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Sezione lavoro; sentenza 29 aprile 1981, n. 2639; Pres. Dondona, Est. Chiavelli, P. M. Nicita...

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Page 1: Sezione lavoro; sentenza 29 aprile 1981, n. 2639; Pres. Dondona, Est. Chiavelli, P. M. Nicita (concl. conf.); Gazzola (Avv. Varano, Scarpa) c. Soc. Itagel. Regolamento di competenza

Sezione lavoro; sentenza 29 aprile 1981, n. 2639; Pres. Dondona, Est. Chiavelli, P. M. Nicita(concl. conf.); Gazzola (Avv. Varano, Scarpa) c. Soc. Itagel. Regolamento di competenza avversoPret. Parma 21 marzo 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1981), pp. 1899/1900-1903/1904Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172577 .

Accessed: 25/06/2014 09:50

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1899 PARTE PRIMA 1900

Restando cosi anche per questa via confermato che l'attore, se vuole efficacemente difendersi dalla domanda riconvenzionale, deve farlo, nel termine all'uopo fissato, mediante la comparsa (che non sarà propriamente di costituzione, essendo l'attore già come

tale presente in giudizio, bensì di mera difesa nei confronti della domanda contro di lui proposta) prevista dall'art. 416, da deposi tare nel termine decorrente a ritroso dalla data della nuova udienza di discussione fissata a seguito della proposizione di detta

domanda, e con il contenuto dallo stesso articolo previsto a pena di decadenza.

E senza che possa, pertanto, accogliersi la prospettazione dot'

trinaria, secondo cui l'attore riconvenuto non decadrebbe dalla

facoltà di proporre eccezioni fino alla nuova udienza di discussio

ne, ma dovrebbe, in tal caso, riconoscersi al convenuto riconve niente il diritto ad un differimento dell'udienza stessa per appre stare la propria difesa di fronte a nuove eccezioni.

Se ciò, infatti, varrebbe a far salvo il diritto di difesa del

convenuto, contrasterebbe, peraltro, con la rigorosa tipicità ed eccezionalità del rinvio dell'udienza, risultante dai comma 6°

segg. dell'art. 420, e con i principi di concentrazione e di rapidità che improntano tutto il nuovo processo del lavoro: principi ai

quali, viceversa, è senz'altro più consona l'interpretazione che

impone all'attore riconvenuto di esporre preventivamente le sue difese entro un termine uguale a quello imposto al convenuto e mediante atto analogo a quello destinato a contenere le difese di

costui.

Nella specie, è pacifico che l'eccezione di giudicato (giudicato esterno, in quanto formatosi in altra, diversa controversia fra le medesime parti, che, in quanto tale, e a differenza di quello interno, può essere rilevato solo a seguito di eccezione ritualmente

proposta dall'interessato: Cass. 25 novembre 1977, n. 5145, id.,

Rep. 1977, voce Casa giudicata civ., n. 20; 20 marzo 1976, n.

1008, id., Rep. 1976, voce cit., n. 37, e molte altre) è stata

proposta soltanto e direttamente all'udienza di discussione, onde

palese è l'inosservanza del rigoroso sistema ricavabile dal combi nato disposto delle richiamate norme e dai principi ispiratori del rito del lavoro, e chiaramente presupposto dalla Corte costituzio nale nella sua decisione.

La sentenza impugnata, che si è discostata da detti principi, ritenendo inapplicabile l'art. 416 cod. proc. civ. alla posizione dell'attore convenuto in via riconvenzionale, e quindi ritualmente

proposta anche all'udienza di discussione l'eccezione di giudicato esterno non dedotta in memoria difensiva, va quindi cassata sul

punto. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 29 aprile 1981, n. 2639; Pres. Dondona, Est. Chiavelli, P. M. Nicita

(conci, conf.); Gazzola (Avv. Varano, Scarpa) c. Soc. Itagel. Regolamento di competenza avverso Pret. Parma 21 marzo 1980.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Incompeten za — Rilevabilità — Limiti — Incompetenza territoriale (Cod. proc. civ., art. 427, 428).

