Sezione lavoro; sentenza 5 giugno 1981, n. 3639; Pres. Renda, Est. Nocella, P. M. Cecere (concl.diff.); Durazzo (Avv. Valensise, Pelligra) c. Soc. maglificio Gipiel (Avv. Raganelli). ConfermaTrib. Vigevano 10 marzo 1976Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2441/2442-2445/2446Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172929 .
Accessed: 28/06/2014 17:58
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 17:58:38 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
striali ed il potenziamento di quelle già esistenti, accelerando così lo sviluppo economico dell'area meridionale, in conformità ad uno degli obiettivi prioritari del piano di sviluppo economico
quinquennale. « La messa in moto degli strumenti legislativi adoperati avrà
senza dubbio conseguenze economiche e psicologiche altamente
positive, sia sugli imprenditori che sui consumatori, anche se, fatta eccezione per la riduzione degli oneri sociali, le disposte provvidenze potranno agire effettivamente sull'andamento del ci clo con azione più o meno posticipata.
« Sembra, infine, necessario precisare che l'art. 18 si debba ap plicare anche a quegli stabilimenti industriali ubicati nel Mezzo
giorno, la cui sede legale si trovi fuori dei -territori ricadenti nella competenza della Cassa per il Mezzogiorno. Già nel passato, infatti, tali stabilimenti hanno usufruito delle agevolazioni previ ste dalle leggi sul Mezzogiorno, sia per quanto riguarda imposte dirette (ricchezza mobile) che imposte indirette (registro ed i.g.e.).
« Inoltre la lettera dell'art. 18, nonché lo stesso spirito agevo lativo, non contrastano con la suddetta interpretazione, poiché quando il legislatore ha voluto limitare le facilitazioni per le in dustrie installate, anche in senso giuridico, nei territori agevolati, 10 ha detto esplicitamente: v. art. 14 legge 26 giugno 1965 n.
717, art. 8, legge 22 luglio 1966 n. 614 e art. 8, legge 29 luglio 1957 n. 635 » (Camera dei deputati - V legislatura - disegni di
legge e relazioni - documento n. 368). Da tale intenzione del legislatore, pertanto, nonché dalla formu
lazione del 4° e 5° comma dell'art. 18 in esame, discende che 11 ricorso deve essere ritenuto manifestamente infondato: con
esso, infatti, si ammette esplicitamente che la società ricorrente « incentivava l'occupazione nelle aree meridionali ed avrebbe po tuto farlo ancora di più, forse anche attraverso la costituzione di un impianto locale o, almeno, di un ufficio, se avesse potuto beneficiare degli sgravi accordati ad altre aziende », quando, in
vece, si è già detto che costituisce requisito essenziale per la concessione dello sgravio aggiuntivo proprio l'installazione di una dipendenza aziendale, di un cantiere o di un'unità operativa.
Non v'è dubbio, quindi, che la società suddetta avrebbe potuto avere diritto soltanto allo sgravio di ordine generale previsto dal
primo comma della norma invocata, di cui, però, non è mai stata fatta questione, ma in nessun caso avrebbe potuto avere diritto a quello aggiuntivo di cui al 4° e 5° comma dell'art. 18.
Anche il rilievo concernente l'incostituzionalità della norma per contrasto con l'art. 36 Cost, è infondalo, perché uno degli scopi del legislatore è stato quello di aumentare la domanda di con sumo delle aree depresse del Mezzogiorno, in modo da permet tere l'acquisto dei prodotti che i nuovi insediamenti industriali avrebbero posto sul mercato, e tale fine non poteva essere rag giunto se non aumentando indirettamente la retribuzione dei la
voratori dipendenti dalle imprese avvantaggiate mediante la con cessione degli sgravi da applicarsi anche sulle loro retribuzioni
(1,50%). Di tanto ne dà esplicita conferma la relazione parlamentare già
citata, là dove accenna che « dopo le considerazioni particolari sulle singole misure è possibile ora formulare un giudizio com.
plessivo sul decreto-legge in esame, valutando soprattutto la sua
adeguatezza al fine che esso si propone. « Per raggiungere lo scopo esso segue tre direttive: l'incre
mento della domanda dei beni di consumo e di investimento,
quindi la tonificazione della produzione industriale e lo sviluppo dell'occupazione ».
