Date post: | 31-Jan-2017 |
Category: |
Documents |
Upload: | nguyendiep |
View: | 213 times |
Download: | 1 times |
sezione lavoro; sentenza 27 marzo 2001, n. 4385; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M.Napoletano (concl. diff.); Inps (Avv. Starnoni, Passaro) c. Castrovilli (Avv. Cabibbo). Cassa Trib.Trani 25 giugno 1998 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3219/3220-3223/3224Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197640 .
Accessed: 28/06/2014 16:17
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 46.243.173.98 on Sat, 28 Jun 2014 16:17:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA 3220
In realtà la diversità tra le due ipotesi di danno rende invero simile quel procedimento di liquidazione, anche se i parametri dell'invalidità potrebbero tenersi in considerazione tenuto conto
della natura del danno inferto con la perdita della vita e delle
funzioni del relativo risarcimento.
Non c'è nulla di codificato, e ciò può comportare, come è ac
caduto in altre ipotesi, che vi sia una difformità di vedute tra le
diverse corti, con somme di risarcimento assai diverse tra loro, ma questo non può impedire la liquidazione in sé e per sé per la
lesione di un bene, che essendo inviolabile, non può non essere
risarcito.
Considerato allora che funzione di tale risarcimento è essen
zialmente preventiva e punitiva, si può considerare adeguata una
somma che sia certamente inferiore rispetto a quella corrispon dente ad una invalidità del cento per cento, la quale serve a
compensare una sofferenza permanente del soggetto leso. Nel
caso di perdita della vita si tratta di sanzionare un illecito e di
indurre a livelli di comportamento precauzionale rivolti ad evi
tare incidenti mortali. Si può allora convenire un risarcimento
che sia circa la metà di quanto a livello nazionale si liquida per il cento per cento di invalidità, vale a dire una somma di
500.000.000 di lire, che ovviamente spetta ai superstiti iure he
reditatis. E questa somma si può giustificare anche ritenendo la
perdita della vita alla stregua di un danno esistenziale, ossia di
un danno prodotto all'esistenza di un soggetto, distruggendola del tutto.
Per riepilogare, agli attori compete: a) iure proprio il risarci
mento della somma di lire 94.990.000 ciascuno, che costituisce il totale del danno biologico (71.242.500) e di quello morale
(23.747.500); mentre ai figli spetta quella di lire 11.873.750 cia scuno; b) iure hereditatis il risarcimento ammonta ad un totale di 500.000.000 di lire, diviso per ognuno degli attori.
Quanto alla richiesta della compagnia di assicurazione di ri valsa sul proprietario del veicolo, si tratta di una richiesta fon data sull'art. 18 1. n. 990 del 1969, che se non consente alla
compagnia di sottrarsi al pagamento nel caso in cui il proprieta rio contravvenga all'obbligo di non affidare l'auto a conducenti senza patente, consente però alla compagnia l'azione di rivalsa
(Cass. 16 maggio 1997, n. 4363, id., Rep. 1997, voce Assicura
zione (contratto), n. 199).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 mar zo 2001, n. 4385; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M. Na poletano (conci, diff.); Inps (Avv. Starnoni, Passaro) c. Castrovilli (Avv. Cabibbo). Cassa Trib. Trani 25 giugno 1998 e decide nel merito.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Doman da di assegno di invalidità —
Aggravamento nel corso del
giudizio — Domanda di pensione di inabilità — Ammissi bilità (Disp. att. cod. proc. civ., art. 149; 1. 12 giugno 1984 n. 222, revisione della disciplina della invalidità pensionabile, art. 1,2, 11).
E ammissibile, ai sensi dell'art. 149 disp. att. c.p.c., la doman da di pensione di inabilità proposta in controversia previden ziale avviata per il riconoscimento dell'assegno di invalidità, nel corso della quale si sia verificato un aggravamento dello stato di salute tale da rendere l'assicurato inabile a qualsiasi proficuo lavoro. ( 1 )
(1) Revirement della Cassazione rispetto alle sentenze 17 maggio 1999, n. 4782, Foro it., Rep. 1999, voce Previdenza sociale, n. 824, e 1° luglio 1998, n. 6433, id.. Rep. 1998, voce cit.. n. 556, che hanno af fermato il principio secondo cui, costituendo la domanda amministrati va un requisito di proponibilità della domanda giudiziale, va dichiarata in qualsiasi stato e grado del giudizio la nullità di tutti gli atti proces
II Foro Italiano — 2001.
Svolgimento del giudizio. — Con ricorso depositato in data
24 aprile 1992 Vincenzo Castrovilli, premesso di avere inutil
mente esperito il prescritto procedimento amministrativo, chie
deva al Pretore di Trani che l'Inps fosse condannato a corri
spondergli l'assegno d'invalidità, oltre gli interessi sui ratei
scaduti.
Dopo l'espletamento di una consulenza d'ufficio, il Pretore di
Trani con sentenza del 15 maggio 1996, preso atto che nel corso
del giudizio l'Inps aveva, sulla scorta delle risultanze della con
sulenza, riconosciuto all'assicurato la pensione con decorrenza
dal 1° agosto 1994, rigettava la domanda mantenuta ferma dal
Castrovilli in relazione al periodo giugno 1991 - luglio 1994.
A seguito di gravame da parte del Castrovilli, il Tribunale di
Trani con sentenza del 25 giugno 1998, accoglieva l'appello, ed
in parziale riforma dell'impugnata sentenza, condannava l'Inps a corrispondere i ratei di pensione d'inabilità a far data dal 1°
febbraio 1993 maturati e non versati, oltre agli interessi legali dal dì della maturazione nonché al pagamento delle spese del
grado di giudizio, dichiarando invece compensate quelle di pri mo grado.
Nel pervenire a tale conclusione il tribunale osservava — per
la parte che interessa in questa sede di legittimità — che alla
stregua delle risultanze di una nuova consulenza espletata in se
de di gravame, il Castrovilli all'epoca della domanda ammini
strativa di pensione, benché affetto da una broncopatia cronica
con deficit respiratorio di medio grado in un soggetto con mo
desta spondilo-artrosi cervicale, non aveva diritto ad alcuna pre stazione previdenziale atteso che la patologia respiratoria a quel
tempo riscontrata non riduceva a meno di un terzo del normale
la capacità lavorativa del Castrovilli. La situazione nel tempo era mutata perché, come si evinceva dalla documentazione in
atti, dal gennaio 1993 la patologia respiratoria aveva subito un
netto peggioramento «per comparsa di affanno anche a riposo, associato ad episodi di dispnea parossistica a carattere asmati
forme, associata ad una mancata compromissione cardiaca», tanto che lo stesso consulente aveva concluso nel senso che l'assicurato poteva considerarsi inabile, ai sensi della 1. n. 222 del 1984, a partire dal gennaio 1993. Essendo, pertanto, l'ag gravamento avvenuto nel corso di causa, ben poteva il Castro
villi, ai sensi dell'art. 149 disp. att. c.p.c. denunciare, come ave va fatto, il sopravvenuto aggravamento all'interno del processo avviato per il riconoscimento dell'assegno d'invalidità, sicché
l'istituto previdenziale andava condannato al pagamento dei ra tei di pensione d'inabilità maturati dal 1° febbraio 1993 e non
versati, maggiorati degli interessi legali a decorrere dalla matu razione di ciascuno di essi.
Avverso tale sentenza l'Inps propone ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo.
Castrovilli Vincenzo non si è costituito in giudizio. Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di ricorso
l'Inps denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 1. n. 222 del 1984 in relazione agli art. 112, 113 e 345 c.p.c. nonché
suali che non siano preceduti da domanda amministrativa, sicché non sarebbe possibile dare ingresso a domande diverse da quella introdutti va nemmeno in relazione a prestazioni d'invalidità i cui requisiti risul tino essersi perfezionati successivamente alla presentazione della do manda amministrativa cui si connette la domanda introduttiva del giu dizio.
