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Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1983, n. 47; Pres. Coletti, Est. Nocella, P. M. Miccio (concl....

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Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1983, n. 47; Pres. Coletti, Est. Nocella, P. M. Miccio (concl. conf.); Melis (Avv. Dell'Olio, E. Romagnoli, Pinna, Marongiu) c. Casa di cura S. Anna (Avv. Lubrano, Corrias). Cassa Trib. Cagliari 9 febbraio 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 31/32-35/36 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176814 . Accessed: 24/06/2014 21:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.208 on Tue, 24 Jun 2014 21:59:55 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1983, n. 47; Pres. Coletti, Est. Nocella, P. M. Miccio (concl.conf.); Melis (Avv. Dell'Olio, E. Romagnoli, Pinna, Marongiu) c. Casa di cura S. Anna (Avv.Lubrano, Corrias). Cassa Trib. Cagliari 9 febbraio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 31/32-35/36Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176814 .

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PARTE PRIMA

Conclusivamente, anche sotto il particolare profilo della di

sparità di trattamento, nell'àmbito dei componenti elettivi del

consiglio, tra magistrati e professori universitari, la questione,

per le ragioni sopra esposte, non è fondata.

4. - La questione non è fondata anche in riferimento all'invo

cato parametro dell'art. 36, 1" comma, Cost., una volta ricono

sciuta all'assegno mensile previsto dal 2° comma del denunciato

art. 40, natura di indennizzo, a ristoro di peculiari sacrifici, e

non di remunerazione di una prestazione lavorativa.

Del pari non fondata è la sollevata questione in riferimento

all'art. 97, 1° comma, Cost., non sussistendo, per le ragioni dianzi

esposte, il dedotto presupposto della « irrazionale diversificata

corresponsione di assegni ».

Per questi motivi, dichiara non fondata la questione di legit timità costituzionale, sollevata, in riferimento agli art. 3, 36 e

97 Cost., con l'ordinanza emessa in data 10 ottobre 1979 dal

T.A.R. del Lazio (R.O. n. 65 del 1980), dell'art. 40 1. 24 marzo

1958 n. 195 (norme sulla costituzione e sul funzionamento del

Consiglio superiore della magistratura).

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio

1983, n. 47; Pres. Coletti, Est. Nocella, P.M. Miccio (conci,

conf.); Melis (Avv. Dell'Olio, E. Romagnoli, Pinna, Maron

giu) c. Casa di cura S. Anna (Avv. Lubrano, Corrias). Cassa

Trib. Cagliari 9 febbraio 1979.

CORTE DI CASSAZIONE;

Lavoro (rapporto) — Casa di cura privata — Primario chirurgo — Funzioni — Qualifica dirigenziale — Esclusione — Fat

tispecie (Cod. civ., art. 2095, 2103; 1. 14 luglio 1959 n. 741,

misure transitorie per garantire minimi di trattamento eco

nomico e normativo ai lavoratori, art. 7).

Poiché la mancanza, nell'accordo collettivo del 1977 relativo al

personale delle case di cura private, di specifiche norme con

cernenti l'inquadramento impone di ritenerlo ancora soggetto alla disciplina del contratto collettivo 24 maggio 1956, legittimo ed efficace erga omnes, deve riconoscersi, in applicazione del

l'art. 3 di quest'ultimo, al primario chirurgo di clinica privata, che sia privo di procura del datore di lavoro e si limiti a svol

gere prestazioni rientranti nei suoi compiti professionali, la

qualifica di impiegato di prima categoria e non quella di diri

gente. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 5 gennaio 1978, il prof. Giuseppe Melis dipendente dal 1° gennaio 1977 dalla casa

di cura privata S. Anna in qualità di primario chirurgo, impu

gnava avanti al Pretore di Cagliari il licenziamento con preavviso,

(1) Contra, nel senso che al primario di clinica privata spetta la

qualifica di dirigente con conseguente inapplicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti, Pret. Roma 24 luglio 1980, Foro it., 1981, I, 883, con nota di richiami (cui adde, per qualche riferimento, a

