sezione lavoro; sentenza 7 febbraio 1987, n. 1315; Pres. Menichino, Est. D'Alberto, P.M. Golia(concl. conf.); Banca di credito popolare (Avv. Fortino) c. Costa (Avv. Trimarchi). Cassa Trib.Messina 5 luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 2435/2436-2443/2444Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179008 .
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2435 PARTE PRIMA 2436
ce dell'opposizione al decreto ingiuntivo), senza avvedersi: a) che
l'oggetto della opposizione al pignoramento concerneva la assog
gettabilità alla procedura esecutiva di beni dei quali il Greppi, attraverso la cessione alla società, aveva perso la disponibilità;
ti) che l'eccezione di inammissibilità, per duplicazione di doman
da, non apparteneva più al processo, né poteva essere riproposta al giudice del rinvio in quanto del tutto abbandonata dal Man
nello nei motivi da lui addotti a sostegno del ricorso incidentale
per cassazione, dopo che la corte milanese aveva ravvisato tra
la causa di opposizione alla ingiunzione di pagamento e quello sulla efficacia del pignoramento un rapporto non di identità ma
di accessorietà.
Tali censure — che a questa corte consentono l'esame diretto
degli atti del processo — sono fondate.
A parte che l'opposizione ex art. 615, 2° comma, c.p.c., per la parte relativa alla non assoggettabilità di beni determinati alla
intrapresa esecuzione implicava una problematica non suscettiva,
per il suo proprium essenziale, di essere anticipata o riassorbita
nell'ambito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, ri
sulta decisiva la considerazione che il giudice del rinvio ha utiliz
zato, per addivenire alla pronuncia di inammissibilità
dell'opposizione al pignoramento, una questione già dibattuta tra
le parti, già risolta in senso negativo dal giudice di secondo grado ed ormai preclusa, anche alla luce della sentenza resa nel prece dente giudizio di legittimità.
Come è noto, la materia del contendere nelle successive fasi
o gradi del medesimo giudizio è disciplinata nella prospettiva di
una razionale progressiva eliminazione delle questioni, in fatto
od in diritto, dibattute: o perché abbandonate, o perché precluse o perché decise, senza che siano consentiti ritorni involutivi sui
problemi ormai definitivamente espunti dall'area della controversia.
In particolare il giudizio di rinvio — avendo per suo precipuo
scopo quello di consentire una nuova statuizione che prenda il
posto di quella cassata — costituisce essenzialmente un «processo chiuso» nel senso che la rinnovazione dell'esame da parte del nuovo
giudice designato dalla Corte di cassazione sopra i punti relativa
mente ai quali vennero cassate le statuizioni del giudice di secon
do grado, oltre ad essere condotto sulla base dei motivi di appello
già proposti, deve altresì essere contenuto nei limiti deducibili
dal principio di diritto enunciato dalla corte di legittimità me
desima.
Non ricadono pertanto nell'ambito dell'esame del giudice del
rinvio non soltanto le questioni già decise dal giudice di secondo
grado e non riproposte al vaglio della Corte di cassazione né coin
volte nell'annullamento da questa pronunziato, ma anche le que stioni preliminari o pregiudiziali che — pur potendo essere adottate
o rilevate di ufficio in sede di legittimità — devono considerarsi
implicitamente decise in via definitiva dalla Corte di cassazione
quali presupposti necessari ed indefettibili della sua decisione (cfr. Cass. 27 aprile 1985, n. 2751, id., Rep. 1985, voce cit., n. 120; 25 marzo 1985, n. 2119, ibid., voce Rinvio civile, n. 15; 7 gen naio 1980, n. 96, id., Rep. 1980, voce cit., n. 19; 6 aprile 1978, n. 1586, id., Rep. 1978, voce Cassazione civile, n. 327; 24 marzo
1976, n. 1058, id., Rep. 1976, voce Rinvio civile, n. 12); ed a
maggior ragione le questioni che sommano entrambe le caratteri
stiche di quelle sopra indicate, perché risultano nel contempo es
sere state già decise dal giudice di secondo grado ed essere state
valorizzate dal giudice di legittimità a fondamento, o presuppo sto logico-giuridico della sua pronuncia.
Una volta accolto dalla Corte di cassazione un motivo di ricor
so, con assorbimento di altri motivi (per violazione e falsa appli cazione di norme di legge), non è più possibile in sede di rinvio
sia modificare la situazione di fatto assunta a base della duplice statuizione (accoglimento-assorbimento) sia alterare le valutazio
ni giuridiche che quali punti fermi, costituendo le premesse o gli antecedenti dell 'iter argomentativo seguito dalla corte, concorro
no a giustificare, unitariamente, e l'enunciazione del principio di
diritto e il carattere decisorio ad esso assegnato. Nel caso in esame questa corte, con la sentenza del 1977, in
tanto ha stabilito che il principio di diritto enunciato fosse risolu
to dell'intera materia ancora controversa (e cioè sia del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo sia del giudizio di opposizio ne al pignoramento) in quanto ha trovato già risolto e precluso il problema se tra l'una e l'altra causa intercorresse un rapporto di identità oppure di mera pregiudizialità-dipendenza; ed in tanto
ha dichiarato assorbito l'esame del ricorso incidentale del Man nello in quanto ha ribadito che la questione della pignorabilità
Il Foro Italiano — 1987.
dei beni risultava condizionata e dipendente dalla questione (prin
cipale) relativa alla esistenza del diritto di credito.
Non era pertanto consentito al giudice del rinvio, senza altera
re i limiti del riesame demandatogli, denegare la validità di queste valutazioni concernenti l'ambito ed i presupposti della pronuncia di annullamento-assorbimento: né in particolare gli era consenti
to di riesumare una eccezione, ormai espunta dall'area della con
troversia, quale quella della identità tra le due cause di opposizione. In accoglimento del terzo motivo del ricorso, l'erronea statui
zione del giudice del rinvio circa l'inammissibile duplicazione di domande deve essere cassata e la causa sulla assoggettabilità a
pignoramento dei beni deve essere rimessa, per il nuovo esame, ad altro giudice.
Questi — che si designa nella Corte d'appello di Brescia —
la deciderà in applicazione del principio di diritto a suo tempo affermato da questa corte ed in coerenza con il giudicato ormai
già formatosi sulla causa di opposizione al decreto ingiuntivo (non
dimenticando, cioè, che la soluzione da dare alla prima, è vinco
lata dalla sua dipendenza alla soluzione data alla seconda).
(Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 febbraio
1987, n. 1315; Pres. Menichino, Est. D'Alberto, P.M. Golia
(conci, conf.); Banca di credito popolare (Avv. Fortino) c.
Costa (Avv. Trimarchi). Cassa Trib. Messina 5 luglio 1982.
Lavoro (rapporto) — Trasferimento del lavoratore — Unità pro duttiva — Nozione (Cod. civ., art. 2103; 1. 20 maggio 1970
n. 300, norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavo
ratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 13, 35).
Il concetto di unità produttiva, di cui all'art. 35 l. n. 300 del
1970, che si applica ad ogni altra disposizione della medesima
legge in cui si fa riferimento a siffatta unità, deve essere carat
terizzato dall'autonomia, non potendo essere utilizzato il crite
rio «geografico», privo di riscontro normativo. (1) L'autonomia collettiva può predeterminare convenzionalmente
l'ambito territoriale minimale al di sotto del quale non è con
sentita la configurazione di un'unità produttiva (nella specie, è stata cassata la sentenza che non aveva tenuto conto dell'art.
9 della convenzione 18 giugno 1970 nel settore bancario nel
quale è previsto che «per unità produttiva si intendono il com
plesso delle dipendenze, comunque denominate — sedi, filiali,
succursali, agenzie, uffici, ecc. — operanti nell'ambito dello
stesso comune» con la conseguenza che lo spostamento entro
l'ambito comunale non soggiace alla disciplina del trasferimen to dettata dall'art. 13 della l. n. 300 del 1970). (2)
(1) La Cassazione conferma il proprio indirizzo in ordine al concetto «unitario» di unità produttiva più volte, in precedenza, enunciato: v., da ultimo, oltre alle sentenze citate in motivazione, Cass. 21 febbraio
1986, n. 1064, Foro it., 1986, I, 662. Contra, Cass. 24 giugno 1977, n.
2691, id., 1978, I, 522, con nota di Genoviva. In dottrina, a favore dell'unitarietà del concetto di unità produttiva,
v. Cester, Unità produttiva e rapporti di lavoro, Padova, 1983, 122 ss., e, più recentemente, Vallebona, Il trasferimento del lavoratore, in Riv. it. dir. lav., 1987, I, 67, 73.
Contra, per tutti Angiello, Il trasferimento dei lavoratori, Padova, 1986, 27 ss.
Nella pronuncia in epigrafe viene disatteso il criterio «geografico» che, anche recentemente, è stato seguito dalla Cassazione (v. sent. 18 maggio 1984, n. 3076 Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 1051, e in Giust. civ., 1985, I, 115, con nota di Ghinoy).
Di contro, viene data rilevanza al requisito dell'autonomia che deve caratterizzare l'unità produttiva al di là dello spostamento territoriale del
dipendente, con la conseguenza che potrebbe concepirsi un'unità produt tiva, dislocata anche in vari comuni, mentre sarebbe possibile configurare più unità produttive nell'ambito di uno stesso edificio.
Di siffatto avviso in dottrina, da ultimo, Vallebona, Il trasferimento del lavoratore, Padova, 1986; contra, per tutti, Angiello, Il trasferimen to dei lavoratori, cit., 34.
(2) Partendo dalla già dichiarata legittimità dell'art. 5 della convenzio ne 18 giugno 1970 per i diritti e le relazioni sindacali presso le aziende di credito e finanziarie (cfr. sul punto Cass., sez. un., 8 settembre 1981, n. 5057, Foro it., 1982, I, 737, con nota di Curzio, Autonomia collet
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 gennaio
1987, n. 55; Pres. Menichino, Est. Nocella, P.M. Golia (conci,
conf.); Andreola (Avv. Ghera, Germano) c. Soc. Fiat carrelli
elevatori (Avv. Guida, Persiani). Conferma Trib. Bari 17 set
tembre 1984.
Lavoro (rapporto) — Trasferimento del lavoratore — «Compro
vate ragioni» — Sindacato giudiziale — Limiti (Cod. civ., art.
2103; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 13).
La comunicazione del trasferimento deve indicare le ragioni a
sostegno dello stesso; il controllo del giudice, in ordine alle
ragioni del trasferimento, deve essere limitato all'accertamento
del nesso di causalità tra dette ragioni e il provvedimento adot
tato in modo da evitare che queste ultime possano tradursi in
un eccesso di potere, nella forma dello sviamento, a danno del
dipendente, senza poter entrare nel merito delle stesse. (3)
tiva e art. 19 dello statuto dei lavoratori, oltre alle sentenze 13 novembre
1984, n. 5735, id., 1985, I, 760; 13 gennaio 1984, n. 306, id., Rep. 1984, voce Sindacati, n. 65; 16 dicembre 1983, n. 7435, ibid., n. 66; 16 novem
bre 1983, n. 6807, ibid., n. 67, tutte citate in motivazione) la Cassazione
afferma il principio secondo il quale sarebbe legittima l'identificazione
dell'unità produttiva nel complesso «delle strutture bancarie operanti nel lo stesso comune», essendo stata compiuta tale determinazione da parte dell'autonomia collettiva.
La conclusione cui si è giunti nella sentenza in epigrafe trae spunto,
peraltro, da una fattispecie nella quale — per quanto è dato di compren dere dall'esposizione in fatto — trattavasi di un trasferimento (o comun
que di uno spostamento) di un lavoratore, non dirigente sindacale, dalla
sede centrale ad un'agenzia della medesima città. Precisato ciò, non è ben chiaro il passaggio logico che nella motivazio
ne della sentenza conduce dalla dichiarata legittimità di una definizione
negoziale dell'unità produttiva a fini sindacali (arg. ex art. 19 e 22 dello
statuto dei lavoratori) alla estensione di detto principio al trasferimento
disciplinato dall'art. 13 dello statuto dei lavoratori.
Tanto più che non sembra formare oggetto di controversia la legittimi tà (o non) della recezione del più volte citato art. 9 della convenzione
nell'ambito del contratto collettivo nazionale o aziendale.
In altri termini non si discute intorno al delicato problema — per molti
versi assai vicino a quello di cui alla sentenza in epigrafe — relativo al
l'ammissibilità di clausole collettive a mezzo delle quali si predetermini l'unità produttiva; clausole, come è noto, esistenti: v. Anoiello, Il tras
ferimento dei lavoratori, cit., 117 e, più in generale, da ultimo, Vallebo
na, Il trasferimento del lavoratore, cit., 74.
(3) La pronuncia in epigrafe pare affermare, seppure per implicito, che la motivazione del trasferimento debba essere contestuale alla comu
nicazione: se cosi fosse, vi sarebbe contrasto con le sezioni unite della
Cassazione (sent. 15 luglio 1986, n. 4572, Foro it., 1986, I, 2432, con
nota di richiami) che hanno, viceversa, affermato l'efficacia del trasferi
mento senza la contestuale comunicazione dei motivi, con un'applicazio ne analogica dell'art. 2 1. n. 604/66.
Nella giurisprudenza di merito, per la tesi della necessaria contestualità
della motivazione nell'atto di trasferimento, da ultimo v. Pret. Torino
29 gennaio 1986, ibid., 1707, con nota di richiami.
Sotto il profilo sostanziale si afferma che il controllo giudiziale non
potrebbe intaccare il merito della scelta imprenditoriale, rientrante nel
l'ambito dei poteri organizzativi del datore di lavoro imprenditore. Il limite all'esplicazione del potere organizzativo sarebbe costituito dal
la necessaria sussistenza — verificabile in sede giudiziaria — del nesso
di causalità tra la scelta imprenditoriale comportante il trasferimento e
le ragioni addotte dal datore di lavoro a sostegno dello stesso.
In tal senso viene richiamata Cass. 16 gennaio 1979, n. 331, id., 1979,
I, 1963 — in tema di trasferimento individuale — sull'insindacabilità del
la scelta del datore di lavoro «tra più soluzioni che siano tutte egualmente
ragionevoli sul piano tecnico, organizzativo, produttivo» con il limite sca
turente dall'art. 41, 2° comma, Cost.
Sulla stessa linea Cass. 23 febbraio 1979, n. 1178 (pure richiamata nel
la motivazione della sentenza riportata), ibid., 1469, concernente la mo
dificazione di zona di un viaggiatore — venditore — senza, peraltro, alcun
richiamo all'art. 41 Cost., con un'accentuazione sul principio dell'insin
dacabilità delle scelte comportanti il trasferimento.
Più recentemente, sul solco di quest'ultima sentenza, è Cass. 17 aprile
1984, n. 2490, id., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 1045, la quale
pone anche l'accento sulla non necessaria «inevitabilità» del trasferimen
to (nel senso che non occorre la prova della inutilizzabilità del lavoratore
nel luogo di lavoro a quo), principio ribadito nella sentenza in epigrafe. Per una soluzione, anch'essa in tema di «comprovate ragioni», va ri
chiamata Cass., sez. un., 24 luglio 1985, n. 4747, id., 1986, I, 3020, nella quale si conferma il principio dell'insindacabilità delle scelte im
prenditoriali e si aggiunge che è sufficiente provare la fondatezza di alcu
II Foro Italiano — 1987 — Parte 7-159.
I
Motivi della decisione. — Con i due mezzi del ricorso sono
stati addebitati all'impugnata sentenza i seguenti errori:
I - Violazione e falsa applicazione degli art. 13 e 35 1. 20 mag
gio 1970 n. 300, nonché «dell'art. 9 della convenzione» del 18
giugno 1970, stipulata in Roma dalle associazioni sindacali fra le aziende di credito (Assicredito) e le organizzazioni sindacali
(art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.), per avere il Tribunale di Mes
sina erroneamente attribuito identico contenuto alla «unità pro
duttiva», cui fanno riferimento gli art. 13 e 35 1. n. 300 del 1970,
e per avere considerato «fuor di luogo» e «nulla» la convenzione
del 18 giugno 1970 suindicata, là dove — all'art. 9 — non dero
gando all'art. 13 della detta legge, stabilisce legittimamente che
per «unità produttive si intendono il complesso delle dipendenze
comunque denominate (sedi, filiali, succursali, agenzie, uffici, ecc.)
operanti nell'ambito dello stesso comune».
II - Ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 13 1. 20
maggio 1970 n. 300, nonché «violazione e falsa applicazione del
l'art. 1» del contratto integrativo aziendale del 19 luglio 1974
per gli impiegati, i commessi e gli ausiliari della Banca di credito popolare, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motiva
zione circa punti decisivi della controversia per avere il giudice a quo apoditticamente affermato che le mansioni del Costa, a
seguito del trasferimento dalla «massa manovra» all'agenzia n.
1, non erano equivalenti alle precedenti: e ciò senza tenere conto, si soggiunge, delle risultanze probatorie acquisite a tale riguardo
e, in particolare, della concreta attività svolta, sia alla detta «massa
manovra», ove il Costa «sostituiva i preposti di piccole agenzie,
ogni volta che ve ne era bisogno» (teste Foti) — essendo stato
ivi trasferito perché lo stesso acquisisse la necessaria esperienza in tutti i servizi e potesse conseguire un miglioramento nella car
riera (testi Gullino e Turrisi) — ed era, quindi, «adibito a sosti
tuire personale assente, principalmente in agenzie, ivi compreso il personale preposto alle piccole agenzie» (teste Panizon); sia al
l'agenzia n. 1, presso la quale, a seguito del trasferimento impu
gnato, «il Costa curava la contabilità, dava una mano allo sportello e svolgeva tutti gli altri compiti di vice capo ufficio» (teste Pani
zon) conseguendo, indi, tale qualifica (teste Foti). E il vice capo ufficio (si deduce), in aderenza a quanto statuito dall'art. 1 del
contratto integrativo aziendale, coadiuva il capo ufficio, il quale,
all'agenzia n. 1, neppure lui «svolgeva compiti di sovraintenden
za», come asserito dal teste Panizon.
Il primo mezzo è fondato, per quanto di ragione, nei termini
di cui appresso si dirà. Deve la corte precisare, innanzi tutto, che il Tribunale di Mes
sina, confutando quel che correlativamente era stato sostenuto
dal Costa con il primo motivo di appello, ha in effetti ritenuto
esplicitamente che fosse «del tutto fuor di luogo» il richiamo al
suindicato contenuto dell'art. 9 della convenzione 18 giugno 1970,
in quanto tale richiamo avrebbe potuto avere senso, in ipotesi, «con riferimento alla disposizione di cui all'art. 22 1. n. 300 del
1970», mentre, essendo nullo per espressa norma di diritto ogni
patto contrario all'art. 13 della citata legge, secondo lo stesso
tribunale non poteva riconoscersi alcun valore alla predetta con
ne delle ragioni giustificatrici del trasferimento, ancorché sia provata l'in
fondatezza di altre. Va pure segnalato lo stringato riferimento, nella sentenza in epigrafe,
alla possibilità del controllo, da parte del giudice, dell'atto sotto il profilo dell'eccesso di potere (nella forma dello sviamento).
Il richiamo a categorie pubblicistiche, nell'ambito dei limiti dei poteri
dell'imprenditore, è già stato operato ripetutamente dalla Cassazione (v., fra le altre, sent. 27 maggio 1983, n. 3675, id., 1984, I, 1541, con nota
di richiami). Nell'ambito della giurisprudenza di merito v., recentemente, Pret. Cal
tagirone 26 novembre 1985, id., 1986, I, 1713, con nota di richiami, su
un caso di trasferimento concernente una lavoratrice la quale si opponeva al provvedimento in base al proprio stato di madre (argomento disatteso
dal pretore, con ampia motivazione). In dottrina cfr. Vallebona, Il trasferimento del lavoratore, in Riv.
it. dir. lav., 1987, I, 67, (cit.); Angiello, Il trasferimento dei lavoratori,
Padova, 1986, 129 (cit.); D'Isa, Il trasferimento dei lavoratori e le sue
comprovate ragioni, in Giur. it., 1985, I, 2, 274; la rassegna di Guar
riello, in Commentario breve allo statuto dei lavoratori, a cura di Grandi
e Pera, Padova, 1985, 51; Del Punta, Sul trasferimento del lavoratore
da un'unità produttiva a un'altra, in Giusi, civ., 1983, I, 1641; Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, 1982, 281. [L. Angiello)
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2439 PARTE PRIMA 2440
venzione nella parte relativa alla «definizione pattizia del concet
to di unità produttiva».
Ora, è indubitabile che debba considerarsi inammissibile, come fondatamente oppone il resistente, la parte del motivo di ricorso
in esame, con la quale la banca ha denunciato la violazione del
l'art. 9 della citata convenzione, trattandosi di pattuizione non
contenente certe «norme di diritto» e quindi non suscettibile di
costituire oggetto di censura per violazione di legge alla stregua
dell'art. 360, n. 3, c.p.c. In proposito non appare superfluo riba
dire, del resto, che l'interpretazione delle disposizioni della con
trattazione collettiva, aventi, come nel caso, natura negoziale
privatistica, è riservata al giudice del merito ed è censurabile in
sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione o per violazio
ne dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, dettati dagli art.
1362 ss. c.c. (v., tra le tante, sent. 5 aprile 1979, n. 1983, Foro
it., Rep. 1979, voce Lavoro (contratto), n. 43; 29 aprile 1980,
n. 2869, id., Rep. 1980, voce cit., n. 39; 10 marzo 1981, n.
1363, id., Rep. 1981, voce cit., n. 59; 16 settembre 1982, n.
4889, id., 1983, I, 389; 18 febbraio 1983, n. 1240, id., 1984, I, 258; 21 gennaio 1984, n. 533, id., Rep. 1984, voce Lavoro
(rapporto), n. 1374; 26 marzo 1985, n. 2128, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 1517). Non fondata deve ritenersi, peraltro, la tesi della banca secon
do cui il Tribunale di Messina ha erroneamente ritenuto in modo
esplicito che il concetto di «unità produttiva», enunciato nell'art.
35 1. n. 300 del 1970 sia valida per ogni altra disposizione della
medesima legge nella quale si faccia riferimento a siffatta «uni
tà», posto che, come affermato inequivocamente da questa Su
prema corte a sezioni unite (sent. 7 novembre 1978, n. 5058, id.,
1978, I, 2398), «l'art. 35 richiama simultaneamente l'art. 18 ed
il titolo terzo — riservato all'attività sindacale — senza fornire
il benché minimo appiglio ad una qualunque differenziazione. Inol
tre, utilizza quello stesso concetto di unità produttiva adottato
per segnare i confini entro cui, per un verso, può svolgersi nella
forma più immediata ed essenziale l'attività sindacale (art. 19,
20 e 22) e, per un altro verso, il lavoratore ha diritto di rendere
la sua prestazione (art. 13, 1° comma, ultimo inciso)».
Con tale principio, da ribadire e secondo cui in sostanza la
nozione di «unità produttiva» deve intendersi unitaria, va riaffer
mato anche quanto è stato più volte precisato da questa sezione
lavoro (v. sent. 22 maggio 1979, n. 2970, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 751; 13 settembre 1982, n. 4882, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 1239; 9 gennaio 1984, n. 157, id., Rep. 1984, voce cit.,
n. 1049; 9 luglio 1984, n. 3990, ibid., n. 1042; 19 novembre 1984,
n. 5920, id., 1985, I, 758), e cioè che la detta unità va individuata
in ogni articolazione autonoma dell'impresa o azienda, avente,
sotto il profilo funzionale o finalistico, idoneità ad espletare, in
tutto o in parte, l'attività di produzione di beni o servizi dell'im
presa della quale è elemento organizzativo; onde è stato, in parti
colare, statuito che «costituisce unità produttiva ai sensi dell'art.
35 1. n. 300 del 1970, non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio
o reparto dell'impresa, ma soltanto quella più consistente e vasta
entità aziendale che, anche se articolata in organismi minori non
tutti ubicati nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi
per sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica
ed amministrativa, tali che in esse si esaurisca per intero il ciclo
relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'attività
produttiva aziendale, rimanendo cosi esclusa l'autonomia dei sud
detti organismi minori destinati a scopi meramente strumentali
e fiancheggiatori rispetto ai fini produttivi dell'impresa e risol
vendosi l'identità dei medesimi in quella della più vasta e comple ta unità dotata di dette caratteristiche» (Cass. 16 gennaio 1984,
n. 354, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1872). Alla luce di quanto precede, pertanto, deve riaffermarsi che
il criterio dell'autonomia, utilizzabile, per l'individuazione
dell'«unità produttiva», non può legittimamente essere sostituito
con quello geografico, non trovando, questo secondo criterio, al
cun riscontro nella legge, oltre ad essere «estremamente vago an
che per quanto possa concernere i relativi parametri di
commisurazione» (Cass. 14 maggio 1985, n. 2993, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1046, in motivazione).
D'altra parte, non possono negarsi, però, l'ammissibilità e la
fondatezza della specifica censura con cui la banca, nello stesso
primo mezzo in esame, ha denunciato anche la violazione del
l'art. 13 1. n. 300 del 1970 sotto il profilo da ultimo delineato
nei surriferiti termini, correlati alle affermazioni contenute nella
parte motiva della sentenza impugnata, secondo le quali «il ri
II Foro Italiano — 1987.
chiamo all'art. 9 della convenzione 18 giugno 1970 è del tutto
fuori luogo» e ogni patto contrario all'art. 13 della detta legge
è nullo, onde, ad esplicito, testuale avviso del Tribunale di Messi
na, «non può riconoscersi alcun valore alla predetta convenzione
nella parte in cui, attraverso la definizione pattizia di unità pro
duttiva, tenderebbe a realizzare per via indiretta, una deroga del
la norma inderogabile». Il che contrasta, invero, con l'indirizzo espresso dalla giuris
prudenza di questa Suprema corte, la quale, con la pronuncia 3 dicembre 1982, n. 6579 (id., Rep. 1983, voce Sindacati, n. 54), nel consolidare l'orientamento precedentemente enunciato dalla
sezione lavoro (sent. 17 maggio 1979, n. 2847, id., 1979, I, 1732) e indi confermato, sia dalle sezioni unite (sent. 8 settembre 1981,
n. 5057, id., 1982, I, 737), sia dalla detta sezione (v. sent. 16
novembre 1983, n. 6807, id., Rep. 1984, voce cit., n. 67; 16 di
cembre 1983, n. 7435, ibid., n. 66; 13 gennaio 1984, n. 306, ibid., n. 65), in ordine all'interpretazione della disciplina pattizia esi
stente nel settore del credito relativamente alla determinazione
dei modi e delle condizioni di costituzione delle rappresentanze
sindacali aziendali, ha già ritenuto legittima siffatta determina
zione, in quanto rimessa dall'art. 19 1. n. 300 del 1970 all'auto
nomia collettiva. E ciò con la precisazione che per definire la
nozione di «unità produttiva», quale presupposto per l'applica
zione anche delle disposizioni della detta legge relative alla parti colare tutela assicurata ai dirigenti delle suindicate rappresentanze
sindacali ed ai poteri ad essi conferiti, è necessario considerare
che costituisce elemento essenziale l'apposito spazio territoriale,
esplicitamente determinato dal legislatore, ossia quello comunale,
in modo che anche le mini-unità, le quali agiscono in tale ambito
territoriale, «si compongano in unità»; ed è, di conseguenza, il
territorio comunale ad assurgere «dato selettivo orizzontale per
l'individuazione dell'unità produttiva» (cfr. Cass. 13 novembre
1984, n. 5735, id., 1985, I, 760). Onde, per quanto interessa nel caso in esame, il giudice d'ap
pello avrebbe dovuto tenere debito conto della disciplina colletti
va del settore, dettata dalla suindicata convenzione del 18 giugno 1970 (art. 9), la quale, come ha specificamente sostenuto la ban
ca, aveva identificato, tra l'altro, l'unità produttiva nel «com
plesso delle dipendenze comunque denominate (sede, filiali,
succursali, agenzie, uffici, ecc.) operanti nell'ambito dello stesso
comune». Tale pattuizione collettiva del 18 giugno 1970, invero,
è stata già reputata legittima (con la citata sentenza 3 dicembre
1982, n. 6579) da questa Suprema corte, la quale, poi, ha avuto
anche occasione di osservare, con la sentenza 19 novembre 1984,
n. 5920, quanto appare opportuno ricordare a confutazione della
contraria tesi correlativamente sostenuta dal Costa: e cioè che
l'identificazione dell'autonomia in capo al complesso delle sud
dette strutture bancarie operanti nello stesso comune, e non alla
singola agenzia, non si pone in contrasto con la nozione di «uni
tà produttiva» derivante dalla legge, in quanto ne appare piutto
sto una conseguenziale applicazione. Del resto, le argomentazioni che l'imprenditore non è neutrale e non si può fare arbitro di
applicare una serie di disposizioni di tutela dei lavoratori e di
promozione dell'attività sindacale e che il significato di unità pro duttiva andava valutato rispetto alle diverse disposizioni, appaio no resistite e superate dal rilievo che la stessa contrattazione
collettiva ha voluto una disciplina unitaria della nozione che ne
occupa (cfr. sent. n. 5920/84, in motivazione). È appena il caso di rimarcare, a seguito di quanto esposto sin
qui a sostegno dell'accoglimento parziale del primo mezzo del
l'impugnazione esaminato, che, ai sensi dell'art. 2103 c.c., come
modificato dall'art. 13 1. 20 maggio 1970 n. 300, la sussistenza
di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive è ri
chiesta soltanto per i trasferimenti del lavoratore da una unità
produttiva ad un'altra e non anche per i trasferimenti disposti nell'ambito della stessa unità produttiva, in relazione ai quali il
datore di lavoro è tenuto soltanto ad adibire il lavoratore alle
stesse mansioni o ad altre equivalenti (cfr., tra le tante, Cass.
3 giugno 1982, n. 3419, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 911).
Ne consegue la necessità di esaminare il secondo mezzo del
l'impugnazione, il quale, quindi, non può essere dichiarato assor
bito nell'accoglimento del primo, mentre, al pari di questo, va
accolto per quanto di ragione. Inammissibile deve reputarsi, invero, come fondatamente so
stiene il resistente, il secondo mezzo in esame, nella parte in cui
la banca denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
del contratto integrativo aziendale suindicato, non potendo in es
so ravvisarsi sussistere «norme di diritto» (come già rilevato per la «convenzione» citata nel primo mezzo).
Quanto alle altre censure, fondatamente la banca lamenta che
la impugnata pronuncia, relativa all'affermata insussistenza di una
equivalenza di mansioni, sia inficiata dagli errori ascritti al giudi ce d'appello, avuto riguardo alla seguente, testuale motivazione
addotta in proposito dallo stesso giudice, secondo cui, «va tenuto
presente che il teste Panizon, già preposto all'agenzia 1, pur af
fermando che il Costa svolgeva nell'agenzia i compiti di vice ca
po ufficio (corrispondenti cioè alla sua qualifica), ha precisato che curava la contabilità e dava una mano allo sportello, mentre, stante la dimensione dell'agenzia e il personale in forza, non vi
svolgeva opera di sovraintendenza di vari servizi. Anche il teste
Foti ha ribadito che, date le dimensioni dell'agenzia, il Costa svol
geva le mansioni che gli venivano affidate dal preposto non es
sendo previste competenze specifiche del vice capoufficio. Infine, tanto il teste Panizon quanto il teste Foti hanno riferito che il
Costa venne inviato all'agenzia 1 per sostituire il dipendente Tro
ja, il quale rivestiva l'inferiore grado di capo reparto, ed ivi ha
continuato a svolgere gli stessi compiti in precedenza svolti dal
dipendente sostituito».
Siffatta motivazione, che, unitamente al rilievo che la precede
(con il quale è asserita l'irrilevanza delle deposizioni dei testi Gul
lino e Turrisi, in quanto queste riguarderebbero solo le mansioni
assegnate al Costa nel settembre del 1976, «in occasione del pas
saggio dall'ufficio legale alla massa manovra»), contiene le ragio ni esplicitate a sostegno della pronuncia sul punto di cui si tratta, si appalesa — contrariamente a quanto diffusamente assume il
controricorrente anche nella memoria del 27 giugno 1985 — non
congrua, né informata ad esatti criteri giuridici, dovendo da essa
con evidenza desumersi, secondo le doglianze della banca, che
il Tribunale di Messina: a) ha omesso l'esame e la conseguente valutazione delle surriferite circostanze, di portata virtualmente
decisiva, dettagliatamente precisate nel secondo mezzo siccome
risultanti dalle disposizioni testimoniali correlativamente indicate
dalla banca; ti) non si è uniformato ai seguenti principi di diritto
enunciati, in materia, da questa corte. Premesso, cioè, che man
sioni equivalenti, ai sensi dell'art. 2103 c.c., come modificato dal
l'art. 13 1. 20 maggio 1970 n. 300, sono quelle che non comportano una diversa collocazione del lavoratore nella gerarchia dell'im
presa e che, senza incidere sulla categoria o sulla qualifica del
medesimo, gli garantiscono lo svolgimento e l'accrescimento delle
proprie capacità professionali, l'accertamento in ordine alla sus
sistenza o meno del requisito dell'equivalenza (che è concetto di
verso da quello dell'identità) deve essere effettuato alla stregua della posizione professionale raggiunta dal dipendente, tenendo
conto non solo del complesso di nozioni, esperienza e perizia che
egli abbia già acquisito in concreto, ma anche del corredo di no
zioni, esperienza e perizia che lo stesso lavoratore sia, potenzial
mente, in grado di acquisire (v., fra le altre, sent. 24 giugno 1977, n. 2691, id., 1978, I, 1522; 13 febbraio 1980, n. 1026, id., Rep. 1980, voce cit., n. 457; 17 giugno 1983, n. 4189, id., Rep. 1984, voce cit., n. 614; 28 ottobre 1983, n. 6406, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 1021; 9 luglio 1984, n. 3990, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1042).
In conclusione, i due motivi del ricorso vanno entrambi accolti
parzialmente, secondo le precisazioni che precedono, e la causa,
previa cessazione dell'impugnata sentenza, va conseguentemente
rinviata, per nuovo esame, ad altro giudice, che si atterrà ai prin
cipi di diritto ed ai criteri suindicati.
II
Motivi della decisione. — Dev'essere preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi principali e incidentali proposti avverso la
medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). Con l'unico motivo del ricorso principale si denuncia violazio
ne e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. nonché vizio di motiva
zione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.). Premesso che la tesi del trasferimento su richiesta, accolta in
primo grado e parzialmente accettata in appello, costituisce un
espediente per sopperire alla mancanza di prova su quelle esigen ze tecniche, produttive ed organizzative, che potevano giustifica re il provvedimento aziendale, il ricorrente deduce che: a) la società
ricorrente non ha provato la natura delle mansioni, che egli avrebbe
li Foro Italiano — 1987.
dovuto svolgere a Milano; b) l'affermazione della sentenza im
pugnata, secondo cui il potenziamento dell'ufficio paghe di Mo
dugno avrebbe comportato la conseguenza che quest'ultimo doveva
essere diretto da un dipendente avente la superiore qualifica di
capo ufficio è contraddetta dall'ammissione della società che «nel
corso delle numerose trasferte a Milano il dott. Andreola non
mancò di manifestare la propria soddisfazione per le nuove man
sioni. . che dichiarò anche quando il dr. Russo, a ciò richiesto
dalla direzione Fiat, gli prospettò l'alternativa di poter essere as
sunto dalla Fiat V.I. in qualità di capo ufficio», per modo che
nulla ostava che egli fosse designato come capo ufficio addetto
a dirigere il potenziato ufficio paghe di Modugno; c) nessuna
risposta la società aveva dato sulla possibilità che all'ufficio di
destinazione potesse essere addetto altro impiegato, che svolgesse l'attività in località più vicina a Milano; d) la società non aveva
comunicato in che cosa consistessero le ragioni tecniche, organiz zative e produttive, idonee a giustificare il trasferimento per dar
modo al lavoratore interessato di controllarla e non si era dato cura di dimostrarle né in sede stragiudiziale né in sede giudiziale, così attuando una discriminazione dello stesso lavoratore lesiva
della sua sicurezza, libertà e dignità e perciò contraria al disposto costituzionale dell'art. 41.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale si denuncia violazio
ne degli art. 2103 e 1326 c.c., sostenendosi che il tribunale ha
negato che si trattasse di trasferimento concordato, nonostante
che abbia ammesso che esso era stato sollecitato dall'Andreola
con lettera del 2 dicembre 1980, dando rilevanza ad una successi
va lettera, che non costituiva alcuna modifica dell'accordo già
raggiunto, il quale da una parte non richiedeva l'adozione di al
cuna specifica forma e dall'altra non costituiva un atto assogget tabile alla disciplina, prevista dall'art. 2103 c.c.
Il motivo del ricorso principale dev'essere rigettato con assor
bimento di quello del ricorso incidentale.
La ratio della norma dell'art. 2103 c.c. (nel testo modificato
dall'art. 13 dello statuto dei lavoratori) consiste nell'evitare che il lavoratore sia soggetto a discriminazione o rappresaglia me diante un provvedimento arbitrario di trasferimento, subordinan
do questo alla sussistenza di «comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive».
L'aggettivazione «comprovata», secondo la giurisprudenza pre valente, esprime la contestualità della presenza di tali ragioni con il trasferimento e l'esigenza dell'effettiva dimostrazione della loro
obiettiva sussistenza da parte del datore di lavoro, che esercita
il potere unilaterale di organizzazione della sua impresa. Stanti tali natura e portata della natura, ed in mancanza di
altra specifica previsione, dal punto di vista formale è sufficiente, ai fini della effettiva tutela del lavoratore, che la comunicazione
del trasferimento indichi le esigenze imprenditoriali in relazione
alle quali il provvedimento di trasferimento è disposto, in modo
da consentire il controllo del lavoratore in sede extragiudiziale ed eventualmente quello del giudice in sede giudiziale. Dal punto di vista sostanziale, tenuto conto che la facoltà di trasferimento
rientra nei poteri organizzativi dell'imprenditore, da esercitare nei
limiti consentiti dall'art. 41 Cost., tale controllo deve essere rife
rito alla concreta corrispondenza tra trasferimento e finalità tipi che dell'impresa e cioè alla sussistenza del nesso di causalità tra
le ragioni tecniche, organizzative e produttive, rese note, ed il
trasferimento in modo da evitare che queste possano tradursi in
un eccesso di potere, nella forma dello sviamento, a danno del
dipendente.
Consegue da ciò che in fase giudiziale le ragioni suddette sfug
gono ad un controllo del giudice, che, oltrepassando i ragionevoli limiti della tutela del lavoratore con correlativo rispetto della li
bertà d'iniziativa imprenditoriale, si spinga fino all'esame delle
intrinseche motivazioni delle scelte e, in generale, alla valutazione
del merito del provvedimento di trasferimento, al di là della obiet
tiva sussistenza del nesso di causalità tra le reali esigenze azienda
li e il disposto trasferimento al fine di riscontrare che questo sia
stato effettivamente finalizzato all'attuazione di tali esigenze. In tale ambito si muovono sostanzialmente la sentenza di que
sta corte n. 331 del 16 gennaio 1979 (Foro it., 1979, I, 1963) secondo cui «il datore di lavoro è tenuto a dimostrare soltanto
le obiettive esigenze organizzative mentre rimane insindacabile la
scelta che sia stata operata tra più soluzioni, che sono tutte egual mente ragionevoli sul piano tecnico, organizzativo e produttivo»; la sentenza n. 1178 del 23 febbraio 1979 (ibid., 1469), secondo
cui «nell'ambito delle ragioni organizzative, di cui all'art. 2103
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2443 PARTE PRIMA 2444
c.c., rientrano anche le esigenze che attengono alla destinazione
del personale in base al criterio della funzionalità produttiva ed
a quella attitudinale del singolo, in modo da ottenere una più soddisfacente resa dei vari servizi dell'impresa» per modo che
«l'imprenditore ha facoltà di disporre il trasferimento del presta tore al fine di utilizzarne le doti peculiari nel riordinamento del
l'ammnistrazione dei servizi di una delle unità produttive
dell'impresa in cui tale esigenza sorge, purché non soffra pregiu dizio la posizione professionale dello stesso prestatore o l'entità
della retribuzione»; la sentenza n. 1262 del 26 febbraio 1982 (id.,
Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 914), la quale precisa che
la dimostrazione che deve fornire il datore di lavoro non si esten
de alla sussistenza della inevitabilità del trasferimento sotto il pro filo dell'inutilizzabilità del dipendente presso la sede dalla quale esso è trasferito.
Orbene alla stregua di tali principi, applicati alla fattispecie, il provvedimento di trasferimento in questione non poteva rite
nersi illegittimo. È pacifico infatti che il trasferimento dell'Andreola da Modu
gno al servizio personale della sede di Milano per svolgervi man
sioni di assistente nella gestione del personale era casualmente
connesso con la ristrutturazione dell'intero settore paghe median
te l'unificazione e la concentrazione di esso a Modugno; e che
tale unificazione del servizio mentre da una parte rendeva neces
saria la destinazione in tale settore potenziato di un funzionario
con qualifica superiore, rendeva dall'altra opportuno il trasferi
mento dell'Andreola a Milano, dove si erano dimessi due impie
gati, per adempiere mansioni, sia pure parzialmente analoghe a
quelle già svolte. Risulta perciò evidenziata la reale connessione
del trasferimento alle note esigenze organizzative, ed al fine di
ottenere una più soddisfacente resa del potenziato servizio ed una
migliore distribuzione, anche attitudinale, del personale. Le ulteriori indagini, di cui il ricorrente lamenta l'omissione,
implicano una intrusione nel merito delle scelte imprenditoriali: sia la possibilità dell'Andreola di rimanere a Modugno in relazio
ne ad una prospettata promozione a capoufficio sia quella da
destinare a Milano altro impiegato, più vicino a quella sede, ri
guardano soluzioni alternative, che sostanzialmente equivalgono a suggerimenti di iniziative, riservate alla facoltà dell'imprenditore.
Il tribunale, d'altra parte, non ha mancato di porre in evidenza
che il trasferimento non implicava alcun mutamento in peius del
la posizione professionale e retributiva dell'Andreola, in modo
che resta di fatto esclusa ogni lamentata lesione della dignità, sicurezza e libertà del lavoratore trasferito (art. 41 Cost.).
Il ricorso principale dev'essere dunque rigettato. Il ricorso incidentale è proposto in via subordinata e condizio
nato e dev'essere quindi ritenuto assorbito.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 4 feb
braio 1987, n. 1066; Pres. Scribano, Est. Vizza, P.M. De Mar
tini (conci, conf.); La Falce (Avv. Lauro) c. Crincoli (Avv.
Angiolas). Cassa senza rinvio Trib. Roma 15 luglio 1982.
Sfratto (procedimento per la convalida) — Legge 392/78 — Mo
rosità del conduttore — Mancato pagamento degli oneri acces sori — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 658; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 5, 9, 55).
A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 392/78, poiché l'obbli
gazione del conduttore concernente il pagamento degli oneri
accessori è divenuta parte essenziale della struttura sinallagma tica del contratto di locazione ed è parificata a quella di paga mento del canone, il procedimento per convalida di sfratto di cui all'art. 658 c.p.c., deve ritenersi applicabile anche nei casi
di morosità relativa agli oneri accessori. (1)
(1-2) Quelle qui riprodotte sono le prime pronunzie — di segno diame tralmente opposto — della IIIa sezione della Cassazione sul problema dell'ammissibilità del procedimento per convalida di sfratto, ex art. 658
c.p.c., nel caso di morosità del conduttore riguardante gli oneri accessori
(ovvero, in particolare, le spese condominiali a suo carico), dopo l'entra ta in vigore della 1. n. 392/78.
La giurisprudenza di merito si è finora espressa, in netta prevalenza,
li Foro Italiano — 1987.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 19 dicem
bre 1986, n. 7745; Pres. Colesanti, Est. Rebuffat, P.M. Be
nanti (conci, conf.); Mungo (Avv. Centurelli, De Dominicis) c. Terra (Avv. Carloni). Cassa Trib. Pescara 23 marzo 1982.
Sfratto (procedimento per la convalida) — Legge 392/78 — Mo
rosità del conduttore — Mancato pagamento degli oneri acces
sori — Inammissibilità (Cod. civ., art. 1453; cod. proc. civ., art. 658; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 5, 9, 55).
Il procedimento per convalida di sfratto ex art. 658 c.p.c. non
è applicabile all'ipotesi di morosità del conduttore per il man
cato pagamento degli oneri accessori della locazione, quali so
no le c.d. spese condominiali poste a carico del conduttore,
non rilevando in contrario (per le locazioni di immobili disci
plinate dalla l. n. 392/78) che l'art. 55 di questa legge preveda la possibilità di concedere un «termine di grazia» per il paga mento sia dei canoni che degli oneri accessori, dal momento
che l'assegnazione di detto termine può avvenire anche in un
ordinario procedimento di cognizione per la risoluzione del con
tratto. (2)
per la soluzione negativa (condivisa da Cass. n. 7745/86): v. Trib. Roma
15 luglio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Sfratto, n. 17 (riportata per esteso in Temi romana, 1983, 384, e cassata dalla sentenza n. 1066/87
in epigrafe); Pret. Santhià, ord. 14 aprile 1984, Foro it., Rep. 1984, voce
cit., n. 12; Pret. Bari, ord. 22 ottobre 1982, id., 1984, I, 323, con nota
di richiami (che, proprio sulla base di tale interpretazione, ha sollevato
la questione di costituzionalità dell'art. 5 1. n. 392/78, per violazione
degli art. 3 e 24 Cost.). Adde in dottrina, su posizioni contrastanti: C.
Lepore, Termine di grazia, mancato pagamento e provvedimento di rila
scio nel giudizio di convalida, in Rass. equo canone, 1982, 97 (nel senso
della inutilizzabilità dell'art. 658 c.p.c. per inadempimenti diversi da quelli
riguardanti il canone); e A. Barbieri, La mancata corresponsione delle
spese condominiali ed accessorie in relazione al procedimento di convali da di sfratto per morosità (art. 658 c.p.c.) ed alia luce degli art. 5 e
55 l. 392/78, in Locazioni urbane, 1984, 208, e (in nota a Trib. Roma
15 luglio 1982, cit.), in Temi romana, 1983, 385. Sul problema v. anche: F. Lazzaro-R. Preden, Le locazioni per uso
non abitativo, Giuffré, Milano, 1985, 335 ss. Per l'applicabilità dell'art. 55 1. n. 392/78 anche al di fuori del procedi
mento sommario per convalida di sfratto, v. Cass. 21 agosto 1985, n.
4474, Foro it., 1986, I, 1568. In senso contrario (ma apoditticamente), v. Cass. 5 luglio 1985, n. 4057, ibid., 133, con nota di richiami.
Sul principio (consolidato) della appellabilità dell'ordinanza di convali da dello sfratto, ex art. 663 c.p.c., emessa in assenza dei presupposti richiesti dalla legge, v. Cass. 29 marzo 1985, n. 2209, id., 1985, I, 2265, con nota di richiami di C. M. Cea; e Pret. Aversa 26 maggio 1984, ibid., 1248, con nota di richiami.
In tema di procedimento ex art. 658 c.p.c., v., da ultimo, Cass. 21
gennaio 1987, n. 525, id., 1987, I, 2168 (sull'ipotesi di ordinanza di con valida emessa in base ad attestazione di persistenza della morosità non
rispondente al vero).
* * *
A chi si chiedesse come è possibile che le due sentenze in epigrafe siano
pervenute a soluzioni interpretative cosi radicalmente in contrasto, la let tura parallela delle rispettive motivazioni offre una risposta esauriente.
Assolutamente contrapposti sono, invero, gli itinerari logici seguiti dal le due pronunzie, e del tutto differenti, quindi, le argomentazioni da cia scuna di esse utilizzate.
La sentenza n. 7745/86 muove dalla considerazione che il procedimen to ex art. 658 c.p.c. è predisposto per il «mancato pagamento del canone di affitto», e cioè dell'obbligazione «principale» del conduttore, avente natura compensativa del godimento della res locata; a tale inadempimen to non è assimilabile quello riguardante gli «oneri accessori» gravanti sul conduttore, privi del predetto carattere di «compenso» per il locatore. Viene d'altra parte esclusa la possibilità di estendere per analogia l'ambi to di applicazione del procedimento per convalida di sfratto, ostandovi la sua natura di «eccezione all'ordinario processo di cognizione». Si rile va infine — nella motivazione — che in molti casi l'accertamento della morosità per oneri accessori richiede l'acquisizione di elementi probatori ulteriori rispetto al «ristretto ambito documentale del contratto di loca
zione»; il che comporterebbe «un adattamento del rito» (sommario) ex art. 657 ss. c.p.c.
La sentenza n. 1066/87, per contro, prende in considerazione essenzial mente le innovazioni — di ordine sostanziale — apportate dalla 1. n. 392/78 in tema di morosità per le spese condominiali, concretizzatesi nel riconoscimento della idoneità di questa a giustificare la risoluzione del
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