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sezione lavoro; sentenza 7 marzo 2002, n. 3298; Pres. Dell'Anno, Est. Mazzarella, P.M. Napoletano...

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Page 1: sezione lavoro; sentenza 7 marzo 2002, n. 3298; Pres. Dell'Anno, Est. Mazzarella, P.M. Napoletano (concl. conf.); Soc. Fiat auto (Avv. Bonamico, Borsotti, De Luca Tamajo) c. Somà

sezione lavoro; sentenza 7 marzo 2002, n. 3298; Pres. Dell'Anno, Est. Mazzarella, P.M.Napoletano (concl. conf.); Soc. Fiat auto (Avv. Bonamico, Borsotti, De Luca Tamajo) c. Somà(Avv. Borio, Alù). Conferma Trib. Torino 20 maggio 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2755/2756-2759/2760Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196851 .

Accessed: 24/06/2014 23:34

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2755 PARTE PRIMA 2756

quanto sostenuto dallo Stara, tale restituzione costituisce non

già una prestazione previdenziale, essendo priva delle funzioni

di surrogare o integrare un reddito di lavoro cessato o ridotto, ma semplicemente un'obbligazione pecuniaria alla quale è ap

plicabile la disposizione generale di cui all'art. 1224, 2° comma,

c.c., dettato in materia di adempimento delle obbligazioni pecu niarie per il risarcimento del maggior danno in caso di inadem

pimento o ritardato adempimento. Il tribunale concludeva affermando che era infondata la que

stione di incostituzionalità sollevata dallo Stara sia perché que st'ultimo non aveva indicato le norme di riferimento per la pro

spettata questione e sia perché l'art. 21 I. n. 576 del 1980, non

prevedendo un trattamento previdenziale, non presenta alcuna

irrazionale disparità di trattamento con altri trattamenti previ denziali.

Il giudice del gravame riteneva, infine, che ricorrevano giusti motivi di compensazione o di parziale compensazione delle di

sposte spese, pur non essendo la causa di natura previdenziale. Lo Stara ricorre per cassazione con due motivi.

Resiste con controricorso la cassa di previdenza. Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente si

duole che il tribunale in violazione e falsa applicazione dell'art.

21 1. n. 576 del 1980 cit. e degli art. 442 e 429 c.p.c. non abbia

tenuto conto del fatto che, quando non sia possibile utilizzare i

contributi versati presso l'ente alle cui dipendenze l'avvocato

sia transitato, il rimborso dovrebbe avvenire con la rivalutazione

e gli interessi poiché il rimborso dei contributi conserva la natu

ra previdenziale propria dei contributi.

Contrariamente a quanto affermato dal tribunale, aggiunge il

ricorrente, la liquidazione del danno ex art. 442 e 429 c.p.c. non

presuppone una mora dell'istituto, ma opera per previsione normativa o, se si preferisce, per fictio iuris normativa.

Secondo il ricorrente, infatti, posto che non poteva utilizzare i

contributi versati alla cassa avvocati e posto che l'art. 21 cit. ne

consentiva il rimborso con l'espressa previsione del rimborso

degli interessi a decorrere al 1° gennaio dell'anno successivo ai

versamenti, era logico che da tale momento decorressero tutti

gli effetti conseguenti all'obbligo restitutivo.

Pertanto, attesa la natura del credito, oltre gli interessi andava

corrisposta la rivalutazione.

Diversamente opinando, conclude il ricorrente, il citato art.

21 e, occorrendo, anche gli art. 442 e 429 c.p.c. sarebbero inco

stituzionali, perché in contrasto con gli art. 3 e 97 Cost.

Il dedotto motivo è infondato.

Pur avendo natura previdenziale i giudizi aventi ad oggetto il

rimborso da parte dell'ente previdenziale dei contributi assicu

rativi indebitamente versati o, comunque, non dovuti, ciò non

toglie che per ragioni solidaristiche o per esigenze di pubblica finanza un siffatto obbligo non possa essere trasformato in una

mera obbligazione pecuniaria assoggettata alla relativa discipli na.

Come più volte questa corte ha precisato, il rimborso dei contributi versati in misura maggiore di quella dovuta o, come nella specie, non più dovuta perché non più utilizzabile, può co stituire l'oggetto di un'obbligazione pecuniaria, che trovi la sua fonte nella legge e precisamente nell'art. 2033 c.c. (indebito og gettivo; v. Cass. 7 marzo 1987, n. 2432, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 384; 13 maggio 1987, n. 4400, ibid., voce Danni civili, n. 257; 23 giugno 1989, n. 3014, id.. Rep. 1989, voce Indebito, n. 2; 22 marzo 1990, n. 2381, id., Rep. 1990, vo ce Danni civili, n. 229; 29 gennaio 1991, n. 826, id., Rep. 1991, voce Previdenza sociale, n. 345; 15 maggio 1991, n. 5421, ibid., n. 342; 19 novembre 1991, n. 12381, ibid., n. 339; 24 giugno 1992, n. 7769, id., Rep. 1992, voce cit., n. 338; 9 maggio 1995, n. 5036, id., Rep. 1995, voce cit., n. 389).