La decisione che si riporta rileva come una simile impostazione, vieppiù in vigenza dell'art. 11 1. n. 222 del 1984 che preclude la possi bilità di presentare ulteriore domanda fino a quando non sia intervenuta sentenza passata in giudicato relativamente alla prima, comporti una lettura dell'art. 149 disp. att. c.p.c. «suscettibile di far sorgere consi stenti dubbi d'illegittimità costituzionale».
Sulle conseguenze indotte da tale lettura dell'art. 149 disp. att. c.p.c., cfr. G. Ianniruberto, Contenzioso previdenziale e ruolo della giurisdi zione, id., 2001, V, 95 (spec. par. 7). il quale prefigura una possibile soluzione legislativa nella previsione di una temporanea sospensione del processo, per consentire una valutazione rimessa alla sede ammini strativa della nuova situazione e con la conseguente estinzione del giu dizio nel caso di definizione in quella sede.
Per riferimenti in ordine alla distinzione tra potere di allegazione dei fatti e rilevabilità di eccezioni d'ufficio nel rito del lavoro, v. Cass. 7 ottobre 1999, n. 11252, id., 2000,1, 2648, con nota di richiami.
Da ultimo, per il superamento della tesi giurisprudenziale dell'unita rietà del sistema di tutela dell'invalidità pensionabile, cfr. Cass., sez. un.. 21 marzo 2001, n. 118/SU, id., 2001, I. 1511, con nota di richiami.
This content downloaded from 46.243.173.98 on Sat, 28 Jun 2014 16:17:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
149 disp. att. c.p.c., ed ancora motivazione omessa su punti de
cisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Deduce an
cora il ricorrente che il tribunale ha errato nell'attribuire un di
ritto — la pensione d'inabilità a far tempo dal 1° febbraio
1993 — diverso da quello fatto valere in giudizio dalla parte, la
quale si era limitata a richiedere nel ricorso introduttivo soltanto
l'assegno e non la pensione. In verità il Castrovilli nell'atto di appello, introducendo una
domanda nuova, aveva chiesto il pagamento del rateo di pensio ne d'inabilità relativo al mese di luglio 1994, ma tale domanda
per essere limitata al solo mese di luglio rappresentava un evi
dente, seppure implicito, abbandono di qualsiasi pretesa al rela
tivo trattamento pensionistico per il periodo precedente. Ne
conseguiva che, anche in relazione all'estensione temporale della prestazione pensionistica, il giudice d'appello era andato
oltre le richieste formulate dalla parte. Non poteva in contrario
farsi riferimento al disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c. perché tale norma consente al giudice di valutare aggravamenti del
quadro morboso insorti nel corso del giudizio ma tale principio non poteva valere che nell'ambito del petitum e della causa pe tendi dell'azione spiegata, non consentendo in alcun modo l'ac
coglimento di una domanda diversa e non proposta nella fase
giudiziaria né tantomeno una dilatazione (non solo temporale) del petitum.
2. - Il ricorso è in parte fondato e, pertanto, va accolto per
quanto di ragione. Al fine di un ordinato iter argomentativo appare opportuno
partire da un esame del disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c., che il ricorrente sostiene essere stato erroneamente richiamato
dalla sentenza impugnata a sostegno delle sue conclusioni.
La suddetta disposizione statuisce testualmente che: «Nelle
controversie in materia d'invalidità pensionabile deve essere
valutato dal giudice anche l'aggravamento delle malattie, non
ché tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invali
dante che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario».
3. - Si è sostenuto in dottrina che la norma in esame — og
getto prima della sua approvazione definitiva di un travagliato dibattito parlamentare in ragione del suo carattere innovativo ri
spetto ai poteri attribuiti al giudice nell'ordinario processo di
cognizione —
comporta in materia di controversie previdenziali ed assistenziali un riconoscimento della piena autonomia dell'a
zione dai relativi procedimenti amministrativi sì da portare ad
uno sganciamento del processo dalla sua funzione di risoluzione
di una lite in senso tecnico, la quale ultima mancherebbe per l'inesistenza, al momento della definizione della domanda am
ministrativa, del diritto richiesto. Si sono sottolineate al riguar do le particolarità caratterizzanti le controversie in materia d'in
validità pensionabile e, in un siffatto contesto, si è anche preci sato che l'applicazione della norma in esame porta all'inopera tività dell'art. 443 c.p.c. in quanto il giudice è esonerato dal so
spendere il giudizio, sempre che la malattia sopravvenuta nel
corso del giudizio incida sul complesso invalidante, cui si riferi
sce la domanda iniziale, e sempre che l'aggravamento sia rap
portabile alla malattia denunciata, dovendo invece al di fuori di
tali casi trovare applicazione la normativa ordinaria. In altri
termini, l'onere della denunzia sussiste sempre, ma per il suo
assolvimento sono irrilevanti l'aggravamento della malattia ed il
sopravvenire di malattie che incidano sul complesso invalidante.
Sempre nella stessa direzione si è poi aggiunto che la norma
in esame è significativa espressione di una tendenza legislativa volta a considerare il procedimento amministrativo la sede per tentare la conciliazione delle controversie previdenziali ed assi
stenziali, senza tuttavia che da esso possano discendere deca
denze, preclusioni o atti, anche omissivi, di sostanziale disposi zione dei diritti.
In un siffatto contesto l'art. 149 è stato visto operare in una
duplice direzione per attuare, da un lato, il principio dell'eco
nomia processuale, e per favorire, dall'altro, l'assicurato, evi
tando che lo stesso sia costretto — proprio in un momento in cui
ha bisogno di maggiore tutela per l'evoluzione e l'aggrava mento della sua infermità — a presentare nuove denunzie al
l' Inps, con il concreto pericolo di un effettivo pregiudizio al
l'integrale riconoscimento dei suoi diritti, in ragione del tempo richiesto per l'espletamento delle procedure amministrative e
per la ripresa del giudizio. Ed in un'ottica di valorizzazione
delle esposte esigenze non si è mancato di rilevare — anche se
Il Foro Italiano — 2001.
in epoca antecedente al nuovo assetto normativo introdotto dalla
1. 12 giugno 1984 n. 222 diretto a attribuire rilevanza giuridica a
due diversi livelli d'invalidità in relazione ai quali sono previste due prestazioni economiche distinte (assegno ordinario d'inva
lidità ex art. 1; e pensione ordinaria d'inabilità ex art. 2) — che
la causa petendi nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento
della pensione d'invalidità è rappresentata dalla valutazione del
reale stato invalidante, che va compiuta tenendo conto dell'ef
fettiva e concreta situazione patologica esistente al momento del
definitivo accertamento.
4. - La dottrina all'indomani della 1. 11 agosto 1973 n. 533 ha
evidenziato, come si è visto, il carattere del tutto innovativo
dell'art. 149 disp. att. c.p.c. sottolineando come, con l'introdu
zione del rito del lavoro, si fosse andato al di là di quelli che
erano i consolidati indirizzi giurisprudenziali formatisi in mate
ria, perché mentre questi avevano interpretato estensivamente il
vigente dato normativo attribuendo rilievo unicamente agli ag
gravamenti nel corso di causa, il legislatore invece aveva dato
rilevanza anche alle nuove malattie sopravvenute favorendo
un'attuale e globale valutazione dello stato invalidante al mo
mento in cui doveva in concreto attribuirsi la singola prestazio ne previdenziale.
E tale carattere innovativo è stato inteso — seppure con di
versi accenti e con diverse motivazioni da parte dei singoli stu
diosi — come un distacco dalla tradizionale concezione di ac
centuata indifferenza, che sino allora aveva caratterizzato il pro cesso in relazione alla diversa e specifica natura degli interessi
di volta in volta messi in discussione.
E tale sensibilità verso la natura differenziata dei diritti da
azionare era destinata ad accentuarsi nelle controversie in mate
ria di previdenza ed assistenza sociale attesa la necessità di dare
concreta attuazione ai principi costituzionali di cui all'art. 38
Cost., che possono rimanere pregiudicati irrimediabilmente da
procedure amministrative e da giudizi lunghi e complessi. Le esposte ragioni spiegano i numerosi interventi di questa
corte diretti ad ampliare progressivamente l'ambito operativo dell'art. 149, patrocinandone un'applicazione in via analogica.
Questa corte ha, infatti, affermato l'applicazione della dispo sizione in oggetto alla materia delle controversie relative agli in
fortuni sul lavoro ed alle malattie professionali (ex plurimis, Cass. 15 luglio 1995, n. 7705, Foro it., Rep. 1995, voce Infortu ni sul lavoro, n. 166; 19 giugno 1990, n. 6135, id., Rep. 1990,
voce cit., n. 95; 16 giugno 1989, n. 2904, ibid., n. 275, che riba
disce l'applicabilità analogica dell'art. 149 per un principio di
economia processuale inteso ad evitare la ripetizione continua e
costante di successivi procedimenti, cui adde, in epoca più ri
salente, Cass. 16 febbraio 1984, n. 1175, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 86); ha stabilito l'obbligo del giudice di tener conto degli
aggravamenti e nuove malattie intervenute anche nel corso del
giudizio di rinvio (cfr. Cass. 23 gennaio 1979, n. 513, id., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 603); ha sta
tuito che l'art. 149 importa una evidente eccezione al principio della preclusione di nuove allegazioni e nuove prove stabilito
dall'art. 437 c.p.c. in quanto legittima la parte interessata a de
durre aggravamenti e nuove malattie e ad asseverarli con idonea
documentazione (cfr. Cass. 23 febbraio 1984, n. 1282, id., Rep. 1984, voce cit., n. 471; 17 dicembre 1983, n. 7464, ibid., n.
427). Ed in una medesima ottica si è proceduto ad un'interpretazio
ne estensiva della norma anche in materia di controversie ri
guardanti l'indennità di accompagnamento (cfr. Cass. 24 ottobre
1998, n. 10588, id., Rep. 1998, voce Invalidi civili e di guerra, n. 64), mettendosi in rilievo come una siffatta opzione erme
neutica sia imposta dai precetti costituzionali di razionalità ed
uguaglianza e trovi giustificazioni, oltre che nella constatazione
della sussistenza dell'identità di ratio, sotto il profilo dell'attua
zione dei principi di economia e della rilevanza del sopravveni re nel corso del giudizio di condizioni dell'azione— anche nel
rilievo di fondo che le discipline sostanziali riguardanti le con
troversie previdenziali, quelle di assicurazione contro gli infor
tuni e quelle ancora di assistenza sociale sono accumunate tutte
dall'essere volte a sopperire ad un bisogno indilazionabile del
l'assistito, riconosciuto come degno di tutela dall'ordinamento
(cfr., in motivazione, Cass. 24 ottobre 1998, n. 10588, cit.). 5. - Questa corte non ignora il contrario indirizzo della Cas
sazione, secondo cui se è vero che il soggetto, che ha chiesto in
sede amministrativa la pensione d'inabilità, può chiedere in
This content downloaded from 46.243.173.98 on Sat, 28 Jun 2014 16:17:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3223 PARTE PRIMA 3224
giudizio l'assegno d'invalidità — atteso che tra le due presta zioni relative ad un diverso grado di compromissione della ca
pacità lavorativa ma presupponenti gli stessi requisiti assicurati
vi e contributivi intercorre un necessario rapporto di continenza — non è vero però il contrario in quanto il soggetto, che in sede
amministrativa ha chiesto l'assegno d'invalidità, non può chie
dere in sede giudiziaria la pensione d'invalidità perché in tale
ultima ipotesi la domanda giudiziale relativa alla pensione d'in
validità deve considerarsi radicalmente improponibile in ragione dell'assenza di un indefettibile presupposto all'azione, rappre sentato dalla domanda amministrativa, la cui mancanza può es
sere eccepita dal convenuto nel corso di tutto il giudizio di pri mo grado ed anche in fase d'impugnazione, senza che operino le preclusioni di cui all'art. 416 c.p.c. (cfr., in questi termini, Cass. 17 maggio 1999, n. 4782, id., Rep. 1999, voce Previdenza
sociale, n. 824, cui adde Cass. 1° luglio 1998, n. 6433, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 556).
A ben vedere, l'orientamento in esame, che nega la possibi lità che una volta iniziato un giudizio non possa più
— pur in
presenza di aggravamenti o di nuove infermità che determinino
un'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi at
tività lavorativa — domandarsi la pensione d'inabilità finisce
per operare una frattura con il richiamo effettuato da questa stessa corte ai principi di razionalità e di uguaglianza con ri
guardo a tutte le controversie previdenziali, assistenziali e rela
tive agli infortuni e malattie professionali, investendo tali con
troversie, seppure con diverse modalità, posizioni degli assistiti
meritevoli di una sollecita tutela.
A tale riguardo non può sottacersi che l'art. 11 1. n. 222 del
1984 prescrive che l'assicurato che abbia in corso o presenti una
domanda intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all'as
segno d'invalidità o di pensione d'inabilità non possa presentare una ulteriore domanda per la stessa prestazione sino a quando, nel caso di ricorso in sede giudiziaria, non sia «intervenuta sen
tenza passata in giudicato». Orbene, il negare che l'assicurato, divenuto inabile nel corso
del giudizio instaurato per l'ottenimento dell'assegno d'invali
dità, possa avanzare nello stesso giudizio domanda di pensione ex art. 2 1. 222/84 e costringerlo ad attendere il passaggio in
giudicato della sentenza, significa dare dell'art. 149 disp. att.
c.p.c. una lettura suscettibile di far sorgere consistenti dubbi
d'illegittimità costituzionale.
È evidente, infatti, che una siffatta interpretazione del dato
normativo — contenente in sé un'evidente contraddizione, in
quanto, da un lato imporrebbe all'assicurato un «regresso alla
fase amministrativa» e, dall'altro, gli impedirebbe tale regresso fino all'esito del giudizio
— finirebbe per precludere all'assicu
rato la possibilità di una piena tutela del suo diritto proprio in
quei casi in cui ha più bisogno di una sollecita tutela (in ragione del suo grave stato di salute e della conseguente inabilità ad
ogni proficuo lavoro), tanto da apparire lesiva di diritti fonda mentali, quali quelli garantiti, oltre che dall'art. 38, anche dagli art. 3 e 24 Cost.
6. - Al completamento del copioso orientamento giurispru denziale — di cui si sono segnalati i diversi e più significativi momenti — diretto all'estensione della regola dell'art. 149 disp. att. c.p.c. in ragione della natura delle varie situazioni poste a
raffronto (e della conseguenziale esigenza di sopperire a bisogni indilazionabili dell'assistito) non ostano le preclusioni di carat tere processuale addotte dall'istituto ricorrente. Ed invero, da un
lato il richiamo al divieto del novum in appello appare inconfe
rente stante la ratio sottesa al citato art. 149, il cui carattere più
significativo — è bene ribadirlo ancora una volta — è proprio
quello di valorizzare elementi sopravvenuti nel corso del giudi zio come passaggio obbligato per una tutela effettiva dei diritti
dell'assicurato. Né sotto altro versante può addursi la diversità dei requisiti posti a base dell'assegno d'invalidità e della pen sione d'inabilità perché la diversità delle prestazioni si apprezza unicamente con riguardo al diverso grado di compromissione della capacità lavorativa e non invece con riguardo ai requisiti assicurativi e contributivi (cfr., in motivazione, Cass. 17 maggio 1999, n. 4782, cit.) e perché ancora, come si è precisato in sede
dottrinaria e giurisprudenziale, la rinunzia alla retribuzione e ad
ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della stessa e la contestuale cancellazione da elenchi o albi professionali di cui
all'art. 2, 2° comma, 1. n. 222 del 1984, fungono da semplice condizione di erogabilità del trattamento stesso in relazione ad
Il Foro Italiano — 2001.
un diritto già sorto e riconosciuto per effetto dei soli requisiti
medico-legali e contributivi (cfr. Cass., sez. un., 14 luglio 1993, n. 7783, id., 1994, I, 83, che ha risolto un risalente contrasto
giurisprudenziale sul punto). 7. - Alla luce delle considerazioni sinora svolte il ricorso del
l' Inps va rigettato per la parte in cui critica la sentenza impu
gnata per avere applicato il disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c. nella presente controversia, mentre va accolto — rinvenendosi
sul punto una violazione del disposto dell'art. 112 c.p.c. —
per la parte in cui lamenta che, pur avendo l'assicurato nell'atto di
appello chiesto il riconoscimento della pensione d'inabilità a
partire dal 1° luglio 1994 (per avere il consulente d'ufficio »n
corato l'insorgere dell'inabilità al giugno 1994), il Tribunale di
Firenze ha condannato l'Inps al pagamento dei ratei di pensione a far data dal 1° febbraio 1993.
Per concludere, quindi, il ricorso va accolto per quanto di ra
gione e la sentenza impugnata va cassata. Alla stregua dell'art.
384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
l'Inps va condannato al pagamento della pensione d'inabilità
dal 1° luglio 1994, oltre al maggior importo tra interessi e riva
lutazione monetaria ai sensi del disposto dell'art. 16 1. 30 di
cembre 1991 n. 412.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 23
marzo 2001, n. 4270; Pres. Iannotta, Est. Mensitieri, P.M.
Marinelli (conci, diff.); Filaci (Avv. Dinacci) c. Condominio
piazza Vittorio Emanuele II 138, Roma (Avv. Tomei). Con
ferma App. Roma 4 marzo 1998.
Comunione e condominio — Condominio negli edifici — As
semblea — Deliberazione — Impugnazione — Interesse
ad agire — Fattispecie (Cod. civ., art. 1136, 1137; cod. proc. civ., art. 100, 384).
L'omessa convocazione all'assemblea condominiale legittima il
condomino pretermesso ad agire per l'annullamento della
delibera adottata in quella sede, per contrarietà alla legge, ex
art. 1137 c.c., senza la necessità di allegare e provare uno
specifico interesse, connesso al contenuto della delibera im
pugnata, diverso da quello rappresentato dalla rimozione
dell'atto in conseguenza del vizio (nella specie, peraltro, la
Suprema corte ha confermato, correggendone la motivazione ai sensi dell'art. 384, 2° comma, c.p.c., la sentenza del giudi ce d'appello, che aveva rigettato la domanda di annulla
mento della delibera condominiale, non avendo il ricorrente
assolto l'onere di produrre in giudizio il verbale dell'assem
blea). (1)
(1-2) Pur in mancanza di precedenti specifici in termini, la seconda delle sentenze in epigrafe, considerati i motivi di nullità della delibera assembleare nella specie dedotti dal ricorrente (difetto del consenso di tutti i condomini, necessario per la modifica delle tabelle condominiali
contrattuali), sembra porsi in contrasto con il principio, più in generale affermato dalla stessa corte di legittimità — e ribadito dalla più recente delle pronunzie qui riprodotte — secondo cui, quando l'impugnazione della delibera si fonda su vizi formali, l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. come condizione dell'azione di annullamento propo sta dal condomino ad essa legittimato, «è costituito proprio dall'accer tamento dei vizi formali da cui sono affette le deliberazioni», non es sendo richiesta la deduzione e la prova di uno specifico interesse diver so da quello alla rimozione dell'atto impugnato: v., in tal senso, Cass. 4
aprile 1997, n. 2912, Foro it., Rep. 1997, voce Comunione e condomi
nio, n. 212. Analogamente, in tema d'impugnazione di delibere societa rie, Cass. 4 dicembre 1996, n. 10814, id., 1997, I, 828, con nota di ri chiami di R. Rordorf. La sentenza 4270/01 richiama, altresì, la risa lente Cass., sez. un., 16 giugno 1955, n. 1831, id., Rep. 1955, voce Procedimento in materia civile, n. 77, dove si afferma che, quando si tende ad ottenere una pronuncia di annullamento di un atto annullabile.
This content downloaded from 46.243.173.98 on Sat, 28 Jun 2014 16:17:03 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions