sezione lavoro; sentenza 4 gennaio 2001, n. 66; Pres. De Musis, Est. Mercurio, P.M. Nardi (concl.conf.); Foscari (Avv. Audisio, Cavasola) c. Esem Ente scuola edile milanese (Avv. Catalano). CassaTrib. Milano 10 ottobre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 1 (GENNAIO 2002), pp. 223/224-227/228Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197733 .
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223 PARTE PRIMA 224
del pur ampio lasso di tempo concessole (nella specie, avendo
disponibile il periodo dal 22 febbraio al 21 maggio, il ricorrente
si è attivato per la prima notifica solo il 10 maggio e la seconda
è stata passata il 26 maggio a termine ormai scaduto).
Inoltre, persino laddove trattisi di termine non perentorio ma
ordinatorio la proroga può essere concessa solo ove la relativa
istanza venga proposta prima che il termine sia venuto a sca
denza.
E, infatti, principio da considerare di carattere generale nel
l'ordinamento che il termine fissato dall'autorità competente a
disporlo possa essere prorogato dalla stessa autorità, e sempre con adeguata motivazione, solo ove esso non sia ancora scaduto, diversamente difettando il presupposto stesso per il prolunga mento del periodo nel quale dev'essere svolta l'attività consen
tita od ordinata, non potendo essere protratto ciò che è già esau
rito e necessitando, se mai, un nuovo provvedimento, ma inteso
e limitato a regolare ex nunc e per il futuro la medesima situa
zione, ove ciò possa ancora essere fatto e salvi, comunque, gli effetti dell'intervenuto inutile decorso del primo termine.
Ora, nella specifica fattispecie regolata dall'art. 154 c.p.c., esaminandosi la prima delle condizioni poste dalla norma e con
siderata la predeterminazione da parte del legislatore d'un arco
temporale definito entro il quale può aver luogo legittimamente l'esercizio del potere di proroga da parte del giudice, sembra
consequenziale ritenere che la natura pur solo ordinatoria del
termine da questi assegnato non possa che comportare —
per tale connessione con un limite posto dalla legge stessa allo spa zio di tempo entro il quale legittimamente possa chiedersi e
concedersi la sua eventuale proroga —
l'improduttività d'effetti
del provvedimento emanato in violazione della regola posta dal
legislatore; il rimedio per ovviare alla scadenza del termine or
dinatorio, infatti, è stato previsto, ma anche disciplinato, dal le
gislatore, ed è quello della concessione della proroga prima della sua scadenza, onde il decorso del detto termine — senza
almeno la presentazione di un'istanza intesa ad ottenere il prov vedimento de quo — non può non avere gli stessi effetti preclu sivi della scadenza d'un termine perentorio e non impedire la
concessione d'un nuovo termine per il compimento della mede
sima attività.
Nell'indicato senso dell'impedimento frapposto alla conces
sione di nuovo termine successivamente allo spirare del primo — sia per l'effetto preclusivo da tal evento determinato, sia per il contemporaneo verificarsi della decadenza dal diritto di com
piere l'attività — si è ripetutamente e continuativamente mani
festato l'insegnamento di questa Suprema corte (Cass. 29 gen naio 1999, n. 808, id., Rep. 1999, voce Termini processuali ci
vili, n. 3; 14 ottobre 1998, n. 10174, id., Rep. 2000, voce cit., n.
7; 18 aprile 1997, n. 3340, id.. Rep. 1997. voce Prova civile in
genere, n. 10; 25 settembre 1996, n. 8453, id.. Rep. 1996, voce
cit., n. 15; 29 novembre 1995, n. 12400, id.. Rep. 1995, voce
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 66; 26 no
vembre 1992, n. 12640, id.. Rep. 1992, voce Procedimento ci
vile, n. 155; 25 luglio 1992, n. 8976, id., 1993, I, 1176; 23 gen naio 1991, n. 651, id., Rep. 1991, voce Prova civile in genere, n. 10; 23 febbraio 1985, n. 1633, id., 1986, I, 764; 23 giugno 1980, n. 3933, id.. Rep. 1980, voce Procedimento civile, n. 213; 22 luglio 1976, n. 2914, id., Rep. 1976, voce cit., n. 216; 7 gen naio 1975, n. 23, id., Rep. 1975. voce Sentenza civile, n. 12; 22
aprile 1974, n. 1119, id., Rep. 1974, voce Termini processuali civili, n. 2).
Non s'ignora che con altro indirizzo, se pur meno frequente mente seguito, si è ritenuto essere consentita la proroga del ter
mine anche dopo la sua scadenza e quindi la fissazione d'un
nuovo termine (Cass. 16 agosto 1993, n. 8711, id., Rep. 1993, voce cit., n. 16; 11 gennaio 1992, n. 248, id.. Rep. 1992, voce
Nuova opera, n. 15; 5 marzo 1987, n. 2322, id.. Rep. 1987, voce
Procedimento civile, n. 221; 13 febbraio 1987, n. 1582, ibid., voce Nuova opera, n. 7; 17 febbraio 1979, n. 1046, id., 1980, I,
410), tuttavia, dei due difformi indirizzi, il primo, che risulta d'altronde quello prevalentemente seguito, appare il più ade
rente tanto al principio generale cui si è fatto in precedenza rife
rimento, quanto allo stesso principio ermeneutico basilare posto dall'art. 12, 1° comma, disp. prel. c.c. applicato al disposto del
l'art. 154 c.p.c. Diversamente argomentando, non solo si violerebbero i ri
chiamati principi, ma si lascerebbe la parte interessata arbitra di
decidere del corso temporale del procedimento in genere, ciò
Il Foro Italiano — 2002.
che evidentemente il legislatore non ha inteso potesse aver luo
go — com'è dimostrato dalla soggezione della possibilità d'ot
tenere un'ulteriore proroga alla concorrenza di motivi partico larmente gravi e ad un'adeguata motivazione da parte del giudi ce che la conceda — e, soprattutto, le si consentirebbe di pro crastinare a proprio libito, una volta posto in essere l'atto richie
sto per l'impedimento d'una decadenza, il tempo dallo stesso
legislatore improrogabilmente stabilito perché abbia a verificar
si l'effetto d'immutabilità della situazione regolata (cfr. Cass.
14 ottobre 1998, n. 10174, cit.). Ciò stante, pur ammesso ma non concesso che il termine de
quo fosse stato prorogabile, l'istanza non avrebbe, comunque, meritato accoglimento per essere stata depositata addì 11 agosto 2000, ben oltre, dunque, la scadenza del termine stesso, verifi
catasi il 21 maggio 2000. Non essendosi, pertanto, provveduto alla disposta integrazio
ne del contraddittorio nel termine all'uopo stabilito, il ricorso, ex art. 331, 2° comma, c.p.c., va dichiarato inammissibile.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 4 gen naio 2001, n. 66; Pres. De Musis, Est. Mercurio, P.M. Nardi
(conci, conf.); Foscari (Avv. Audisio, Cavasola) c. Esem -
Ente scuola edile milanese (Avv. Catalano). Cassa Trib.
Milano 10 ottobre 1997.
Impugnazioni civili in genere — Ricorso per cassazione —
Nullità della notificazione — Costituzione in giudizio della parte intimata — Sanatoria (Cod. proc. civ., art. 156).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello — Mancata comunicazione del decreto di fissazione del
l'udienza — Mancata comparizione dell'appellante —
Improcedibilità — Esclusione (Cod. proc. civ., art. 435).
Un 'eventuale nullità della notificazione del ricorso per cassa
zione è sanata per raggiungimento dello scopo dalla tempe stiva costituzione della parte intimata nel giudizio di legitti mità. (1)
In caso di mancata comparizione all'udienza di discussione
dell'appellante, cui non sia stato comunicato il deposito del
decreto presidenziale di fissazione dell'udienza medesima, non deve dichiararsi l'improcedibilità dell'appello, ma deve
emettersi nuovo provvedimento di fissazione dell 'udienza, il
cui deposito deve essere comunicato all'appellante non com
parso. (2)
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Milano, deci
dendo sull'appello proposto da Attilio Foscari avverso la sen
tenza del pretore della stessa città depositata il 16 marzo 1996 — che aveva respinto la domanda da lui avanzata nei confronti
dell'Esem - Ente scuola edile milanese, per ottenere declaratoria
d'illegittimità del licenziamento a lui intimato da detto ente, suo
datore di lavoro, in data 27 marzo 1995, con le consequenziali
pronunce —, emetteva all'udienza del 10 ottobre 1997 fissata
(1) Orientamento costante, per il quale, v., da ultimo. Cass. 1° di cembre 2000, n. 15382, Foro it., Rep. 2000. voce Impugnazioni civili, n. 102; 7 aprile 2000. n. 4356, ibid., voce Cassazione civile, n. 237. In tema, in dottrina, G. Tombari Fabbrini, Inammissibilità e improcedibi lità del ricorso per cassazione e possibili sanatorie per raggiungimento dello scopo, id.. 1993, I. 3021 ss.
(2) Conformi, nel senso che non è causa d'improcedibilità dell'ap pello la mancata comparizione all'udienza di discussione dell'appel lante, cui non sia stata data comunicazione del deposito in cancelleria del decreto di fissazione dell'udienza, Cass. 23 luglio 1982, n. 4305, Foro it.. Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 458; 3
luglio 1981. n. 4330, id., Rep. 1981, voce cit., n. 441.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
per la discussione, dato atto che nessuno era comparso per l'ap
pellante, provvedimento con il quale così statuiva: «Rilevato
che manca la prova della notifica dell'atto d'appello, dichiara
l'improcedibilità dell'appello». Avverso questo provvedimento il Foscari ricorre per cassa
zione (con atto notificato il 6 ottobre 1998) formulando tre mo
tivi di annullamento, illustrati da memoria.
L'Esem resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - E infondata l'eccezione d'i
nammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata in controri
corso sul rilievo che la notificazione di tale ricorso sarebbe da
considerarsi inesistente perché effettuata mediante consegna della copia alla parte personalmente anziché presso i procuratori e difensori nominati in primo grado con domicilio eletto presso il loro studio: e ciò perché, secondo l'assunto della controricor
rente Esem, la procura rilasciata da tale ente sulla copia del ri
corso di primo grado, con contestuale elezione di domicilio, do
vrebbe ritenersi valida ed operante anche in relazione alla noti
fica del ricorso per cassazione in quanto riferita ad «ogni fase e
stato del giudizio», pur se lo stesso Esem, cui l'atto d'appello non era stato notificato, in secondo grado non si era costituito.
Tale assunto va disatteso perché destituito di fondamento.
Le sezioni unite di questa corte, con decisione cui il collegio ritiene dover aderire (Cass., sez. un., 20 giugno 2000, n.
458/SU, Foro it., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 139), hanno invero affermato, con riguardo ad analoga fattispecie, che
la procura ad litem e l'elezione di domicilio, pur se atti ontolo
gicamente differenti (cfr. Cass. 5 febbraio 1998, n. 1162, id..
Rep. 1998, voce cit., n. 136), costituiscono peraltro due negozi tra loro collegati in quanto l'elezione di domicilio è mezzo al
fine dell'esercizio del diritto di difesa ed è come tale ad esso
funzionalmente circoscritta. Tant'è che da tale collegamento,
nell'ipotesi di cancellazione dall'albo professionale del difenso
re domiciliatario, si è tratta la conseguenza che la connessa
estinzione ex lege del rapporto professionale comporta anche il
venir meno dell'elezione di domicilio (Cass. 21 novembre 1996,
n. 10284, id.. Rep. 1996, voce Impugnazioni civili, n. 24, e 22
aprile 1997, n. 3468, id.. Rep. 1997, voce Notificazione civile, n.
24). Dal che deve trarsi l'ulteriore conseguenza che, nel caso in
cui la parte costituita in primo grado con difensore munito di
procura per tutti i gradi del giudizio non sia però costituita nel
successivo grado d'appello, non può ritenersi consentita la noti
ficazione alla stessa del ricorso per cassazione, proposto avver
so la sentenza d'appello, presso il suo difensore e domiciliatario
in primo grado, giacché la mancata costituzione della parte nel
secondo grado attesta di per sé la sopravvenuta inoperatività della procura originariamente rilasciata e comporta la correlati
va inoperatività della contestuale elezione di domicilio che a
quella procura, come detto, è strettamente e funzionalmente
collegata. Sicché correttamente nella specie il ricorso per cassazione è
stato notificato all'Esem — non costituito in appello —
presso la sua sede in Milano (e non già presso il suo procuratore costi
tuito nel giudizio pretorile). Oltre a quanto ora osservato è comunque decisiva la conside
razione che nel caso di specie una eventuale irritualità o nullità
della notificazione del ricorso per cassazione sarebbe stata in
ogni caso sanata dalla tempestiva costituzione, nel giudizio di
legittimità, della parte intimata, la quale ha invero ritualmente
depositato il controricorso nel rispetto del termine di cui all'art.
370 c.p.c., consentendo in tal modo alla notificazione eseguita nei suoi confronti il raggiungimento dello scopo cui tale atto è
destinato (art. 156, ultimo comma, c.p.c.; cfr. Cass. 8 marzo
1996, n. 1862, id.. Rep. 1996, voce Impugnazioni civili, n. 65).
2. - Il ricorrente censura la decisione del tribunale sotto tre
profili, attinenti rispettivamente alla «mancata comunicazione
del decreto di fissazione d'udienza», alla «nullità e/o inesistenza
della notificazione» del ricorso in appello e del relativo decreto
di fissazione d'udienza, ed alla «mancata comparizione dell'ap
pellante alla prima udienza»; ed in relazione a tali aspetti dedu
ce l'erroneità della pronuncia d'improcedibilità emessa dal giu dice d'appello.
Il ricorso è fondato, anzitutto, sotto il primo profilo con il
quale il ricorrente deduce, facendo riferimento (nel contesto del
motivo) all'art. 435, 2° comma, c.p.c., nella formulazione con
seguente alla sentenza della Corte costituzionale 14 gennaio
Il Foro Italiano — 2002.
1977, n. 15 (id., 1977, I, 258) l'illegittimità dell'impugnato provvedimento, con il quale il tribunale ha dichiarato l'impro cedibilità dell'appello
— avente sostanziale natura di sentenza
siccome definitoria del giudizio —, per non essere stato a lui
comunicato il decreto, previsto dalla citata norma, di fissazione
dell'udienza nel giudizio d'appello, udienza nella quale egli non
era comparso. Osserva il collegio, in base al diretto esame degli atti — con
sentito al giudice di legittimità vertendosi in ipotesi di error in
procedendo — che in effetti nella specie non risulta effettuata la
comunicazione all'appellante dell'avvenuto deposito del de
creto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione in
appello: del resto lo stesso controricorrente Esem afferma essere
«notorio» che presso il Tribunale di Milano il decreto presiden ziale ex art. 435 cit., pur sistematicamente depositato entro il
termine dei cinque giorni, non viene però comunicato all'ap
pellante. In tale situazione di fatto deve affermarsi, ribadendo la co
stante giurisprudenza di questa corte, che a seguito della senten
za della Corte costituzionale 14 gennaio 1977, n. 15 — dichia
rativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 435, 2° comma,
c.p.c., nella parte in cui non prevede che all'appellante sia data
comunicazione dell'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione e che da tale comuni
cazione decorra il termine per la notifica dell'appellato — la
cancelleria ha l'obbligo di comunicare all'appellante, che ha
depositato il ricorso d'appello, il decreto presidenziale predetto, con la conseguenza che non è ipotizzabile, ad esempio, l'inam
missibilità dell'appello per la mancata comparizione all'udienza
dell'appellato che non abbia ricevuto tempestiva notificazione
del ricorso e del decreto, dovendo in tal caso essere fissata an
che d'ufficio altra udienza di discussione ed essere comunicati
all'appellato ricorso, decreto e verbale d'udienza (cfr. Cass. 21
ottobre 1992, n. 11489, id.. Rep. 1992, voce Lavoro e previden za (controversie), n. 209; 24 novembre 1984, n. 6094, id., Rep. 1984, voce cit., n. 385; 4 febbraio 1983, n. 943, id., Rep. 1983, voce cit., n. 507).
Correlativamente, nell'ipotesi — che è quella ricorrente nel
caso di specie — in cui all'appellante non sia stato comunicato
il deposito del decreto anzidetto e lo stesso appellante non sia
comparso all'udienza fissata in quel decreto, deve emettersi
nuovo provvedimento di fissazione di altra udienza di discus
sione dando comunicazione, dell'avvenuto deposito dello stes
so, all'appellante non comparso. Le deduzioni svolte al riguardo dal controricorrente col so
stenere doversi ritenere provata per presunzioni (ex art. 2729
c.c.) l'effettiva conoscenza da parte dell'appellante dell'avve
nuta pronuncia del suddetto decreto presidenziale — e ciò in
considerazione del fatto che il difensore del Foscari esercitava
la professione in Milano e che presso il Tribunale di Milano era
circostanza notoria che il detto decreto non venisse comunicato -— non paiono conferenti a tal fine né idonee comunque a supe rare ed inficiare l'imperatività dei principi sopra enunciati, ri
petutamente affermati da questa corte, conseguenti alla pronun cia della Corte costituzionale, ed ovviamente non derogabili da
eventuali «prassi» difformi. Detta sentenza della Corte costituzionale (15/77), poi (nel di
chiarare testualmente 1'«illegittimità costituzionale dell'art.
435, 2° comma, c.p.c., come modificato dall'art. 11.11 agosto 1973 n. 533 sul nuovo rito del lavoro, nella parte in cui non di
spone che l'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fis
sazione dell'udienza di discussione sia comunicato all'appel lante e che da tale comunicazione decorra il termine per la noti
ficazione all'appellato») non pone alcuna distinzione né diffe
renzia l'ipotesi in cui il decreto sia emesso nei cinque giorni
previsti dalla legge (1° comma dell'art. 435) da quella in cui sia
invece emesso dopo la scadenza di tale termine, di natura me
ramente ordinatoria.
Ed anzi, la stessa Corte costituzionale, nel considerare, a so
stegno della decisione adottata, l'ipotesi in cui l'udienza di di
scussione sia fissata — come pure era consentito dalla formula
zione originaria della norma — alla scadenza del termine di
trentacinque giorni decorrente dal deposito del ricorso (termine derivante dalla somma dei dieci giorni per la notificazione al
l'appellato con i venticinque giorni del termine per la compari zione: ex 2° e 3° comma dell'art. 435), ha in tal modo fatto ri
ferimento proprio al caso in cui il decreto presidenziale sia
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227 PARTE PRIMA 228
emesso nel pieno rispetto del termine ordinatorio di cinque
giorni dal deposito del ricorso (ex 1° comma dell'art. 435). Sicché l'interpretazione prospettata dal controricorrente (se
condo cui l'obbligo della comunicazione all'appellante del de
posito del decreto sussisterebbe invece, secondo la decisione
della Corte costituzionale, soltanto nel caso in cui tale decreto
sia depositato dopo la scadenza del detto termine dì cinque
giorni ex 1° comma dell'art. 435) è da disattendere perché in
fondata.
Per quanto sin qui detto il provvedimento impugnato, avente
natura di sentenza, deve ritenersi inficiato dal denunziato vizio
di violazione del citato art. 435 c.p.c. e deve essere per tale ra
gione annullato.
Restano di conseguenza assorbite e superate le altre questioni
oggetto dei restanti due profili del motivo di ricorso.
3. - La causa va rinviata ad altro giudice di pari grado, desi
gnato come in dispositivo, il quale si uniformerà ai principi di
diritto sopra enunciati, provvedendo all'emissione di nuovo de
creto di fissazione dell'udienza di discussione ed alla comuni
cazione del deposito dello stesso alla parte appellante.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 26
ottobre 2000, n. 14135; Pres. Giuliano, Est. Manzo, P.M. Pi
vetti (conci, diff.); Napolitano e altri (Avv. Tagualatela,
Tafuri) c. Congrega Arciconfraternita del Santissimo Sacra
mento (Avv. Frunzi). Conferma Trib. Napoli 30 giugno 1997.
Appello civile — Istanze istruttorie disattese in primo ^rado — Onere di riproposizione (Cod. proc. civ., art. 346, 359).
Le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano
state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia
necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei
termini previsti per il giudizio di primo grado. (1)
(1) Una (condivisibile) decisione circa la necessità di riproporre in appello le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado.
1. - Vi primo grado la domanda, diretta ad ottenere il risarcimento dei danni prodotti ad un monumento funerario in occasione della ristruttu razione di una cappella confinante, viene respinta perché senz'altro in fondata in diritto, essendo stata proposta nei confronti della congrega proprietaria della cappella, la cui responsabilità sarebbe stata invece esclusa in radice dall'autonomia dell'appaltatore incaricato del compi mento dei lavori.
Neppure in appello la domanda viene accolta, sulla scorta della du
plice considerazione: — che «astrattamente», dunque in diritto, la responsabilità della con
grega si sarebbe potuta configurare ai sensi dell'art. 2049 c.c., non es sendovi stata (prova della) assunzione di ogni rischio da parte dell'ap paltatore;
— che però, in fatto, era mancata la prova, oltre che della natura e della entità dei danni denunziati, altresì della loro «riferibilità agli ad detti ai lavori in corso nell'edificio della congrega»: precisano al ri
guardo i giudici di appello che l'istanza per la prova testimoniale, in
primo grado non assunta perché «ininfluente» per la decisione, risulta va tardiva, in quanto rinnovata solo con la comparsa conclusionale di
appello. Con il ricorso per cassazione, rigettato dalla decisione in epigrafe, la
sentenza di secondo grado viene impugnata per non aver considerato che, non applicandosi alle istanze istruttorie la disciplina dell'art. 346
c.p.c., la prova testimoniale richiesta in primo grado doveva intendersi
implicitamente richiamata e dunque andava ammessa una volta che, esclusa l'infondatezza in diritto della domanda di risarcimento, ne fosse emersa la rilevanza per la risoluzione della controversia.
Il Foro Italiano — 2002.
Svolgimento del processo. — Umberto, Domenico e Antonio
Napolitano, con atto dì citazione del giugno 1990, convenivano
in giudizio dinanzi al Pretore di Napoli la Congrega del Santis
simo Sacramento deducendo di essere titolari di un monumento
funerario che era stato danneggiato a seguito dei lavori di ri
strutturazione di una cappella confinante di proprietà della con
grega. Chiedevano quindi la condanna della convenuta al risar
cimento dei danni nella misura di lire 3.700.000. La congrega, costituitasi in giudizio, deduceva che i danni erano stati causati
dall'impresa incaricata dei lavori. Il Pretore di Napoli, con sen
2. - Dalla pronuncia della Suprema corte emerge con chiarezza che circa la sorte in appello delle istanze istruttorie disattese, alle quali per ciò non sia seguito un provvedimento di ammissione né tanto meno al cuna attività di assunzione nel precedente grado di giudizio (altro pro blema è quello relativo alle condizioni ed ai limiti per il controllo sul l'ammissibilità e sui risultati delle prove invece raccolte dal primo giu dice: sul punto, cfr. Rascio, L'oggetto dell'appello civile, Napoli, 1996, 299 ss.), si rinvengono pure in giurisprudenza diversi orienta menti (per i quali ulteriori indicazioni, anche di dottrina, in Rascio, Sul riesame in appello delle istanze istruttorie disattese dal giudice di pri mo grado, nota a Cass. 5 luglio 1996, n. 6170, in Foro it., 1997,1. 2262
ss., e Id., L'oggetto dell'appello civile, cit., 288 s., testo e note): — secondo la soluzione prevalente (addirittura «incontrastata» per
Ruffini, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1997, 54) dal
l'inapplicabilità della presunzione di rinuncia, prevista dall'art. 346
c.p.c. per le sole domande ed eccezioni non accolte che non siano state
oggetto di espressa riproposizione, deriva che le istanze istruttorie de vono intendersi implicitamente richiamate con le domande ed eccezioni
riproposte ed a sostegno delle quali erano state formulate in primo gra do: così, fra le decisioni più recenti, le citate, in motivazione della sen tenza riportata, Cass. 6170/96. cit.; 6843/93, Foro it.. Rep. 1993, voce
Appello civile, n. 47, e 5320/93. ibid., n. 50; ed inoltre Cass. 10 feb braio 1990, n. 978, id.. Rep. 1990, voce Rinvio civile, n. 20; 14 febbraio
1987, n. 1667, id.. Re*. 1987, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 533; 19 maggio 1986, n. 3285, id., Rep. 1986, voce Appello civile, n.
72; — altre pronunce, invece, estendono la presunzione di rinuncia del
l'art. 346 c.p.c. alle istanze istruttorie disattese (v., ancorché relative all'istanza di verificazione di scrittura privata, Cass. 1647/75, id., Rep. 1975, voce cit., n. 119, e 7961/90, id.. Rep. 1990, voce Prova docu
mentale, n. 36, citate in sentenza. In dottrina, di recente, l'applicazione dell'art. 346 c.p.c. alle richieste in tema di prove è stata sostenuta da Tedoldi. L'istruzione probatoria nell'appello civile, Padova, 2000. 148
ss.) ovvero ne impongono egualmente la riproposizione in appello pur non richiamando questa disposizione (ad es., citata nella sentenza ri
portata, Cass. 2756/99, Foro it.. Rep. 2000, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 227, con specifico riferimento alla posizione della
parte appellata, vittoriosa in primo grado; così anche Cass. 17 agosto 2000, n. 10902, ibid., n. 226, e 22 marzo 1994, n. 2716, id., Rep. 1994. voce cit.. n. 244);
— vi sono poi alcune decisioni (in particolare Cass. 9779/93, id.,
Rep. 1993, voce Appello civile, n. 44; 5957/84, id.. Rep. 1985, voce
cit., n. 49: 4837/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 130; 2573/75, id., Rep. 1975, voce cit., n. 91; 1652/73, id., Rep. 1973, voce cit., n. 68, tutte ci tate in sentenza) per le quali a fronte della dichiarazione di inammissi bilità del mezzo di prova richiesto in primo grado, la parte, che voglia ottenerne l'esperimento, non potrebbe limitarsi alla semplice riproposi zione. essendo invece tenuta a censurare con uno specifico motivo di
gravame le ragioni indicate nella sentenza impugnata per giustificare la mancata assunzione della prova (così anche Tedoldi, op. cit., 155 ss., ma solo qualora «l'appellante ricolleghi ... la soccombenza specifica mente alla mancata assunzione dei mezzi istruttori proposti in prime cure»).
3. - Nel rigettare il ricorso la Suprema corte: — neppure considera la possibilità di fare applicazione dell'ultima
delle soluzioni indicate (ancorché non ne metta in discussione la vali
dità, che per il vero sembra riconoscere). Del tutto correttamente, direi,
perché nella fattispecie sottoposta al suo esame il giudice di primo gra do aveva ritenuto la domanda infondata in diritto, senza provvedere ad una ricostruzione del fatto difforme dalla prospettazione sostenuta dagli attori, i quali dunque neanche avevano interesse ad impugnare sul
punto: è probabile, anzi, che la sentenza avesse ipotizzato la veridicità di simile prospettazione pur valutandola ad ogni modo inidonea a giu stificare l'accoglimento della domanda; comunque, l'irrilevanza della
prova richiesta non poteva essere messa in discussione perché (e fin
ché) ineccepibilmente sorretta dalla «astratta» negazione (questa sì contestata con l'atto di appello) della responsabilità della parte conve nuta;
— condivide nella sola premessa la soluzione più frequentemente adottata dalla giurisprudenza e dunque riconosce che l'art. 346 c.p.c., nel prescrivere la riproposizione per «le domande e le eccezioni non
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