sezione lavoro; sentenza 4 aprile 2002, n. 4822; Pres. Dell'Anno, Est. Vigolo, P.M. Napoletano(concl. conf.); Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo, Bonamico, Borsotti) c. Lampis (Avv. Cuneo).Conferma Trib. Torino 8 marzo 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 12 (DICEMBRE 2002), pp. 3411/3412-3415/3416Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197066 .
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PARTE PRIMA
genze siano rimaste ignorate. Nel senso suddetto, del resto, que sta corte si è più volte pronunciata (Cass. 16 maggio 1997, n.
4343, Foro it., Rep. 1997, voce Elezioni, n. 185; 5 agosto 1996, n. 7158, id., Rep. 1996, voce cit., n. 270; 15 maggio 1996, n. 4513, ibid., n. 272; 14 dicembre 1988, n. 6801, id.. Rep. 1988, voce cit., n. 123).
Ne deriva che, essendosi compiuta la decadenza prevista dal
l'art. 82, 5° comma, richiamato per i giudizi di appello dall'art.
82/2, 3° comma, d.p.r. n. 570 del 1960 (e successive modifica
zioni), in quanto la notifica ebbe luogo il 31 marzo 2001 e il de
posito il 17 aprile successivo (quindi ben oltre i dieci giorni sta
biliti), correttamente l'appello è stato dichiarato improcedibile. Con il terzo mezzo di cassazione il ricorrente adduce la man
cata applicazione degli art. 156 e 157 c.p.c. Richiamato l'orientamento di questa corte, il ricorrente af
ferma che non sarebbe stato chiarito lo scopo della legge «nel
fissare un inutile e illogico termine, addirittura poi ritenuto pe rentorio», tanto più nel processo elettorale improntato a sempli cità di forme in relazione al carattere inquisitorio del processo stesso.
Nel caso di specie l'appello sarebbe stato tempestivo, come la
notifica, e il contraddittorio sarebbe stato correttamente instau
rato, onde l'atto avrebbe raggiunto il suo scopo.
Neppure questi argomenti hanno fondamento.
Ferme le considerazioni prima svolte, si deve ribadire che la
previsione normativa trova salda ragion d'essere nelle marcate
esigenze di celerità che caratterizzano il processo elettorale, esi
genze alla cui realizzazione la natura perentoria di tutti i termini
di quel processo è preordinata. E nello stesso quadro si colloca
no gli altri suoi caratteri, compresi i poteri d'impulso attribuiti
all'ufficio e, segnatamente, l'adozione del ricorso come atto in
troduttivo e la fissazione dell'udienza di discussione da effettua
re con decreto presidenziale in via di urgenza. E chiaro perciò che il deposito entro il termine stabilito del ricorso notificato
(con gli atti e documenti del processo), lungi dall'essere «inutile
e illogico», s'iscrive invece a pieno titolo tra gli adempimenti necessari per rispondere alle esigenze suddette.
Quanto, poi, al raggiungimento dello scopo, questo non può dirsi conseguito se non risulta compiuto il menzionato adempi mento, da osservare a pena di decadenza. Con l'effetto che,
quando questa sia avvenuta, non può farsi luogo a sanatoria e la
relativa improcedibilità va dichiarata.
Con il quarto motivo il ricorrente afferma che, qualora non si
condividano gli argomenti precedenti, la norma de qua preste rebbe il fianco a palesi dubbi di legittimità costituzionale in re
lazione all'art. 24 Cost.
Invero, quando la notifica avvenga a mezzo posta (come nella
specie), la prova sarebbe fornita dall'avviso di ricevimento, re
cante la data di consegna del plico. Tale avviso rientrerebbe
nella disponibilità del richiedente la notifica soltanto dopo la re
stituzione effettuata dall'ufficio postale. La restituzione com
porterebbe tempi non previsti né prevedibili, ed a volte potrebbe non avvenire con conseguente necessità di richiedere un dupli cato dell'avviso di ricevimento. In ogni caso il termine previsto in dieci giorni (dall'avvenuta notifica e non, come sarebbe più
giusto, dalla data di restituzione dell'avviso di ricevimento) si
ridurrebbe automaticamente per la scelta del tipo di notificazio
ne, non risultando più congruo il già breve termine contemplato. Nel processo civile, come questa corte avrebbe più volte ri
badito, un termine stabilito a pena di decadenza dovrebbe essere
pienamente utilizzabile. Così non sarebbe in casi come quello di
specie, onde l'art. 24 Cost, resterebbe violato dall'art. 82 citato
d.p.r. nella parte in cui non prevede la possibilità di utilizzazio
ne del termine pieno in caso di notifica a mezzo posta, impo nendo alla parte un onere particolarmente gravoso e tale da pre
giudicare il suo diritto di difesa. In ogni caso, un termine così stretto non garantirebbe piena
mente tale diritto, soprattutto se considerato in relazione agli
scopi (nessuno) perseguiti da quella brevità.
La questione di legittimità costituzionale così prospettata è
per un verso inammissibile, per l'altro manifestamente infon data.
Infatti, quanto alle modalità di notifica a mezzo del servizio
postale, nel caso in esame la notificazione ebbe luogo il 31 mar
zo 2001 e non è neppure allegato che si siano verificati disguidi, ritardi o impedimenti nella restituzione degli avvisi di ricevi
mento, tali da incidere sulla congruità del termine previsto, ren
dendone impossibile o particolarmente gravosa l'osservanza.
Il Foro Italiano — 2002.
Ne deriva che la questione è prospettata in via astratta e si
presenta, quindi, irrilevante per la definizione del giudizio (art.
23, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87).
Quanto, poi, all'affermazione più generale per la quale un
termine così stretto non potrebbe garantire un pieno esercizio
del diritto di difesa, si deve replicare che il termine di dieci
giorni —
giustificato dalle già rimarcate esigenze del processo elettorale —
appare congruo in relazione alla semplicità degli
adempimenti da compiere e non si traduce, dunque, in una me
nomazione del diritto di difesa. Di qui la manifesta infondatezza
della questione. Conclusivamente, il ricorso risulta infondato e perciò deve
essere respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 aprile 2002, n. 4822; Pres. Dell'Anno, Est. Vigolo, P.M. Napole
tano (conci, conf.); Soc. Fiat auto (Avv. De Luca Tamajo,
Bonamico, Borsotti) c. Lampis (Avv. Cuneo). Conferma Trib. Torino 8 marzo 1999.
Lavoro (rapporto di) — Trattamento di tine rapporto —
Pagamento — Termine — Interessi e rivalutazione (Cod.
civ., art. 2120; cod. proc. civ., art. 429).
Atteso che il termine per il pagamento del trattamento di fine
rapporto coincide con il momento della cessazione del rap
porto di lavoro, da tale data maturano interessi legali e ri
valutazione monetaria, ai sensi dell'art. 429, 3° comma,
c.p.c. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto depositato il 17 feb
braio 1997, il sig. Ottavio Lampis ricorreva al Pretore di Torino
chiedendo che la Fiat auto s.p.a., la quale gli aveva corrisposto il trattamento di fine rapporto oltre quaranta giorni dopo la ces
sazione del rapporto di lavoro, fosse condannata a pagargli
complessive lire 822.988, a titolo di interessi e rivalutazione, oltre interessi e rivalutazione ulteriori.
Con sentenza in data 3 aprile 1997, il pretore accoglieva solo
in parte la domanda, condannando la società convenuta al pa
gamento di lire 248.810, oltre le spese processuali.
L'appello del lavoratore veniva accolto dal tribunale della
stessa sede che condannava la società a pagare l'intera somma
richiesta da controparte, oltre accessori e spese dei due gradi. Ha ritenuto il giudice d'appello che i meccanismi di calcolo
previsti dall'art. 2120 c.c. novellato erano attuabili da una gran de impresa, dotata di adeguati strumenti informatici, pressoché immediatamente, salva, eventualmente, la necessità di conosce
re la variazione Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai e impiegati per la frazione percentuale dell'ultimo mese;
quanto agli importi retributivi costituenti la base di calcolo, essi
(1) La sentenza conferma l'orientamento nettamente prevalente nella
giurisprudenza di legittimità e di merito: cfr. Cass. 12 marzo 2001, n.
3563, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro e previdenza (controversie), n.
181; 18 agosto 2000, n. 10942, ibid., n. 182; 19 gennaio 2000, n. 600, id., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 2007; Trib. Roma 23 aprile 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1901; Pret. Nola-Pomigliano d'Arco 31 dicembre 1997, ibid., n. 1904; Pret. Reggio Emilia 20 dicembre
1996, ibid., n. 1910; Pret. Firenze 19 novembre 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1890.
In argomento, inoltre, nel senso della nullità, per contrarietà a norma
imperativa, della clausola di accordo aziendale che stabilisce che gli interessi e il danno da svalutazione monetaria ex art. 429, 3° comma, c.p.c. sul trattamento di fine rapporto decorrono da data successiva a
quella di cessazione del rapporto di lavoro, cfr. Cass. 10 marzo 1990, n.
1965, id., 1991,1, 236.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sarebbero stati disponibili già il giorno seguente la risoluzione
del rapporto. D'altra parte, l'art. 26 c.c.n.l. di categoria, inte
grando la disposizione dell'art. 2120 c.c., prevedeva che l'a
zienda corrispondesse il trattamento di fine rapporto all'atto
della risoluzione del rapporto, con evidente riferimento al mo
mento, sicché le stesse parti sociali avevano ritenuto immedia
tamente computabile il trattamento dovuto.
Non era invocabile l'art. 1183 c.c., che, dopo avere fissato
una regola generale, prevedeva una possibile eccezione per il
solo caso in cui il tempo in cui la prestazione deve essere ese
guita non sia determinato; nel caso in esame, il dato cronologico
dell'adempimento era pattiziamente stabilito.
Inoltre, l'art. 13 stesso c.c.n.l. prevedeva la cadenza mensile
della retribuzione periodica, con eventuali acconti allo scadere
della prima quindicina, secondo le consuetudini aziendali e, in
caso di contestazione, imponeva il versamento frazionato, tanto
in pendenza del rapporto di lavoro quanto alla fine di esso, della
parte non contestata; la clausola doveva valere anche per il
trattamento di fine rapporto, sicché il saldo, non immediata
mente determinabile al momento della risoluzione, avrebbe do
vuto essere corrisposto non appena disponibili gli elementi per il calcolo definitivo, senza che il creditore potesse rifiutare
l'adempimento parziale, contravvenendo agli obblighi di buona
fede.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Fiat auto s.p.a. con due complessi motivi illustrati con memoria.
Resiste il Lampis con controricorso, pure seguito da memoria
illustrativa, col quale eccepisce anche l'inammissibilità del ri
corso in quanto attinente a questioni di fatto.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso, la so
cietà nega che l'art. 2120, 1° comma, c.c. imponga il pagamento del trattamento di fine rapporto al momento stesso della cessa
zione del rapporto di lavoro, anche perché siffatta immediatezza
non sarebbe conciliabile con la struttura e con i meccanismi di
applicazione dell'istituto i quali impongono un tempo ragione vole per la quantificazione e la liquidazione del dovuto, anche
per il necessario riferimento alle retribuzioni degli ultimi mesi
di servizio. Tale norma, infatti, non prevede alcun termine tas
sativo per il pagamento, in caso di cessazione del rapporto di la
voro. Lo stesso contratto collettivo riconosce alle aziende un
termine di adempimento di quindici giorni per la retribuzione
mensile.
Col secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura la lettura
operata dal giudice di appello dell'art. 26 c.c.n.l., siccome con
traria ai criteri di ermeneutica contrattuale. Sostiene che
l'espressione «l'azienda corrisponderà il trattamento di fine
rapporto all'atto della risoluzione del rapporto» non avrebbe
potuto interpretarsi contro l'effettiva volontà delle parti, nel
senso, cioè, che le stesse avessero inteso concordare l'imme
diata erogazione del trattamento di fine rapporto alla cessazione
del rapporto di lavoro. L'espressione «all'atto» non aveva lo
stesso senso che «immediatamente» trattandosi, quanto alla
prima, di espressione generalmente di contenuto del tutto neu
tro, specie in presenza degli elementi tecnico-strutturali di cal
colo del trattamento di fine rapporto e delle correlate difficoltà
di una immediata liquidazione. Contro l'interpretazione dell'art. 26 c.c.n.l. milita anche la
norma di cui all'accordo 5 giugno 1997 (secondo il quale la di
zione «all'atto della risoluzione del rapporto di lavoro» [...] deve necessariamente essere interpretata tenendo conto dei tem
pi tecnici suddetti), successiva al contratto collettivo, accordo di
cui il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto, ai sensi
dell'art. 1362 c.c., al pari della prassi aziendale di corrispondere il trattamento di fine rapporto nel mese successivo alla cessa
zione del rapporto. L'art. 429 c.p.c. richiede per la sua applicazione il ritardo
nell'adempimento da parte del datore di lavoro, ritardo da va
lutarsi in relazione al momento in cui il credito è divenuto esi
gibile. A tale riguardo, contrariamente al giudizio espresso dal
tribunale, soccorre l'art. 1183 c.c. secondo cui, in deroga al
principio generale dell'immediata esigibilità della prestazione, qualora tuttavia in virtù degli usi o per la natura della prestazio ne [...] sia necessario un termine, questo in mancanza di accor
do tra le parti è stabilito dal giudice. A tale riguardo il giudice di
appello aveva omesso quell'indagine che, invece aveva corret
tamente svolto il pretore. 1 due motivi, che per la connessione delle censure meritano
trattazione congiunta, sono infondati.
Il Foro Italiano — 2002.
Deve, anzitutto, rilevarsi che il credito avente ad oggetto il
trattamento di fine rapporto maturato dal lavoratore e, quindi, il
pagamento di una somma di denaro, non può ritenersi illiquido per la sola circostanza che per la sua esatta determinazione sia
no necessari calcoli, anche non elementari, purché preesistano i
dati necessari per la determinazione del quantum (Cass. 18 ago sto 2000, n. 10942, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro e previ denza (controversie), n. 182; 12 marzo 2001, n. 3563, ibid., n.
181). Peraltro, la condizione di liquidità o illiquidità del credito non
assume rilievo ai fini dell'art. 429, 3° comma, c.p.c. o dell'art.
22, 36° comma, 1. n. 724 del 1994, ai fini della decorrenza della
rivalutazione monetaria e degli interessi, cioè dal momento in
cui risulta perfezionata la fattispecie costitutiva del credito, an
corché avente un oggetto solo determinabile. Sul punto la giu
risprudenza di legittimità è assolutamente consolidata, con la
precisazione ulteriore che la sentenza di condanna non ha, in
ordine agli accessori, effetti costitutivi di liquidazione, ma con
tiene il mero accertamento della natura indicizzato del credito,
senza che sia neppure necessario che il giudice indichi un preci so quantitativo di moneta (Cass. 20 marzo 1987, n. 2803, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 374; 6 novembre 1990, n. 10652, id.,
Rep. 1990, voce cit., n. 241). Credito esigibile, d'altro lato, è quello non soggetto a condi
zione sospensiva o a termine o ad altri ostacoli di natura giuridi ca a che possa essere immediatamente soddisfatto (anche ai fini
della decorrenza della prescrizione). Sotto il profilo dell'art. 429, 3° comma, c.p.c., la maturazione
del diritto, ivi contemplata, coincide con la esigibilità del cre
dito; rivalutazione e interessi hanno la funzione di compensare il creditore del ritardo con cui riceve le somme dovutegli, sicché
non è configurabile ritardo prima che si possa pretendere il pa
gamento (Cass. 29 marzo 1996, n. 2896, id., 1996, I, 3450; 11
aprile 1996, n. 3370, id.. Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n.
816; 27 agosto 1999, n. 9014, id.. Rep. 1999, voce Contratti
agrari, n. 85) e, per converso, la maturazione del diritto segna il
momento di decorrenza di interessi e rivalutazione.
L'assunto della ricorrente, secondo cui l'impossibilità di de
terminare il quantum del trattamento di fine rapporto nello stes
so giorno di cessazione del rapporto di lavoro comporterebbe, ai
sensi dell'art. 1183 c.c., lo spostamento della scadenza dell'ob
bligazione all'esaurimento del periodo necessario per l'acquisi zione di tutti gli elementi del computo, contrasta con la regola
specifica per i crediti di lavoro che, ai sensi del citato art. 429, 3° comma, c.p.c., vengono in essere già come crediti indicizzati
naturaliter.
D'altra parte, la formulazione letterale dell'art. 2120 c.c., se
condo cui in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro su
bordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di
fine rapporto non lascia dubbi sulla circostanza che l'obbliga zione regolata dalla norma trova la sua fonte nella cessazione
del rapporto che ne rappresenta quindi il momento genetico a
partire dal quale deve essere adempiuta, talché l'art. 1183 non
appare invocabile, neppure per quanto esso dispone al 1° com
ma, per i! caso — non ricorrente nella fattispecie legale in esa
me — in cui non sia determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita; tanto meno può sostenersi che la natura
della prestazione (che, come detto, costituisce oggetto di obbli
gazione ab origine indicizzata) o il modo dell'esecuzione (i cal
coli necessari per il computo del trattamento di fine rapporto non riguardano il modo dell'esecuzione, ma la concreta deter
minazione del contenuto della prestazione) comportino la neces
sità di un termine da stabilirsi dal giudice, in mancanza di ac
cordo delle parti, ai sensi della seconda proposizione del 1°
comma dell'art. 1183 c.c. È appena il caso di osservare, perciò, che qualora dovesse ritenersi, in via di mera ipotesi, che l'art.
2120 c.c. non determini il tempo di esecuzione dell'obbligazio
ne, il creditore potrebbe esigerla immediatamente, ai sensi della
prima proposizione del 1° comma dell'art. 1183 cit., sicché sin
dal suo sorgere essa diviene produttiva di interessi ed è rivalu
tabile. Ne consegue, come questa corte ha avuto occasione di affer
mare (Cass. 10942/00 e 3563/01, citate) che la sentenza di con
danna non ha, in ordine agli accessori, effetti costitutivi di li
quidazione, ma contiene il mero accertamento della natura indi
cizzata del credito, senza che sia neppure necessario che il giu dice indichi un preciso ammontare di moneta.
In presenza di una obbligazione ex lege, quale quella del da
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PARTE PRIMA
tore di lavoro al pagamento del trattamento di fine rapporto, non
modificabile dalla contrattazione collettiva, l'ulteriore argo mento tratto dal tribunale della formulazione dell'art. 26 c.c.n.l.
di categoria (secondo il quale l'azienda deve corrispondere il
trattamento di fine rapporto all'atto della risoluzione del rap
porto) ha valore confermativo e rafforzativo delle argomenta zioni che precedono. Deve escludersi, pertanto, la fondatezza
della critica mossa con generico riferimento alle norme di erme
neutica contrattuale all'interpretazione, accolta dal tribunale, di
tale norma collettiva.
Si tratta di interpretazione di contratto collettivo di diritto
comune che, come è costantemente riaffermato da questa corte,
è riservata all'esclusiva competenza del giudice di merito e, in
sede di legittimità è censurabile solo per vizio di motivazione o
per violazione degli art. 1362 ss. c.c., talché le critiche non pos sono consistere nella mera proposizione di una diversa inter
pretazione delle clausole contrattuali rispetto a quella accolta
dal giudice di merito (Cass. 13 agosto 2001, n. 11069, id., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 1138; 14 aprile 2001, n. 5596,
ibid., voce Cassazione civile, n. 117; 11 giugno 1999, n. 5767,
id., Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 1257; 29 aprile 1999,
n. 4310, ibid., voce Agenzia, n. 68). Nel caso in esame, l'inter
pretazione accolta dal tribunale non appare illogica ed è ade
rente al criterio dell'esegesi letterale del testo contrattuale.
L'interpretazione autentica della stessa norma ad opera del
l'accordo collettivo 5 giugno 1997 (posteriore al perfeziona mento della fattispecie in esame), richiamato nel ricorso, non
può incidere sul precetto dell'art. 2120 c.c., concernente una
obbligazione ex lege.
Appaiono, per contro, ultronee e non pertinenti ai fini della
decisione, nondimeno correttamente adottata dal tribunale nella
parte dispositiva della sentenza (quest'ultima va solo corretta
nella motivazione a norma dell'art. 384, 2° comma, c.p.c.), le
considerazioni svolte dal giudice di appello in relazione alla fa
coltà del creditore di rifiutare (ma, per converso, anche di ac
cettare) un pagamento parziale, a norma dell'art. 1181 c.c., e
sull'obbligo del datore di lavoro di provvedere eventualmente
ad un versamento frazionato, per la parte non contestata della
retribuzione (compresa quella dovuta alla fine del rapporto di
lavoro), ai sensi dell'art. 13 c.c.n.l.
Rileva, infatti, la corte che né la norma codicistica né la di
sposizione collettiva, citate da ultime, hanno riguardo al conte
nuto specifico dell'obbligazione retributiva, di talché, anche in
ipotesi di pagamenti parziali, in sede di determinazione com
plessiva e definitiva di quanto spetta al lavoratore per tratta
mento di fine rapporto, debbono comunque computarsi gli inte
ressi e la rivalutazione con decorrenza dal giorno di maturazio
ne del credito (ovviamente tenendosi conto a favore del debito
re, anche ai fini della determinazione degli interessi e del mag
gior danno da svalutazione, dell'incidenza di eventuali paga menti parziali intervenuti).
Del pari ininfluente è il richiamo del tribunale all'art. 13 cit.
c.c.n.l. nella parte in cui prevede, quale giusta causa di recesso
del lavoratore, il pagamento della retribuzione con un ritardo
superiore ai quindici giorni, anche se esatta è l'osservazione del
giudice di merito secondo cui tale disposizione non consente
certo di ritenere legittimo e improduttivo di effetti sul debito per interessi e rivalutazione, un ritardo contenuto entro quel lasso di
tempo. Rileva, infine, la corte che le considerazioni svolte, intorno
alla natura originaria di credito indicizzato derivante dall'obbli
go di corrispondere il trattamento di fine rapporto, inducono a
ritenere irrilevanti quei profili inerenti alla (assenza di) colpa nel ritardo adombrati nel ricorso e nella stessa sentenza del tri
bunale per la mancata disponibilità, al momento della risoluzio
ne del rapporto di lavoro, di taluni dati per il computo, in via de
finitiva, delle spettanze dovute al lavoratore per il titolo consi
derato.
Questa corte, infatti, ha costantemente affermato la non rile
vanza della colpa, ai fini dell'attribuzione di interessi e rivaluta
zione a norma dell'art. 429 c.p.c. (Cass., sez. un., 8 luglio 1993, n. 7478, id., Rep. 1993, voce Impiegato dello Stato, n. 819; 8
agosto 1990, n. 8063, id.. Rep. 1990, voce cit., n. 834; 14 otto
bre 1995, n. 10720, id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n.
948; 14 marzo 1992, n. 3155, id., Rep. 1992, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 165).
Il Foro Italiano — 2002.
Conclusivamente, assorbito ogni altro profilo di censura, le
argomentazioni svolte inducono, anzitutto, a disattendere l'ec
cezione di inammissibilità del ricorso — il quale non coinvolge
affatto, come si è dedotto dal controricorrente, mere questioni di
fatto, ma essenzialmente attiene alla interpretazione e alla appli cazione di norme di diritto — e a rigettare l'impugnazione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 27
marzo 2002, n. 4381; Pres. Papa, Est. Falcone, P.M. Cafiero
(conci, diff.); De Falco (Avv. De Falco) c. Min. finanze.
Conferma Comm. trib. reg. Campania 3 novembre 1998.
Registro (imposta di) — Cessione di immobile — Accerta
mento — Valutazione automatica — Condizioni — Inedi
ficabilità dei terreni (D.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, approva zione del t.u. delle disposizioni concernenti l'imposta di regi
stro, art. 52).
La disposizione di cui all'art. 52, 4° comma, d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, che preclude, a determinate condizioni, la retti
fica del valore dei beni immobili, non si applica per i terreni
per i quali la destinazione edificatoria sia prevista da un pia no regolatore generale adottato dal comune, anche se non
approvato dalla regione. (1)
Svolgimento del processo. — De Falco Bernardino e De Fal
co Caterina hanno impugnato l'avviso di accertamento con il
quale l'ufficio del registro ha rideterminato in lire 790.000.000
il valore finale di un terreno venduto e dichiarato per lire
280.000.000. La commissione di primo grado ha ridotto il valore accertato
del venti per cento, mentre la commissione regionale, in acco
glimento parziale dell'appello dei contribuenti, ha determinato
il valore finale in lire 450.000.000, con riferimento al fatto che
si era formato un giudicato in altro processo e su questa somma
nei confronti dell'acquirente in ordine all'imposta di registro.
(1) La Suprema corte si pone in (inconsapevole) contrasto con il con
solidato orientamento che vuole che la disposizione di cui all'art. 52, 4°
comma, d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, secondo la quale il c.d. calcolo automatico del valore dei beni immobili ai fini dell'imposta di registro «non si applica per i terreni per i quali gli strumenti urbanistici preve dono la destinazione edificatoria», va interpretata nel senso che gli strumenti urbanistici, cui essa si riferisce, sono «strumenti urbanistici
perfetti», che cioè devono aver completato il loro procedimento di for
mazione, sicché è insufficiente l'adozione del piano regolatore generale da parte di un comune non seguita dall'approvazione da parte della re
gione (così, Cass. 27 dicembre 2001, n. 16202, Foro it., Rep. 2001, vo ce Registro (imposta), n. 77; 12 novembre 2001, n. 13969, ibid., n. 78; 3 dicembre 1994, n. 10406, id., 1995, I, 124, e Rass. trib., 1996, 178, con nota di Basilavecchia, La nozione di terreno edificatile nelle im
poste sui trasferimenti, e Riv. not., 1995, II, 279, con nota di Puri, I ter reni a destinazione edificatoria nell'interpretazione della Cassazione).
Nella giurisprudenza tributaria, v., nel senso ora ripudiato dalla Su
prema corte. Comm. trib. prov. Treviso 20 gennaio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 139, e Riv. giur. trib., 1997, 975, con nota di Da
monte; Comm. trib. prov. Foggia 9 dicembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 140. Contra, min., fin. ris. 27 maggio 1998, n. 47/E, Fisco, 1998,7702.
Più di recente, v. Cass. 22 marzo 2002, n. 4120, Foro it., Mass., 305, che, al pari della sentenza in epigrafe, ha affermato che l'inserimento di un terreno in uno strumento urbanistico con destinazione edificatoria, ancorché detto strumento, adottato dal comune, non sia stato ancora
perfezionato con l'approvazione da parte della regione, imprime al be ne una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qual cosa di già esistente e di difficile reversibilità e, quindi, fa venir meno, ai fini della determinazione del valore finale di un immobile assogget tato ad Invim, la natura agricola del terreno medesimo.
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