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sezione lavoro; sentenza 5 febbraio 2000, n. 1311; Pres. Santojanni, Est. De Matteis, P.M. Apice...

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sezione lavoro; sentenza 5 febbraio 2000, n. 1311; Pres. Santojanni, Est. De Matteis, P.M. Apice (concl. conf.); Giaretti e altri (Avv. Fabbri, Trioni) c. Soc. Autolinee Giachino (Avv. Bresmes, Commodo). Conferma Trib. Asti 22 ottobre 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 3 (MARZO 2000), pp. 759/760-761/762 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194814 . Accessed: 24/06/2014 21:49 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.22 on Tue, 24 Jun 2014 21:49:16 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 5 febbraio 2000, n. 1311; Pres. Santojanni, Est. De Matteis, P.M. Apice(concl. conf.); Giaretti e altri (Avv. Fabbri, Trioni) c. Soc. Autolinee Giachino (Avv. Bresmes,Commodo). Conferma Trib. Asti 22 ottobre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 3 (MARZO 2000), pp. 759/760-761/762Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194814 .

Accessed: 24/06/2014 21:49

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PARTE PRIMA

ricorrenti nella giurisprudenza di questa corte, secondo le quali il dirigente deve identificarsi nell'alter ego dell'imprenditore pre

posto all'intera azienda o ad un ramo o servizio, caratterizzato

da particolare autonomia e competenza, per cui gli competono, con le connesse responsabilità, poteri decisionali di entità tale,

pur nell'ambito delle direttive generali impartite dal datore di

lavoro, da influenzare l'intero andamento dell'attività azienda

le, tanto al suo interno che nei rapporti con i terzi».

In base alla giurisprudenza riportata, può ritenersi ius recep tum e, quindi, principio consolidato, la distinzione tra dirigenti in posizione apicale e dirigenti meramente convenzionali, appli candosi solft alla prima categoria la disciplina legislativa pro

pria dei dirigenti. Tale distinzione, prima che dalle sentenze riportate, era già

stata operata dalla dottrina, come ricordato dalla citata senten

za n. 6041 del 1995, la quale ha altresì riportato le connotazioni

del dirigente, come identificato dalla dottrina in colui che «al

vertice della organizzazione aziendale deve svolgere mansioni

tali da improntare la vita dell'azienda, con scelte di respiro glo bale e deve porsi in un rapporto di collaborazione fiduciario

con il datore di lavoro (del quale è un alter ego) da cui si limita

a ricevere direttive di carattere generale, per realizzare le quali si vale di ampia autonomia e che anzi esercita i poteri propri

dell'imprenditore, assumendone anche, se non sempre, la rap

presentanza esterna. Lo stesso vincolo della subordinazione è

temperato, prevalendo gli aspetti della collaborazione ed essen

dosi anche ritenuto inammissibile un rapporto gerarchico tra

dirigenti». Da quanto sopra esposto discende linearmente che il licenzia

mento ad nutum è possibile solo per il dirigente vero e proprio, che si trovi cioè in posizione apicale, non per lo pseudo-dirigente o dirigente convenzionale, che, invece, gode delle medesime ga ranzie di stabilità degli altri lavoratori.

A tale distinzione fra le due categorie di dirigenti, inderoga bile perché tratta dall'interpretazione di norme imperative, non

fa eccezione (né potrebbe farla, non potendo una disposizione contrattuale contrastare una norma imperativa) il 3° comma del

l'art. 88 del contratto collettivo per il personale direttivo delle

aziende di credito, il quale prevede (pag. 23 del controricorso) che «la risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'azienda re

sta. . . esclusivamente regolato dalle norme del codice civile nei

confronti dei dirigenti che compongono la direzione dell'intera

azienda (ad esempio: preposti alla direzione unica, componenti la direzione generale e/o centrale) ovvero di pari grado». Come

si vede, infatti, il contratto collettivo di categoria riserva la ri

soluzione ad nutum del rapporto di lavoro solo ai dirigenti con

posizione apicale, dovendo interpretarsi l'espressione «pari gra do» secundum ius, cioè come riferita al preposto a un impor tante ramo o servizio.

Applicando i principi su esposti al caso di specie, va rilevato

che il tribunale ha ritenuto che il rapporto di lavoro del De Sanctis fosse disciplinato esclusivamente dalle norme del codice

civile sulla recedibilità ad nutum, per il solo fatto che il dipen dente rivestiva la qualifica di dirigente, senza svolgere alcun esame

sulla natura realmente verticistica della posizione del lavorato

re, nonostante questi avesse sempre affermato, sin dal ricorso

introduttivo, di non avere, nei fatti, mai partecipato alla dire

zione dell'azienda.

All'opposto, il tribunale, avendo ritenuto di trovarsi di fron

te a un licenziamento ad nutum, avrebbe dovuto svolgere l'in

dagine, essenziale, per quanto detto, sulla reale posizione di di

rigente dell'attore, stabilendo se questi occupava una posizione indubbiamente verticistica, secondo i criteri diffusamente sopra

esposti, oppure una posizione solo formalmente dirigenziale, ma, in realtà, priva delle connotazioni di fatto caratterizzanti la fi

gura del dirigente, solo nel primo caso potendosi applicare le

regole sul licenziamento ad nutum.

Non avendo il tribunale tenuto presente il principio di diritto

nascente dalla esposta distinzione fra dirigenti e non avendo

effettuato l'indagine di fatto, conseguente, sui reali poteri del

l'attore, ne consegue che il motivo in esame va accolto per quanto di ragione.

Non si accoglie, infatti, l'ulteriore doglianza, contenuta nel

medesimo motivo, relativa all'asserita violazione del principio di buona fede, in relazione all'affermata oralità del licenzia

mento e al rifiuto della prestazione lavorativa nel periodo di

preavviso.

Il Foro Italiano — 2000.

Benvero, la doglianza medesima è infondata, per quanto det

to sotto il primo motivo, in relazione all'asserita oralità del li

cenziamento, mentre è assorbita in relazione al lamentato rifiu

to della prestazione lavorativa in periodo di preavviso, poten dosi delibare la relativa questione solo se si riterrà la legittimità del licenziamento. Trattasi, cioè, di questione, allo stato impre

giudicata. Restano assorbiti i motivi terzo e quarto, rispettivamente con

cernenti il secondo licenziamento dell'attore, pervenutogli in co

stanza di malattia, e l'invocato diritto di continuare a lavorare

durante il periodo di preavviso. Ambo le doglianze richiedono infatti che preliminarmente il

giudice del rinvio si pronunci sulla applicabilità o no al caso

di specie del licenziamento ad nutum.

La sentenza impugnata, a seguito dell'accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo, va cassata e la causa rimessa

ad altro giudice, il quale si atterrà al seguente principio di dirit

to: «il licenziamento ad nutum è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell'ambito dell'azienda, sia carat

terizzato dall'ampiezza del potere gestorio, tanto da poter esse

re definito un vero e proprio alter ego dell'imprenditore, in quan to preposto all'intera azienda o a un ramo o servizio di partico lare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da

influenzare l'andamento e le scelte dell'attività aziendale, sia

al suo interno che nei rapporti con i terzi».

Il giudice del rinvio, sulla base di detto principio, colmerà,

quindi, il vuoto di motivazione riscontrato nella sentenza impu

gnata, svolgendo la necessaria indagine sulla reale natura e con

sistenza della posizione dell'attore, solo se del caso esaminan

do, altresì, le ulteriori argomentazioni delle parti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 febbraio

2000, n. 1311; Pres. Santojanni, Est. De Matteis, P.M. Api

ce (conci, conf.); Giaretti e altri (Avv. Fabbri, Trioni) c.

Soc. Autolinee Giachino (Avv. Bresmes, Commodo). Confer ma Trib. Asti 22 ottobre 1996.

Lavoro (contratto collettivo di) — Interpretazione — Criterio

del comportamento successivo — Applicabilità (Cod. civ., art.

1362, 1363, 1366, 1367, 1371).

Nell'interpretazione del contratto collettivo è utilizzabile anche

il criterio del comportamento posteriore delle parti di cui al

l'art. 1362, 2° comma, c.c., quest'ultimo potendo essere inte

grato da un successivo contratto collettivo che presupponga una determinata interpretazione di una complessa ed organi ca disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e nel

corso di più contratti collettivi. (1)

(1) Conforme, Cass. 5 novembre 1985, n. 5367, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2337; contra, Cass. 10 giugno 1998, n. 5782, id., Rep. 1998, voce Lavoro (contratto), n. 23; 8 marzo 1990, n. 1877, id., Rep. 1990, voce cit-, n. 33, tutte richiamate dalla sentenza in epi grafe. Questa si segnala perché adopera, nel risolvere la questione, l'ar

gomento fondato sulla ammissibilità, riconosciuta dall'art. 68 bis, 2°

comma, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, introdotto dall'art. 30 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, dell'interpretazione autentica del contratto collettivo. In proposito, cfr., variamente, A. Bollani, L'interpretazione del con tratto collettivo alla luce della disciplina introdotta daI d.leg. 80/98, in Riv. it. dir. lav., 1999, I, 397 ss., ed ivi riferimenti anche al dibattito antecedente il d.leg. n. 80, cit.; L. de Angelis, L'accertamento pregiu diziale sull'efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi dei

dipendenti delle pubbliche amministrazioni (art. 68 bis d.leg. 29/93), in Lavoro nelle p.a., 1998, 825, spec. 840 ss.; Id., Spunti in tema di c.d. accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in AA.VV., Il nuovo processo del lavoro. Il dibattito, Atti del conve

gno organizzato a Roma dall'Uil il 26 gennaio 1999, Ancs-Uil, Roma, 2000, 30 ss.; cfr., altresì, gli scritti, editi ed inediti, segnalati nella nota di richiami a Pret. Pistoia 26 maggio 1999, Foro it., 1999, I, 2133.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Motivi della decisione. — (Omissis) Anche l'utilizzo, da parte del tribunale, del criterio del comportamento successivo delle

parti, di cui all'art. 1362, 2° comma, c.c., appare effettuato

in corretta applicazione delle regole ermeneutiche.

Tale criterio, per costante giurisprudenza di questa corte, è

applicabile anche alla interpretazione dei contratti collettivi (Cass. 1° febbraio 1985, n. 677, Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (con

tratto), n. 32; 28 gennaio 1987, n. 821, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 43; 3 marzo 1994, n. 2088, id., Rep. 1994, voce cit., n. 41; 24 aprile 1999, n. 4116, id., Mass., 491).

Quanto allo specifico problema, in tale ambito, se il compor tamento successivo possa essere integrato da un atto negoziale,

quale un successivo contratto, non nella parte direttamente di

spositiva, ma nella misura in cui presuppone una determinata

interpretazione del precedente contratto, la giurisprudenza di

legittimità si è pronunciata in senso difforme, ritenendosi in

alcuni casi che il comportamento delle parti contrattuali può desumersi anche dal contenuto di atti successivi (Cass. 5 no

vembre 1985, n. 5367, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2337), in altre che nessuna interferenza può avere il contratto

successivo nella interpretazione di quello precedente, né sotto

il profilo della interpretazione autentica, né sotto quello del com

portamento complessivo posteriore alla conclusione del contrat

to (il quale andrebbe individuato esclusivamente nel comporta mento posto in essere in adempimento del precedente contrat

to), per la motivazione che il successivo contratto, costituendo

una nuova pattuizione, sarebbe del tutto irrelativo alla prece dente (Cass. 8 marzo 1990, n. 1877, id., Rep. 1990, voce Lavo

ro (contratto), n. 33; 10 giugno 1998, n. 5782, id., Rep. 1998, voce cit., n. 23).

A seguito dello ius superveniens, costituito dal dato testuale

del 2° comma dell'art. 68 bis d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, in

trodotto dall'art. 30 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, si deve ora

affermare il principio che è ammissibile l'interpretazione auten

tica di un contratto collettivo ad opera di un successivo accordo

contrattuale.

Ne consegue che si deve ritenere altresì ammissibile, quale criterio interpretativo di un contratto collettivo ai sensi dell'art.

1362, 2° comma, c.c., il comportamento posteriore delle parti costituito da un successivo contratto collettivo, il quale presup

ponga una determinata interpretazione di una complessa ed or

ganica disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e

nel corso di più contratti collettivi.

L'interpretazione del tribunale, ispirata a tali principi, appare immune da vizi logici e va quindi assolta dalle censure dei ricor

renti. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 4 feb

braio 2000, n. 1235; Pres. Giuliano, Est. M. Finocchiaro, P.M. Schirò (conci, diff.); Merli (Avv. Paoletti, Mussato) c. Lucchesi. Cassa App. Trieste 21 luglio 1997.

Contratti agrari — Affitto — Miglioramenti eseguiti dall'affit

tuario con il consenso del concedente — Impianto di itticol

tura — Indennizzabilità — Condizioni (L. 3 maggio 1982 n.

203, norme sui contratti agrari, art. 16, 17).

Ove l'affittuario abbia realizzato, con il consenso del conceden

te, miglioramenti, addizioni o trasformazioni ai sensi dell'art.

16 l. 203/82 (nella specie, mediante la costruzione di un im

pianto di itticoltura) ha diritto ad un indennizzo corrispon dente all'aumento del valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti da lui effettuati e quale risultante

al momento della cessazione del rapporto, con riferimento al valore attuale di mercato del fondo non trasformato. (1)

(1) La corte del merito aveva escluso l'indennizzo per l'impianto di

itticoltura realizzato dall'affittuario a sue spese e con il consenso del

Il Foro Italiano — 2000 — Parte I-15.

Svolgimento del processo. — Con ricorso 24 ottobre 1995

Lucchesi Bianca Maria, proprietaria di un podere in località

S. Giovanni di Casarsa, esteso circa ha 4.43.90, condotto in

affitto da Merli Armando in forza di contratto in deroga ai

sensi dell'art. 45 1. 3 maggio 1982 n. 203 stipulato il 29 ottobre

1990 con scadenza al 10 novembre 1997, chiedeva che il Tribu

nale di Pordenone, sezione specializzata agraria, dichiarasse ces

sato alla data del 10 novembre 1997 (giusta intimazione comu

nicata il 24 maggio 1995) il contratto 29 ottobre 1990 o, in

subordine, in ipotesi di contestazione su tale contratto, alla da

concedente, osservando che il contratto stipulato nel 1990 aveva avuto ad oggetto esclusivamente il terreno atteso che il canone di affitto era stato determinato tenuto conto della qualità e della classe del terreno e dello stato di produttività, e che nel detto canone di affitto non era

compresa la pur esistente attività di itticoltura, che era stata ritenuta ben distinta.

La sentenza riportata, considerato che i miglioramenti erano sussi stenti al momento della cessazione del rapporto e che gli stessi erano stati autorizzati dalla parte concedente, ha osservato che era irrilevante

qualsiasi indagine al fine di verificare quale fosse l'oggetto del contrat to ed i parametri ai quali era stato rapportato il canone d'affitto.

D'altra parte, è stato ancora osservato, che ove il canone d'affitto fosse stato rapportato al valore degli impianti di itticoltura, l'affittua rio avrebbe in pratica pagato un canone per l'uso di opere da lui stesso realizzate.

Sul punto è stato quindi ritenuto che oggetto del contratto era stata la concessione di un fondo rustico per lo svolgimento dell'attività di itticoltura.

La corte del merito, nell'escludere l'indennizzo per i miglioramenti, aveva ritenuto che l'attività di itticoltura, anche se divenuta per legge attività agricola (1. 5 febbraio 1992 n. 102), non poteva essere conside rata miglioramento dei terreni di fondo agricolo, potendone al limite

rappresentare un deprezzamento per la necessità di bonifica da struttu re che dovevano essere asportate.

Ha osservato ancora la sentenza riportata che la corte del merito non doveva tanto accertare se l'attività di itticoltura, dopo che la 1. 102/92 aveva qualificato l'attività di acquacoltura «attività imprendito riale agricola», se l'esercizio di tale attività rientrava nell'ambito di ap plicazione dell'art. 2135 c.c. o se l'affitto per l'itticoltura costituiva o meno contratto di affitto agrario, quanto se l'affittuario avesse o meno diritto all'indennizzo previsto dagli art. 16 e 17 1. 203/82.

E in forza delle norme richiamate, il giudice di rinvio deve accertare il valore di mercato del fondo, alla data di cessazione del rapporto, con riferimento al valore attuale di mercato del fondo non trasformato: nessun indennizzo competendo all'affittuario ove i due valori siano pari o il secondo sia maggiore del primo.

Sono state respinte le considerazioni svolte dal p.g. nel corso della discussione orale, che aveva chiesto il rigetto del ricorso sul rilievo che mancava la prova che i lavori eseguiti rispettavano i programmi regio nali di sviluppo o, in mancanza, le vocazioni colturali della zona.

L'assunto del p.g. è stato respinto sotto un triplice profilo: perché esisteva un accordo tra le parti; perché la questione non era stata posta dal concedente nella fase del merito; perché se le opere realizzate dal l'affittuario non rispettano le vocazioni colturali della zona, esse non

incidono, in astratto, sul diritto dell'affittuario a pretendere l'indenniz

zo, ma solo sulla quantificazione (è stato osservato che qualora esistes se contrasto tra l'attività di itticoltura e le vocazioni colturali della zo

na, il terreno non ha affatto aumentato il proprio valore di mercato, per cui nessun indennizzo spetta all'affittuario).

La sentenza riportata, ha fatto buon governo delle norme sui miglio ramenti, ma, con un vero e proprio colpo di coda, le ha messe in di

scussione, quando ha affermato che se i miglioramenti non corrispon dono ai programmi regionali di sviluppo, o in mancanza di questi, alle vocazioni colturali delle zone in cui il fondo è ubicato, non compete alcun indennizzo all'affittuario.

Si osserva al riguardo che appare decisivo in senso contrario l'accor do tra le parti, oltre il fatto che tale possibile mancanza, nel caso di

specie, non è stata dedotta nella fase del merito dal concedente, e non

può pertanto essere proposta nel giudizio di rinvio. E poi resta il pro blema di individuare quali siano le vocazioni colturali delle zone, che

non pare possano essere stabilite dal giudice ordinario, che non è un

organismo fondiario, necessitando di un'attività della pubblica ammini

strazione che abbia stabilito in buona sostanza «programmi regionali di sviluppo». Programmi regionali e vocazioni colturali fanno riferi

mento ad una programmazione agricola che le regioni non hanno mai

fatto, per cui l'indennizzo per i miglioramenti non può non fondarsi

che sull'accordo delle parti e sulla sussistenza dell'aumento di valore

del fondo alla cessazione del rapporto, con riferimento al valore attuale

del fondo non trasformato. In caso contrario, sarebbe penalizzata ogni attività non tradizionale — come l'itticoltura — pur definita agricola da una legge.

È il caso di osservare che i miglioramenti sono stati regolarmente,

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