proposito della impossibilità di includere i medici di guardia di case di cura private nel « personale direttivo », nei cui confronti l'art. 19 c.c.n.l. 24 maggio 1956 eccezionalmente stabilisce l'inapplicabi lità della limitazione delle 8 ore giornaliere e delle 48 ore settima

nali, Cass. 17 agosto 1982, n. 4618, id., Mass., 957), non condivisa sul punto, in appello, da Trib. Roma 2 dicembre 1981, ined., che

ha delineato i compiti del medico primario alla stregua dell'art. 7

d. p.r. n. 128/1969, ignorando completamente l'accordo collettivo del 1977 e il citato c.c.n.l. del 1956, ampiamente considerati dalla

riportata sentenza. La corte ritorna sul tema della individuazione dei requisiti di ap

partenenza alla categoria dirigenziale (in argomento, da ultimo, Pret. Lecce 28 dicembre 1981, id., 1982, I, 1018, con nota redazionale di O. Mazzotta) e, soffermandosi in particolare sul 2° comma dell'art. 2095 c. c. (nel quale ravvisa una riserva che « si sostanzia nel con ferimento alle associazioni sindacali della funzione dei poteri co stituzionali di determinare le qualifiche e le mansioni dei prestatori d'opera, compresi nell'una o nell'altra categoria, e di porre una dif ferenziazione per gradi e qualifiche secondo l'importanza dell'im

presa »), ribadisce la utilizzabilità della previsione di tale norma an che con riguardo ai dirigenti, reputandone determinabile la figura « con riferimento ai requisiti indicati nei singoli settori dai contratti collettivi », cui riconosce una funzione prevalente rispetto ai criteri elaborati dalla giurisprudenza, che « rimangono tuttavia di carattere sussidiario». La impostazione (per qualche verso differenziabile da

quella di Cass. 14 gennaio 1982, n. 202, id., Mass., 43, che consi dera rilevanti in maniera decisiva, ai fini del riconoscimento della

qualifica di dirigente, le mansioni effettivamente svolte) si pone in li nea con la tendenza tradizionale (oltre ai precedenti richiamati in

motivazione, si possono consultare, sia pure soltanto per alcune im

plicazioni, Cass. 13 agosto 1982, n. 4604 e 19 febbraio 1982, n.

comunicatogli con lettera 22 dicembre 1977 dal direttore della

clinica, genericamente motivato « in relazione ad una nuova or

ganizzazione dell'assistenza chirurgica e specialistica », perché

illegittimo, e chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro con

provvedimento d'urgenza a norma dell'art. 700 c. p. c.

Con decreto dell'I 1 gennaio 1978 il pretore emetteva i prov vedimenti provvisori.

Promosso il giudizio di merito con ricorso del 19 gennaio 1978

il Melis ribadiva l'illegittimità del recesso per mancanza di giu stificato motivo, ne chiedeva l'annullamento, con le conseguen ziali pronunce della reintegrazione nel posto di lavoro e della

condanna della convenuta al risarcimento del danno. La casa

di cura, costituitasi in giudizio, eccepiva che il prof. Melis, as sunto quale responsabile di un raggruppamento di chirurgia, ave

va svolto funzioni tipiche di dirigente e non poteva perciò invo

care le disposizioni della 1. 15 luglio 1966 n. 604 sui licenzia

menti individuali; precisava, inoltre, che il licenziamento era

giustificato dall'esigenza di sostituire il sanitario con altro in

possesso della specializzazione richiesta dalla convenzione sti

pulata con la regione sarda, in vista del buon esito della pratica avviata per ottenere la riclassificazione della clinica in categoria

superiore. L'adito pretore con sentenza 18 luglio 1978 accoglieva la

domanda.

Il Tribunale di Cagliari con sentenza del 9 febbraio 1979 ac

coglieva l'appello proposto dalla casa di cura soccombente, e, in totale riforma della decisione impugnata, rigettava, invece, la domanda medesima. Il tribunale descriveva dapprima analitica mente le mansioni concretamente svolte dal Melis, precisando che costui, assunto in servizio con qualifica e mansioni di « me dico responsabile di un raggruppamento di chirurgia costituito da due unità funzionali (una di chirurgia e l'altra di urologia) e quella di responsabile del laboratorio di analisi », fu effettiva mente preposto, sino al licenziamento, con piena responsabilità e autonomia, al reparto di gran lunga più importante della cli nica (sessanta posti letto su ottanta complessivi). Quale primario responsabile del raggruppamento ed unico chirurgo, che praticava interventi, egli provvedeva, in completa autonomia e assoluta di screzionalità tecnica, a verificare la diagnosi dei pazienti, che gli venivano presentati per il ricovero, e a valutare l'opportunità del ricovero medesimo; stabiliva le terapie, gli esami clinici e le

indagini strumentali e di laboratorio da pratica; decideva sull'op portunità di intervenire chirurgicamente, sul tipo di intervento, sulla data e gli orari in cui praticarlo; fissava la durata della de

genza e la data delle dimissioni. Nella esecuzione di tali man

sioni, particolarmente importanti e delicate e richiedenti specifica preparazione e capacità, il prof. Melis aveva piena e indiscussa

supremazia operativa su tutto il personale medico e paramedico addetto al raggruppamento e si avvaleva, senza interferenze della direzione sanitaria, dell'opera degli altri medici operanti nella casa di cura per l'esecuzione di esami radiologici, di visite specialisti che e di esami strumentali e di laboratorio. Era assistito durante le visite dagli altri medici del raggruppamento e durante gli inter

venti aveva la collaborazione dell'anestesista; il suo orario di la voro non era prestabilito, ma liberamente determinato con esclu sivo riguardo alle esigenze connesse con l'assistenza dei pazienti; le sue decisioni circa i tempi e le modalità delle visite, delle tera

pie e degli interventi chirurgici, condizionavano di fatto l'attività dei collaboratori e dei sottoposti, funzionalmente tenuti ad uni formarsi ad esse.

Sulla base delle predette circostanze di fatto, desumibili dal l'istruzione eseguita, il tribunale escludeva che le mansioni svolte dal prof. Melis, per la larghezza e l'importanza dei poteri e l'in dubbio contenuto fiduciario delle funzioni, potessero ricompren dersi tra quelle dell'impiegato con funzioni direttive, molto più modeste e ristrette, ma fossero inquadrabili nello schema della

qualificazione dirigenziale, a prescindere da qualsiasi riconosci mento formale da parte del datore di lavoro.

Aggiungeva il tribunale che il difetto di riconoscimento for

male, che, ove effettuato, avrebbe potuto costituire una condi zione di miglior favore, non poteva impedire l'attribuzione di tale

categoria alla stregua delle concrete mansioni di fatto secondo la norma imperativa dell'art. 2095 c. c., e, dato atto della sostan ziale accettazione del suddetto principio e della costante afferma

1064, ibid., 954, 236), ma ne amplia in qualche modo la portata, in quanto, riconoscendo un rilievo, sia pure sussidiario, ai criteri de lineati dalla giurisprudenza, attenua la rigidità di quelle enunciazioni secondo le quali, « ai fini della concreta individuazione dei dati di appartenenza alle singole categorie ivi compresa quella dirigenziale », è necessario far capo esclusivamente alla contrattazione collettiva (sent. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557, con nota di richiami).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

zione di esso nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha dichiarato nulle le clausole collettive relative al riconoscimento

formale, rilevava che le argomentazioni delle parti con riferimen to alla disciplina collettiva del settore erano inidonee a dirimere la controversia: l'accordo collettivo del 7 ottobre 1977 non spe cificava neppure le qualifiche che competono ai medici e il prece dente contratto collettivo del 24 maggio 1956, reso efficace erga omnes con d. p. r. 14 luglio 1960 n. 1040, richiedeva in evidente contrasto con il disposto degli art. 2095 e 2103 c. c., ai fini del ri conoscimento della categoria dirigenziale, oltre allo svolgimento di « funzioni di dirigente effettive » il conferimento della procura.

Alla stregua dei criteri discretivi, elaborati da dottrina e giu risprudenza, tra dirigente e impiegato direttivo, la semplice elenca zione delle mansioni conduceva all'affermazione della qualifica di rigenziale: in sintesi tali mansioni erano contrassegnate dallo svol gimento di un'attività tecnica, che, travalicando i limiti del parti colare servizio di medico-chirurgo, si ripercuoteva necessaria mente su tutto l'ambito del raggruppamento di chirurgia e in fluenzava, altresì, l'intera vita dell'azienda per i poteri di auto determinazione, che gli erano stati riconosciuti e la indiscutibile preminenza e importanza di quelle parti di essa, a cui era preposto.

La qualifica dirigenziale, precisava il tribunale, non poteva es sere esclusa per la mancanza di poteri di amministrazione e di rappresentanza esterna. Anche a non voler considerare che il prof. Melis si occupò attivamente di tutta una serie di problemi organizzativi, connessi con l'attività del raggruppamento di chi

rurgia, la riserva dei compiti di amministrazione e gestione del personale ad altri dirigenti od impiegati non comportava la ridu zione del contenuto delle funzioni proprie del responsabile tecni co del più importante settore produttivo dell'azienda, che qualifi cava all'esterno l'azienda medesima. D'altra parte, la mancanza dei poteri di rappresentanza non poteva ritenersi probante sia

perché siffatto elemento normalmente non ricorre nelle categorie dei dirigenti tecnici sia perché essi di fatto sussistevano, quanto meno con i pazienti, posto che nessuna interferenza veniva eser citata nell'attività del primario, compresa tra il ricovero e le di missioni.

Concludeva il tribunale che l'esclusione della figura di diri gente (art. 10 1. 15 luglio 1966 n. 604) dal campo di applica zione della legge sui licenziamenti individuali non consentiva di esaminare i motivi del recesso.

Avverso la riassunta sentenza propone ricorso per cassazione il Melis, formulando due motivi di annullamento. Resiste con controricorso la casa di cura « S. Anna ». Entrambe le parti han no presentato memoria illustrativa.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denunzia vio lazione e falsa applicazione degli art. 2095, 2103, 1372 ss. c.c. e di fetto di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e si deduce che il tribunale — dopo aver affermato che l'eventuale riconosci mento formale della qualifica di dirigente non avrebbe potuto co stituire ostacolo all'attribuzione di questa in base alle concrete mansioni di fatto in virtù della norma imperativa, contenuta nel l'art. 2095, 2° comma, c. c., e che la disciplina collettiva per i di pendenti degli istituti di cura è inidonea a dirimere la contro versia sia perché l'accordo collettivo del 7 ottobre 1977, non spe cifica le qualifiche, che competono ai medici, sia perché il prece dente c.c.n.l. del 24 maggio 1956, reso efficace erga omnes con d. p. r. 14 luglio 1960 n. 1040 richiede per il riconoscimento della

categoria, oltre all'esercizio di funzioni di dirigenza effettiva il conferimento della procura, in contrasto con il disposto degli art. 2095 e 2103 c. c. — ha ritenuto che, in assenza di una defini zione legislativa, la nozione di dirigente andava individuata in via empirica secondo, i criteri elaborati dalla giurisprudenza, cosi incorrendo in violazione di legge e vizio di motivazione. Infatti l'art. 2095 cit. riserva all'autonomia collettiva la determinazione dei requisiti di appartenenza alla categoria, per modo che i cri teri elaborati dalla giurisprudenza hanno carattere sussidiario, quan do manchino specifiche norme di legge o di contratto collettivo. Poiché l'accordo collettivo del 1977 non contiene, secondo quanto affermato dallo stesso tribunale, alcuna normativa in materia di

inquadramento, questa continua ad essere regolata dal contratto

collettivo del 1956, che classifica i primari tra il personale impie

gatizio di prima categoria (art. 3), escludendo dall'applicazione del

contratto il personale « che ha funzioni di dirigenza effettiva e sia

munito di procura » e detta specifiche norme, tra cui quella rela

tiva all'applicabilità ai licenziamenti individuali « delle norme e

delle procedure fissate dalle leggi vigenti ». Nella specie difettano

la dirigenza effettiva e la procura, richiesti dal contratto colletti

vo del 1956 per l'attribuzione della qualifica dirigenziale. In particolare, nessun contrasto era ravvisabile tra la citata nor

ma (art. 3 del contratto collettivo del 1956) con gli art. 2095 e

2103 c. c., determinando essa i requisiti di appartenenza alla ca

tegoria. Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applica

zione degli art. 2095 e 1327 ss. c. c. nonché difetto di motiva zione (art. 360, nn. 3 e 5, c. p. c.) e si deduce che dalle circo stanze di fatto, che il tribunale ha ritenuto immotivatamente di

mostrate, non era possibile comunque dedurre i requisiti elabo rati dalla giurisprudenza per l'individuazione della qualifica diri

genziale. La supremazia operativa del primario sul personale in ordine agli interventi è stata erroneamente elevata ad una supre mazia gerarchica su tutto il personale del raggruppamento chi rurgico, sul quale il primario non aveva alcun potere direttivo e

disciplinare; il governo del personale paramedico era affidato ad una suora; le richieste relative ai mezzi tecnici, ai materiali sani tari e agli esami specialistici esterni erano inoltrate dai medici alla suora ovvero agli organi amministrativi; il Melis non inter feriva sui ricoveri e dava soltanto un parere tecnico per le di missioni dei pazienti; egli osservava un orario prestabilito ed era, infine, subordinato gerarchicamente al direttore amministrativo e al direttore sanitario, il quale aveva la responsabilità esclusiva

dell'organizzazione tecnico-sanitaria della casa di cura sotto il

profilo igienico ed amministrativo. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per

le loro correlazioni logiche, sono fondati. L'art. 2095 c. c., dopo aver indicato con proposizione mera

mente descrittiva le tre categorie fondamentali dei prestatori di lavoro subordinato (dirigenti amministrativi e tecnici, impiegati, operai), aggiunge, al 2° comma, che « le leggi speciali e le norme corporative in relazione a ciascun ramo di produzione e alla par ticolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di apparte nenza alle indicate categorie ». La riserva, dopo la caduta del l'ordinamento corporativo, si sostanzia nel conferimento alle asso ciazioni sindacali della funzione dei poteri costituzionali (art. 39 Cost.), di determinare le qualifiche e le mansioni dei prestatori d'opera, compresi nell'una o nell'altra categoria, e di porre una differenziazione per gradi e qualifiche secondo l'importanza del

l'impresa. Questa Corte suprema ha riconosciuto tale funzione primaria,

statuendo in numerose sentenze conformi che « per stabilire la

qualifica spettante al prestatore di lavoro in relazione alle man sioni svolte è necessario far riferimento in primo luogo al con tratto collettivo, dovendo ritenersi che le indicazioni nel medesimo

contenute, in quanto esprimono l'insostituibile esperienza dei sin dacati nel settore produttivo e nella organizzazione aziendale, as sumono valore vincolante e decisivo anche per quanto riguarda la classificazione di determinate cagetorie » (Cass. 11 marzo 1981, n.

1375, Foro it., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 418, e pre cedenti conformi).

Pertanto, in assenza di criteri legali, che consentano di stabi lire l'appartenenza alla categoria, la figura di dirigente dev'essere determinata con riferimento ai requisiti indicati nei singoli settori dai contratti collettivi, da ritenersi in ogni caso prevalenti, anche se in determinati casi possono fornire una nozione riduttiva di tale figura, rispetto ai criteri, generali e astratti, che, seppur ela borati dalla giurisprudenza sulla base di indicazioni comuni della contrattazione collettiva, rimangono tuttavia di carattere sussi diario (Cass. 11 gennaio 1980, n. 258, id., Rep. 1980, voce cit., n. 579).

