavoratori, vedi Cass. 23 febbraio 1979, n. 1182,
id., 1980, I, 1435 con nota di richiami. In secondo luogo, la Suprema corte esclude il litisconsorzio necessa
rio dell'interposto nel caso in cui il lavoratore citi in giudizio il commit
tente affinché sia accertata la sussistenza del rapporto di lavoro con
quest'ultimo, e ciò in quanto tale accertamento può avere soltanto un'ef
ficacia riflessa nei confronti dell'interposto tale da giustificare solo un
intervento ad adiuvandum. Vedi in questo senso: Cass. 6 giugno 1989, n. 2740, id., Rep. 1989, voce cit., nn. 452, 453, e in Notiziario giuris
prudenza lav., 1989, 392; 8 aprile 1989, n. 1708, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 454; 28 aprile 1987, n. 4104, id., Rep. 1988, voce Interven
to in causa e litisconsorzio, n. 9, e Giust. civ., 1988, I, 2365; 17 gennaio
1986, n. 320, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 15; 22 novembre 1985, n. 5800, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 460, e Mass. giur.
lav., 1986, 207; 4 marzo 1980, n. 1465, Foro it., Rep. 1980, voce Inter
vento in causa e litisconsorzio, n. 28, tutte citate in motivazione; v.,
inoltre, Cass. 21 gennaio 1986, n. 375, id., Rep. 1986, voce Lavoro
(rapporto), n. 438.
Infine, viene considerato il caso della controversia tra istituto previ denziale ed effettivo beneficiario delle prestazioni di lavoro per viola
zione degli obblighi assicurativi e contributivi, e viene escluso a tale
proposito il litisconsorzio necessario dei lavoratori. Vedi in questo sen
so: Cass. 23 novembre 1994, n. 9928, id., Rep. 1995, voce Intervento
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3371 PARTE PRIMA 3372
Dopo la costituzione dell'ispettorato del lavoro e dopo l'e
spletamento della prova per testi, il Pretore di Avellino con sen
tenza del 10 ottobre - 27 dicembre 1991, in parziale accoglimen to della proposta opposizione, riduceva a lire 46.375.000 la san
zione irrogata, confermando nel resto il provvedimento opposto. Nel pervenire a tale conclusione, il pretore osservava che la
sussistenza delle ipotesi di mere prestazioni di lavoro con conse
guente violazione della normativa in tema di collocamento di
cui alla 1. 29 aprile 1949 n. 264, doveva ritenersi indubitabile
in relazione a cinquantatre dipendenti di cui al contratto inter
corso con la cooperativa Leonessa. Infatti, i testi escussi aveva
no confermato che nella esecuzione dei lavori i dipendenti della
cooperativa si erano serviti di grù di proprietà della s.p.a. Scic, ed il teste Licenza Fiore, titolare della cooperativa Leonessa, aveva precisato che, relativamente ai lavori di cemento armato
eseguiti, la Scic gli aveva fornito detto cemento, il ferro ed i
pannelli prefabbricati, restando a carico della cooperativa solo
elementi del tutto secondari nell'economia dei lavori. Del resto, la cooperativa non era assolutamente in grado, sotto il profilo
strutturale, di acquisire l'appalto dei lavori di cui si discuteva, del valore di circa due miliardi, essendo iscritta all'albo nazio
nale dei costruttori per l'esecuzione di lavori sino a trecento
milioni, ed avendo negli anni precedenti eseguito lavori che,
per il loro ridotto importo, attestavano, al di là di ogni discus
sione, le effettive dimensioni e la capacità operativa della socie
tà in questione. A diverse conclusioni doveva invece pervenirsi per gli operai
del Colorificio Sole s.r.l. e per quelli della Euroedil Costruzio
ni, non essendo per costoro emersi agli atti elementi che poteva no far propendere per la sussistenza di una intermediazione vie
tata. Per concludere, quindi, il pretore, premesso che per cia
scun operaio assunto in violazione delle norme sul collocamento
la sanzione comminata era stata di lire 875.000 e che tale deter
minazione doveva ritenersi congrua, fissava la sanzione com
plessiva in lire 46.375.000 (lire 875.000 x cinquantatre operai), oltre alle spese di notifica.
Avverso tale sentenza la s.p.a. Scic propone ricorso per cas
sazione, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l'Ispet torato provinciale del lavoro di Avellino.
Motivi della decisione. — Ai fini di un ordinato iter motiva
zionale va esaminata innanzitutto, per evidenti motivi di priori
in causa e litisconsorzio, n. 22, e Informazione prev., 1995, 285, citata in motivazione.
Quest'ultima ipotesi è particolarmente interessante perché si avvicina al caso di specie relativo ad una controversia tra l'ispettorato del lavoro e l'imprenditore interponente per violazione della normativa in tema di collocamento della manodopera, anch'esso risolto dalla presente pro nuncia nel senso di escludere il litisconsorzio necessario dei lavoratori e dell'imprenditore interposto.
La giurisprudenza di merito non si è però integralmente conformata all'orientamento della Cassazione. Numerose sono infatti le pronunce che estendono il litisconsorzio a tutti i giudizi relativi all'art. 1 1. 1369/60, senza distinguere a seconda dell'oggetto del giudizio e del soggetto che ha instaurato la causa, e ciò in quanto il rapporto tra interponente, interposto e lavoratori darebbe comunque luogo ad una fattispecie uni
ca, anche se complessa e plurisoggettiva. Vedi in questo senso: Pret. Volterra 21 luglio 1987, Foro it., Rep.
1988, voce Lavoro (rapporto), n. 463, e Toscana giur. lav., 1988, 281, con nota di Capponi; Trib. Napoli 23 ottobre 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 16, e Lavoro 80, 1986, 317; Pret. Roma 5 maggio 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 43, e Dir. lav., 1982, II, 131, con nota adesiva di Capponi. In quest'ultima pronuncia si fa espresso riferimento al giudizio instaurato dal lavorato re nei confronti dell'effettivo datore di lavoro, e si sostiene la necessità, nel caso di specie, di integrare il contraddittorio con la chiamata in causa dell'imprenditore interposto, in aperto contrasto con l'opposta soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità.
Sul problema specifico del litisconsorzio necessario nelle controversie relative ad ipotesi di interposizione ed intermediazione nelle prestazioni di lavoro, vedi di recente: Grandi-Pera, Comm. breve alle leggi sul lavoro, Padova, 1996, sub art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, 669.
In generale, sul divieto di interposizione ed intermediazione nelle pre stazioni di lavoro, vedi in giurisprudenza: Cass. 19 ottobre 1990, n. 10183, Foro it., 1992, I, 523, con nota di richiami di Scarpelli, e, in dottrina, Mantovani, L'interposizione illecita nei rapporti di lavoro, Padova, 1993; Esposito, Problemi ricostruttivi e prospettive in tema di interposizione nel rapporto di lavoro, in Lavoro e dir., 1993, 361 ss. Da ultimo, cfr. Cass. 21 marzo 1997, n. 2517, in questo fascicolo, I, 3318, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1997.
tà logica, il motivo di ricorso con il quale la società ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 1 1. 23 otto
bre 1969 n. 1369 e 102 c.p.c. In particolare, la società deduce
che il pretore ha errato nel pronunziarsi sull'intermediazione
illecita in contraddittorio del solo imprenditore pretesamente uti
lizzatore di manodopera, ritenendo non necessaria l'integrazio ne del contraddittorio anche nei confronti dei lavoratori e del
preteso intermediario, e cioè della cooperativa La Leonessa.
La censura è infondata e pertanto va rigettata. Come ha ri
cordato la ricorrente, questa Corte di cassazione ha affermato
che l'interposizione e l'intermediazione nelle prestazioni di la
voro, oggetto del divieto stabilito dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960
n. 1369, presuppongono necessariamente un rapporto trilaterale
fra imprenditore interponente (pseudoappaltante), interposto o
intermediario (pseudoappaltatore) e lavoratori (ancorché il ruo
lo di interposto o intermediario possa essere svolto della società
di fatto fra i lavoratori occupati per violazione del divieto), con
la conseguenza che, per accertare la sussistenza dello pseudoap
palto vietato, occorre indagare, oltre che sul rapporto diretto
tra l'imprenditore (pseudoappaltante) ed i lavoratori, anche sul
ruolo interpositorio (effettivo o legalmente presunto) della so
cietà di fatto fra i lavoratori medesimi (cfr. Cass. 27 ottobre
1988, n. 5824, Foro it., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 456; 26 ottobre 1982, n. 5598, id., Rep. 1983, voce cit., n.
679). Da qui l'ulteriore statuizione che allorquando il datore
di lavoro faccia valere in giudizio la propria interposizione fitti
zia nel contratto, affinché si accerti la insussistenza di una qual siasi obbligazione nei confronti del prestatore di lavoro subor
dinato, si viene a determinare un litisconsorzio necessario, ai
sensi dell'art. 102 c.p.c., nei confronti del soggetto indicato co
me effettivo datore di lavoro, e ciò sia nel caso che la domanda
resti circoscritta nei termini dell'interposizione fittizia in genere, sia nel caso in cui la domanda sia considerata dal giudice di
merito come diretta all'accertamento della fattispecie interposi toria prevista dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 sul divieto
di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro
(cfr. in tali sensi: Cass. 23 febbraio 1979, n. 1182, id., 1980,
I, 1435). Questa stessa corte ha però ripetutamente statuito che in te
ma di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di la
voro ove il dipendente dell'appaltatore convenga- in giudizio il
committente perché sia dichiarato a norma dell'art. 1, ultimo
comma, 1. n. 1369 del 1960, che nei suoi confronti è in realtà
intercorso il rapporto di lavoro per avere egli effettivamente
utilizzato le sue prestazioni, non sussiste una ipotesi di litiscon
sorzio necessario con l'appaltatore, giacché il lavoratore non ha l'onere di fare anche dichiarare con efficacia di giudicato la nullità del rapporto di appalto (o di intermediazione) tra com
mittente ed appaltatore, rapporto cui egli è estraneo, ma si de
termina soltanto una situazione che — in ragione dell'efficacia
riflessa che l'accertamento domandato dal lavoratore può avere
sul rapporto tra committente ed appaltatore — giustifica l'in tervento ad adiuvandum di quest'ultimo (cfr. in tali sensi ex
plurimis: Cass. 6 giugno 1989, n. 2740, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 452; 22 novembre 1985, n. 5800, id., Rep. 1986, voce
cit., n. 460; 4 marzo 1980, n. 1465, id., Rep. 1980, voce Inter vento in causa e litisconsorzio, n. 28; cui adde, anche per fatti
specie aventi alcuni caratteri in comune con quella in oggetto, Cass. 8 aprile 1989, n. 1708, id., Rep. 1989, voce Lavoro (rap porto), n. 454; 28 aprile 1987, n. 4104, id., Rep. 1988, voce
Intervento in causa e litisconsorzio, n. 9; 17 gennaio 1986, n.
320, id., Rep. 1986, voce cit., n. 15). E proprio di recente la
Suprema corte ha ribadito, sempre con riguardo ad ipotesi di
violazione del divieto di intermediazione ed interposizione nelle
prestazioni di lavoro di cui all'art. 1 1. 23 ottobre 1969 n. 1369, che i lavoratori non sono litisconsorti necessari nella controver sia (concernente la violazione degli obblighi assicurativi e con tributivi connessi ai rapporti di lavoro) fra istituto previdenziale ed imprenditore che abbia effettivamente utilizzato le prestazio ni dei lavoratori medesimi (cfr. Cass. 23 novembre 1994, n.
9928, id., Rep. 1995, voce cit., n. 22). Sulla base di tali principi giurisprudenziali, che vanno ribaditi
in questa sede non ravvisandosi ragioni valide per la loro disap plicazione, va affermato che, contrariamente a quanto sostenu to dalla società ricorrente, non ricorre una ipotesi di litisconsor zio necessario, che richieda la presanza in giudizio ex art. 102
c.p.c., oltre che dei lavoratori anche dell'imprenditore interpo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
nente (pseudoappaltante) e di quello interposto (pseudoappalta
tore), nella controversia tra ispettorato del lavoro e l'imprendi tore che abbia effettivamente utilizzato le prestazioni dei lavo
ratori, avente ad oggetto la legittimità di una ordinanza
ingiunzione emessa, alla stregua della 1. 24 novembre 1981 n.
689, dall'ispettorato stesso per violazione dell'art. 27 1. 29 apri le 1949 n. 264, modificato dall'art. 26 1. 28 febbraio 1987 n.
56, nei confronti dell'imprenditore ritenuto effettivo beneficia
rio di prestazioni lavorative prestate in violazione del disposto dell'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369. Ed infatti, in tale contro
versia, l'accertamento dell'avvenuta intermediazione ed interpo sizione nelle prestazioni di lavoro, non essendo destinata a for
mare giudicato, costituisce solo un accertamento incidentale aven
te efficacia tra le parti ai fini di stabilire la sussistenza dell'obbligo
dell'imprenditore al pagamento delle sanzioni pecuniarie deri
vanti dall'inosservanza delle norme sul collocamento della ma
nodopera, con effetti non vincolanti i soggetti che non hanno
partecipato al giudizio e che da esso non possono, quindi, rice
vere alcun pregiudizio. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denunzia
violazione e falsa applicazione degli art. 1, ultimo comma, e
2 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, nonché dell'art. 26, 2° comma,
1. 28 febbraio 1987 n. 56 (art. 360, n. 3, c.p.c.). In particolare, la ricorrente sostiene che non poteva condividersi la tesi, segui ta dal primo giudice, della connessione automatica tra interme
diazione vietata e violazione delle norme sul collocamento. Ed
invero la lettera dell'art. 2 1. n. 1369 del 1960 indica soltanto
la possibilità, e non la necessità, di applicare le sanzioni previ
ste per la violazione delle disposizioni sul collocamento. Sul piano
logico poi, una volta che l'intermediario aveva osservato le nor
me sul collocamento nell'assunzione della manodopera, nessun
addebito era consentito muovere all'imprenditore interponente,
perché a questi devono farsi risalire, alla stregua dell'ultimo
comma dell'art. 1 della suddetta 1. n. 1369 del 1960, tutti gli
atti ed i comportamenti tenuti dall'intermediario.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa
applicazione degli art. 1 e 3 1. n. 1369 del 1960 nonché dell'art.
116 c.p.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria
su punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).
Più specificamente lamenta che la sentenza impugnata aveva
dato per accertato che i cinquantatre soci della cooperativa Leo
nessa per i quali era intervenuta una sanzione pecuniaria a cari
co della società Scic avessero lavorato a beneficio di quest'ulti
ma società, laddove dalla documentazione acquisita in giudizio risultava che la cooperativa aveva eseguito contemporaneamen
te, negli anni 1988 e 1989, lavori per più committenti e che,
quindi, almeno una parte dei lavoratori erano stati utilizzati
da altri imprenditori. La sentenza impugnata per di più aveva
fatto una non corretta utilizzazione delle disposizioni testimo
niali, disattendendo ingiustificatamente le dichiarazioni rese dai
testi Voj e Promutico, e risultava, per di più, censurabile, nella
parte della motivazione in cui aveva valorizzato il dato della
proprietà dei macchinari dell'appaltante, definendo invece «ri
sibili» le attrezzature della cooperativa. La decisione impugnata
presentava infine caratteri di palese illogicità per avere tratto
ingiustificate deduzioni dall'importo dei lavori per cui era stato
disposta l'iscrizione della cooperativa nell'albo costruttori, non
ché dalla mancata domanda di iscrizione alla cooperativa e dal
mancato versamento della quota da parte di un solo lavoratore,
a fronte dei pretesi cinquantatre, che si sosteneva avere lavora
to a favore delle Scic.
I suddetti motivi di ricorso — da esaminarsi congiuntamente
perché la decisione di essi impone la soluzione di questioni tra
loro connesse — vanno rigettati perché privi di fondamento.
La Suprema corte ha più volte statuito che in tema di inter
posizione nelle prestazioni di lavoro, l'utilizzazione da parte del
l'appaltatore di capitali, di macchine ed attrezzature fornite dal
l'appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sus
sistenza della fattispecie vietata dall'art. 1 1. n. 1369 del 1960
solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale
da rendere del tutto marginale ed accessorio l'apporto dell'ap
paltatore. In assenza di tale presupposto la configurabilità di
detta fattispecie vietata può essere esclusa quando, nonostante
la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell'appaltan
te, sia verificabile un rilevante apporto da parte dell'appaltatore
mediante il conferimento di capitale diverso da quello impiega
to in retribuzioni (ed in genere per sostenere il costo del lavoro)
Il Foro Italiano — 1997.
nonché di beni immateriali, aventi rilievo preminente nell'eco
nomia dell'appalto (cfr., ex plurimis, Cass. 11 maggio 1994, n. 4585, 26 febbraio 1994, n. 1979 e 31 dicembre 1993, n. 13015,
id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), nn. 477, 480, 482).
Orbene, il Pretore di Avellino, con una motivazione adegua
ta, improntata a ineccepibili criteri logici, e rispettosa dei prin
cipi di diritto innanzi enunciati, e pertanto non suscettibile di
censura in questa sede di legittimità, ha ritenuto che la società
Scic e la cooperativa la Leonessa avevano violato il disposto dell'art. 1 1. n. 1369 del 1960, mettendo in atto una intermedia
zione nelle prestazioni di lavoro. Sulla base di accertamenti di
fatto e di una attenta ed esauriente valutazione delle risultanze
istruttorie, il primo giudice ha infatti affermato che nell'effet
tuazione dei lavori la s.p.a. Scic forniva il cemento armato, il ferro ed i pannelli prefabbricati, nonché le gru con le quali detti pannelli venivano trasportati, rimanendo invece a carico
della cooperativa solo elementi del tutto secondari, sicché tale
società finiva in realtà con il fornire soltanto la manodopera. Il pretore, inoltre, nel ravvisare nella fattispecie sottoposta al
suo esame una ipotesi di intermediazione vietata ha fatto riferi
mento ad un complesso di ulteriori circostanze (la mancanza
nella cooperativa di personale tecnico, altamente qualificato, ri
chiesto in ragione della natura e della entità dei lavori appaltati; l'iscrizione della cooperativa nell'albo dei costruttori per lavori
di non alto importo; l'effettuazione, negli anni precedenti, di
opere di scarsa consistenza e di non rilevante importo) che, con
trariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, erano significa tive della trascurabile capacità operativa e delle ridotte dimen
sioni della società cooperativa. Ciò premesso, va dunque ribadito che la valutazione del giu
dice del merito, che alla stregua delle risultanze probatorie ac
quisite, ravvisi in concreto la sussistenza di un appalto di mere
prestazioni di lavoro, vietato dall'art. 1 1. 23 ottobre 1960 n.
1369, è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da moti
vazione adeguata ed immune da vizi e se si appalesa corretta
l'indagine in linea di diritto (cfr. al riguardo: Cass. 22 marzo
1984, n. 1898, id., Rep. 1984, voce cit., nn. 720, 729; 5 feb
braio 1983, n. 990, id., 1984, I, 1025). Le considerazioni sinora svolte portano a ritenere che la sta
tuizione del primo giudice in merito alla responsabilità della
s.p.a. Scic per la violazione della legge sul collegamento non
merita le ulteriori censure che le sono state mosse.
La violazione del divieto di interposizione della manodopera di cui all'art. 1 1. n. 1369 del 1960 non comporta necessaria
mente la realizzazione della disgiunta ipotesi di illecito derivan
te dall'inosservanza dell'obbligo di assumere i lavoratori per il
tramite dell'ufficio di collocamento, ai sensi dell'art. 13 1. n.
264 del 1949; tale violazione di legge concreta un'autonoma fat
tispecie caratterizzata da elementi sia soggettivi che oggettivi di
versi, la cui sussistenza deve essere accertata in concreto, non
rilevando ai fini del concorso delle due ipotesi la costituzione
ex lege del rapporto di lavoro tra l'imprenditore appaltatore ed i lavoratori illecitamente utilizzati (cfr., al riguardo, Cass.
29 gennaio 1994, n. 897, id., Rep. 1994, voce cit., n. 481).
La precisa volontà legislativa di concorso tra l'illecito concre
tizzantesi nella intermediazione ed interposizione delle presta zioni di lavoro e quello consistente nella violazione della legge
sul collocamento si evince con chiarezza dall'art. 2 della citata
1. n. 1369 del 1960, e specificamente dalla sua clausola di riser
va che recita testualmente «ferma restando l'applicabilità delle
sanzioni penali previste per la violazione della 1. 29 aprile 1949
n. 264 e delle altre leggi in materia», non valendo in contrario
il rilievo che la norma lascia ferma «l'applicabilità», e non già
«l'applicazione» delle sanzioni previste dalla legge sull'assun
zione obbligatoria, perché il legislatore, nella sua attività di pro
duzione della norma, stabilisce i termini di potenzialità applica
tiva, mentre spetta al giudice l'applicazione al caso concreto»
(cfr. in tali sensi: Cass. pen., sez. Ili, 4 febbraio 1986, imp.
Davitti, id., Rep. 1987, voce cit., n. 476).
Orbene, nella fattispecie in esame non si può dubitare che
la società Scic debba rispondere anche per la contestata viola
zione delle norme sul collocamento, in quanto è risultata pacifi
ca — anche a seguito degli accertamenti effettuati dall'ispetto
rato del lavoro — con riferimento a cinquantatre lavoratori in
carico alla cooperativa La Leonessa l'assunzione non per il tra
mite dell'ufficio di collocamento. Né può sottacersi che la so
cietà ricorrente da parte sua non ha mai addotto circostanze
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3375 PARTE PRIMA 3376
(soggettive o oggettive) idonee ad escludere il proprio obbligo di assunzione attraverso il suddetto ufficio, ma ha cercato di
sottrarsi alla relativa responsabilità attraverso una non condivi
sibile interpretazione del dato normativo. Per finire, pare op
portuno qualche cenno sulla doglianza della ricorrente relativa
all'utilizzazione del materiale probatorio da parte del giudice di primo grado.
A ben vedere, le censure mosse dal ricorrente tendono a so
stituire l'interpretazione che del materiale istruttorio dà la stes
sa ricorrente a quella seguita dalla sentenza impugnata. Sostitu
zione non consentita alla luce di consolidati principi. Il giudice di merito è libero, infatti, di formarsi il proprio convincimento
utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la de
cisione, senza necessità di prendere in considerazione tutte le
risultanze processuali e confutare ogni argomentazione prospet tata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui
quali fonda il proprio convincimento, dovendo ritenersi per im
plicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene
specificamente non menzionati, siano incompatibili con la deci
sione adottata. Ne consegue che i vizi di motivazione che legitti mano il sindacato del giudice di legittimità non possono consi
stere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove contenuto nella sentenza impugnata rispetto a quello preteso dalle parti (cfr., ex plurimis, Cass. 18 marzo 1995, n. 3205,
id., Rep. 1995, voce Cassazione civile, n. 82, 19 febbraio 1987, n. 1795, id., Rep. 1987, voce cit., n. 52).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 27 mar zo 1996, n. 2708; Pres. Di Ciò, Est. Corona, P.M. Lo Ca
scio (conci, conf.); Pacetti (Avv. Sulpizio) c. La Veglia (Aw.
Grillo). Conferma App. Roma 9 giugno 1993.
Comunione e condominio — Sopraelevazione — Limiti (Cod. civ., art. 1127).
Il mancato accertamento dell'idoneità statica dell'edificio a so
stenere la sopraelevazione impedisce l'esercizio del diritto di
sopraelevazione. (1)
(1) 1. - La sentenza si segnala per un elemento di novità che la Cas sazione introduce nell'interpretazione dell'art. 1127 c.c. (del 2° comma in particolare) rispetto all'orientamento giurisprudenziale precedente, cui pur tuttavia la corte sembra o, meglio, dichiara di rifarsi. Elemento di originalità che, pur prospettato dal Supremo collegio come sviluppo della linea interpretativa consolidatasi nei decenni, si pone palesemente in contraddizione con quelle stesse opzioni o premesse interpretative che il collegio ritiene di far proprie.
L'art. 1127 — ribadisce la corte richiamando Cass. 26 maggio 1986, n. 3532, Foro it., Rep. 1986, voce Comunione e condominio, n. 96, e Arch, locazioni, 1986, 419 — sottopone il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio a tre limiti, co stituiti dalle condizioni statiche del fabbricato (2° comma), dal pregiu dizio del suo aspetto architettonico e dalla diminuzione notevole di aria e luce nei piani sottostanti (3° comma); il primo «costituisce un divieto assoluto, cui è possibile ovviare soltanto se, con il consenso di tutti i condomini, il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo l'edi ficio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due . . . presuppongono l'opposizione facoltativa dei singoli condomini inte ressati».
Il valore assoluto del divieto dinanzi all'inidoneità statica delle strut ture esistenti si giustifica con il fatto che è «nell'interesse generale che si impedisca la realizzazione di edifici che possono crollare da un mo mento all'altro» e «l'eventuale consenso dei condomini non vale certo a rendere lecita una attività comportante un pericolo di disastro ed una minaccia all'incolumità pubblica» (così Cass. 5 aprile 1977, n. 1300, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 87, e Giusi, civ., 1977, I, 1782, con nota adesiva di Alvino, Diritto di sopraelevazione: condizioni e limiti). Il divieto, in latri termini, sussiste sempre, a prescindere dal consenso
Il Foro Italiano — 1997.
Svolgimento del processo. — Con citazione 17 febbraio 1986, i coniugi Giovanni La Veglia e Maria Pascuzzo, Matteo Rinaldi
e Lucia La Gatta, proprietari di due appartamenti siti nell'edifi
cio in Roma, via Gaggia 8, convennero davanti al Tribunale
di Roma Giovanni Pacetti, proprietario di una porzione del la
strico solare.
Esposero che il convenuto, in assenza della concessione edili
zia e in dispregio dei diritti degli altri condomini, aveva iniziato la sopraelevazione dell'ultimo piano, per destinarlo ad abitazio
ne, provocando, per il carico suppletivo arrecato alle strutture, un considerevole pericolo per la stabilità dell'edificio, nonché
degli altri condomini. È invece perfettamente lecito, per i condomini
interessati, prestare il consenso all'esecuzione di opere di rafforzamen to: l'approvazione unanime, quindi, deve «riguardare non il fatto in sé della sopraelevazione, ma la preventiva esecuzione» di quelle opere che, modificando le condizioni statiche dell'edificio «rendono possibile tecnicamente e lecito giuridicamente il sopralzo»; v. altresì Cass. 11
giugno 1983, n. 4009, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 85. Da ciò
consegue che, qualora le condizioni statiche inidonee siano state modi ficate con esecuzione di opere di rinforzo, «non ci sarà più alcun biso
gno di consensi, né scritti, né orali, dei condomini, perché riprenderà vita e vigore il diritto del condomino dell'ultimo piano ad eseguire la
sopraelevazione» [in questi termini, Cass. 5 aprile 1977, n. 1300, cit., con nota adesiva di Alvino, cui si rinvia per le considerazioni in ordine al problema della misura e delle modalità di manifestazione del consen so da parte dei condomini. Parimenti, Cass. 26 maggio 1986, n. 3532, cit., secondo la quale «il divieto perentorio della norma comporta la sola possibilità che con il consenso unanime dei condomini venga auto rizzato il proprietario dell'ultimo piano ad effettuare opere di rafforza mento delle condizioni statiche dell'edificio sì da renderlo idoneo (se non lo era in precedenza) a sopportare il peso della nuova costruzione»].
Alla luce del 4° comma — si è precisato — le condizioni statiche dell'edificio vengono in rilievo nel momento in cui il titolare del diritto 10 esercita e, conseguentemente, il diritto non potrà considerarsi perdu to se la statica non consenta la sopraelevazione: questa, infatti, «potrà compiersi in epoca successiva ove, nel frattempo, i condomini abbiano proceduto, nel proprio interesse, al consolidamento delle strutture por tanti della costruzione» (in tal senso, Bonacci, Diritto potestativo e
facoltà di sopraelevazione, in Dir. e giur., 1969, 416). Salvo dunque l'accordo di tutti i condomini in ordine all'esecuzione di interventi con solidativi, nel caso in cui le condizioni statiche «non permettano la so praelevazione, il diritto viene meno del tutto» (Cass. 10 novembre 1970, n. 2333, Foro it., 1971, I, 167, e Giust. civ., 1971, I, 593, con nota di Alvino). L'attuale disciplina «prevede solo limiti al diritto, cioè il diritto alla sopraelevazione non è consentito in ogni caso, sia pure sot toposto ad onere, ma è consentito solo se ristretto entro determinati limiti»: ove tali limiti «siano superati, viene meno del tutto il diritto e la sopraelevazione non può essere più eseguita» (così Cass. 19 novem bre 1963, n. 2996, Foro it., 1964, I, 60, e Riv. giur. edilizia, 1964, I, 20, con nota — in chiave problematica — di Salis, Sopraelevazione ed opere di consolidamento. In dottrina, riprendono alla lettera tali
argomentazioni Alvino, cit., 1785; Terzago, Sopraelevazione: art. 1127 c.c., interpretazione e poteri dell'amministratore, nota a Cass. 8 marzo 1986, n. 1552, Giur. it., 1987, I, 1, 268, e Foro it., Rep. 1986, voce cit., nn. 97, 98).
Il 2° comma dell'art. 1127 — secondo un'interpretazione restrittiva e letterale — riconosce sostanzialmente ai condomini il diritto di oppor si alla sopraelevazione qualora sia incompatibile con le condizioni stati che ed indipendentemente da ogni rafforzamento e consolidamento che 11 sopraelevante sia disposto o dichiari di voler effettuare senza il con senso unanime degli altri condomini. Si è detto che la norma fissa un limite di carattere oggettivo «che va considerato in sé, senza essere altri menti condizionato» (Alvino, Diritto di sopraelevazione e divieto di opere di consolidamento, in Giust. civ., 1971, I, 594; Terzago, cit., 269).
Vivamente dibattute in dottrina e giurisprudenza sono l'interpretazio ne, l'estensione e la natura stessa di tale 'limite'. In particolare, ci si è domandati se chi procede alla sopraelevazione possa realizzare opere di consolidamento che, assicurando la staticità necessaria dell'edificio, consentano l'esercizio del suo diritto; in altri termini, se esse possano essere eseguite quale semplice onere condizionante l'esercizio del diritto di sopraelevazione e senza necessità del consenso da parte degli altri condomini (è il quesito che si sono posti in giurisprudenza, ad esempio: Cass. 10 luglio 1945, Foro it., Rep. 1943-45, voce cit., n. 80; 19 novem bre 1963, n. 2996, cit.; 7 gennaio 1966, n. 134, id., Rep. 1966, voce cit., n. 235, e Riv. giur. edilizia, 1966, I, 527; 10 novembre 1970, n. 2333, cit.; 9 luglio 1973, n. 1981, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 50; 8 aprile 1975, n. 1277, id., Rep. 1975, voce cit., n. 132; 5 aprile 1977, n. 1300, cit.; 26 maggio 1986, n. 3532, cit. In dottrina, oltre ai già citati Alvino, Terzago e Salis, si ricordano sempre di Salis, So praelevazione dell'edificio, voce del Novissimo digesto, Torino, 1970, XVII, 904; Condominio negli edifici, Torino, 1959, 219 ss.; Rizzi, Il condominio negli edifici, Bologna, 1983, II, 257 ss.; Branca, in Com mentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, sub art. 1127, 519; Vi sco, Le cose in condominio, Milano, 1964, 609 ss.).
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