La disparità di trattamento rilevata, quindi, non è stata affatto
ingiustificata, bensì è stata valutata come addirittura necessaria
per consentire il riavvicinamento della divaricazione tra consumi
ed investimenti nel Sud rispetto al Nord, sf da perequare il più
possibile lo sviluppo occupazionale ed il livello industriale della
nazione.
Da quanto fin qui esposto consegue che il ricorso è infondato
e deve essere rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 5 giugno
1981, n. 3639; Pres. Renda, Est. Nocella, P. M. Cecere (conci,
diff.); Durazzo (Avv. Valensise, Pelligra) c. Soc. maglifìcio Gi
piel (Avv. Raganelli). Conferma Trib. Vigevano 10 marzo
1976.
Lavoro (rapporto) — Lavoro a domicilio — Nozione — Valuta
zione del giudice di merito (Legge 18 dicembre 1973 n. 877, nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio, art. 1; leg
ge 16 dicembre 1980 n. 858, interpretazione autentica e mo
dificazione dell'art. 1 legge 18 dicembre 1973 n. 877, art. 1).
È correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che, al fine di escludere la configurabilità di un rapporto di lavoro a domicilio, attribuisce rilievo discriminante alle circostanze:
a) della iscrizione del lavorante alla camera di commercio qua le ditta individuale esercente un maglificio; b) del rilascio di
fatture al committente e della contestazione circa l'esonero dal
pagamento dell'i.v.a.; c) della proprietà in capo al lavoratore di attrezzature complesse comportanti un notevole investimen to di capitali; d) della sussistenza del rischio di impresa, de dotta dalla possibilità per il committente di protestare e non retribuire il prodotto non realizzato a regola d'arte; e) della mancanza di qualsivoglia ingerenza nella modalità di esecuzio ne dei lavori; f) del mancato esercizio da parte del committente del potere disciplinare nel corso dell'esecuzione dell'attività. (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso del 18 settembre 1975 Durazzo Francesco, assumendo di aver pre stato lavoro a domicilio subordinato alle dipendenze della Gipiel s.n.c., conveniva in giudizio davanti al Pretore di Vigevano la
predetta società per sentirla condannare al pagamento a suo fa vore di retribuzioni per lire 600.370 oltre alle indennità e agli adempimenti di legge.
La società convenuta, costituitasi in giudizio, contestava il fon damento delle pretese, sostenendo che le commesse erano state affidate alla ditta Durazzo, iscritta all'albo delle imprese artigia ne ed alla camera di commercio, che si era qualificata come im
presa artigiana svolgente lavoro per conto terzi. Con sentenza del 10 novembre 1975 l'adito pretore rigettava
la domanda, disponendo con separata ordinanza che la questione relativa al mancato pagamento della somma richiesta proseguisse avanti al giudice competente.
Con sentenza del 10 marzo 1976 il Tribunale di Vigevano ri
gettava l'appello, proposto dal Durazzo, che condannava al pa gamento delle spese giudiziali di secondo grado.
Nella motivazione il tribunale osservava che il Durazzo svolse
per la Gipiel un'attività totalmente autonoma, come poteva de dursi dall'esame degli aspetti soggettivi ed oggettivi del rapporto.
Dal punto di vista soggettivo il predetto, per sua stessa ammis
sione, era iscritto all'albo delle imprese artigiane e alla camera
di commercio quale ditta esercente maglificio; il Durazzo non
aveva dimostrato il suo assunto circa una costrizione, che la Gi
piel avrebbe operato per eseguire tali iscrizioni, che costituivano
peraltro atti amministrativi con presunzione di legittimità; lo stes so Durazzo si considerava artigiano a tutti gli effetti, tanto che
scrisse alla Gipiel che le fatture, da lui emesse, dovevano consi
derarsi esenti dall'i.v.a., non avendo egli raggiunto un fatturato
superiore a lire 5.000.000. Non assumeva rilevanza al fine di esclu
dere la qualifica artigianale il fatto che il lavoratore disponesse di macchine di maglieria di sua proprietà e che il lavoro fosse
svolto da lui e dalla sua famiglia, trattandosi di circostanza com
patibile sia con il lavoro a domicilio autonomo sia con quello subordinato.
Dal punto di vista oggettivo — proseguiva il tribunale — non
sussisteva alcuno degli elementi idonei ad operare la distinzione
tra i due tipi di rapporto. Anche se la circostanza che le macchi
ne di maglieria fossero di proprietà del Durazzo non potevano costituire utile elemento di discriminazione agli effetti dell'art. 1
legge 18 dicembre 1973 n. 877, non si poteva tuttavia ignorare che l'acquisto delle macchine dette luogo ad un investimento di
capitali, incompatibile con il lavoro subordinato a domicilio. Non
sussisteva il requisito della cosiddetta subordinazione economica, atteso che l'attività dell'appellante era normalmente eseguita per
(1) Della sentenza vanno segnalate le affermazioni: a) della de cisiva « innovatività » della legge n. 877/1973 rispetto alla preceden te normativa, b) del superamento della distinzione fra lavoro a do
micilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, c) della confi
gurazione della subordinazione come una species (derogatoria) del
genus della subordinazione di cui all'art. 2094 cod. civile. In argomento in senso non precisamente conforme v., di recente,
Cass. 1° dicembre 1980, n. 6290, Foro it., 1981, I, 2015 (che ha ritenuto non stipulabile con un soggetto avente diritto all'assunzione
obbligatoria un contratto di lavoro a domicilio, proprio sul presup posto della non identifìcabilità di tale contratto come una sottospe cie di quello di lavoro subordinato); Cass. 17 marzo 1981, n. 1570,
id., 1981, I, 1949 (che ha esaminato la questione ai fini della deli
bazione del problema dell'applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali anche al rapporto di lavoro a domicilio), entrambe con note di richiami.
Mette conto, altresì, notare che la Cassazione non si avvale, per escludere la sussistenza di siffatto rapporto del dato della necessaria « comproprietà » dei mezzi di produzione postulata dal testo della
legge n. 877/1973 approvato, promulgato e riconfermato dalla legge interpretativa n. 858/1980 fino al momento della sua entrata in vigore.
This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 17:58:38 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2443 PARTE PRIMA 2444
conto di vari committenti. Non sussisteva l'assunzione del rischio
di impresa da parte del datore di lavoro, giacché intercorrevano con il lavoratore caratteristici rapporti di contratto d'opera, come
poteva dedursi dal fatto che le lavorazioni non eseguite a regola d'arte venivano protestate e non pagate. Mancava inoltre la su
bordinazione gerarchica, essendo emerso che la Gipiel non svol
geva alcuna ingerenza o qualsiasi controllo, più o meno pene trante, sul modo di svolgimento della attività, ma si limitava a
sollecitare il rispetto dei termini di consegna del lavoro finito.
Infine era del tutto insussistente il potere disciplinare della so
cietà datrice di lavoro, alla quale spettava solo la possibilità di
procedere giudizialmente nei confronti del lavoratore in caso di
inadempimento.
Aggiungeva il tribunale che al fine di dimostrare la sussisten
za della subordinazione erano inconsistenti le argomentazioni del
l'appellante. Infatti le particolari istruzioni, che il committente
forniva per l'esecuzione dei lavori, costituivano indicazioni ne
cessarie per individuare le caratteristiche che avrebbero dovuto
assumere i lavori da eseguire, che, specialmente per quanto ri
guarda i « capi » confezionati, dovevano rispondere a determinati
requisiti sia per misura sia per colore sia per tipo di lavorazione. A prescindere dalla considerazione che il Durazzo non si limi
tava ad eseguire parti di capi di maglieria ma confezionava an
che capi interi, l'esecuzione dell'intero o di parte di capo non
assumeva rilevanza agli effetti dell'art. 1 legge n. 877 del 1973.
Infine nessuna indicazione circa la sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato poteva desumersi dalla circostanza che il pro dotto del lavoro non venisse immesso direttamente sul mercato, ma interamente assorbito da un altro imprenditore, giacché mol
tissime imprese artigiane svolgono la loro attività « per conto
terzi » senza che per ciò possa sorgere alcun dubbio circa il ca
rattere autonomo del rapporto di lavoro che le lega ai commit
tenti per i quali esplicano la loro attività.
Ricorre per cassazione il Durazzo, formulando due motivi di
annullamento. Resiste con controricorso la Gipiel s.n.c.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denuncia
violazione dell'art. 1 legge 8 dicembre 1973 n. 877 e delle norme
di tutela del lavoro a domicilio e dell'art. 2094 cod. civ. nonché
difetto di motivazione e si sostiene che la definizione della subor
dinazione, data dall'art. 1 citato in termini espressamente dero
gatori della definizione formulata dall'art. 2094 cod. civ., im
plica che nel lavoro a domicilio tale subordinazione è qualificata non tanto dall'inserimento soggettivo di un lavoratore nell'orga nizzazione aziendale quanto dall'inserimento oggettivo-funzionale della lavorazione nel normale ciclo produttivo dell'azienda: tale
inserimento nella specie si era verificato, atteso che le prestazioni del Durazzo si inserivano programmaticamente nel ciclo produt tivo dell'impresa Gipiel con ovvia subordinazione alle direttive
tecniche dell'imprenditore. Il che esimeva il giudice del merito
dall'esaminare gli indici di subordinazione, che potevano avva
lorare la sussistenza di un lavoro subordinato, atteso che la even
tuale mancanza di essi non poteva mai determinare l'insussisten
za di un lavoro a domicilio. Inoltre il giudice d'appello non ha
dato esauriente spiegazione della reiezione delle istanze istrutto
rie, proposte dal ricorrente al fine di una corretta qualificazione del rapporto.
Il motivo è infondato. L'art. 1 legge 18 dicembre 1973 n. 877
nell'interpretazione autentica di cui alla legge 6 dicembre 1980 n.
852 contiene nei suoi tre comma la definizione esauriente e com
pleta del lavoro a domicilio nel preciso intento, evidenziato dai
lavori preparatori, di pervenire ad una piena ed integrale tutela
di tale rapporto fondata sulla disciplina dello stesso come forma
di decentramento produttivo. La norma nel suo coordinato com
plesso mentre ribadisce che il lavoro a domicilio è svolto in
senso spaziale fuori delle pertinenze aziendali (1° e 3° comma) con un nucleo organizzativo autonomo, di carattere familiare
(conviventi a carico con esclusione di manodopera salariata e di
apprendisti), che utilizza materie prime o accessorie e attrezza
ture proprie e dello stesso imprenditore, identifica l'oggetto della
prestazione nel « lavoro da svolgere » (2° comma) nella esecu
zione parziale, nel completamento e nell'integrale lavorazione
del prodotto oggetto dell'attività dell'imprenditore, e cioè nella
energia lavorativa, considerata come strumento tecnico-economi
co dell'esercizio di una impresa; l'esecuzione parziale, comple mentare o integrale del prodotto non viene considerata come ca
ratteristica di un risultato (opus) ma come modalità di un lavoro
(operae), utilizzato in funzione sostitutiva di quello eseguito al
l'interno dell'azienda. La stessa norma al 2° comma dispone che
la subordinazione « agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito dall'art. 2094 cod. civ. ricorre quando il lavo
ratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'impren
ditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i re
quisiti del lavoro da svolgere ».
Nel complessivo contesto della norma il vincolo di subordina
zione assume, pertanto, un significato particolare, qualificato non
tanto dall'elemento atipico della collaborazione, comune ad ogni
tipo di rapporto di lavoro, inteso come inserimento del lavora
tore nell'organizzazione aziendale, quanto da quello tipico del
l'inserimento di esso nel ciclo produttivo dell'azienda, di cui il
lavoratore a domicilio, benché esterno, è uno dei possibili stru
menti tecnico-economici.
In tale nuova prospettiva la nozione legale del lavoro a do
micilio, mentre supera nel suo interno la contrapposizione tra
lavoratore a domicilio autonomo e lavoratore a domicilio subor
dinato, definendo come subordinato ogni lavoratore a domicilio, in possesso dei requisiti richiesti, costituisce un adattamento alla
specialità del rapporto del concetto generale di subordinazione, delineato dall'art. 2094 cod. civ. come la risultante di compo nenti tecniche, funzionali e personali, che esprimono nel loro
complesso la disponibilità dell'energia lavorativa del prestatore da parte del datore di lavoro, che la utilizza e la organizza al fine
di raggiungere le finalità imprenditoriali. In tal senso e cioè come
una relazione di species a genus dev'essere intesa la deroga, espres sa dalla norma limitatamente agli effetti della legge.
I requisiti, richiesti dalla nuova legge, mentre consentono di
stabilirne la radicale portata innovativa rispetto alla legge 13 mar
zo 1958 n. 264, impediscono di considerare idonei gli indici sin
tomatici, a cui normalmente ricorreva la giurisprudenza per ca
ratterizzare il lavoro a domicilio.
È così razionalmente spiegabile che la subordinazione mentre
assume, secondo i dati normativi, aspetti diversi e attenuati ri
spetto al comune rapporto di lavoro, non si identifica nemmeno
nella cosiddetta subordinazione tecnica, che, discussa dal lato sin
tomatico in quanto coincideva con la semplice sottoposizione del
lavoratore alle direttive impartitegli dal committente, non si rite
neva vincolante per essere prevista da una norma regolamentare
(d. pres. 13 dicembre 1959 n. 1289).
La stessa nuova legge, innovando rispetto a quella del 1958, non contiene più alcun riferimento all'iscrizione all'albo degli
artigiani, usata spesso come prova precostituita della qualità im
prenditoriale del lavoratore a domicilio, talché ad essa non può attribuirsi alcun inequivoco significato presuntivo.
La destinazione della produzione mentre ha rilevanza come
espressione di una funzione complementare e sostitutiva dei beni
prodotti all'interno dell'azienda non ha l'ulteriore significato di
escludere che il lavoratore a domicilio abbia rapporti diretti con
il mercato, essendo specificamente previsto dalla norma (art. 1, 1° comma) che il lavoro sia eseguito per conto di uno o più im
prenditori. È indifferente, poi, che la fornitura delle materie prime o ac
cessorie e delle attrezzature provenga dal lavoratore oppure di
rettamente o indirettamente dall'imprenditore mentre, esclusa la
manodopera salariata, l'organizzazione dei mezzi produttivi si
esaurisce nell'ambito del nucleo familiare convivente e consiste
in un aiuto accessorio dei membri di esso.
Infine la riconsegna del lavoro eseguito (art. 10, 2° comma) ine
risce all'adempimento di un'obbligazione del più vario contenuto
ed è quindi di per sé un indice incolore ed equivoco, tanto più che la mancanza di un termine di riconsegna non esclude l'inte
resse del lavoratore ad eseguire il lavoro nel più breve tempo
possibile. Alla stregua degli accennati criteri interpretativi può ravvisarsi
erroneo il ragionamento del giudice d'appello nella parte in cui, non attribuendo alcun valore derogatorio alla norma, che definisce
il lavoro a domicilio, distingue, all'interno di esso, un lavoro a
domicilio autonomo ed un lavoro a domicilio subordinato, senza
considerare che la distinzione deve intendersi superata una volta che
sussistano gli elementi richiesti dalla legge perché ricorra il la
voro a domicilio, e ricorre poi ad alcuni indici sintomatici non
più utilizzabili in base alla nuova definizione legislativa. È indubbio però che il lavoro a domicilio, quale rapporto spe
ciale subordinato inserito nel fenomeno del decentramento pro duttivo, anche se presenta notevoli aspetti di autonomia, che lo
pone in una zona di confine rispetto ad esso, si distingue dal
rapporto di lavoro autonomo, che è invece inserito nel più gene rale fenomeno di integrazione produttiva tra più imprese. La di
stinzione trova fondamento non soltanto, in senso negativo, nella
mancanza degli elementi caratteristici del lavoro a domicilio, ma
anche, in senso positivo, nella presenza degli elementi caratte
ristici, di per sé idonei a definire il lavoro autonomo, quali l'og
getto del rapporto, costituito da un risultato produttivo; l'auto
noma organizzazione di mezzi a proprio rischio, che evidenziano
This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 17:58:38 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
una organizzazione ad impresa, in cui le direttive dell'impren ditore non comportano alcuna ingerenza, sia pure indiretta, sulle modalità di adempimento dell'obbligazione, dedotta in contratto, ma solo sulla buona esecuzione del lavoro finito; la dimensione
dell'impresa, che, per quanto possa essere prevalentemente per sonale, può spaziare al di fuori del ristretto aiuto accessorio dei
familiari.
Orbene, se gli indici sintomatici analizzati dalla sentenza im
pugnata non sono idonei ai fini della distinzione interna tra la
voro a domicilio subordinato o autonomo, possono però esserlo
nella determinazione della distinzione, all'esterno, del lavoro a
domicilio, nei confronti con il lavoro autonomo. Ciò è possibile verificare in sede di legittimità, senza in tal modo sovrapporre alcun giudizio di fatto a quello già emesso dal giudice del me
rito, che, sebbene orientato in direzione errata, resta tuttavia
operante negli effetti voluti dalla legge. Il potere di sostituzione, di cui all'art. 384, capov., cod. proc. civ., consente invero alla
Corte di cassazione di procedere alla correzione della sentenza in
diritto, quando, escluso ogni apprezzamento dei fatti, che possa condurre ad una diversa decisione, non vi sia necessità di dar
pratica attuazione nel caso concreto del principio sostituito a
quello erroneo.
In base alle considerazioni accennate non si poteva attribuire
un sicuro valore sintomatico: 1) all'iscrizione del Durazzo al
l'albo delle imprese artigiane, sicché non aveva rilevanza la dedu
zione relativa ad una pretesa e indimostrata costrizione eserci
tata dal datore di lavoro in tal senso; 2) alla semplice proprietà delle macchine di maglieria; 3) alla cosiddetta subordinazione
economica da un unico imprenditore; 4) all'esecuzione parziale o integrale dei capi di vestiario; 5) all'eventuale immissione di
retta dei prodotti sul mercato; 6) al rispetto dei termini di conse
gna; 7) alla organizzazione esclusivamente familiare del lavoro, senza la specificazione delle ulteriori caratteristiche che la stessa
deve rivestire. Si poteva invece attribuire, come è stato effetti
vamente attribuito dal giudice d'appello, valore sintomatico agli altri elementi indiziari, che nel loro concorso acquistavano una
indiscussa efficacia probatoria, idonea a dimostrare la sussisten
za di una organizzazione ad impresa, che, mentre rivelava la
estraneità al ciclo produttivo, si inseriva in una tipica vicenda
contrattuale d'opera; 1) l'iscrizione del Durazzo alla camera di
commercio quale ditta esercente maglifìcio; 2) il rilascio di fat
ture e la contestazione circa l'esenzione dall'i.v.a.; 3) il notevole
investimento di capitali; 4) la mancanza del rischio d'impresa, rivelato dalla possibilità di protestare e non pagare le lavora
zioni non eseguite a regola d'arte, che evidentemente erano con
siderate come opus (e non come operae); 5) la mancanza di
qualsiasi ingerenza nelle modalità di esecuzione dei lavori; 6) la
mancanza di un qualsiasi potere disciplinare, esercitabile du
rante l'esecuzione dei lavori, potendo la società committente pro
cedere giudizialmente nei confronti del Durazzo in caso di ina
dempienza soltanto al termine degli stessi.
Poiché la motivazione della sentenza, anche se parzialmente fondata sulla valutazione di alcuni indici sintomatici, di valore
equivoco ai fini della qualificazione del rapporto, dedotto in
giudizio, è tuttavia sorretta dalla valutazione di altri indici sin
tomatici, pienamente utilizzabili e nel loro concorso inequivoca
mente significativi agli stessi fini, la decisione impugnata può es
sere mantenuta inalterata nella sostanziale affermazione della
concreta volontà della legge. La sentenza impugnata non può essere censurata perché non
contiene una espressa reiezione delle istanze istruttorie, atteso che
sono stati ampiamente valutati fatti incompatibili o comprensivi
di quelli in esse dedotti.
Il ricorso dev'essere pertanto rigettato. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 9 mag
gio 1981, n. 3079; Pres. M. Pedroni, Est. Fiduccia, P. M. Ni
cita (conci, conf.); Galeone (Avv. D'Ippolito) c. Gasparro
(Aw. Suma). Regolamento di competenza avverso Pret. Ce
glie Messapico, ord. 6 giugno 1980.
Competenza civile — Litispendenza — Fattispecie (Cod. proc.
civ., art. 39, 273, 429, 430).
Perché si abbia litispendenza ai sensi dell'art. 39 cod. proc. civ.
è necessario che pendano innanzi a uffici giudiziari diversi
due processi relativi a identiche domande; è, pertanto, inam
missibile il regolamento di competenza proposto avverso il
provvedimento con il quale il giudice di merito abbia negato
la litispendenza in una ipotesi in cui la seconda domanda
era stata proposta dopo che sulla prima egli si era pronunciato mediante lettura del dispositivo in udienza ma prima del de
posito delia relativa sentenza (nella motivazione si dà inoltre
atto che il ricorrente non aveva prodotto documenti idonei a dimostrare che la litispendenza fosse sopravvenuta). (1)
La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con ricorso del 16 gennaio 1979 il Gasparro Leonardo chiedeva al Pretore di Ceglie Messapico che il Galeone Raffaele, conduttore di un
locale di sua proprietà, sito nella locale piazza Plebiscito, fosse condannato al rilascio, adducendo la necessità di adibirlo ad esercizio di « bar ».
Il Galeone eccepiva l'inammissibilità della domanda per la mancata specificazione nel preavviso — a norma dell'art. 29
legge n. 392 del 1978 — dell'uso commerciale cui destinare il
locale, nonché contestava l'invocabilità della necessità, a norma della citata disciplina legislativa, per l'esistenza di un contratto
pluriennale ancora in corso. Il pretore all'udienza del 26 maggio 1979 — in applicazione
del rito previsto dall'art. 45 della legge n. 392 del 1978 — pro nunciava sentenza di rigetto del ricorso del Gasparro, dando lettura del relativo dispositivo.
Successivamente, con ulteriore ricorso in data 13 ottobre 1979 il Gasparro chiedeva al Pretore di Ceglie Messapico la condan na del Galeone al rilascio del predetto locale, di cui era in
locazione, indicando la necessità di adibirlo ad esercizio pub blico di « bar » da parte della coniuge Leo Ida, che intendeva abbandonare altro esercizio condotto nel solo periodo estivo.
Il Galeone eccepiva la litispendenza con il precedente giudizio, la cui sentenza non era stata ancora depositata, contestando altresì l'invocato stato di necessità nonché ribadendo la sussi stenza di un contratto pluriennale.
Disposta la discussione in ordine alla eccezione di litispen denza, il pretore con ordinanza all'udienza del 6 giugno 1980 la rigettava, ritenendo che allo stato non ne sussistevano i
presupposti. Avverso questa decisione il Galeone ha proposto ricorso per
regolamento di competenza, mentre il Gasparro resiste con me moria. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione con la sua requisitoria scritta ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del regolamento di competenza del Galeone.
Motivi della decisione. — Con unico complesso motivo il ricorrente — dopo aver premesso l'ammissibilità del regolamento stante la natura ed il contenuto di sentenza dell'ordinanza pre torile di rigetto dell'eccezione di litispendenza — denuncia la violazione dell'art. 39 cod. proc. civ., sostenendo che ricorreva sia l'estremo della pendenza dei due giudizi dinanzi a giudici diversi, sia l'ulteriore requisito dell'identità dei due giudizi.
Al riguardo del primo il ricorrente deduce che a seguito della
pronuncia della sentenza con la lettura in udienza del disposi tivo, pur se ancora non era stata depositata la relativa motiva
zione, il primo giudizio si era concluso ed il suo giudice si era
spogliato della causa, sicché in pendenza dei termini di impu gnazione si era determinato il potenziale inizio di un nuovo
procedimento con la spettanza del giudizio al diverso giudice della fase dell'impugnazione e, quindi, diverso da quello — il
pretore — dinanzi a cui era stato incardinato il successivo giu dizio. Per l'ulteriore requisito il ricorrente — rilevata l'evidente identità dei soggetti e del petitum — assume che del pari iden tica era la causa petendi, attenendo questa ad uno stato di ne cessità che, anche alla luce del regime di comunione legale dei beni dei coniugi, riguardava un'azienda di appartenenza dello stesso Gasparro.
Il regolamento di competenza è inammissibile.
Infatti, sotto il preliminare profilo della sua ammissibilità l'i
ti) Non si rinvengono precedenti editi in termini. Sulla distinzione fra litispendenza ai sensi dell'art. 39 cod. proc.
civ. e proposizione di due domande identiche innanzi allo stesso ufficio giudiziario ex art. 273 cod. proc. civ., v. da ultimo, richia mate in motivazione, Cass. 14 aprile 1980, n. 2394, Foro it., Rep. 1980, voce Procedimento civile, n. 116; 16 giugno 1978, n. 3002 e 5 giugno 1978, n. 2818, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 134, 133; 8
giugno 1965, n. 1132, id., Rep. 1965, voce Competenza civile, n. 345. In dottrina v. per tutti G. Franchi, Difetto di giurisdizione, incompe tenza, litispendenza, in Commentario del cod. proc. civ., diretto da
Allorio, 1973, I, 1, 394 spec. 405 ss.; nonché, con riferimento ad una fattispecie particolare, Balena, Duplice iscrizione a ruolo della stessa causa e mancata riunione dei procedimenti, in Foro it., 1980, I, 3041 ss., spec. 3046 s.
Con specifico riguardo alla litispendenza tra processi introdotti con ricorso v. la nota di M. Acone, id., 1980, I, 2268 ed ivi ampi rife rimenti.
This content downloaded from 193.142.30.50 on Sat, 28 Jun 2014 17:58:38 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions