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Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1984, n. 36; Pres. Pennacchia, Est. Nuovo, P. M. Gazzara (concl....

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Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1984, n. 36; Pres. Pennacchia, Est. Nuovo, P. M. Gazzara (concl. conf.); Frau (Avv. Bussi, Colomo) c. I.n.p.s. (Avv. Abati, Maresca, Basile, Vario). Conferma Trib. Cagliari 18 luglio 1978 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 49/50-53/54 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175927 . Accessed: 28/06/2014 19:18 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.66 on Sat, 28 Jun 2014 19:18:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1984, n. 36; Pres. Pennacchia, Est. Nuovo, P. M. Gazzara (concl. conf.); Frau (Avv. Bussi, Colomo) c. I.n.p.s. (Avv. Abati, Maresca, Basile, Vario).

Sezione lavoro; sentenza 5 gennaio 1984, n. 36; Pres. Pennacchia, Est. Nuovo, P. M. Gazzara(concl. conf.); Frau (Avv. Bussi, Colomo) c. I.n.p.s. (Avv. Abati, Maresca, Basile, Vario).Conferma Trib. Cagliari 18 luglio 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 1 (GENNAIO 1984), pp. 49/50-53/54Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175927 .

Accessed: 28/06/2014 19:18

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ma è poi possibile per la corte risolvere « verso il basso » questioni di disparità di trattamento? È chiaro che vi si oppongono numerosi ostacoli che andrebbero esaminati in relazione alle diverse possibili ipotesi concrete. Qui si ipotizza che almeno in alcuni casi questa soluzione possa risultare in definitiva possibile e ci si limita ad in dicare due immaginabili ostacoli.

11 primo è questo: come è possibile che vengano poste questioni incidentali rilevanti dirette ad ottenere dalla corte una statuizione dell'eguaglianza « verso il basso »?

Naturalmente una prima via di approdo alla corte, in teoria ammissibile anche se ne è evidente la improbabilità pratica, potrebbe essere costituita da un'azione di un soggetto diretta ad ottenere appunto la tutela del diritto a che altri soggetti in situazioni non diverse dalla propria non godano di privilegi.

Un'altra via potrebbe essere costituita dalla sollevazione d'ufficio della questione di costituzionalità da parte del giudice chiamato ad applicare una norma di privilegio.

Una terza ipotesi potrebbe essere costituita dal caso in cui il giu dice di costituzionalità, chiamato a giudicare illegittimo il trattamen to diseguale in senso sfavorevole riservato a determinati soggetti, sollevasse di fronte a se stesso eccezione di costituzionalità relativa mente al tertium comparationis.

Se le prime ipotesi npn risultano (a chi scrive) ancora essersi date, non altrettanto è da dirsi per la terza, anche se nella storia della corte l'evenienza, in sede di giudizio incidentale, si è verificata in soli sei casi.

È da sottolineare però non solo che, dei sei casi, ben tre si sono verificati o hanno avuto esito nel 1982 (per i precedenti, v., le ord. n. 73 del 1965, Foro it., 1965, I, 2126, in materia di contributi di previdenza degli avvocati; n. 100 del 1970, id., 1970, I, 2980, sul diritto del difensore ad assistere all'interrogatorio dell'imputato; n. 230 del 1975, id., 1975, I, 2839, sul cumulo dei redditi dei coniugi agli effetti tributari; ad esse hanno fatto seguito rispettivamente le sent. n. 75 del 1965, id., 1965, J, 2033; n. 190 del 1970, id., 1971, I, 8 e n. 179 del 1976, id., 1976, I, 2529, con nota di M. A. Salvetti Grippa),

ma anche che il presidente della corte nella ricordata conferenza stampa ha significativamente tenuto a segnalare espressamente che in quell'an no « la corte ha per tre volte esercitato il suo potere di coinvolgere, nel giudizio introdotto dalla denunzia relativa al principio d'eguaglian za, il tertium comparationis, e cioè la norma positiva rispetto alla quale si è diseguali, o la norma pregiudiziale, e cioè quella dalla cui (non contestata) operatività discende in virtu di altra norma contesta ta, la disparità di trattamento ».

Inoltre la sent. n. 20 del 1982, id., 1982, I, 1247 (una delle tre ipotesi ricordate dal presidente Elia; le altre sono costituite dalla ordinanza n. 136, ibid., 2122, sulla mancata previsione del diritto di prelazione a favore dei conduttori di studi professionali, cui ha fatto seguito la sent. n. 128 del 1983, id., 1983, I, 1498, che ha dichiarato la questione non fondata, e la ordinanza n. 258, ibid., 265 e 1537, con note di A. Lener, Salmé e di Nascimbene, sull'acquisto della cittadinanza italiana da parte di donna straniera che si marita con cittadino italiano, sulla quale non risulta ancora pronunciata la sentenza) è di particolare interesse perché concerne la materia qui considerata dato che, riguardando lo stato giuridico di una certa categoria di pubblici dipendenti, ha avuto anche implicazioni sul loro trattamento economico. Con essa la corte, giungendo ad una soluzione favorevole per la finanza pubblica, ha dichiarato infondato il dubbio di costituzionalità circa la mancata immissione nel ruolo dei professori straordinari dell'università degli assistenti ordinari in possesso di determinati requisiti, dopo aver dichiarata incostituzionale, a seguito di sollevazione della relativa questione ex officio (v. l'ord. n. 85 del 1980 e i rilievi su di essa di L. Carlassare, Riflessioni sulla Corte costituzionale come giudice « a quo » e sui giudizi di eguaglianza, in Giur. costit., 1980, 841), la norma (art. 3, 1° comma, d.l. 1° ottobre 1973 n. 580, nel testo modificato dalla 1. di conversione 30 novembre 1973 n. 766) che, facendo eccezione alla regola generale posta dal legislatore, prevedeva l'immissione in ruolo degli « aggregati clinici » (di cui al r.d. 8 febbraio 1937 n. 794, convertito nella 1. 2 giugno 1939 n. 739).

Si può osservare che se, nel giudizio che ha dato origine alla sequenza di sentenze aggiuntive in tema di adeguamento al minimo di pensione si fosse operato analogamente a quanto è stato fatto con l'ordinanza e poi con la sentenza in tema di aggregati clinici, ugualmente sarebbe stato imposto il rispetto del principio d'uguaglian za senza che si ponessero problemi per le finanze pubbliche (in pro posito è anche da notare che le 1. n. 1338 del 1962 e n. 153 del 1969 pur prevedendo nuove spese a carico dell'I .n.p.s. non contengono disposizioni per la copertura mentre ora l'art. 27 1. n. 468, in corretta attuazione dell'art. 81, 4° comma, Cost., dispone che «le leggi che comportano oneri, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 — cioè di quelli appartenenti al c.d. settore pubblico allargato — devono contenere la previsione dell'onere stesso nonché l'indicazio ne della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali»: v., sul punto, Corte cost. n. 92 del 1981, id., 1981, I, 1835, nonché n. 307 del 1983, che sarà riportata in un prossimo fa scicolo).

Ma se in queste due fattispecie l'intervento della corte si è risolto, . o avrebbe potuto risolversi, nella rimozione {invece che nella esten

sione) di una deroga al principio generale risultante dalla legge, prin cipio che veniva fatto salvo, il risultato sarebbe stato diverso {ecco il secondo ostacolo) nel caso della disparità di trattamento tra professori universitari e dirigenti statali se la corte avesse abrogato la disciplina relativa a questi ultimi.

In simile ipotesi infatti l'incostituzionalità non avrebbe potuto es sere dichiarata per il motivo che la disciplina era derogatoria ma piuttosto (stando all'impostazione della corte) perché essa era in sufficientemente generale ed in tal modo la corte avrebbe deviato da quello che sembra essere un canone generalmente seguito nei giu dizi di uguaglianza (v. Cerri, Norma eccezionale, analogia, egua glianza, in Giur. costit., 1982, 10) ove, per rispettare al massimo possibile la volontà del legislatore, tende ad evitare che le sue sentenze trasformino in regola generale (nel caso, il mancato miglio ramento retributivo per tutte le categorie ad avviso della corte da

equipararsi) ciò che il legislatore voleva fosse eccezione (la mancata attribuzione del miglioramento ad una sola di tali categorie).

In tal modo dunque sembrerebbe aversi un'invadenza ancora maggiore dell'attuale dell'azione della corte nell'ambito del potere legislativo (per la relativa tematica, oltre a Zagrebelsky, La Corte costituzionale e il legislatore, cit., v., anche, F. Modugno, Corte costituzionale e potere le gislativo, in Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo, cit., 19 ss.) e ciò non potrebbe non preoccupare. Se si considera però l'evenienza sul piano della effettualità, si deve escludere che la sen tenza della corte riuscirebbe a rendere regola la situazione che il

legislatore voleva fosse eccezione, giacché è assolutamente improbabile che una tale sentenza concluderebbe la vicenda. Non soltanto infatti il legislatore conserverebbe il potere giuridico di riprendere in consi derazione la questione ma è prevedibile che per la pressione degli interessi non potrebbe fare a meno di agire in tal senso. La sentenza avrebbe dunque l'effetto di costringere (questo si) il legislatore a ri prendere in esame il problema e a disporre un trattamento uniforme per tutti i casi che la corte abbia ritenuto meritevoli di eguale trat tamento, ma Io lascerebbe invece libero di raggiungere questo ri sultato o con la estensione a tutte le ipotesi del miglior tratta mento previsto originariamente solo per una parte di esse (assu mendo, in tal caso, responsabilmente la decisione dell'aumento della spesa pubblica e indicando pertanto i mezzi per farvi fronte) ovvero con la redistribuzione tra tutti coloro che la corte abbia dichiarato dover essere trattati egualmente, delle risorse, giudicate non incremen

tabili, originariamente attribuite solo ad alcuni di essi. E cosi, dal momento che nei periodi di risorse decrescenti il problema della loro ripartizione (potendosi risolvere appunto nella necessità di togliere a qualcuno per redistribuire in misura minore tra più) ha una importan za politica (anche se non sempre necessariamente economica) assai

maggiore di quella che gli è proprio in periodi di risorse crescenti, un simile intervento della corte, anche se indubbiamente più clamoroso, potrebbe giudicarsi sostanzialmente più rispettoso della « forma di go verno » disegnata dalla nostra Costituzione di una sentenza che im ponesse l'eguaglianza « verso l'alto ».

7. - Per concludere: la più approfondita considerazione del rilievo dell'art. 81 Cost, che i tempi richiedono sembrerebbe indicare che, per un verso, sarà necessario ricorrere meno di frequente al principio di eguaglianza, verificando più attentamente se certe questioni non possano essere risolte soddisfacentemente accertando l'eventuale viola zione di altri diritti costituzionali e che, per altro verso, occorrerà ve rificare fino in fondo, in talune questioni di disparità di trattamento, la via della messa in discussione del tertium comparationis, onde al meno garantire ai cittadini il diritto « a non subire privilegi odiosi » (cfr. Cerri, op. loc. cit.) rifuggendo dalla tentazione di riconoscere, più facilmente che per il passato, la diversità di situazioni onde giu stificare la diversità dei trattamenti. Sarà da verificare però anche, da una parte, se non sia possibile rendere meno traumatiche certe senten ze demolitorie e, dall'altra, se non si possa trovare per le sentenze aggiuntive di questo tipo una funzione che, pur escludendo che pos sano determinare obblighi di spesa, non le riduca a semplici moniti per il legislatore. In questa direzione risulterebbe che siano emersi interessanti elementi di dibattito nelle giornate di studio svoltesi a Napoli nel novembre scorso (ove è stata anche presentata una stimo lante relazione di V. Caianiello, Corte costituzionale e finanza pub blica, che si è potuto consultare solo quando queste note erano già in bozze).

Domenico Sorace

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 5 gen naio 1984, n. 36; Pres. Pennacchia, Est. Nuovo, P. M. Gaz zara (conci, conf.); Frau (Avv. Bussi, Colomo) c. I.n.p.s. (Avv. Abati, Maresca, Basile, Vario). Conferma Trib. Cagliari 18 luglio 1978.

CORTE DI CASSAZIONE;

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Istituti di pa tronato — Informazioni e osservazioni — Acquisizione — Rile vanza e ammissibilità — Valutazione del giudice — Condizioni — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 446).

L'assistito, che, non riuscendo a procurarsi direttamente e a

fornire in giudizio le informazioni e le osservazioni degli isti tuiti di patronato, intenda farle acquisire al processo, deve ri

volgersi al giudice che è tenuto a pronunciarsi, valutando la

Il Foro Italiano — 1984 — Parle I-4.

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PARTE PRIMA

rilevanza e l'ammissibilità di tali elementi, solo in presenza di istanza specifica e motivata. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 6 agosto 1975 Elena Frau conveniva l'I.n.p.s. davanti al Pretore di Ca

gliari per ottenere la pensione di invalidità, negatale in sede

amministrativa.

L'istituto convenuto resisteva alla domanda, contestando l'as

serita invalidità.

Disposta consulenza tecnica, il pretore adito con sentenza in

data 22 settembre 1976 rigettava la domanda.

Su appello della lavoratrice, il Tribunale di Cagliari, rinno vata la consulenza tecnica, con decisione 18 luglio 1978 confer

mava l'impugnata sentenza.

Rileva il giudice di merito che l'incipiente spondilosi, accer

tata radiologicamente dal consulente di primo grado, era stata

confermata dal consulente nominato in secondo grado, il quale aveva sottoposto l'assicurata sia ad esami funzionali, riscon

trando che a carico del rachide non vi erano né deviazioni as

siali, né contratture muscolari antalgiche, né apprezzabili limi

tazioni funzionali, sia ad esami ematochimici, che avevano escluso

uno stato infiammatorio e dismetabolico responsabile della la

mentata artropatia. Rilevava poi che il secondo consulente, specialista in cardio

logia, sulla base della normalità del tracciato elettrocardiografico e della « silhouette » cardiaca e tenuto conto delle note di ne

vrosi d'ansia con cenestopatia, emerse in sede di esame psichico

eseguito da uno specialista in malattie nervose e mentali, aveva escluso le miocardiosclerosi diagnosticata dal consulente di pri mo grado, attribuendo la sintomatologia denunciata alle lievi note

di nevrosi.

Osservava infine che la cistite era in fase di remissione e che

comunque dagli esami di laboratorio era stata esclusa l'origine tubercolare e riscontrata l'integrità della funzione renale.

Concludeva il tribunale che le affezioni accertate, erano tutte

di modesta entità, prive di apprezzabili limitazioni funzionali e

tali da non incidere sulla capacità di guadagno della Frau, che, sia per l'età (47 anni) che per il mestiere di sarta da essa svolto

(attività che è sedentaria e non gravosa sotto il profilo fisico

dinamico), poteva continuare a lavorare senza rischio di abnor

me usura.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione la Frau dedu cendo tre motivi di annullamento. Resiste l'I.n.p.s. chiedendo la

reiezione dell'impugnazione.

(1) Prendendo lo spunto dai rilievi critici di G. Pezzano a Cass. 6

aprile 1983, n. 2387, Foro it., 1983, I, 873 (nello stesso senso di tale pronuncia, in precedenza: Cass. 22 ottobre 1982, n. 5511 e 16 marzo 1982, n. 1716, id., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), nn. 587, 588; successivamente: Cass. 25 maggio 1983, n. 3267, id., Mass., 750; 11 giugno 1983, n. 4039, ibid., 846; contra, sia pure in termini alquanto generici, Cass. 11 giugno 1983, n. 4043, ibid., 846), la corte ritorna sul problema della introduzione nel processo delle informazioni e delle osservazioni previste dall'art. 446 c.p.c. (le quali, per Cass. 29 marzo 1983, n. 2260, ibid., 464, non rivestono carattere di accertamento precostituito e vincolante, ma hanno valore di meri elementi di fatto utili ai fini del giudizio, che eventualmente, secondo l'apprezzamento discrezionale del giudice, possono essere sottoposti alla valutazione del consulente tecnico), problema che, fatta eccezione per l'ipotesi di produzione in giudizio da parte dell'assistito dei do cumenti contenenti le anzidette informazioni e osservazioni, risolve nel senso, indicato da Pezzano, di ritenere soggetta a valutazione giu diziale di rilevanza e di ammissibilità l'istanza volta ad ottenere l'ac quisizione degli elementi di cui al ripetuto art. 446.

A siffatta impostazione di fondo, aderente alle finalità perseguite dal legislatore del 1973, la corte fa seguire la precisazione (che si coglie, peraltro, già in Cass. 6 febbraio 1982, n. 718, id., Rep. 1982, voce cit., n. 592; e, sia pure con formulazione meno precisa, in Cass. 13 maggio 1982, n. 2979, ibid., n. 591), logicamente coerente, che « l'istanza di parte deve essere motivata con l'indicazione, almeno nelle sue linee generali, del tema delle informazioni e osservazioni, che si vogliono acquisire al processo, e ciò sia perché deve essere l'assistito e non il rappresentante del patronato ad individuare gli argomenti ri levanti per il giudizio, sia perché il giudice possa valutare se l'ac quisizione di tali elementi, per la loro rilevanza ed ammissibilità, giu stifichi l'attività processuale necessaria e l'eventuale dilazione della decisione della causa e spiegare, in caso di valutazione negativa, le ragioni del diniego ». Di modo che la domanda dell'assistito generica e ambigua (come quella formulata nella specie dalla Frau per far « disporre gli strumenti processuali per acquisire le osservazioni del patronato ACLI »), « non consentendo al giudice alcuna valutazione, non merita nessuna considerazione e non permette in questa sede alcun controllo sul rapporto di causalità logica tra il mezzo istrut torio non ammesso e la soluzione giuridica data dal giudice alla controversia ».

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo, de nunciando la violazione dell'art. 446 c.p.c. anche in relazione al l'art. 360 cjp.c., lamenta la ricorrente che il tribunale non abbia da to giustificazione alcuna del mancato accoglimento dell'istanza di ac

quisizione delle osservazioni e informazioni del patronato ACLI.

Anche questo motivo è infondato. Dispone l'art. 446 c.p.c. che « gli istituti di patronato e assistenza sociale legalmente ricono

sciuti possono, su istanza dell'assistito, in ogni grado del giudi zio, rendere informazioni e osservazioni orali o scritte nella

forma di cui all'art. 425 ».

Sul procedimento di acquisizione al processo di tali elementi

vi è contrasto in dottrina, sostenendosi da alcuni che tocca al

giudice valutare l'utilità della richiesta delle informazioni e

osservazioni, per cui occorre una specifica istanza di parte e una

delibazione da parte del giudice, e affermandosi invece da altri

che la parte può acquisire tali elementi al processo senza me

diazione del giudice, il quale non può rifiutare le osservazioni e

le informazioni che il patronato intende rendere.

Anche la giurisprudenza di questa corte non è univoca, affer

mandosi in alcune decisioni il principio secondo il quale il giu dice è tenuto a prendere in esame l'istanza di parte di acquisi zione di tali elementi ed a indicare gli specifici motivi in base ai quali ritenga di disattenderla (vedi in questo senso Cass. 7

luglio 1978, n. 3392, Foro it., Rep. 1978, voce Lavoro e previ denza (controversie), n. 420; 13 maggio 1982, n. 2979, id., Rep. 1982, voce cit., n. 591) motivazione che può essere anche impli cita (Cass. 20 gennaio 1983, n. 541, id., Mass., 109), mentre in

altre sentenze si è stabilito che l'assistito non può limitarsi a

proporre detta istanza non essendo previsto che il giudice valuti

preventivamente la rilevanza del mezzo istruttorio, ma è tenuto a produrre tali informazioni ed osservazioni, ove redatte per iscritto, o a far presentare all'udienza di discussione il rappre sentante del patronato al fine di rendere la stessa in forma orale, salvo naturalmente il potere del giudice medesimo di non tener conto di dichiarazioni scritte o di non consentire dichiarazioni

verbali, che non riguardino il tema della causa {vedi in questo senso Cass. 16 marzo 1982, n. 1716, id., Rep. 1982, voce cit., n.

588; 22 ottobre 1982, n. 5511, ibid., n. 587; 6 aprile 1983, n.

2387, id., 1983, I, 873).

Una recente dottrina, commentando quest'ultima decisione, dopo aver sottolineato che le osservazioni e le informazioni degli isti

tuti di patronato rappresentano pur sempre un qualificato stru

mento processuale mirante a fornire al giudice elementi di con

vincimento da valutarsi a norma dell'art. 116 c.p.c., ritiene incom

patibile con la struttura del processo del lavoro l'introduzione di

fonti di convincimento ad libitum di una parte, svincolata da

ogni delibazione preventiva del giudice. Di qui la necessità dell'istanza di parte' e della delibazione

della stessa da parte del giudice, per valutare se gli elementi che si vorrebbero richiedere agli istituti di patronato siano rilevanti e ammissibili, evitando cosi istanze dilatorie o palesemente su

perflue alla stregua del materiale probatorio già acquisito. Del resto la legge, subordinando le informazioni e le osserva

zioni all'istanza di parte, ha usato tale termine in senso tecnico,

per indicare la sollecitazione di un provvedimento del giudice. La questione merita, quindi, qualche ulteriore approfondi

mento.

È constatazione unanime della dottrina che, a differenza della

partecipazione al giudizio dei sindacati, che è prevista dalla legge a tutela di entrambe le parti in causa e a difesa degli interessi

collettivi, la partecipazione degli istituti di patronato è diretta a

tutelare esclusivamente gli interessi individuali dell'assistito; a

ciò si aggiunge l'ulteriore constatazione di fatto che nella quasi totalità dei casi la stessa tutela giurisdizionale degli assistiti è

assicurata dal patronato, che vi provvede con propri legali.

Va rilevato altresì' che le osservazioni e informazioni possono essere rese solo su richiesta dell'assistito ed entro i limiti da lui

stesso fissati: è infatti opinione quasi unanime che l'art. 446

c.p.c., non contenendo come l'art. 421 c.p.c. una disposizione

espressa in proposito, esclude la possibilità di un'analoga richie sta da parte del giudice.

È stato rilevato che tale istituto ha avuto in questi anni scarsa

applicazione, ma ciò non ha determinato un difetto di tutela per i lavoratori, perché gli scopi perseguiti dalla norma sono stati

raggiunti per altra via. Assumendo la tutela giurisdizionale degli assistiti, il patro

nato provvede infatti a fornire direttamente alla difesa tutti gli elementi documentali e medico-legali delle fasi pregresse, che do vrebbero costituire il nucleo essenziale delle informazioni, pre viste dall'art. 446 c.p.c., e spesso procura attraverso medici di

fiducia quelle consulenze di parte, che dovrebbero costituire le

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

osservazioni previste dalla predetta norma: il che non esclude,

tuttavia, che vi è un vasto campo di dati e informazioni che il

patronato potrebbe fornire, dati difficilmente accertabili nel pro cesso eppure estremamente preziosi ai fini del giudizio (dati socio

economici sugli ambienti di lavoro, sull'occupazione, sulla no

cività delle lavorazioni e sulle tecnopatie, ecc.).

Comunque l'acquisizione di tali elementi non deve essere ne

cessariamente effettuata attraverso un'attività processuale: anche

quando avvengano nel processo, le informazioni e le osservazioni

sono rese dal rappresentante del patronato senza alcuna possi bilità di intervento delle altre parti. Perciò, specie quando la

difesa dell'assistito è assunta dallo stesso patronato, sarebbe con

trario ai principi di economia processuale e di concentrazione

che si debba richiedere al giudice di disporre tale acquisizione,

quando è molto più semplice produrre in causa le osservazioni e le informazioni scritte dal patronato, quali documenti allegati al ricorso introduttivo di primo o secondo grado.

In tal caso nessuna delibazione preventiva deve essere com

piuta, non essendo la produzione di documenti, nemmeno in

appello, soggetta ad autorizzazione o ad ammissione da parte del giudice, che da essi trarrà elementi di convincimento, solo

se li riterrà rilevanti.

Ma se l'assistito non è riuscito a procurarsi stragiudizialmente tali elementi o se la necessità di acquisire le osservazioni e le informazioni sorge nel corso del giudizio (ad esempio dopo lo

espletamento della consulenza tecnica) o comunque quando è pre clusa la produzione di nuovi documenti, l'unico modo di acqui sizione di tali elementi è quello processuale, e cioè l'audizione nella stessa udienza, se presente, o in un'udienza successiva, fis sata a norma dell'art. 420, 6° comma, c.p.c., di un rappresentante dell'istituto di patronato, perché renda per iscritto od oralmente le osservazioni e le informazioni richieste.

Ora, quando l'art. 446 c.p.c. stabilisce che ciò avvenga su istanza dell'assistito, sottolinea solo che l'acquisizione di tali ele

menti, anche quanto al loro contenuto, rientra nel potere dispo sitivo di una parte, ma non incide minimamente sui poteri del

giudice di direzione del processo e di valutazione della necessità

dell'acquisizione degli elementi necessari per il giudizio. L'istanza di parte deve, quindi, essere motivata con l'indica

zione, almeno nelle sue linee 'generali, del tema delle informa zioni e osservazioni, che si vogliono acquisire al processo, e ciò sia perché deve essere l'assistito e non il rappresentante del pa tronato ad individuare gli argomenti rilevanti per il giudizio, sia

perché il giudice possa valutare se l'acquisizione di tali ele

menti, per la loro rilevanza e ammissibilità, giustifichi l'attività

processuale necessaria e l'eventuale dilazione della decisione del la causa e spiegare in caso di valutazione negativa le ragioni del diniego.

È superfluo aggiungere che la motivazione dell'istanza dell'as sistito è rilevante anche nel successivo giudizio di legittimità per la valutazione della decisività o meno del punto trascurato dal

giudice di merito.

Non risponde certo a tali requisiti la istanza proposta dalla Frau con il ricorso in appello, istanza che, lungi dall'indicare il tema sul quale venivano richieste le osservazioni e le informa zioni del patronato, si limitava a richiedere al giudice « di di

sporre gli strumenti processuali per acquisire le osservazioni del

patronato ACLI ».

La genericità e ambiguità di una domanda del genere, non consentendo al giudice alcuna valutazione, non meritava quindi nessuna considerazione e non permette in questa sede alcun con trollo sul rapporto di causalità logica tra il mezzo istruttorio non ammesso e la soluzione giuridica data dal giudice alla con troversia. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 3 gennaio 1984, n. 1; Pres. Dondona, Est. Nuovo, P. M. Valente (conci, conf.); Ballarmi (Avv. Agostini) c. Soc. De Rossi e Maestri

(Avv. Raffaglio). Conferma Trib. Brescia 21 luglio 1979.

Eiezioni — Componenti i seggi elettorali — Ferie retribuite —

Estensione della disciplina alle elezioni amministrative —

Esclusione — Fattispecie (D.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, t.u. delle leggi per l'elezione della camera dei deputati, art. 119; 1. 30 aprile 1981 n. 178, estensione della norma dell'art. 119 t.u. 30 marzo 1957 n. 361 alle elezioni comunali, provinciali e regionali, art. 3).

Elezioni — Componenti i seggi elettorali — Ferie retribuite —

Mancata estensione della disciplina alle elezioni amministrative — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 51; d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, art. 119).

L'art. 119 t.u. 30 marzo 1957 n. 361, che garantisce il diritto a

tre giorni di ferie retribuite ai lavoratori dipendenti chiamati

■ a svolgere funzioni nei seggi elettorali in occasione delle con

sultazioni politiche, in quanto norma eccezionale, non può ap

plicarsi in via analogica alle elezioni amministrative, estranee

alla previsione dell'art. 3 l. 30 aprile 1981 n. 178. (1) £ manifestamente infondata, per le ragioni indicate nella sent.

26 febbraio 1981, n. 35 della Corte cost., la questione di le

gittimità costituzionale dell'art. 119 t.u. 30 marzo 1957 n. 361

nella parte in cui non estende alle elezioni amministrative il

diritto a tre giorni di ferie retribuite garantito ai lavoratori

dipendenti chiamati a svolgere funzioni presso gli uffici elet

torali in occasione delle consultazioni politiche, in riferimento

agli art. 3 e 51 Cost. (2)

Svolgimento del processo. — Ballarmi Mario, dipendente della

società De Rossi e Maestri, in occasione delle elezioni ammini

strative, tenutesi il 15, 16 e 17 giugno 1975, svolse !e funzioni di

rappresentante di lista, e con ricorso in data 11 dicembre 1978

convenne davanti al Pretore di Brescia ha propria datrice di

lavoro per ottenere la retribuzione relativa alle suddette tre

giornate. Costituitasi in giudizio, la società convenuta contestava la ri

chiesta, rilevando che la disposizione contenuta nell'art. 119 t.u.

30 marzo 1957 n. 361 sulle elezioni politiche, in base alla quale il datore di lavoro ha l'onere di corrispondere al lavoratore che

partecipi all'organizzazione delle elezioni politiche tre giorni di

ferie straordinarie in coincidenza con lo svolgimento da parte del lavoratore stesso di una pubblica funzione presso gli uffici

elettorali, non era suscettibile, quale norma eccezionale, di inter

pretazione analogica. Il pretore adito con sentenza in data 16 febbraio 1979 acco

glieva la domanda, ma il Tribunale di Brescia, su impugnazione della società, la respingeva.

Osservava il giudice di merito che il ricorso all'analogia è

possibile quando manchi una precisa disposizione in proposito, mentre nella specie la controversia può essere decisa sulla base

della legge, che non prevede retribuzione alcuna in occasione

delle elezioni amministrative.

Escludeva poi che tale disposizione potesse ritenersi in con

trasto con l'art. 51 Cost., che riguarda la diversa ipotesi delle

persone chiamate a funzioni pubbliche elettive, e rilevava che, in difetto di una norma che conferisca espressamente il diritto

alla retribuzione, questo non può che venir meno in mancanza

della prestazione lavorativa, dato che il rapporto di lavoro ha

pur sempre un contenuto sinallagmatico. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Ballarmi, de

ducendo un unico motivo di annullamento. Resiste la società De

Rossi e Maestri con controricorso, chiedendo la reiezione della

impugnazione. Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso de

nuncia il Ballarmi la falsa applicazione dell'art. 119 t.u. 30 marzo

1957 n. 361 nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria moti

vazione circa un punto decisivo della controversia.

Sostiene il ricorrente che o si ritiene possibile l'interpretazione analogica del citato art. 119, estendendo al lavoratore che par tecipi alla organizzazione delle elezioni amministrative lo stesso

(1) La sentenza confermata Trib. Brescia 21 luglio 1979 è rias sunta in Foro it., Rep. 1980, voce Elezioni, n. 60 e riportata per esteso in Orient, giur. lav., 1979, 1033.

Nei precisi termini della massima, Cass. 17 gennaio 1983, n. 370, Foro it., Mass., 80; 27 aprile 1982, n. 2602, id., Rep. 1982, voce cit., n. 100; 15 settembre 1981, n. 5118, id., Rep. 1981, voce cit., n. 79 (annotata da Meucci, in Giust civ., 1981, I, 2850).

Sul contrastante orientamento dei giudici di merito cons, i precedenti richiamati in nota a Corte cost. 8 luglio 1982, n. 124, Foro it., 1983, I, 869, che ha ritenuto manifestamente infondate e infondate le (esa minate) questioni di costituzionalità dell'art. 119 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361 in riferimento agli art. 36, 3° comma, 2, 3, 1° comma, 51 e 53, 1° comma, Cost.

(2) Corte cost. 26 febbraio 1981, n. 35, cui si è uniformata la ripor tata sentenza, leggesi in Foro it., 1981, I, 1232, con osservazioni di V. Messerini.

Per qualche riferimento, a proposito della infondatezza della que stione di costituzionalità dell'art. 8, 2° comma, d.p.r. n. 361 del 1957 in relazione agli art. 3, 51, 1° e 3" comma, 107, 1° comma, Cost., Corte cost. 26 ottobre 1982, n. 172, id., 1983, I, 2678, con osservazioni di V. Messerini.

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