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Incompe tenza territoriale — Rilevabilità d'ufficio — Limiti (Cod. proc. civ., art. 415, 416, 420, 421, 428).

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Compe tenza per territorio — Rapporto di agenzia — Criterio della sede o della dipendenza — Applicabilità (Cod. proc. civ., art. 409, 413).

L'incompetenza alla cui rilevabilità si riferisce la limitazione tem

porale stabilita dall'art. 428 cod. proc. civ. è soltanto quella territoriale e non anche quella per materia. (1)

L'incompetenza per territorio del pretore in funzione di giudice del lavoro può essere rilevata d'ufficio non oltre l'udienza di

discussione della causa, per questa intendendosi non solo la

prima udienza fissata per la discussione ex art. 415, 2° comma,

(1) Negli stessi sensi Cass. 19 gennaio 1979, n. 419 (anche se meno recisamente, in quanto afferma che la norma di cui all'art. 428 si col lega principalmente, se non esclusivamente, alla competenza territo riale), Foro it., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 134; e in dottrina Andrioli (G. Pezzano, C. M. Barone, A. Proto Pi

sani), Le controversie in materia di lavoro, 1974, 111; Perone, Il nuo vo processo del lavoro, 1975, 285; Vocino-Verde, Appunti sul pro cesso del lavoro, 1977, 37.

V. pure, per qualche riferimento, le note redazionali a Pret. Palermo 20 aprile 1978, Foro it., 1978, I, 2656, e a Pret. Napoli 10 dicembre 1976, id., 1977, I, 1024.

cod. proc. civ., ma anche le altre che eccezionalmente possono in seguito essere fissate ai sensi dell'art. 420, 6° comma. (2)

I fori alternativi previsti dal 2° comma dell'art. 413 cod. proc. civ., e cioè il foro dell'azienda o della dipendenza alla quale era addetto il lavoratore, trovano applicazione anche per le controversie concernenti i rapporti di agenzia. (3)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso 20

luglio 1979 al Pretore di Parma in funzione di giudice del lavoro, la s.p.a. Italgel conveniva in giudizio Alessandro Gazzola, espo nendo che essa società aveva assorbito l'intera attività gelateria della s.p.a. U.n.i.d.a.l. ed era subentrata in tutti i rapporti giuridi ci relativi a tale attività a decorrere dal 24 dicembre 1976; che in precedenza la s.p.a. Alemagna (poi incorporata nella U.n.i.d.a.l.), mediante contratto 14 febbraio 1975, aveva nominato il Gazzola agente venditore per un settore della città di Milano, che il contratto, originariamente a tempo indeterminato era stato tra sformato nell'ottobre 1976 a tempo determinato, ma tacitamente rinnovato; che il Gazzola aveva svolto il mandato sempre da solo, senza l'aiuto di collaboratori, consistendo il suo lavoro nel prelievo dei prodotti presso il deposito di Milano e nella consegna degli stessi alla clientela della zona di sua spettanza; che il rapporto sorto con l'Alemagna era continuato con l'U.n.i.d.a.l. e poi con essa Italgel; che, nel maggio 1978, il Gazzola aveva indotto 14 clienti a disdettare i contratti di somministrazione in corso con essa ricorrente per ia stagione vendita del 1979; che, a

seguito della sua reazione a tale scorretto comportamento, il Gazzola si era obbligato alla prosecuzione del rapporto per tutto il 1979, assicurando che tutta la clientela che serviva si sarebbe

approvvigionata presso di lei per tale anno; che, nel novembre

1978, il Gazzola aveva iniziato a collaborare con la ditta le « Tre Marie » alla quale avrebbe trasferito tutta la clientela da lui servita.

Tutto ciò premesso, la società chiedeva la condanna del Gazzo la al pagamento di lire 8.783.000 a titolo di risarcimento danni per presunta distrazione di clientela.

Costituitosi in giudizio il Gazzola chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'Italgel al

pagamento in suo favore delle somme che sarebbero state accerta te per vari titoli.

Alla terza udienza del 18 febbraio 1980, il Gazzola eccepiva la

incompetenza territoriale del giudice adito, essendo decorsi più di sei mesi tra la data del trasferimento dell'azienda da Milano a Parma e la data della proposizione della domanda ed indicava quale giudice competente il Pretore di Milano nella cui circoscri zione era sorto il rapporto.

Con sentenza del 2/21 marzo 1980 il Pretore di Parma dichia rava tardivamente proposta l'eccezione di incompetenza per terri torio, perché sollevata solo alla terza udienza, in violazione dell'art. 428 cod. proc. civile. Accoglieva la domanda della socie tà, condannando il convenuto al pagamento della somma di lire 7.835.000 e rigettava la riconvenzionale.

Avverso tale sentenza ricorre il Gazzola, per regolamento di

competenza. Il procuratore generale con la requisitoria scritta chiede che si rigetti l'istanza e si dichiari la competenza del Pretore di Parma.

Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente deduce che l'art. 416, 2° comma, cod. proc. civ. sancisce la decadenza delle eccezioni non proposte nella memoria difensiva che non siano rilevabili d'ufficio, mentre l'incompetenza territoria le, potendo essere rilevata di ufficio, non deve necessariamente

(2) La sentenza si pone in contrasto — peraltro ignorandolo — con il precedente orientamento della stessa corte, che sinora aveva sempre adottato un sistema di rigide preclusioni per la proposizione dell'ec cezione di incompetenza per territorio nel processo del lavoro, indi viduando il limite temporale nella sola udienza inizialmente fissata per la discussione: cfr., in tal senso, sent. 23 marzo 1979, n. 1681, Foro it., 1979, I, 930, con nota di richiami, cui adde Cass. 8 marzo 1979, n. 1452, id., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 139, che applica tale principio anche all'ipotesi di riunione di più cause di lavoro già in precedenza trattate; nonché Cass. 14 febbraio 1980, n. 1054, id., Rep. 1980, voce cit., n. 134; 11 gennaio 1980, n. 254, ibid., n. 135; Pret. Dolo 16 marzo 1979, ibid., n. 136. In dottrina v. Dorsa, In tema di rilevabilità dell'incompetenza nel processo del lavoro, in Dir. e giur., 1977, 111; Colesanti, Il nuovo processo del lavoro, a cura di A. Genovese, Padova, 1975, 78 ss.

Cfr. inoltre la nota di richiami a cura di Orsenigo a Cass. 8 novembre 1980, n. 6003, Foro it., 1981, I, 733.

(3) La massima ribadisce l'orientamento di recente espresso da Cass. 24 aprile 1980, n. 2743, citata in motivazione, Foro it., 1980, I, 2834, con nota di richiami, e consolida cosi il mutamento di giurisprudenza da questa operato, e di cui è data ampia menzione nella suindicata nota di richiami.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

essere proposta nella memoria; che, nella specie, l'eccezione di

incompetenza era stata proposta prima dell'inchiesta testimoniale

e, perciò, prima dell'udienza di discussione.

Col secondo motivo si duole che il pretore abbia ritenuto

applicabile nella specie la decadenza di cui all'art. 428 cod. prcc. civ. la quale si riferisce solo all'incompetenza per materia. Laddo

ve, per l'incompetenza territoriale, sussiste soltanto la disposizione di cui all'art. 423, ult. comma, cod. proc. civile.

Con il terzo motivo si deduce che, nella specie, la competenza ter

ritoriale appartiene soltanto al giudice del luogo in cui è sorto il rap

porto, cioè Milano, e che gli altri fori (del luogo dell'azienda e della

dipendenza) concernano esclusivamente le controversie dei lavora tori dipendenti e non rilevano quando, come nella specie, la

causa verte tra l'impresa ed un suo agente, che non è un

lavoratore dipendente, bensì un imprenditore avente una propria

organizzazione. Con il quarto motivo, infine, si deduce che, posta per ipotesi la

competenza della sede dell'azienda, questa non è Parma, luogo in

cui l'azienda è stata trasferita da oltre sei mesi, in quanto detto

luogo non viene preso in considerazione, per l'individuazione del

foro territorialmente competente, dall'art. 413 cod. proc. civile.

A tale interpretazione, si soggiunge, si deve pervenire anche

alla stregua di una esegesi teleologica dell'articolo in questione, il

cui scopo è quello di rendere più agevole un'efficace esplicazione dell'attività giurisdizionale, mediante l'indicazione di una serie di

fori territoriali i più vicini possibili al luogo in cui si è svolto il

rapporto di lavoro e, quindi, dove si deve presumere che sia più

agevole per il giudice pervenire ad una rapida soluzione della

controversia.

11 p. g., nella sua requisitoria scritta, premessa l'applicabilità nella specie dell'art. 428 cod. proc. civ., ha concluso per il rigetto dell'istanza, osservando che l'eccezione di incompetenza territoria

le, nella specie, non poteva più essere proposta dalla parte né

essere rilevata di ufficio, essendo stata dedotta solo nella terza

udienza e non già, come previsto dal cit. art. 428 nell'udienza di

discussione di cui all'art. 420, termine oltre il quale l'incompeten za non poteva più essere rilevata neppure di ufficio.

L'istanza è infondata. Anzitutto, si deve premettere, che contra

riamente a quanto si deduce con il secondo motivo, per quanto

riguarda l'incompetenza territoriale del giudice del lavoro, deve

trovare applicazione, come esattamente è stato rilevato dal p. g., l'art. 428 cod. proc. civile.

Come è noto, la norma in esame ha avuto interpretazioni contrastanti in dottrina, facendosi ora leva sulla formulazione del

primo comma, ora su quella del secondo comma dell'articolo

medesimo.

Questo, infatti, nella rubrica, si riferisce puramente e semplice mente all'incompetenza del giudice, senza ulteriore precisazione.

Nel primo comma, però, disponendosi che l'incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva di

cui all'art. 416 ovvero rilevata d'ufficio dal giudice non oltre l'u

dienza di cui all'art. 420, « si mostra chiaramente che l'incompe tenza cui ci si riferisce è solo quella territoriale, dal momento

che, memoria difensiva ed udienza di cui all'art. 420, sono istituti

propri del processo del lavoro».

Peraltro, alla incompetenza per materia fa espresso riferimento

l'art. 427. 11 fatto, poi, che nel secondo comma,, si stabilisca che « il

giudice rimette la causa al pretore in funzione di giudice del

lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a trenta

giorni per la riassunzione con rito speciale », non può indurre a

far ritenere che l'incompetenza contemplata sia anche quella per materia o solo quella per materia, atteso il riferimento al « giudi ce del lavoro » ed al « rito speciale », perché il comma, nono

stante le espressioni pleonastiche menzionate, si apre pur sempre col riferimento all'incompetenza eccepita o rilevata ai sensi del

comma precedente davanti al pretore giudice del lavoro, per i

rapporti di cui all'art. 409 cod. proc. civile.

Può solo consentirsi, in difformità da quanto invece ritenuto dal

p. g., con la tesi sostenuta dal ricorrente con il primo motivo del

ricorso e, cioè, che l'eccepita incompetenza territoriale avrebbe

dovuto, ove sussistente, essere rilevata d'ufficio dal pretore ai sensi

dell'art. 428 cod. proc. civ. dovendosi intendere, come termine per

la sua rilevabilità, non già la sola prima udienza originariamente

fissata per la discussione di cui all'art. 420 cod. proc. civ., ma

anche l'eventuale altra udienza, fissata a norma del 6° comma

dello stesso art. 420, che è pur sempre udienza di discussione: e

che, anzi, nell'ipotesi prevista dal detto sesto comma, diviene la

vera e propria udienza di discussione prevista dall'art. 420.

Ma, nella specie, ove anche esaminata di ufficio, l'eccezione

avrebbe dovuto essere disattesa, come deve essere disattesa, per

ché non fondata.

Il Foro Italiano — 1981 — Parte 7-122.

Dispone infatti, l'art. 413 cod. proc. civ. che per le controversie di cui all'art. 409 competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la

quale egli prestava la sua opera al momento della fine del

rapporto. Tutti i fori alternativi sopraindicati devono, perciò, trovare

applicazione nelle controversie previste dall'art. 409 cod. proc. civ. e non solo in quelle riguardanti i rapporti di lavoro subordinato

privato di cui al n. 1 di detto articolo (cfr. in tal senso, per quanto riguarda gli agenti di commecio, Cass. 24 aprile 1980, n.

2743, Foro it., 1980, I, 2834). Non ignora la sezione i precedenti contrari di questa corte,

citati anche dal ricorrente, secondo i quali, nel caso in cui la controversia riguardi un rapporto di agenzia, non potrebbero trovare applicazione, dei tre fori alternativamente competenti, né

quello dell'azienda, né quello della dipendenza di essa, perché

l'agente, in quanto lavoratore autonomo, non può essere conside

rato, secondo la dizione della norma, all'una o all'altra « addet

to » (Cass. 10 giugno 1977, n. 2432, id., Rep. 1977, voce Lavoro e

previdenza (controversie), n. 135; 12 agosto 1977, n. 3747, ibid., n. 133; 3 maggio 1978, n. 2059, id., 1979, I, 765).

Tuttavia, dopo una più approfondita riflessione, si ritiene di dover dissentire da tali precedenti, confermando l'orientamento

già adottato con la decisione n. 2743 del 1980 sopra citata. Ed infatti, né la lettera, né lo spirito della norma di cui al 2"

comma dell'art. 413 cod. proc. civ. possono giustificare l'interpre tazione proposta dal ricorrente, secondo la quale per i rapporti di cui al n. 3 dell'art. 409 (agenzia, rappresentanza commerciale ed altri rapporti di prestazione di opera continuativa) non varrebbe^

ro, ai fini della competenza territoriale, i fori dell'azienda o della

dipendenza cui il lavoratore sia addetto ma solo quello del luogo in cui il contratto sia sorto.

Si è detto che, in quanto lavoratore autonomo, l'agente non

può essere considerato « addetto » all'azienda o alla dipendenza e, perciò, tal fatto renderebbe inutilizzabili i correlativi criteri di

collegamento. Ma, in proposito, appare agevole rilevare, anzitutto, che il

termine « addetto » è grammaticalmente riferito solo alla dipen denza e non pure all'azienda (sicché resterebbe in ogni caso utilizzabile il criterio della sede dell'azienda) e, inoltre, che il termine « addetto » non può essere inteso come sinonimo di

dipendente.

Anzi, il termine in esame risulta, obiettivamente, più risponden te proprio allo scopo di poter ricomprendere, nella utilizzazione del criterio di collegamento della dipendenza, tutte le controversie di cui all'art. 409 cod. proc. civ. facendo appunto riferimento non

già ad una relazione specifica, quale quella di lavoratore subordi

nato, bensì' alla generica relazione di fatto costituita dalla destina

zione dell'attività, di qualsiasi lavoratore di quelli previsti dal

citato art. 409 (anche non subordinati), al servizio del centro

organizzativo costituito dalla dipendenza. Del resto, se cosi non

fosse, si perverrebbe all'assurdo di escludere la utilizzabilità, ai fini della competenza territoriale, proprio dei fori più significativi e, cioè, quelli dei luoghi cui sono materialmente correlate l'attività

del lavoratore e l'esistenza degli elementi presumibilmente più utili al giudizio, per lasciare solo quella del luogo del contratto,

luogo che potrebbe essere stato determinato da una mera contin

genza occasionale.

E, perciò, proprio in armonia con quei principi, indicati anche dal ricorrente come quelli tenuti presenti dal legislatore nella

indicazione dei fori alternativi competenti territorialmente per le

controversie del lavoro e, cioè, quelli di rendere più agevole lo

svolgimento di tali controversie, tenendo conto dei fattori più rilevanti (quali, tra gli altri, la sede dell'azienda o della dipenden za cui il lavoratore sia addetto) non si può consentire con una

interpretazione che, contrariamente alla ratio della norma, va

nificherebbe quei principi in tutti i rapporti di prestazione conti

nuativa (anche non subordinati) nei quali, al di là dell'elemento

meramente tecnico-giuridico della non subordinazione (peraltro

espressamente superato nella determinazione della competenza per

materia) la prestazione, di norma, si svolge di fatto in modo non

dissimile da quello con cui si svolge la prestazione di lavoro

subordinato.

Infine, deve essere disatteso il motivo non del tutto chiaro,

secondo il quale, nella specie, non sussisterebbe la competenza territoriale del Pretore di Parma, per essere stata la sede dell'a

zienda quivi trasferita da oltre sei mesi. È evidente, infatti, che

nel caso in esame non trova applicazione il 3° comma dell'art.

413 (secondo cui la competenza della sede dell'azienda o della

dipendenza permane, anche dopo il trasferimento di esse purché la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento medesi

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1903 PARTE PRIMA 1904

mo) il quale statuisce il venir meno della competenza del luogo dell'azienda e della dipendenza, dopo il trasferimento di esse da

oltre sei mesi, ma non statuisce affatto che, venuta meno quella

competenza, venga altresì esclusa anche quella del luogo nel quale l'azienda o la dipendenza si siano trasferite da oltre sei mesi.

Tale criterio di collegamento, previsto dal 2° comma dell'art.

413, è previsto in via generale e non già a condizione che, durante

il corso del rapporto, la sede dell'azienda o della dipendenza sia

rimasta immutata.

Anzi, l'ultrattività dei fori dell'azienda e della dipendenza sancita dall'art. 413, 3° comma, dimostra e conferma il ruolo

centrale, che nella definizione della competenza territoriale previ sta per le controversie di lavoro, hanno appunto la sede dell'a<

zienda o della dipendenza le quali, per essere destinatarie dell'at

tività del lavoratore e con questa materialmente correlate (nella

maggioranza dei casi), sono quelle più idonee a radicare il luogo di svolgimento del giudizio relativo alle controversie che derivino

dal rapporto di prestazione di opera. L'istanza deve essere, pertanto, rigettata, con l'indicazione della

competenza territoriale del Pretore di Parma. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 29 aprile 1981, n. 2626; Pres. Moscone, Est. Iofrida, P. M. Zema (conci,

conf.); Fiorilla e altra (Avv. Biscari) c. Colantonio e altra.

Conferma Trib. Ragusa 30 dicembre 1978.

Servitù — Destinazione del padre di famiglia — Costituzione

ad opera del detentore — Ammissibilità — Condizioni (Cod. civ., art. 1062).

La servitù per destinazione del padre di famiglia si costituisce

anche se lo stato di cose, dal quale risulta la servitù, è stato

stabilito dal detentore, il quale ha poi acquistato la porzione del fondo avvantaggiata senza che il proprietario manifestasse una volontà contraria alla servitù. (1)

(1) I precedenti giurisprudenziali sono sostanzialmente concordi nel l'attribuire rilevanza, ai fini della costituzione della servitù per destina zione del padre di famiglia, allo stato di cose attuato dal detentore: cfr. Cass. 14 dicembre 1973, n. 3410, Foro it., Rep. 1975, voce Servitù, n. 32 (caso di servitù posta in essere dal conduttore di un alloggio popolare, prima di divenirne proprietario, che però non è stata ritenuta validamente costituita perché creata contro la volontà dell'I.a.c.p.); Trib. Cremona 15 giugno 1968, id., Rep. 1969, voce cit., n. 149 (situazione di asservimento creata dall'affittuario); Cass. 14 giugno 1958, n. 2032, id., Rep. 1958, voce cit., n. 102 (stato dei luoghi atto al sorgere della servitù posto in essere dai figli del proprietario cui questi aveva attribuito un mero diritto personale di godimento); Cass. 8 marzo 1956, n. 693, id., Rep. 1956, voce cit., n. 110 (caso di servitù posta in essere da un conduttore). In queste decisioni viene d'altro canto sottolineato, in maniera più o meno accentuata, che il proprietario deve essere a conoscenza delle opere fatte dal terzo detentore che pongano in essere la servitù o che, comunque, deve aver tollerato la loro esecuzione.

L'unico precedente in senso contrario, dall'entrata in vigore del codice, sembrerebbe Cass. 19 ottobre 1978, n. 4699, id., Rep. 1978, voce cit., n. 72 (inedita). Dalla massima si ricava che non è configura rle la servitù per destinazione del padre di famiglia in relazione a modifiche ed opere realizzate dagli assegnatari di alloggi economici e popolari, prima dell'acquisto della proprietà degli immobili medesimi, restando irrilevante che l'istituto assegnante, all'atto della cessione in proprietà, non sia intervenuto a ripristinare il precedente stato dei luoghi.

In dottrina, in senso conferme all'orientamento dominante in giuris prudenza, v. Branca, Servitù prediali, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, 323; Bursese, Servitù, voce del Novissimo digesto, 1970, XVII, 153; Tamburrino, Le servitù, Torino, 1968, 292; Deiana, Destinazione del padre di famiglia, voce dell'Enciclopedia del diritto, 1964, XII, 324; Id., in Grosso e Deiana, Le servitù prediali3, Torino, 1963, 617 ss. (a questo scritto i giudici hanno prestato particolare attenzione nel risolvere la controversia in esame); Biondi, Funzione del possesso nella costituzione della servitù per destinazione, in Giur. it., 1959, I, 1, 217; Cavaliere, Servitù costituite per destinazione del padre di famiglia e possesso, in Mon. trib., 1958, 829; Ferranti, Il libro della proprietà, Milano, 1951, 693.

La Cassazione ha chiarito in motivazione che l'art. 1062 cod. civ. con l'espressione « siano stati posseduti dallo stesso proprietario » ha voluto indicare due requisiti distinti: l'appartenenza dei fondi alla stessa persona e il possesso, in senso tecnico, degli stessi fondi. L'assunto era stato diversamente interpretato da Messineo, Le servitù, Milano, 1949, 136, secondo il quale il legislatore non avrebbe inteso richiedere altro che l'appartenenza dei due fondi alla stessa persona (cfr., in senso conforme, De Sanctis Ricciardone, La destinazione del padre di famiglia. Presupposti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 553); ma lo stesso a. ammette, subito dopo (op. cit., 137), la possibilità del

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto di

citazione notificato il 19 marzo 1971 i coniugi Fiorilla Giuseppe e

Mezzasalma Carmela convenivano i coniugi Colantonio Salvatore

e Interi Rosa avanti il Pretore di Vittoria e, premesso di essere

proprietari di una casa sita in contrada Bardia e confinante con

terreno dei convenuti, lamentavano che costoro avevano costruito

su tale terreno altra casa di abitazione senza il rispetto delle

distanze legali e costituito, inoltre, abusive servitù di veduta

dirette, laterali ed oblique; ne chiedevano, pertanto, la condanna

alla rimozione del fabbricato sino alla distanza legale ed all'elimi

nazione delle denunciate servitù.

1 convenuti, costituitisi, si opponevano alla domanda, deducen

do di essere divenuti proprietari del terreno, sul quale sorgeva il

loro fabbricato, con atto pubblico del 1° aprile 1970, da parte

degli stessi attori, dopo che era stata ultimata la costruzione delle

due case di abitazione, l'una — quella degli attori — eseguita nel

1963, la seconda, oggetto della domanda, negli anni 1968-1969,

senza che nel precitato rogito fossero state incluse particolari

disposizioni in ordine alle due contigue abitazioni. Assumevano

che gli attori avevano violato l'obbligo delle distanze legali rei

costruire la loro casa e ne chiedevano, riconvenzionalmente, la

condanna a demolirla o a rimuovere le opere e le serv'tù

illegittimamente create sul fondo limitrofo; chiedevano, altresì,

darsi loro atto di volersi avvalere della norma dell'art. 875 cod.

civ. e per l'effetto che venisse determinato il valore del muro da

accomunare e del suolo da occupare, salvo che gli attori non

avessero preferito arretrare la loro costruzione fino alla distanza

legale. Subordinatamente, infine, chiedevano dichiararsi che, per effetto dei presupposti di fatto e della norma di cui all'art. 1062

cod. civ., le contigue costruzioni delle parti contendenti godevano delle reciproche servitù per destinazione del padre di famiglia.

Disposta ed espletata consulenza tecnica ed escussa prova per

testi, il pretore con sentenza 17 febbraio 1977 rigettava sia la

domanda principale degli attori che la riconvenzionale dei conve

nuti e compensava per intero le spese del giudizio.

Avverso tale sentenza proponevano appello i coniugi Fioril

la-Mezzasalma, adducendo vari motivi ed insistendo nell'accogli

mento della loro originaria domanda. In particolare rilevavano

che era stato trascurato il fatto che oggetto della compravendita

dell'atto 1° aprile 1970 era stato uno stacco di terreno, senza

alcun riferimento alla casa costruita dai Colantonio, a favore della

quale non vi era stato alcun asservimento di veduta o di minore

distanza; comunque, erano assolutamente carenti i presupposti di

fatto e di diritto per ammettere l'eventuale coesistenza di recipro che servitù.

Gli appellati si costituivano con comparsa di riassunzione, non

avendo gli appellanti a suo tempo iscritto la causa a ruolo, e

chiedevano la conferma della sentenza pretorile, con l'unica ri

forma del capo relativo alla compensazione delle spese, per cui

spiegavano appello incidentale.

L'adito Tribunale di Ragusa con sentenza 29 dicembre 1978

rigettava l'appello principale dei coniugi Fiorilla e dichiarava

inammissibile l'appello incidentale dei coniugi Colantonio, con

dannando gli appellanti principali alla rifusione di metà delle

spese del grado. A tal sentenza ricorrevano per cassazione i coniugi Fioril

la-Mezzasalma, deducendo un unico mezzo. Non presentavano controricorso i coniugi Colantonio.

Motivi della decisione. — Deducono i ricorrenti violazione

dell'art. 1062 cod. civ. (in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc.

civ.): il tribunale, per rigettare l'appello proposto da essi coniugi

Fiorilla, ha ritenuto che nella specie ricorresse l'ipotesi ex art.

1062 cod. civ. (costituzione della servitù lamentata per destinazio

ne del padre di famiglia) nell'erroneo presupposto che i due

fondi, sui quali insistevano ora le due costruzioni, erano stati

posseduti dagli unici proprietari coniugi Fiorilla-Mezzasalma e che

le opere costruite erano state lasciate nello stato di fatto in cui

risultavano le reciproche servitù all'atto dell'alienazione dello

stacco a favore dei Colantonio; ditalché, considerato che l'atto di

vendita 1° aprile 1970 non conteneva alcuna contraria disposizio ne relativa alle servitù, queste dovevano intendersi stabilite, atti

vamente e passivamente, a favore e sopra ciascuno degli stacchi

separati. La doglianza è infondata. Premesso che la servitù per destina

zione del padre di famiglia s'intende stabilita ope legis per il solo

fatto che al momento della separazione dei fondi o del fraziona

possesso mediato ai fini della costituzione della servitù per destinazio ne.

Per quanto attiene al pati e alla sua qualificazione giuridica, v., in

generale, Patti, Profili della tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978.

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