sezione lavoro; sentenza 5 aprile 2002, n. 4889; Pres. D'Angelo, Est. Toffoli, P.M. Frazzini(concl. conf.); Soc. Istituti Dante Alighieri (Avv. Panariti, Agostini) c. Pavoni (Avv. Tripepi,Cassiani). Cassa Trib. Pesaro 2 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2739/2740-2747/2748Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196848 .
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2739 PARTE PRIMA 2740
vuto in sede giurisprudenziale, secondo cui è straordinario tutto
quello che travalica i limiti d'orario convenzionale e questo im
pedirebbe alla contrattazione collettiva di prevedere regimi dif
ferenziati per il c.d. straordinario contrattuale, ossia la predispo sizione di aliquote di maggiorazione diverse.
È noto, invece, come la giurisprudenza, aderendo in massima
parte alle sollecitazioni della dottrina, abbia riconosciuta la li
bertà dell'autonomia collettiva di stabilire, di amministrare (se condo la suggestiva valutazione di recente dottrina) il regime
giuridico dello straordinario contrattuale e come quindi sia stata
nel tempo confermata la legittimità dell'istituto del c.d. lavoro
supplementare, ossia quello eccedente le soglie massime fissate
dalla contrattazione ed entro i limiti di cui alla disciplina del
1923. Certamente, con la vigenza del nuovo limite stabilito dall'art.
13 si è venuto ad incidere sui margini di intervento dell'auto
nomia collettiva, in quanto non può sorgere dubbio che la disci
plina legale dello straordinario sancita dall'art. 5 r.d.l. 692/23
troverà applicazione a partire dalla quarantunesima ora di lavo
ro.
Deve anche considerarsi, tuttavia, che l'operazione condotta
dal legislatore del 1997 non ha comportato l'adeguamento del
limite legale a quello stabilito dalla generalità delle pattuizioni collettive: non solo restano ovviamente operanti le previsioni contrattuali di regimi di orario inferiore a quello individuato
come «normale» dall'art. 13, ma la contrattazione resterà libera
di amministrare la fascia temporale ricompresa tra il massimo
contrattuale e la «normalità» legale. Quest'ultima osservazione — come si vedrà —
pare alla corte decisiva nella risoluzione
della concreta controversia.
Sempre in via di approccio preliminare alla controversia ed in
risposta ad una considerazione espressa dall'appellante società, resta soltanto da chiarire che la perdurante forza cogente del 2°
comma dell'art. 36 Cost. — che chiede alla legge di fissare il
limite orario massimo della giornata lavorativa — suggerisce di
ritenere più convincente la tesi della perdurante vigenza e non
dell'abrogazione dello specifico limite di durata fissato dall'art.
1 r.d.l. 692/23 in 8 ore giornaliere elevabile fino a 10 secondo il
limite massimo delle 2 ore di straordinario al giorno (art. 5 r.d.l.
n. 692). La questione non è tuttavia rilevante in causa, giacché la nona e la decima ora di lavoro prestate da Ugioli il 23 luglio 1997 sono state compensate con una maggiorazione rispetto alla
paga ordinaria.
La questione concreta, sottoposta al vaglio del collegio, attie
ne alla congruità di tale maggiorazione del 18 per cento appli cata da Metaplastic s.p.a.
Ugioli fa leva sul disposto dell'art. 12 della contrattazione di
settore che qualifica straordinario il lavoro prestato oltre la du
rata massima dell'orario normale di lavoro stabilita dalle norme
di legge. Come sopra ha già rilevato la corte, deve ritenersi oramai
qualificabile straordinario quello che venga prestato oltre la
quarantesima ora e — per implicita confermata vigenza dell'art.
I r.d.l. n. 692 sotto questo profilo — anche quello prestato oltre
l'ottava ora di lavoro giornaliero. Affermare ciò, tuttavia, non risolve il problema di quale delle
aliquote fissate in maniera progressiva dalla contrattazione col
lettiva per remunerare (sulla scorta del principio generale intro
dotto dall'art. 5 r.d.l. 692/23 e confermato dall'art. 2108 c.c.) le
ore prestate in più rispetto all'orario normale (legale o contrat
tuale) debba essere utilizzata.
In altri termini, occorre chiedersi se con l'art. 13 1. 196/97
venga travolta soltanto la dizione nominalistica del «lavoro sup
plementare» (riconducibile ora per la quota oltre la quarantesi ma ora a straordinario) ovvero anche la concreta disciplina per esso ritagliata dalle varie contrattazioni di settore che si sono
date il compito di una modulazione differenziata del regime del
lavoro svolto oltre l'orario normale.
Va tralasciata, ad avviso della corte, in primo luogo, la inat
tendibile ricostruzione del primo giudice, secondo cui supple mentare sarebbe —
per i lavoratori cui si applichi il contratto
collettivo gomma e plastica invocato in causa (e per tutti quelli cui si applicano analoghe pattuizioni contrattuali) — soltanto il
lavoro prestato nella giornata di sabato, ossia nel giorno in cui
normalmente non vi è attività lavorativa in quanto l'orario set
timanale contrattuale è distribuito su cinque giorni.
Questa interpretazione, del tutto sganciata dal dato normativo
II Foro Italiano — 2002.
del c.c.n.l., da un lato, appare estranea ad ogni previsione legale
e, dall'altro, si mostra abnormemente «sostitutiva» della volontà
delle parti collettive — che come dedotto dall'appellante società — nell'immediatezza della vigenza della nuova disciplina han
no con l'avviso comune del 12 novembre 1997 chiarito di vole
re confermare la disciplina contrattuale per le ore di lavoro
comprese tra 40 e 48.
