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sezione lavoro; sentenza 4 aprile 2002, n. 4822; Pres. Dell'Anno, Est. Vigolo, P.M. Napoletano...

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sezione lavoro; sentenza 4 aprile 2002, n. 4822; Pres. Dell'Anno, Est. Vigolo, P.M. Napoletano (concl. conf.); Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo, Bonamico, Borsotti) c. Lampis (Avv. Cuneo). Conferma Trib. Torino 8 marzo 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 12 (DICEMBRE 2002), pp. 3411/3412-3415/3416 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197066 . Accessed: 24/06/2014 22:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.54 on Tue, 24 Jun 2014 22:47:20 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 4 aprile 2002, n. 4822; Pres. Dell'Anno, Est. Vigolo, P.M. Napoletano(concl. conf.); Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo, Bonamico, Borsotti) c. Lampis (Avv. Cuneo).Conferma Trib. Torino 8 marzo 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 12 (DICEMBRE 2002), pp. 3411/3412-3415/3416Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197066 .

Accessed: 24/06/2014 22:47

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PARTE PRIMA

genze siano rimaste ignorate. Nel senso suddetto, del resto, que sta corte si è più volte pronunciata (Cass. 16 maggio 1997, n.

4343, Foro it., Rep. 1997, voce Elezioni, n. 185; 5 agosto 1996, n. 7158, id., Rep. 1996, voce cit., n. 270; 15 maggio 1996, n. 4513, ibid., n. 272; 14 dicembre 1988, n. 6801, id.. Rep. 1988, voce cit., n. 123).

Ne deriva che, essendosi compiuta la decadenza prevista dal

l'art. 82, 5° comma, richiamato per i giudizi di appello dall'art.

82/2, 3° comma, d.p.r. n. 570 del 1960 (e successive modifica

zioni), in quanto la notifica ebbe luogo il 31 marzo 2001 e il de

posito il 17 aprile successivo (quindi ben oltre i dieci giorni sta

biliti), correttamente l'appello è stato dichiarato improcedibile. Con il terzo mezzo di cassazione il ricorrente adduce la man

cata applicazione degli art. 156 e 157 c.p.c. Richiamato l'orientamento di questa corte, il ricorrente af

ferma che non sarebbe stato chiarito lo scopo della legge «nel

fissare un inutile e illogico termine, addirittura poi ritenuto pe rentorio», tanto più nel processo elettorale improntato a sempli cità di forme in relazione al carattere inquisitorio del processo stesso.

Nel caso di specie l'appello sarebbe stato tempestivo, come la

notifica, e il contraddittorio sarebbe stato correttamente instau

rato, onde l'atto avrebbe raggiunto il suo scopo.

Neppure questi argomenti hanno fondamento.

Ferme le considerazioni prima svolte, si deve ribadire che la

previsione normativa trova salda ragion d'essere nelle marcate

esigenze di celerità che caratterizzano il processo elettorale, esi

genze alla cui realizzazione la natura perentoria di tutti i termini

di quel processo è preordinata. E nello stesso quadro si colloca

no gli altri suoi caratteri, compresi i poteri d'impulso attribuiti

all'ufficio e, segnatamente, l'adozione del ricorso come atto in

troduttivo e la fissazione dell'udienza di discussione da effettua

re con decreto presidenziale in via di urgenza. E chiaro perciò che il deposito entro il termine stabilito del ricorso notificato

(con gli atti e documenti del processo), lungi dall'essere «inutile

e illogico», s'iscrive invece a pieno titolo tra gli adempimenti necessari per rispondere alle esigenze suddette.

Quanto, poi, al raggiungimento dello scopo, questo non può dirsi conseguito se non risulta compiuto il menzionato adempi mento, da osservare a pena di decadenza. Con l'effetto che,

quando questa sia avvenuta, non può farsi luogo a sanatoria e la

relativa improcedibilità va dichiarata.

Con il quarto motivo il ricorrente afferma che, qualora non si

condividano gli argomenti precedenti, la norma de qua preste rebbe il fianco a palesi dubbi di legittimità costituzionale in re

lazione all'art. 24 Cost.