L'autonomia collettiva trova tuttavia un limite inderogabile nel la stessa citata norma dell'art. 2095 c. c., il quale nel delegare alle associazioni sindacali la determinazione dei « requisiti di ap partenenza » alla categoria, richiede la previsione di criteri og gettivi, che non possono prescindere dal principio di corrispon denza del trattamento alle mansioni concrete, con la conseguenza che deve ritenersi nulla, perché contraria a norme imperative, la determinazione puramente formale o nominale di una qualifica, alla quale non facciano riscontro requisiti obiettivi e sostanziali (Cass. 18 aprile 1975, n. 1497, id., 1976, I, 435, e conformi). L'attribuzione contrattuale di una qualifica meramente formale si

risolverebbe, infatti, nella violazione di norme generali di tutela dei lavoratori ed in particolare di quelle sui licenziamenti indivi duali, in relazione alle quali solo lo svolgimento effettivo di man sioni dirigenziali può giustificare delle deroghe (Corte cost. 6 lu glio 1972, n. 121, id., 1972, I, 2730) e nella conseguente impossi bilità da parte del giudice di verificare la sussistenza di even tuale arbitrio da parte del datore di lavoro.

Orbene il tribunale ha disapplicato tali principi; giacché nel l'erroneo presupposto dell'inapplicabilità della disciplina colletti va a cagione di una pretesa estraneità del contratto collettivo del 1956, reso efficace erga omnes con d. p. r. 14 luglio 1960 n. 1040, al disposto degli art. 2905 e 2103 c. c. e della mancanza di qual siasi classificazione dei medici nel successivo accordo collettivo

Il Foro Italiano — 1983 — Parte l- 3.

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PARTE PRIMA

del 1977, è ricorso, ai fini della definizione delle funzioni diri

genziali, ai criteri di carattere sussidiario, elaborati dalla giu

risprudenza, anziché applicare i requisiti richiesti dal contratto

collettivo di categoria. Alla stregua, invero, di quanto affermato dal giudice d'appello,

il quale ha escluso che l'accordo collettivo del 1977 contenesse

qualsiasi definizione e classifica dei primari, la disciplina collettiva

applicabile non poteva che essere identificata nel contratto col

lettivo del 1956, efficace erga omnes, il quale conteneva, invece,

specifiche disposizioni in materia di inquadramento dirigenziale. La legge di delega 14 luglio 1959 n. 741 dispone infatti che i

trattamenti in essa previsti « conservano piena efficacia anche do

po la scadenza o il rinnovo dell'accordo o contratto collettivo, cui il governo si è uniformato, sino a quando non intervengano successive modifiche di legge o di accordi e contratti collettivi

aventi efficacia verso tutti gli appartenenti alla categoria » (art.

7, 2° comma) e che ad essi « si può derogare, sia con accordi o

contratti collettivi che con contratti individuali, soltanto a favore

dei lavoratori (art. 7, 3° comma). Pertanto un accordo collettivo

successivo, che non conteneva norme sull'inquadramento, non po teva costituire una deroga più favorevole per i lavoratori, ido

nea a privare di validità ed efficacia il contratto collettivo del 1956.

Orbene questo contratto collettivo (efficace erga omnes), di

spone all'art. 3 che il contratto stesso è applicabile al personale

dipendente degli istituti di cura privati « con la sola esclusione

di quello che ha funzioni di dirigenza effettiva e sia munito di

procura » e include espressamente nel personale impiegatizio di

I* categoria (direttivo) il primario, stabilendo poi all'art. 32 che

per i licenziamenti individuali si applicano « le norme e le pro cedure fissate dalle leggi vigenti».

Tale contratto collettivo non può ritenersi contrario alle norme

di cui agli art. 2095 c. c. e 2103 dello stesso codice.

Non è dubbio, infatti, che le norme di cui agli art. 2095 c. c. e

96 disp. att. pongono, per quanto accennato, il limite della in

disponibilità del diritto del prestatore d'opera alla qualifica cor

rispondente alle mansioni esercitate, che può essere violato da

un'attribuzione meramente formale della qualifica stessa, che da

tale corrispondenza prescinda, ma non pongono alcun limite per

quanto riguarda la determinazione degli obiettivi « requisiti di ap

partenenza » e cioè delle mansioni costitutive del diritto alla qua lifica (Cass. 4 settembre 1981, n. 5050, id., Rep. 1981, voce cit., n.

447). Il limite di indisponibilità non può ritenersi superato quan do, come nella specie, la norma collettiva non si limiti ad una

mera investitura formale della qualifica di dirigente, ma assuma

come requisiti congiunti di essa l'esercizio effettivo delle relative

funzioni ed il conferimento di procura, che presuppone l'eserci

zio di correlativi poteri. Se i poteri rappresentativi non costitui

scono normalmente un requisito indispensabile della dirigenza, essendo esso comune a categorie più modeste di lavoratori (ad es. commessi di negozio), essi assumono invece decisiva rile

vanza, ove siano espressamente considerati, dalla contrattazione

collettiva come elemento indispensabile, anche se non esclusivo,

per l'attribuzione della qualifica dirigenziale. Il conferimento della procura non assume, peraltro, un valore

astratto e formale come tale contrario al principio della preva lenza delle mansioni reali rispetto alla nomina formale, ma costi

tuisce un requisito aggiuntivo e specificativo delle mansioni, cor

relate alla procura, che dalle parti sindacali è evidentemente con

siderata uno strumento necessario all'esercizio dei poteri diret

tivi, influenti sul generale andamento aziendale, all'interno e nei

rapporti con i terzi.

Il limite di indisponibilità dell'autonomia collettiva non può ri

tenersi superato nemmeno con riferimento all'art. 2103 c. c., il

quale collega il diritto alla retribuzione (ed ora nella nuova for

mulazione dell'art. 13 1. n. 300/1970 la stessa qualifica) all'eserci

zio di fatto per un tempo determinato delle relative mansioni sen

za alcuna implicazione sulla definizione della qualifica stessa in

base ai requisiti obiettivi, prestabiliti dal contratto collettivo.

Il tribunale, pertanto, non poteva ripudiare l'applicazione del contratto collettivo del 1956 e, in sostituzione dei criteri dallo stesso prestabiliti, ricorrere a quelli, generali e astratti, eleborati dalla giurisprudenza. Nell'ambito di applicazione di tale contrat

to, poi, doveva considerare la classificazione del primario nella ca

tegoria degli impiegati di prima categoria, integrandone la no zione anche con ricorso a fonti integrative, che potevano essere desunte da quelle similari, delle strutture pubbliche, coincidenti sostanzialmente nella descrizione delle relative mansioni con quel le analiticamente rilevate nella fattispecie (art. 7 d. p. r. 128/69) e doveva dare, poi, autonoma rilevanza al requisito del conferi mento della procura e dei correlativi poteri, mentre, valutando i

poteri rappresentativi nell'ambito della figura generale del diri

gente tecnico, quale delineata dalla giurisprudenza, ha affermato

da una parte che tali poteri non erano richiesti e dall'altra che

essi « sussistevano quanto meno con i pazienti, posto che nessuna

interferenza veniva esercitata sull'attività del primario, compresa tra il ricovero e le dimissioni » : il che costituisce un evidente

svisamento del concetto di rappresentanza e dell'ampiezza dei po teri ad essa connessi nella funzione dirigenziale (rapporti interni

ed esterni con i terzi e strumentalità di essi rispetto a mansioni

incidenti sull'andamento del complesso aziendale). La considerazione dei requisiti richiesti dal contratto collettivo

era sufficiente per la qualificazione della categoria dirigenziale.

Ammesso, però che, sia pure in via indiretta, il giudice del meri

to potesse colmare la carenza del contratto collettivo per quan to riguarda il requisito generico delle funzioni di dirigenza effet

tiva mediante i comuni criteri giurisprudenziali, si deve osservare

che questa corte ha individuato il dirigente nel prestatore d'opera il quale « sia in concreto investito di attribuzioni che per la loro

ampiezza e i poteri d'iniziativa e di discrezionalità che compor

tano, gli consentano, sia pure nell'osservanza delle direttive di

carattere generale dell'imprenditore e delle esigenze connesse alla

struttura e alla funzione dell'azienda, di imprimere un indirizzo

ed un orientamento a tutta l'attività di essa o a quella di uno

dei maggiori rami o settori, in modo da dare un autonomo conte

nuto all'organizzazione amministrativa e tecnica dell'azienda »

(Cass. 18 giugno 1980, n. 3886, id., Rep. 1980, voce cit., n. 568),

precisando che tale prestatore partecipa alla conduzione del

l'impresa con supremazia gerarchica, poteri di disposizione e di

contributo allo stesso livello dell'imprenditore (Cass. 12 luglio

1978, n. 3537, id., Rep. 1978, voce cit., n. 347, e conforme), tal

ché, riguardando la funzione dirigenziale una vera e propria pro duzione della politica aziendale, non è estranea ad essa la collo

cazione del dirigente nella struttura e nelle dimensioni aziendali.

Il tribunale ha certamente dilatato le effettive mansioni del

Melis, giacché, a tacer d'altro, pur considerando la diversità delle

caratteristiche del dirigente tecnico rispetto a quello amministra

tivo, ha elevato a sintomi rivelatori della figura dirigenziale gli

elementi descritti, tutti connaturali alla natura delle prestazioni

professionali, scambiando per supremazia gerarchica la semplice

preminenza operativa e funzionale del chirurgo, e non ha suffi

cientemente considerato la posizione del primario nell'organizza

zione aziendale in cui egli è gerarchicamente subordinato al di

rettore amministrativo e al direttore sanitario, il quale a norma

dell'art. 153 1. n. 132/1968 e degli art. 18 e 19 d. m. 5 agosto 1977

è il responsabile esclusivo dell'organizzazione tecnico-sanitaria del

la casa di cura privata sotto il profilo igienico ed organizzativo.

Conclusivamente, pertanto, il tribunale non poteva ritenere inap

plicabile la 1. 15 luglio 1966 in virtù della deroga espressa dal

l'art. 10 della legge medesima.

Il ricorso deve essere dunque accolto e la sentenza impu

gnata dev'essere cassata con rinvio ad altro giudice, il quale si

conformerà ai principi enunciati. Quale giudice del rinvio si desi

gna il Tribunale di Oristano, sezione lavoro. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 24 di

cembre 1982, n. 7128; Pres. Sandulli, Est. Gualtieri, P.M.

Benanti (conci, conf.); Sardi (Avv. Biamonti) c. Giusti (Aw.

Bassino, C. Bernardini). Cassa App. Firenze 28 maggio 1981.

Matrimonio — Matrimonio concordatario — Procedimento di

esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche — Ricorso per cas

sazione avverso l'ordinanza della corte d'appello — Man

cata deduzione nel motivo di ricorso di censure concernenti

specifici attentati al diritto di agire e resistere nel processo canonico — Conseguenze (L. 27 maggio 1929 n. 810, esecu

zione del trattato e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra

la Santa Sede e l'Italia, I'll febbraio 1929, art. 1; Concorda

to: art. 34; 1. 27 maggio 1929 n. 847, disposizioni per l'appli cazione del Concordato dell'I 1 febbraio 1929 tra la Santa Se

de e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio, art. 17). Matrimonio — Matrimonio concordatario — Sentenza ecclesia

stica di nullità per esclusione del « bonum prolis ex par te viri» — Contrarietà all'ordine pubblico italiano — Insussi stenza — Limiti (Cost., art. 7; 1. 27 maggio 1929 n. 810, art.

1; Concordato: art. 34; 1. 27 maggio 1929 n. 847, art. 17).

La mancata deduzione nei motivi di ricorso per cassazione di

censure concementi specifici attentati al diritto di agire e re sistere nel processo canonico di nullità matrimoniale non con sente al ricorrente di lamentare, a seguito della sentenza n.

18/1982 della Corte costituzionale, intervenuta nel corso del

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