La seconda decisiva considerazione concerne la confermata
vigenza —
quale unica disciplina di rango primario — della di
sposizione dell'art. 5 r.d.l. 692/23 in tema di maggiorazione ap
plicabile, individuata in un importo non inferiore al 10 per cen
to.
Rientra nel notorio che la contrattazione collettiva nella sua
generalità ha stabilito aliquote anche sensibilmente molto supe riori, graduandole in relazione alla progressiva ritenuta penosità della prosecuzione di orario.
Questo del 10 per cento, dunque, risulta l'unico dato di fonte
legale applicabile, in quanto l'art. 13 1. n. 196 giustamente si
astiene da ogni indicazione in merito alle aliquote di maggiora zione presupponendo la competenza generale in argomento da
parte della contrattazione.
Se, pertanto, deve essere confermata (neanche ne dubita l'ap
pellato lavoratore) questa risalentissima prerogativa dei contratti
collettivi di individuare, modulare, amministrare le maggiora zioni, l'unico limite che essi incontrano è quello di un minimo
del 10 per cento. Per il resto, come la legge, anche il giudice deve dunque arrestarsi di fronte alla pattuizione collettiva, che
ha rappresentato e rappresenta il luogo per la migliore elabora
zione anche nella materia in esame, in quanto essa sola capace di tenere conto di equilibri particolari e di dinamiche comples sive.
Dunque, non sarà più qualificato lavoro supplementare quello
prestato da Ugioli, ma per le prime 2 ore oltre la quarantesima deve restare pienamente valida e operativa la maggiorazione fis
sata a suo tempo dalla contrattazione di settore, confermata — a
scanso di equivoci, evidentemente — con l'avviso comune del
1997, rinnovata nel contratto collettivo del 2000, che rafforza
una già inequivoca volontà dei contraenti collettivi.
La sentenza impugnata, che invece ha fatto applicazione di
una diversa superiore aliquota, va integralmente riformata.
L'accoglimento dell'appello della società e la reiezione della
domanda di Antonio Ugioli comporteranno la restituzione della
somma che la datrice di lavoro abbia eventualmente erogato nel
frattempo all'Ugioli, che non può concretamente essere condan
nato a detta restituzione — così come richiesto nelle conclusioni
dell'appellante —
giacché la stessa Metaplastic s.p.a. non pre cisa se davvero tale pagamento, in esecuzione della pronuncia del Tribunale di Pisa, sia stato effettuato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 aprile 2002, n. 4889; Pres. D'Angelo, Est. Toffoli, P.M. Frazzini
(conci, conf.); Soc. Istituti Dante Alighieri (Avv. Panariti,
Agostini) c. Pavoni (Avv. Tripepi, Cassiani). Cassa Trib. Pe
saro 2 aprile 1999.
Lavoro (rapporto di) — Vincolo di subordinazione — Esclu
sione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2094).
Va escluso il vincolo della subordinazione nel caso in cui la
prestazione del lavoratore presenti caratteristiche compatibili con la fattispecie del lavoro autonomo (nella specie, la Su
prema corte ha ritenuto che un modesto grado di soggezione da parte dell 'insegnante di un istituto privato a! potere diret
tivo e organizzativo del datore di lavoro, esplicantesi in di
rettive di carattere generale e preliminare, realizzi una forma
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di controllo non particolarmente penetrante, configuratile anche in relazione ad un rapporto di lavoro autonomo). (1)
II
CORTE D'APPELLO DI POTENZA; sentenza 20 dicembre
2001; f>res. Scermino, Est. Vetrone; Palermo (Avv. Corda
sco) c. Di Stasi (Avv. Barbuzzi).
Lavoro (rapporto di) — Vincolo di subordinazione — Con
figurabilità — Condizioni — Fattispecie (Còd. civ., art. 2094).
Nelle prestazioni di elevato contenuto professionale (nella spe cie, l'esercizio dell 'arte farmaceutica), il vincolo di subordi
nazione si configura anche laddove il potere direttivo del da tore di lavoro si esplichi mediante direttive programmatiche o di mero coordinamento dell'attività de! lavoratore, non es
sendo necessario che si eserciti in maniera più penetrante, mediante ordini continui o un 'attività di vigilanza stretta mente vincolante. (2)
I
Svolgimento de!processo. — Con ricorso al Pretore di Pesaro,
Elisa Pavoni, premesso di avere lavorato alle dipendenze della società Istituti Dante Alighieri di Formenti Elena e C. s.n.c.,
presso la sede di Pesaro, dall'ottobre 1991 all'ottobre 1993, come docente di materie letterarie, per un complessivo ammon tare di ventiquattro ore settimanali, concretamente ripartite su
quattro ore giornaliere, chiedeva la condanna di detta società al
pagamento della somma di lire 40.809.558 a titolo di differenze
retributive, indennità di fine rapporto e indennità sostitutiva del
preavviso. La società convenuta si costituiva in giudizio sostenendo che
alla ricorrente, che aveva prestato attività libero professionale e non di lavoro subordinato, erano stati corrisposti tutti i compen si pattuiti.