Invero, quando la notifica avvenga a mezzo posta (come nella

specie), la prova sarebbe fornita dall'avviso di ricevimento, re

cante la data di consegna del plico. Tale avviso rientrerebbe

nella disponibilità del richiedente la notifica soltanto dopo la re

stituzione effettuata dall'ufficio postale. La restituzione com

porterebbe tempi non previsti né prevedibili, ed a volte potrebbe non avvenire con conseguente necessità di richiedere un dupli cato dell'avviso di ricevimento. In ogni caso il termine previsto in dieci giorni (dall'avvenuta notifica e non, come sarebbe più

giusto, dalla data di restituzione dell'avviso di ricevimento) si

ridurrebbe automaticamente per la scelta del tipo di notificazio

ne, non risultando più congruo il già breve termine contemplato. Nel processo civile, come questa corte avrebbe più volte ri

badito, un termine stabilito a pena di decadenza dovrebbe essere

pienamente utilizzabile. Così non sarebbe in casi come quello di

specie, onde l'art. 24 Cost, resterebbe violato dall'art. 82 citato

d.p.r. nella parte in cui non prevede la possibilità di utilizzazio

ne del termine pieno in caso di notifica a mezzo posta, impo nendo alla parte un onere particolarmente gravoso e tale da pre

giudicare il suo diritto di difesa. In ogni caso, un termine così stretto non garantirebbe piena

mente tale diritto, soprattutto se considerato in relazione agli

scopi (nessuno) perseguiti da quella brevità.

La questione di legittimità costituzionale così prospettata è

per un verso inammissibile, per l'altro manifestamente infon data.

Infatti, quanto alle modalità di notifica a mezzo del servizio

postale, nel caso in esame la notificazione ebbe luogo il 31 mar

zo 2001 e non è neppure allegato che si siano verificati disguidi, ritardi o impedimenti nella restituzione degli avvisi di ricevi

mento, tali da incidere sulla congruità del termine previsto, ren

dendone impossibile o particolarmente gravosa l'osservanza.

Il Foro Italiano — 2002.

Ne deriva che la questione è prospettata in via astratta e si

presenta, quindi, irrilevante per la definizione del giudizio (art.

23, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87).

Quanto, poi, all'affermazione più generale per la quale un

termine così stretto non potrebbe garantire un pieno esercizio

del diritto di difesa, si deve replicare che il termine di dieci

giorni —

giustificato dalle già rimarcate esigenze del processo elettorale —

appare congruo in relazione alla semplicità degli

adempimenti da compiere e non si traduce, dunque, in una me

nomazione del diritto di difesa. Di qui la manifesta infondatezza

della questione. Conclusivamente, il ricorso risulta infondato e perciò deve

essere respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 aprile 2002, n. 4822; Pres. Dell'Anno, Est. Vigolo, P.M. Napole

tano (conci, conf.); Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo,

Bonamico, Borsotti) c. Lampis (Avv. Cuneo). Conferma Trib. Torino 8 marzo 1999.

Lavoro (rapporto di) — Trattamento di tine rapporto —

Pagamento — Termine — Interessi e rivalutazione (Cod.

civ., art. 2120; cod. proc. civ., art. 429).

Atteso che il termine per il pagamento del trattamento di fine

rapporto coincide con il momento della cessazione del rap

porto di lavoro, da tale data maturano interessi legali e ri

valutazione monetaria, ai sensi dell'art. 429, 3° comma,

c.p.c. (1)

Svolgimento del processo. — Con atto depositato il 17 feb

braio 1997, il sig. Ottavio Lampis ricorreva al Pretore di Torino

chiedendo che la Fiat auto s.p.a., la quale gli aveva corrisposto il trattamento di fine rapporto oltre quaranta giorni dopo la ces

sazione del rapporto di lavoro, fosse condannata a pagargli

complessive lire 822.988, a titolo di interessi e rivalutazione, oltre interessi e rivalutazione ulteriori.

Con sentenza in data 3 aprile 1997, il pretore accoglieva solo

in parte la domanda, condannando la società convenuta al pa

gamento di lire 248.810, oltre le spese processuali.

L'appello del lavoratore veniva accolto dal tribunale della

stessa sede che condannava la società a pagare l'intera somma

richiesta da controparte, oltre accessori e spese dei due gradi. Ha ritenuto il giudice d'appello che i meccanismi di calcolo

previsti dall'art. 2120 c.c. novellato erano attuabili da una gran de impresa, dotata di adeguati strumenti informatici, pressoché immediatamente, salva, eventualmente, la necessità di conosce

re la variazione Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di

operai e impiegati per la frazione percentuale dell'ultimo mese;

quanto agli importi retributivi costituenti la base di calcolo, essi

(1) La sentenza conferma l'orientamento nettamente prevalente nella

giurisprudenza di legittimità e di merito: cfr. Cass. 12 marzo 2001, n.

3563, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro e previdenza (controversie), n.

181; 18 agosto 2000, n. 10942, ibid., n. 182; 19 gennaio 2000, n. 600, id., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 2007; Trib. Roma 23 aprile 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1901; Pret. Nola-Pomigliano d'Arco 31 dicembre 1997, ibid., n. 1904; Pret. Reggio Emilia 20 dicembre

1996, ibid., n. 1910; Pret. Firenze 19 novembre 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1890.

In argomento, inoltre, nel senso della nullità, per contrarietà a norma

imperativa, della clausola di accordo aziendale che stabilisce che gli interessi e il danno da svalutazione monetaria ex art. 429, 3° comma, c.p.c. sul trattamento di fine rapporto decorrono da data successiva a

quella di cessazione del rapporto di lavoro, cfr. Cass. 10 marzo 1990, n.

1965, id., 1991,1, 236.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sarebbero stati disponibili già il giorno seguente la risoluzione

del rapporto. D'altra parte, l'art. 26 c.c.n.l. di categoria, inte

grando la disposizione dell'art. 2120 c.c., prevedeva che l'a

zienda corrispondesse il trattamento di fine rapporto all'atto

della risoluzione del rapporto, con evidente riferimento al mo

mento, sicché le stesse parti sociali avevano ritenuto immedia

tamente computabile il trattamento dovuto.

Non era invocabile l'art. 1183 c.c., che, dopo avere fissato

una regola generale, prevedeva una possibile eccezione per il

solo caso in cui il tempo in cui la prestazione deve essere ese

guita non sia determinato; nel caso in esame, il dato cronologico

dell'adempimento era pattiziamente stabilito.

Inoltre, l'art. 13 stesso c.c.n.l. prevedeva la cadenza mensile

della retribuzione periodica, con eventuali acconti allo scadere

della prima quindicina, secondo le consuetudini aziendali e, in

caso di contestazione, imponeva il versamento frazionato, tanto

in pendenza del rapporto di lavoro quanto alla fine di esso, della

parte non contestata; la clausola doveva valere anche per il

trattamento di fine rapporto, sicché il saldo, non immediata

mente determinabile al momento della risoluzione, avrebbe do

vuto essere corrisposto non appena disponibili gli elementi per il calcolo definitivo, senza che il creditore potesse rifiutare

l'adempimento parziale, contravvenendo agli obblighi di buona

fede.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Fiat auto s.p.a. con due complessi motivi illustrati con memoria.

Resiste il Lampis con controricorso, pure seguito da memoria

illustrativa, col quale eccepisce anche l'inammissibilità del ri

corso in quanto attinente a questioni di fatto.

Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso, la so

cietà nega che l'art. 2120, 1° comma, c.c. imponga il pagamento del trattamento di fine rapporto al momento stesso della cessa

zione del rapporto di lavoro, anche perché siffatta immediatezza

non sarebbe conciliabile con la struttura e con i meccanismi di

applicazione dell'istituto i quali impongono un tempo ragione vole per la quantificazione e la liquidazione del dovuto, anche

per il necessario riferimento alle retribuzioni degli ultimi mesi

di servizio. Tale norma, infatti, non prevede alcun termine tas

sativo per il pagamento, in caso di cessazione del rapporto di la

voro. Lo stesso contratto collettivo riconosce alle aziende un

termine di adempimento di quindici giorni per la retribuzione

mensile.

Col secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura la lettura

operata dal giudice di appello dell'art. 26 c.c.n.l., siccome con

traria ai criteri di ermeneutica contrattuale. Sostiene che

l'espressione «l'azienda corrisponderà il trattamento di fine

rapporto all'atto della risoluzione del rapporto» non avrebbe

potuto interpretarsi contro l'effettiva volontà delle parti, nel

senso, cioè, che le stesse avessero inteso concordare l'imme

diata erogazione del trattamento di fine rapporto alla cessazione

del rapporto di lavoro. L'espressione «all'atto» non aveva lo

stesso senso che «immediatamente» trattandosi, quanto alla

prima, di espressione generalmente di contenuto del tutto neu

tro, specie in presenza degli elementi tecnico-strutturali di cal

colo del trattamento di fine rapporto e delle correlate difficoltà

di una immediata liquidazione. Contro l'interpretazione dell'art. 26 c.c.n.l. milita anche la

norma di cui all'accordo 5 giugno 1997 (secondo il quale la di

zione «all'atto della risoluzione del rapporto di lavoro» [...] deve necessariamente essere interpretata tenendo conto dei tem

pi tecnici suddetti), successiva al contratto collettivo, accordo di

cui il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto, ai sensi

dell'art. 1362 c.c., al pari della prassi aziendale di corrispondere il trattamento di fine rapporto nel mese successivo alla cessa

zione del rapporto. L'art. 429 c.p.c. richiede per la sua applicazione il ritardo

nell'adempimento da parte del datore di lavoro, ritardo da va

lutarsi in relazione al momento in cui il credito è divenuto esi

gibile. A tale riguardo, contrariamente al giudizio espresso dal

tribunale, soccorre l'art. 1183 c.c. secondo cui, in deroga al

principio generale dell'immediata esigibilità della prestazione, qualora tuttavia in virtù degli usi o per la natura della prestazio ne [...] sia necessario un termine, questo in mancanza di accor

do tra le parti è stabilito dal giudice. A tale riguardo il giudice di

appello aveva omesso quell'indagine che, invece aveva corret

tamente svolto il pretore. 1 due motivi, che per la connessione delle censure meritano

trattazione congiunta, sono infondati.

Il Foro Italiano — 2002.

Deve, anzitutto, rilevarsi che il credito avente ad oggetto il

trattamento di fine rapporto maturato dal lavoratore e, quindi, il

pagamento di una somma di denaro, non può ritenersi illiquido per la sola circostanza che per la sua esatta determinazione sia

no necessari calcoli, anche non elementari, purché preesistano i

dati necessari per la determinazione del quantum (Cass. 18 ago sto 2000, n. 10942, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro e previ denza (controversie), n. 182; 12 marzo 2001, n. 3563, ibid., n.

181). Peraltro, la condizione di liquidità o illiquidità del credito non

assume rilievo ai fini dell'art. 429, 3° comma, c.p.c. o dell'art.

22, 36° comma, 1. n. 724 del 1994, ai fini della decorrenza della

rivalutazione monetaria e degli interessi, cioè dal momento in

cui risulta perfezionata la fattispecie costitutiva del credito, an

corché avente un oggetto solo determinabile. Sul punto la giu

risprudenza di legittimità è assolutamente consolidata, con la

precisazione ulteriore che la sentenza di condanna non ha, in

ordine agli accessori, effetti costitutivi di liquidazione, ma con

tiene il mero accertamento della natura indicizzato del credito,

senza che sia neppure necessario che il giudice indichi un preci so quantitativo di moneta (Cass. 20 marzo 1987, n. 2803, id.,

Rep. 1987, voce cit., n. 374; 6 novembre 1990, n. 10652, id.,

Rep. 1990, voce cit., n. 241). Credito esigibile, d'altro lato, è quello non soggetto a condi

zione sospensiva o a termine o ad altri ostacoli di natura giuridi ca a che possa essere immediatamente soddisfatto (anche ai fini

della decorrenza della prescrizione). Sotto il profilo dell'art. 429, 3° comma, c.p.c., la maturazione

del diritto, ivi contemplata, coincide con la esigibilità del cre

dito; rivalutazione e interessi hanno la funzione di compensare il creditore del ritardo con cui riceve le somme dovutegli, sicché

non è configurabile ritardo prima che si possa pretendere il pa

gamento (Cass. 29 marzo 1996, n. 2896, id., 1996, I, 3450; 11

aprile 1996, n. 3370, id.. Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n.

816; 27 agosto 1999, n. 9014, id.. Rep. 1999, voce Contratti

agrari, n. 85) e, per converso, la maturazione del diritto segna il

momento di decorrenza di interessi e rivalutazione.

L'assunto della ricorrente, secondo cui l'impossibilità di de

terminare il quantum del trattamento di fine rapporto nello stes

so giorno di cessazione del rapporto di lavoro comporterebbe, ai

sensi dell'art. 1183 c.c., lo spostamento della scadenza dell'ob

bligazione all'esaurimento del periodo necessario per l'acquisi zione di tutti gli elementi del computo, contrasta con la regola

specifica per i crediti di lavoro che, ai sensi del citato art. 429, 3° comma, c.p.c., vengono in essere già come crediti indicizzati

naturaliter.

D'altra parte, la formulazione letterale dell'art. 2120 c.c., se

condo cui in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro su

bordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di

fine rapporto non lascia dubbi sulla circostanza che l'obbliga zione regolata dalla norma trova la sua fonte nella cessazione

del rapporto che ne rappresenta quindi il momento genetico a

partire dal quale deve essere adempiuta, talché l'art. 1183 non

appare invocabile, neppure per quanto esso dispone al 1° com

ma, per i! caso — non ricorrente nella fattispecie legale in esa

me — in cui non sia determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita; tanto meno può sostenersi che la natura

della prestazione (che, come detto, costituisce oggetto di obbli

gazione ab origine indicizzata) o il modo dell'esecuzione (i cal

coli necessari per il computo del trattamento di fine rapporto non riguardano il modo dell'esecuzione, ma la concreta deter

minazione del contenuto della prestazione) comportino la neces

sità di un termine da stabilirsi dal giudice, in mancanza di ac

cordo delle parti, ai sensi della seconda proposizione del 1°

comma dell'art. 1183 c.c. È appena il caso di osservare, perciò, che qualora dovesse ritenersi, in via di mera ipotesi, che l'art.

2120 c.c. non determini il tempo di esecuzione dell'obbligazio

ne, il creditore potrebbe esigerla immediatamente, ai sensi della

prima proposizione del 1° comma dell'art. 1183 cit., sicché sin

dal suo sorgere essa diviene produttiva di interessi ed è rivalu

tabile. Ne consegue, come questa corte ha avuto occasione di affer

mare (Cass. 10942/00 e 3563/01, citate) che la sentenza di con

danna non ha, in ordine agli accessori, effetti costitutivi di li

quidazione, ma contiene il mero accertamento della natura indi

cizzata del credito, senza che sia neppure necessario che il giu dice indichi un preciso ammontare di moneta.

In presenza di una obbligazione ex lege, quale quella del da

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PARTE PRIMA

tore di lavoro al pagamento del trattamento di fine rapporto, non

modificabile dalla contrattazione collettiva, l'ulteriore argo mento tratto dal tribunale della formulazione dell'art. 26 c.c.n.l.

di categoria (secondo il quale l'azienda deve corrispondere il

trattamento di fine rapporto all'atto della risoluzione del rap

porto) ha valore confermativo e rafforzativo delle argomenta zioni che precedono. Deve escludersi, pertanto, la fondatezza

della critica mossa con generico riferimento alle norme di erme

neutica contrattuale all'interpretazione, accolta dal tribunale, di

tale norma collettiva.

Si tratta di interpretazione di contratto collettivo di diritto

comune che, come è costantemente riaffermato da questa corte,

è riservata all'esclusiva competenza del giudice di merito e, in

sede di legittimità è censurabile solo per vizio di motivazione o

per violazione degli art. 1362 ss. c.c., talché le critiche non pos sono consistere nella mera proposizione di una diversa inter

pretazione delle clausole contrattuali rispetto a quella accolta

dal giudice di merito (Cass. 13 agosto 2001, n. 11069, id., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 1138; 14 aprile 2001, n. 5596,

ibid., voce Cassazione civile, n. 117; 11 giugno 1999, n. 5767,

id., Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 1257; 29 aprile 1999,

n. 4310, ibid., voce Agenzia, n. 68). Nel caso in esame, l'inter

pretazione accolta dal tribunale non appare illogica ed è ade

rente al criterio dell'esegesi letterale del testo contrattuale.

L'interpretazione autentica della stessa norma ad opera del

l'accordo collettivo 5 giugno 1997 (posteriore al perfeziona mento della fattispecie in esame), richiamato nel ricorso, non

può incidere sul precetto dell'art. 2120 c.c., concernente una

obbligazione ex lege.

Appaiono, per contro, ultronee e non pertinenti ai fini della

decisione, nondimeno correttamente adottata dal tribunale nella

parte dispositiva della sentenza (quest'ultima va solo corretta

nella motivazione a norma dell'art. 384, 2° comma, c.p.c.), le

considerazioni svolte dal giudice di appello in relazione alla fa

coltà del creditore di rifiutare (ma, per converso, anche di ac

cettare) un pagamento parziale, a norma dell'art. 1181 c.c., e

sull'obbligo del datore di lavoro di provvedere eventualmente

ad un versamento frazionato, per la parte non contestata della

retribuzione (compresa quella dovuta alla fine del rapporto di

lavoro), ai sensi dell'art. 13 c.c.n.l.

Rileva, infatti, la corte che né la norma codicistica né la di

sposizione collettiva, citate da ultime, hanno riguardo al conte

nuto specifico dell'obbligazione retributiva, di talché, anche in

ipotesi di pagamenti parziali, in sede di determinazione com

plessiva e definitiva di quanto spetta al lavoratore per tratta

mento di fine rapporto, debbono comunque computarsi gli inte

ressi e la rivalutazione con decorrenza dal giorno di maturazio

ne del credito (ovviamente tenendosi conto a favore del debito

re, anche ai fini della determinazione degli interessi e del mag

gior danno da svalutazione, dell'incidenza di eventuali paga menti parziali intervenuti).

Del pari ininfluente è il richiamo del tribunale all'art. 13 cit.

c.c.n.l. nella parte in cui prevede, quale giusta causa di recesso

del lavoratore, il pagamento della retribuzione con un ritardo

superiore ai quindici giorni, anche se esatta è l'osservazione del

giudice di merito secondo cui tale disposizione non consente

certo di ritenere legittimo e improduttivo di effetti sul debito per interessi e rivalutazione, un ritardo contenuto entro quel lasso di

tempo. Rileva, infine, la corte che le considerazioni svolte, intorno

alla natura originaria di credito indicizzato derivante dall'obbli

go di corrispondere il trattamento di fine rapporto, inducono a

ritenere irrilevanti quei profili inerenti alla (assenza di) colpa nel ritardo adombrati nel ricorso e nella stessa sentenza del tri

bunale per la mancata disponibilità, al momento della risoluzio

ne del rapporto di lavoro, di taluni dati per il computo, in via de

finitiva, delle spettanze dovute al lavoratore per il titolo consi

derato.

Questa corte, infatti, ha costantemente affermato la non rile

vanza della colpa, ai fini dell'attribuzione di interessi e rivaluta

zione a norma dell'art. 429 c.p.c. (Cass., sez. un., 8 luglio 1993, n. 7478, id., Rep. 1993, voce Impiegato dello Stato, n. 819; 8

agosto 1990, n. 8063, id.. Rep. 1990, voce cit., n. 834; 14 otto

bre 1995, n. 10720, id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n.

948; 14 marzo 1992, n. 3155, id., Rep. 1992, voce Lavoro e

previdenza (controversie), n. 165).

Il Foro Italiano — 2002.

Conclusivamente, assorbito ogni altro profilo di censura, le

argomentazioni svolte inducono, anzitutto, a disattendere l'ec

cezione di inammissibilità del ricorso — il quale non coinvolge

affatto, come si è dedotto dal controricorrente, mere questioni di

fatto, ma essenzialmente attiene alla interpretazione e alla appli cazione di norme di diritto — e a rigettare l'impugnazione.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 27

marzo 2002, n. 4381; Pres. Papa, Est. Falcone, P.M. Cafiero

(conci, diff.); De Falco (Avv. De Falco) c. Min. finanze.

Conferma Comm. trib. reg. Campania 3 novembre 1998.

Registro (imposta di) — Cessione di immobile — Accerta

mento — Valutazione automatica — Condizioni — Inedi

ficabilità dei terreni (D.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, approva zione del t.u. delle disposizioni concernenti l'imposta di regi

stro, art. 52).

La disposizione di cui all'art. 52, 4° comma, d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, che preclude, a determinate condizioni, la retti

fica del valore dei beni immobili, non si applica per i terreni

per i quali la destinazione edificatoria sia prevista da un pia no regolatore generale adottato dal comune, anche se non

approvato dalla regione. (1)

Svolgimento del processo. — De Falco Bernardino e De Fal

co Caterina hanno impugnato l'avviso di accertamento con il

quale l'ufficio del registro ha rideterminato in lire 790.000.000

il valore finale di un terreno venduto e dichiarato per lire

280.000.000. La commissione di primo grado ha ridotto il valore accertato

del venti per cento, mentre la commissione regionale, in acco

glimento parziale dell'appello dei contribuenti, ha determinato

il valore finale in lire 450.000.000, con riferimento al fatto che

si era formato un giudicato in altro processo e su questa somma

nei confronti dell'acquirente in ordine all'imposta di registro.

(1) La Suprema corte si pone in (inconsapevole) contrasto con il con

solidato orientamento che vuole che la disposizione di cui all'art. 52, 4°

comma, d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, secondo la quale il c.d. calcolo automatico del valore dei beni immobili ai fini dell'imposta di registro «non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici preve dono la destinazione edificatoria», va interpretata nel senso che gli strumenti urbanistici, cui essa si riferisce, sono «strumenti urbanistici

perfetti», che cioè devono aver completato il loro procedimento di for

mazione, sicché è insufficiente l'adozione del piano regolatore generale da parte di un comune non seguita dall'approvazione da parte della re

gione (così, Cass. 27 dicembre 2001, n. 16202, Foro it., Rep. 2001, vo ce Registro (imposta), n. 77; 12 novembre 2001, n. 13969, ibid., n. 78; 3 dicembre 1994, n. 10406, id., 1995, I, 124, e Rass. trib., 1996, 178, con nota di Basilavecchia, La nozione di terreno edificatile nelle im

poste sui trasferimenti, e Riv. not., 1995, II, 279, con nota di Puri, I ter reni a destinazione edificatoria nell'interpretazione della Cassazione).

Nella giurisprudenza tributaria, v., nel senso ora ripudiato dalla Su

prema corte. Comm. trib. prov. Treviso 20 gennaio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 139, e Riv. giur. trib., 1997, 975, con nota di Da

monte; Comm. trib. prov. Foggia 9 dicembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 140. Contra, min., fin. ris. 27 maggio 1998, n. 47/E, Fisco, 1998,7702.

Più di recente, v. Cass. 22 marzo 2002, n. 4120, Foro it., Mass., 305, che, al pari della sentenza in epigrafe, ha affermato che l'inserimento di un terreno in uno strumento urbanistico con destinazione edificatoria, ancorché detto strumento, adottato dal comune, non sia stato ancora

perfezionato con l'approvazione da parte della regione, imprime al be ne una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qual cosa di già esistente e di difficile reversibilità e, quindi, fa venir meno, ai fini della determinazione del valore finale di un immobile assogget tato ad Invim, la natura agricola del terreno medesimo.

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