Il pretore accoglieva la domanda per un quantum di lire
38.439.603, oltre accessori, con sentenza che, appellata dalla
convenuta, era confermata dal Tribunale di Pesaro. Il giudice di secondo grado riteneva insussistente la lamen
tata nullità della domanda per l'omessa indicazione dei para metri retributivi e della loro fonte, osservando che in realtà la
Pavoni aveva indicato con precisione le proprie mansioni e
l'orario osservato e che a tali elementi corrispondeva l'inqua
(1-2) Nelle due fattispecie in epigrafe si fronteggiano due opposte interpretazioni della tecnica definitoria della natura del rapporto di la voro. La Suprema corte propone, in conformità all'indirizzo general mente prevalente negli ultimi anni, un'applicazione rigorosa del meto do tipologico, richiamando la necessità di un accertamento inequivoco delle modalità di svolgimento della prestazione, tale da realizzare una netta caratterizzazione della stessa, nel senso della subordinazione. Pertanto, l'esercizio di un limitato potere direttivo ed organizzativo da
parte del datore di lavoro, in concomitanza con un inserimento solo
parziale del lavoratore nell'organizzazione aziendale, non comprova l'esistenza del vincolo della subordinazione, trattandosi di modalità
compatibili con la prestazione di lavoro autonomo; ciò anche nel caso,
preso in esame nella specie, di attività di lavoro intellettuale, quale quella dell'insegnante di scuola privata. Per contro, la Corte d'appello di Potenza sembra inclinare verso quell'indirizzo, affermatosi nel corso
degli anni ottanta e riproposto da una recente pronuncia della Corte di cassazione (cfr. Cass. 6 luglio 2001, n. 9167, Foro it., 2002,1, 134, con nota di richiami), secondo cui, in alcuni casi (per esempio laddove l'at tività lavorativa assuma caratteristiche di creatività e non di mera ese
cutività), il vincolo della subordinazione assume carattere più attenuato e sfumato, potendo configurarsi anche con riferimento a prestazioni di lavoro svolte secondo direttive non specifiche, ma generali, non difet tando addirittura spazi di discrezionalità per il lavoratore, connaturati al
tipo di attività svolta. Per ulteriori richiami ai due orientamenti ivi descritti, v. la nota a
Cass. 6 luglio 2001, n. 9167, cit., cui si rinvia anche per riferimenti alla dottrina. Da ultimo, peraltro, proprio in relazione alle tematiche in
esame, v. G. Proia, Metodo tipologico, contratto di lavoro subordinato e categorie definitorie, in Argomenti dir. lav., 2002, 87; L. Nogler, Ancora sii «tipo» e rapporto di lavoro subordinato nell'impresa, ibid., 109.
Il Foro Italiano — 2002.
dramento di cui al IV livello del c.c.n.l. del 1988 per il perso nale docente degli istituti di educazione e istruzione gestiti da enti privati.
Riteneva inoltre corretta la qualificazione del rapporto nel l'ambito del lavoro subordinato, rilevando: che l'attività di in
segnamento si svolgeva nei locali a ciò destinati dall'istituto
appellante; che gli orari di lavoro dovevano ritenersi rigidi, an corché inizialmente concertati con gli insegnanti, come confer mato in particolare dal fatto che solo in via del tutto eccezioanle erano intervenuti successivi spostamenti di orario; che l'attività di insegnamento avveniva con l'utilizzazione di piccoli manuali
«tipo Bignami» forniti agli studenti dall'istituto; che la sottopo sizione della docente alla direzione del datore di lavoro era rav
visabile, tenuta presente l'autonomia tipica dell'attività di inse
gnamento, nella consegna all'inizio di ogni anno dei programmi ministeriali e nell'attività di controllo espletata presso la sede di Pesaro dal sig. Moreno Formenti, con funzioni di gestore se non di direttore, il quale periodicamente si informava sull'anda
mento dell'attività didattica e del profitto dei singoli studenti, riferendone ai genitori; che correlativamente non era rilevante la
non previsione di un obbligo di tenuta dei registri da parte degli
insegnanti, spiegabile anche con la non particolare complessità della struttura aziendale pesarese; che la possibilità di esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro era evinci bile dall'obbligo per gli insegnanti di garantire quotidianamente la loro presenza, da quello correlativo di comunicare preventi vamente eventuali impedimenti, e dall'evidente particolare at
tenzione prestata dai medesimi a non violare tali disposizioni. D'altra parte, non poteva attribuirsi valore decisivo alla quali
ficazione del rapporto di cui al contratto scritto stipulato dalle
parti. La società Istituti Dante Alighieri propone ricorso per cassa
zione, articolato in quattro motivi.
La Pavone resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente
deduce insufficiente e illogica motivazione sul punto relativo
alla determinazione dell'oggetto della domanda.
Lamenta che, al mancato rispetto nel ricorso introduttivo di
quanto prescritto dall'art. 414, 3° e 4° comma (,rectius: nn. 3 e
4), sia stato ingiustificatamente ovviato dal tribunale con l'indi
viduazione del c.c.n.l. del 1988, mai indicato o invocato dalla
lavoratrice. Rileva inoltre che il giudice di merito non ha accer
tato se alla stipulazione del contratto collettivo avesse parteci
pato l'associazione di categoria a cui era iscritta l'attuale ricor
rente.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce omessa o insuffi
ciente motivazione sul pùnto decisivo attinente all'esistenza del
potere direttivo e del vincolo disciplinare. Lamenta che gli elementi evidenziati e valorizzati dal tribu
nale non costituiscano elementi sufficienti per affermare la sot
tomissione della Pavoni al potere direttivo e gerarchico del ge store. Osserva al riguardo che tali elementi, comunque non indi
cativi di direttive programmatiche e neanche di un controllo del
risultato dell'attività lavorativa, sono sintomatici solo dell'esi
stenza di una minima struttura organizzativa, concepita per evi
tare le conseguenze di una mera improvvisazione, e hanno valo
re del tutto secondario rispetto all'elemento essenziale del vin
colo dell'assoggettamento del lavoratore da un punto di vista di
rettivo e disciplinare. Si è in presenza, quindi, di una motivazio
ne contraddittoria e che non rispetta i criteri generali e astratti
da applicare al caso concreto.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce omessa o apparente motivazione sul punto decisivo relativo all'esistenza del vincolo
gerarchico; e inoltre travisamento di prove. Lamenta che il tribunale con un iter logico-giuridico viziato
abbia ritenuto l'esistenza del potere disciplinare, sulla base del
rilievo che non vi erano motivi per escluderlo.
Al riguardo, premesso che dall'istruttoria di primo grado era
risultato che la Pavoni godeva di ampia libertà operativa, stante
la mancanza di un obbligo di tenere i registri di classe con l'in
dicazione degli argomenti trattati e delle valutazioni degli stu
denti, osserva anche che, mentre la predeterminazione degli ora
ri di lezione e l'obbligo di comunicare preventivamente ragioni di impossibilità di rispettarli derivavano dall'esigenza di coor
dinare le presenze degli insegnanti e degli studenti, le eventuali
assenze non dovevano essere giustificate, come esplicitamente
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2743 PARTE PRIMA 2744
riferito dai testi escussi. D'altra parte conseguenze disciplinari non erano mai state irrogate e neanche prospettate.
Né il tribunale aveva individuato quale sarebbe stata la perso na attraverso cui il potere gerarchico sarebbe stato esercitato, non essendo ravvisabile l'esercizio della relativa funzione da
parte della segretaria o del collaboratore.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce carente e incongrua motivazione, sotto il profilo della mancata valutazione di quanto concordato dalle parti circa il tipo di rapporto lavorativo cui il
lavoratore si era obbligato, in aderenza ai propri interessi, la re
lativa volontà dando luogo non a un mero indizio qualificatorio, ma a una vera e propria presunzione, superabile solo da una ri
gorosa prova contraria, costituendo espressione di autonomia
negoziale, tutelata dall'art. 4 Cost, e rilevante ai sensi degli art. 2094 e 2222 c.c.
11 primo motivo è infondato. Va osservato innanzitutto che la
eventuale mancata indicazione del contratto collettivo, nel ricor so introduttivo di una causa di lavoro, con il quale, sulla base della asserita prestazione di lavoro subordinato, vengano chiesti
conguagli retributivi, non incide sulla determinazione dell'og getto della domanda e non comporta quindi la nullità del ricorso
(cfr. Cass., sez. un., 22 maggio 1985, n. 3105, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 177; 9 feb braio 1989, n. 818, id., Rep. 1989, voce cit., n. 129). Né la ricor rente ha chiarito sotto quali altri profili ritenga che tale iniziale omissione determini un vizio della sentenza impugnata, salvo a lamentare il mancato accertamento della sottoscrizione del con tratto collettivo da parte dell'associazione di categoria cui essa aderiva e, quindi, della cogenza del medesimo contratto nei suoi confronti. Ma tale contestazione non risulta essere stata propo sta in appello, benché già il pretore avesse fatto riferimento al contratto collettivo richiamato poi anche dal giudice di appello.
Gli ulteriori tre motivi devono essere esaminati congiunta mente, stante la loro connessione.
Gli elementi che differenziano, alla stregua dei parametri normativi desumibili innanzitutto dall'art. 2094 c.c., il lavoro subordinato da quello autonomo sono l'assoggettamento del la voratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del da tore di lavoro, con la conseguente limitazione della sua autono mia e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale. Tali elementi devono essere apprezzati con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attua zione. In linea di principio, inoltre, il potere direttivo deve estrinsecarsi in ordini specifici, perché è attraverso gli stessi, e non mediante solo direttive di carattere generale, configurabili anche nel lavoro autonomo, che viene assicurata la c.d. confor mazione della prestazione del lavoratore subordinato rispetto alle esigenze dell'impresa. Peraltro devono essere valutate da
quest'ultimo punto di vista tutte le modalità di inserimento del
prestatore di lavoro nell'organizzazione aziendale comportanti il puntuale adeguamento delle sue prestazioni. Lo svolgimento di controlli da parte del creditore delle prestazioni lavorative è di per sé compatibile con ambedue le forme di rapporti, e quindi i controlli depongono nel senso della subordinazione solo quan do per oggetto e per modalità sono finalizzati ad un esercizio del potere direttivo e, eventualmente, di quello disciplinare, ti
pici del lavoro subordinato.
Invece, elementi quali l'assenza del rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzio ne assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva.
La qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella ini ziale stipulazione del contratto è rilevante, ma non è necessa riamente determinante, poiché nei rapporti di durata il compor tamento delle parti può essere idoneo ad esprimere sia una di versa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa vo
lontà, sempreché, naturalmente, offra non equivoci, idonei, ele menti di valutazione in tal senso (in genere, sulla problematica della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e autonomo, cfr., ex plurimis, Cass. 16 gennaio 1996, n. 326, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 416; 3 aprile 2000, n. 4036, id., Rep. 2000, voce cit., n. 626; 2 settembre 2000, n. 11502, id., Rep. 2001, voce cit., n. 584; 21 novembre 2000, n. 15001, id., Rep. 2000, voce cit., n. 607; 9 gennaio 2001, n. 224, id., Rep. 2001, voce cit., n. 582; 1° marzo 2001, n. 2970, ibid., n. 579; 20 mar zo 2001, n. 3975, ibid., n. 735).
Con riferimento in particolare all'attività di insegnamento, è
Il Foro Italiano — 2002.
stato più volte rilevato che anche essa può essere riconducibile, a seconda della sua caratterizzazione, sia al lavoro subordinato
che al lavoro autonomo (cfr., anche ai fini del rilievo di ele
menti che possono evidenziare, nel campo specifico, modalità di
esercizio del potere direttivo e di inserimento dell'insegnante
nell'organizzazione aziendale significativi ai fini della subordi
nazione, Cass. 10 febbraio 1992, n. 1502, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 491; 2 luglio 1992, n. 8120, ibid., n. 490; 22 agosto 1997, n. 7885, id., Rep. 1999, voce cit., n. 671; 10 dicembre 1999, n.
13858, id., Rep. 2000, voce cit., n. 634; 30 dicembre 1999, n. 14743, id., Rep. 1999, voce cit., n. 641).
In ogni caso, l'apprezzamento in concreto circa la riconduci
bilità di determinate prestazioni ad un rapporto dì lavoro subor
dinato o autonomo si risolve in un accertamento di fatto che, ove adeguatamente e correttamente motivato in rapporto ad un
esatto parametro normativo, è incensurabile in Cassazione.
Nella specie, peraltro, non può ritenersi logico ed adeguato il
percorso argomentativo attraverso cui il giudice di merito ha ri
tenuto la sussistenza dei parametri normativi della subordina zione.
Nella verifica in questa sede della correttezza della motiva
zione, deve preliminarmente essere ricordato che nella specie le
parti con il contratto scritto iniziale avevano qualificato il rap porto come di lavoro autonomo, parlando di collaborazione
continuativa e coordinata, e che la collocazione nell'ambito della settimana del numero di ore di lezioni pattuito era stata stabilita preventivamente in maniera concordata con gli inse
gnanti; viceversa non si riferisce nella motivazione di un eserci zio da parte del datore di lavoro di un potere di variare unilate ralmente l'orario.
La rilevanza di queste circostanze a deporre in sé stesse piut tosto nel senso dell'autonomia che della subordinazione, anche in presenza di una successiva normale obbligatorietà degli orari
concordati, è stata illogicamente sminuita dal giudice di merito con il rilievo che la concertazione dell'orario è una modalità ben conosciuta anche nelle scuole pubbliche. Infatti è evidente che in quest'ultimo settore è pacifica e normativamente stabilita la soggezione del lavoratore al potere direttivo della direzione scolastica e il suo penetrante inserimento nell'organizzazione complessiva della scuola, sia riguardo agli orari che a numerosi altri aspetti, e che la considerazione nella formazione degli orari ordinari di lezione delle preferenze dei singoli insegnanti è una circostanza meramente eventuale.
Quanto all'esercizio del potere direttivo, nella sentenza im
pugnata si attribuisce innanzitutto rilievo alla consegna alla ri corrente all'inizio dell'anno dei programmi ministeriali e si sottolinea che l'attività di insegnamento prevedeva l'utilizza zione di «piccoli manuali tipo Bignami» (cioè, evidentemente, di testi contenenti un'esposizione riassuntiva della materia), forniti dalla scuola agli studenti. Non è chiarito, però, come po tesse assumere rilievo quale esercizio di un potere direttivo, nell'ambito dello svolgimento del rapporto, una direttiva gene rale e preliminare circa l'oggetto della prestazione, direttiva la cui genericità risalta particolarmente se si ricorda che nelle or
ganizzazioni scolastiche caratterizzate da un pregnante inseri mento dei docenti nell'organizzazione scolastica, ha luogo, sia
pure con il contributo del medesimo corpo docente, l'elabora zione di un'articolata programmazione specifica della didattica, in considerazione delle esigenze delle singole classi.
La sentenza fa riferimento alla posizione del Formenti, «co ordinatore» che rappresentava la direzione presso la sede di Pe
saro, ricordando che il medesimo periodicamente chiedeva in formazioni sull'andamento dell'attività scolastica e in particola re sul profitto degli studenti, per poterne riferire ai genitori degli studenti, essendo incaricato di mantenere i contatti con i mede simi. Osserva che così aveva luogo una vigilanza sui livelli culturali raggiunti dagli studenti e quindi sull'operato dei do
centi, e che, in questo quadro, diventava equivoca, e perdeva rilevanza, la mancata previsione dell'obbligo della tenuta di re
gistri da parte degli insegnanti, potendo essere tenuta sotto con trollo l'esigua struttura aziendale pesarese senza la necessità di tali referenti documentali.
In realtà anche tali elementi, così come riferiti, non eviden ziano l'effettivo esercizio di un potere direttivo, ma semmai di una forma di controllo non particolarmente penetrante, configu rable anche in relazione al lavoro autonomo. Viceversa vengo no nuovamente evidenziate modalità di impostazione organiz
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
zativa dell'insegnamento e della scuola tendenti a limitare il
contributo degli insegnanti alla mera prestazione delle lezioni, in assenza invece di quelle modalità di più intenso inserimento
dei docenti nell'organizzazione scolastica (partecipazione alla
programmazione didattica, registrazioni e relazioni di vario tipo sullo svolgimento dell'attività didattica e sulle prestazioni sco
lastiche degli studenti, valutazioni anche formali di questi ulti
mi, presenza a tutte le inerenti riunioni, colloqui con i genitori,
ecc.), che sono normali negli istituti scolastici che adottano un
metodo formativo e organizzativo più o meno fedelmente im
prontato alle impostazioni dei corsi di studi regolari.
Quanto al potere disciplinare, nella sentenza si osserva che
mancavano elementi per escluderlo, stante l'obbligo degli inse
gnanti di garantire la loro presenza, in genere rigorosamente os
servato, e di avvisare in caso di impossibilità. Un rilievo di que sto genere può essere adeguato, ove risulti accertato l'assog
gettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro
e l'esistenza di controlli, poiché il potere disciplinare, attribuito
dalla legge, non deve essere necessariamente esercitato in con
creto. Dette considerazioni, però, non possono ritenersi decisive
al fine di sorreggere l'accertamento della subordinazione, per ché, come si è già rilevato, l'osservanza di un orario, con la pre senza di un controllo al riguardo, è compatibile anche con il la
voro autonomo.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata
in relazione agli evidenziati vizi di motivazione e la causa deve
essere rinviata per nuovo esame ad altro giudice che, dopo aver
provveduto in ordine alla qualificazione del rapporto con ade
guata motivazione, provvederà di conseguenza in ordine alle
domande proposte dalla Pavoni.
II
Svolgimento del processo. — Palermo Roberto, titolare del
l'omonima farmacia rurale in Ripacandida (PZ), con atto depo sitato il 4 giugno 2001 ha tempestivamente gravato d'appello la
sentenza, pronunciata dal giudice del lavoro di Melfi, con la
quale è stato condannato al pagamento, in favore di Di Stasi
Raffaele, farmacista che lo aveva sostituito dal 4 febbraio 1995
al 24 marzo 1995 nella conduzione della farmacia, della somma
di lire 2.475.717, a titolo di differenze di retribuzione, mancato
godimento ferie, ratei di tredicesima e lavoro festivo, e di quella dì lire 312.143, a titolo di t.f.r.
A motivi dell'appello ha addotto che erroneamente il primo
giudice — mal valutando l'esito delle risultanze istruttorie ed in
violazione della regola secondo la quale l'onere della prova del
l'esistenza d'un rapporto di lavoro subordinato incombe a chi lo
sostenga — ha ritenuto nella specie la ricorrenza di un siffatto
rapporto, laddove nelle pattuizioni verbali svoltesi fra le parti era stato stabilito un compenso di lire 120.000 al giorno per la
conduzione solo professionale della farmacia (non economica,
che era rimasta in capo alla di lui moglie, Briosi Sandra), a cau
sa dell'infermità d'esso titolare, ossia un rapporto di collabora
zione caratterizzato da prestazione di lavoro autonomo ex art.
2222 c.c.
Si è altresì doluto del fatto che il primo giudice, pur avendo
escluso l'automatica applicabilità di tutta intera la disciplina del
c.c.n.l. (per i dipendenti di farmacia privata) fra le parti, a causa
della dichiarazione d'esso titolare della farmacia di non aver
aderito alle associazioni sindacali stipulanti, abbia utilizzato la
predetta normativa collettiva ex art. 36 Cost, prendendo in con
siderazione, al fine del computo delle competenze spettanti al
Di Stasi, la qualifica, a lui non riconoscibile, di «direttore di
farmacìa (primo livello super)», piuttosto che di «sostituto (pri mo livello)».
Criticando poi l'assunto del primo giudice secondo il quale
dette mansioni, e la loro configurabilità a stregua della classifi
cazione individuata, non erano da lui state contestate, ha affer
mato che nulla egli doveva contestare avendo denegato la sussi
stenza stessa d'un lavoro subordinato ed ha inoltre evidenziato
che, nella classificazione del personale, detta qualifica è confi
gurabile nel caso di chi sia addetto a farmacia succursale, a far
macia il cui titolare non sia farmacista e nelle gestioni eredita
rie, ipotesi tutte diverse da quella all'esame.
Ha concluso come sopra riportato. Fissata, con provvedi mento presidenziale, l'udienza di discussione, si è costituito in
Il Foro Italiano — 2002.
giudizio il Di Stasi sostenendo l'infondatezza dell'appello e po stulandone il rigetto.
Ha evidenziato che dall'estratto conto assicurativo prodotto in prime cure è dato evincere che tutte le sostituzioni da lui fatte
presso altre farmacie, in tempi prossimi a quella in questione, sono state accompagnate dall'instaurazione d'un rapporto di la voro subordinato; che, quando egli ha lavorato per il Palermo, non ha goduto d'alcuna autonomia «... né durante la fase del
l'organizzazione del lavoro né durante il suo espletamento ...», non avendo avuto «... accesso neppure all'armadietto, chiuso a
chiave, contenente le sostanze ... stupefacenti...». All'udienza odierna, la causa è stata discussa e decisa come
da dispositivo, letto pubblicamente e nell'immediatezza.
Motivi della decisione. — L'appello de quo fa leva su due ar
gomentazioni:
1) erroneamente il Tribunale di Melfi avrebbe ritenuto nella
specie un rapporto di lavoro subordinato, anziché autonomo;
2) erroneamente, il primo giudice avrebbe, nell'ambito di
quell'opinione, affermato che l'attività del Di Stasi dovesse es
sere retribuita a stregua delle competenze (anche se non tutte)
previste dalla contrattazione collettiva per il «direttore di farma
cia - primo livello super».
Così ricostruito l'ambito del devoluto, va, quanto al primo motivo di doglianza, ricordato che costituisce opinione pacifica e costante, in giurisprudenza, che, ai fini della distinzione tra la
voro autonomo e subordinato, è determinante la sussistenza o
meno del vincolo di subordinazione, inteso quale legame perso nale che assoggetta il prestatore di lavoro, con conseguente li
mitazione della sua autonomia. E stato, peraltro, chiarito che
l'entità delle direttive e del connesso potere di controllo del da
tore di lavoro devono essere correlati sia alla natura delle pre stazioni — assumendo sotto tale profilo la natura intellettuale e
professionale delle stesse —, sia al ruolo dei prestatori nell'am
bito dell'impresa ed ai loro rapporti con l'imprenditore sul pia no della capacità e della fiducia: pertanto, solo quando il detto
carattere distintivo non sia agevolmente apprezzabile a causa
del concreto atteggiarsi del rapporto, occorre far riferimento ad
altri criteri, complementari e sussidiari — come il luogo della
prestazione, l'osservanza di un orario di lavoro a tempo prede
terminato, il coordinamento dell'attività lavorativa rispetto al
l'assetto organizzativo dato all'impresa dal datore di lavoro, il
versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, l'as
senza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura im
prenditoriale, la proprietà della materia prima lavorata — i qua
li, benché privi di valore decisivo se individualmente conside
rati, ben possono essere valutati globalmente come indizi (ex
plurimis, Cass. 4 marzo 1998, n. 2370, Foro it.. Rep. 2000, voce
Lavoro (rapporto), n. 641). Tali criteri, proprio perché empirici, devono essere applicati
tenendo conto di tutte le circostanze concrete, perché ogni atti
vità lavorativa — come concordemente insegnano dottrina e
giurisprudenza —
può costituire oggetto sia di lavoro autonomo,
sia di lavoro subordinato, a seconda delle modalità pratiche di
espletamento nell'ambito della relazione instaurata tra le parti, e
vanno adattati al tipo di professionalità prestata. Orbene, per una corretta qualificazione del rapporto di cui si
discute, devono essere oggetto di scrupoloso esame i caratteri
specifici assunti dalla prestazione, così da poter inquadrare gli elementi di fatto nell'appropriato schema legale tipico risultante
dai criteri generali ed astratti, ora espressi, che presiedono alla
distinzione di cui si è detto.
Alla stregua di quanto esposto, le risultanze dell'istruttoria
svolta dal primo giudice consentono di affermare che il rapporto intercorso fra il dott. Di Stasi ed il dott. Palermo, titolare del
l'omonima farmacia, debba senz'altro qualificarsi, in sintonia
con la tesi dell'appellato, come di lavoro subordinato, non appa rendo condivisibile la critica mossa alla valutazione della prova fatta dal primo decidente.
Quest'ultimo, nella carenza di un dato contrattuale scritto che
fosse intercorso fra le parti, ha osservato che le risultanze di
prova storica hanno denotato, per quanto era nella loro possibi lità di farlo, la sintomatologia propria del rapporto di lavoro di
pendente, posto che il Di Stasi: — nell'occasione (anche se unica) descritta dal teste Castel
grande, doveva seguire le istruzioni (se non direttive) dategli dalla Briosi, coniuge del Palermo, nella sistemazione delle ri
cette;
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2747 PARTE PRIMA 2748
— era sottoposto al controllo e vigilanza della predetta, posto che questa era sempre presente nella farmacia, verificava le di lui presenze, gli orari (testi Riviezzo, Castelgrande, De Leonar
dis) e si doleva delle visite che egli riceveva da parte degli ami
ci in quel contesto spazio-temporale (teste De Leonardis). Tale essendo il quadro complessivo di prova testimoniale, es
so non avrebbe potuto non sorreggere le conclusioni cui è per venuta la sentenza impugnata.
Va subito evidenziato che nessun significativo apporto, nel
senso della negazione della subordinazione, potrebbe desumersi
dalla considerazione dell'affermata autonomia operativa di cui — a dire dell'appellante
— avrebbe goduto il Di Stasi.
Invero, il rilievo di tale indice va affatto ridimensionato ove
si tenga conto che, nelle prestazioni professionali di alto profilo (come l'esercizio dell'arte farmaceutica, che è all'oggetto d'in
teresse nella specie), la subordinazione, intesa come assogget tamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del da
tore di lavoro, risulta necessariamente più attenuata e sfumata.
In tal caso, è necessario fare riferimento al potere direttivo del
l'imprenditore non con riguardo al contenuto delle prestazioni, né alle loro modalità sotto il profilo tecnico, ma ai limiti esterni dell'attività professionale, vale a dire all'inquadramento della
prestazione nell'ambito dell'organizzazione aziendale, fermo
restando che, per aversi subordinazione, non è necessario che il
potere direttivo del datore di lavoro si esplichi mediante ordini
continui o che la vigilanza svolta sul lavoratore sia strettamente
vincolante, potendo l'assoggettamento realizzarsi attraverso di
rettive programmatiche o di coordinamento dell'attività del la
voratore medesimo.
In sostanza, posto che il Di Stasi forniva attività lavorativa la
quale, per la natura stessa delle prestazioni a favore del Paler
mo, comportava vasto margine d'autonomia, non va ulterior
mente pretermesso di constatare, onde farne derivare le ovvie
logiche conseguenze, che detta attività si svolgeva nell'ambito
del locale, la farmacia, messo a disposizione dal suo titolare; che era previsto un orario di lavoro quotidiano (poco importan do che esso fosse stabilito ab estemo, e cioè dalla pubblica au
torità sanitaria); che il compenso, anche a dire del Palermo, era
stabilito in misura fissa giornaliera, e non dipendeva dall'entità numerica delle prestazioni rese; che il Di Stasi non aveva ap
portato una propria organizzazione imprenditoriale, anche in
termini minimi, ma era assolutamente e personalmente inserito in quella del preponente, della quale non condivideva il rischio
economico d'attività produttiva. A dette considerazioni, che sono state fatte dal collegio anche
in altra propria decisione (sentenza 12 ottobre 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 589), deve essere aggiunto infine (giusta
quanto sostenuto da Cass., sez. un., 7 dicembre 1999, n.
865/SU, id., Rep. 1999, voce Istruzione pubblica, n. 362) che il
vincolo di subordinazione assume una particolare configurazio ne quando la prestazione ha carattere creativo e non meramente
esecutivo come, in genere, nel caso del professionista; in questo caso sussiste un rapporto di lavoro subordinato quando il pre detto si tenga stabilmente a disposizione, come nella specie è
avvenuto, del datore di lavoro per eseguirne le istruzioni, men tre sussiste un rapporto di lavoro autonomo quando le presta zioni siano singolarmente convenute in base ad una successione di incarichi fiduciari (come sarebbe potuto avvenire, ad esem
pio, nel caso in cui il Palermo avesse affidato al Di Stasi l'ese cuzione di una serie di preparati galenici).
Concludendo, anche se non ignora la corte che laddove l'art.
11, 2° comma, lett. a), 1. 2 aprile 1968 n. 475 consente, per mo tivi di salute del titolare, che questo sia temporaneamente so
stituito con altro farmacista, iscritto all'ordine, nella conduzione
professionale ed economica della farmacia resta nell'autonomia
dei contraenti avvalersi di qualsiasi strumento contrattuale ido
neo allo scopo, quale la costituzione di un rapporto di lavoro
subordinato, ovvero di collaborazione autonoma, ovvero ancora la cessione in via temporanea, dell'impresa farmaceutica (così, Cass. 24 ottobre 1983, n. 6231, id., Rep. 1984, voce Farmacia, n. 59), appare soluzione ineludibile nella specie, atteso quanto
esposto, che il lavoro del Di Stasi, il quale, come è pacifico in
atti, era stato chiamato a sostituire l'appellante, impedito per malattia temporanea, nel permanere della «gestione economica» della farmacia in capo alla moglie dell'incaricante, non poteva
integrare altro che un rapporto di natura subordinata.
Ma anche a tanto concedere, ha lamentato il Palermo con il
Il Foro Italiano — 2002.
secondo aspetto del gravame, il primo giudice non avrebbe do
vuto riconoscere al Di Stasi il trattamento economico corrispon dente alla ritenuta sua classificazione: «primo livello super, di
rettore di farmacia», avendo egli agito come mero sostituto del
titolare.
Anche questo secondo argomento è errato. Va chiarito, in
primis, che oggetto dell'accertamento in questione non è l'indi
viduazione della qualifica che sarebbe spettata al Di Stasi per via delle mansioni espletate (e quindi su questo non occorre
pronuncia che abbia valore di giudicato), ma la congruità del
trattamento preteso dal lavoratore e riconosciuto dal giudice nella sentenza gravata.
Così puntualizzata la questione, la stessa perde ogni spessore sol che si consideri che, secondo la previsione del c.c.n.l. avuto
presente nella specie (art. 4), se è vero che il primo livello super
(farmacista direttore di farmacia) compete — come ha puntua
lizzato l'appellato —
(solo) «... nei casi (differenti) di farmacia
succursale, di farmacia il cui titolare non sia farmacista e nelle
gestioni ereditarie ...», è anche vero che il farmacista collabo
ratore che sostituisca il titolare di farmacia nei casi di cui al su
citato art. 11 1. 475/68 e cioè, anche nell'ipotesi verificata nella
specie, dell'infermità di questi (lett. a), «... per tutto il periodo della sostituzione formale ha diritto, in aggiunta alla normale
retribuzione, ad una indennità di funzione pari alla differenza
retributiva fra il primo livello super ed il primo livello ...».
Ne consegue che il trattamento economico dal primo giudice riconosciuto al Di Stasi era proprio quello che gli sarebbe spet tato comunque per contratto anche ove quello non l'avesse rite
nuto, come ha fatto, classificabile tout court nel primo livello
super.
L'appello deve essere pertanto integralmente rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 aprile 2002, n. 4760; Pres. Saggio, Est. Celentano, P.M. Uccella
(conci, conf.); Soc. Ceramica San Patrizio due e altra (Avv.
Borelli, Turreni, Annesi) c. Soc. Megater ceramiche (Avv.
Sutich, Aloisio) e altro. Cassa Trib. Orvieto, decr. 30 marzo
2000.
Fallimento — Proposta di concordato —
Sospensione della
liquidazione — Poteri del giudice delegato
— Limiti tem
porali (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 125).
Fallimento — Proposta di concordato — Potere di sospen
sione della liquidazione — Discrezionalità — Limiti —
Fattispecie (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 125).
In seguito alla proposta di concordato, il giudice delegato può sospendere la vendita all'incanto di beni immobili o dell'a zienda del fallito fino a quando non sia stato emanato il de creto di trasferimento.. ( 1 )
Il provvedimento di sospensione della liquidazione ex art. 125, 3° comma, I. fall, non discende automaticamente dalla pre sentazione di una proposta di concordato fallimentare, ma è
affidato alla discrezionalità del giudice delegato, che deve
esercitarla con esclusivo riferimento ali 'interesse dei credito ri del proponente (nella specie, la corte ha cassato un decreto
col quale il tribunale aveva negato la sospensione della liqui dazione del fallimento sociale anche in considerazione degli interessi dei creditori del fallimento del socio). (2)
(1-2) La sentenza in epigrafe affronta sotto due angolazioni la tema tica della sospensione della liquidazione fallimentare prevista dall'art. 125, 3° comma, 1. fall, come possibile conseguenza della presentazione della domanda di concordato.
Anzitutto, i giudici di legittimità tornano ad occuparsi dei limiti tem
porali entro i quali può essere disposta; nell'ambito di una vendita al
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