Essa, pertanto, può essere assoggettata, nei limiti della sua

compatibilità, alle norme dettate per le obbligazioni pecuniarie e, in particolare, all'art. 1224, 2° comma, c.c. in tema di ulterio re e maggior danno per il ritardato adempimento, ove la legge non disponga diversamente.

In tal caso il creditore ha diritto, oltre agli interessi legali ai sensi dell'art. 2033 c.c., anche al risarcimento del maggior dan no ai sensi del 2° comma dell'art. 1224 c.c.

Per l'attribuzione di tale risarcimento può essere rilevante, ad

esempio, la qualità del creditore di imprenditore come elemento

presuntivo a far ritenere che la somma, ove restituita tempesti vamente, sarebbe stata reinvestita nell'attività produttiva con

Il Foro Italiano — 2002.

conseguente neutralizzazione degli effetti della svalutazione

monetaria.

Nella specie, per evidenti esigenze solidaristiche, il citato art.

21 1. 20 settembre 1980 n. 576 aveva previsto l'obbligo restitu

torio della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense

verso i propri iscritti, per contributi versati e non più utilizzabili, come produttiva di soli interessi legali, attribuendogli, in tal

modo la natura di una mera obbligazione pecuniaria. Ne consegue che, non essendo stata offerta dallo Stara in rife

rimento all'obbligazione della cassa di restituzione dei contri

buti versati e non più utilizzabili, la prova — nemmeno in via

presuntiva — del maggior danno ex art. 1224, 2° comma, c.c.,

non appare censurabile la sentenza impugnata per la disposta conferma della pronuncia pretorile di rigetto dell'avanzata do

manda di rivalutazione dell'importo dei contributi restituiti ulte

riormente maggiorata degli interessi legali differenziali.

Peraltro deve considerarsi manifestamente infondata la solle

vata eccezione di illegittimità costituzionale.

Tale ultima considerazione, invece, rileva al fine di dichiarare

l'infondatezza anche del secondo e ultimo motivo di ricorso, con il quale lo Stara eccepisce che il tribunale non aveva moti

vato sulla censura d'appello dal medesimo dedotta in riferi

mento alla mancata dichiarazione di incompetenza, senz'altro

esigibile qualora venisse ritenuta non previdenziale la causa

promossa. Invero al fine di individuare il giudice competente ratione

materiae ex art. 442 c.p.c. la materia del contendere va desunta

anzitutto dalla domanda e, quindi, dal tipo di rapporto dedotto in

giudizio a sostegno della stessa.

Costituisce controversia di natura previdenziale, come tale

devoluta alla competenza del giudice del lavoro, quella promos sa dal datore di lavoro o dal libero professionista nei confronti

dell'istituto previdenziale al fine di ottenere la restituzione di

contributi erroneamente o illegittimamente versati o, comunque, non più dovuti, se la controversia nasce — come nella specie

dall'«applicazione delle norme riguardanti ... ogni altra forma

di previdenza e di assistenza obbligatorie» (secondo la testuale

espressione utilizzata dal 1° comma dell'art. 442 c.p.c.: v. Cass.

11 gennaio 1990, n. 36, id., Rep. 1990, voce cit., n. 925; 19 no

vembre 1991, n. 12380, id., 1992,1, 386). Essendo, pertanto, infondato anche tale secondo e ultimo mo

tivo, il proposto ricorso va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 marzo

2002, n. 3298; Pres. Dell'Anno, Est. Mazzarella, P.M. Na

poletano (conci, conf.); Soc. Fiat auto (Avv. Bonamico, Borsotti, De Luca Tamajo) c. Somà (Avv. Borio, Alù).

Conferma Trib. Torino 20 maggio 1998.

Lavoro (rapporto di) — Riposo settimanale — Mancata

concessione — Effetti.

Lavoro (rapporto di) — Riposo settimanale — Mancata

fruizione — Risarcimento del danno — Determinazione

(Cost., art. 36; cod. civ., art. 2109; 1. 22 febbraio 1934 n. 370,

riposo domenicale e settimanale, art. 1, 3). Lavoro (rapporto di) —

Riposo settimanale — Mancata

fruizione — Risarcimento del danno — Prescrizione —

Termine (Cod. civ., art. 2946, 2948).

La mancata concessione del riposo settimanale, con definitiva perdita del medesimo, produce la lesione di un diritto fonda mentale di matrice costituzionale, finalizzato alla imprescin dibile tutela del benessere psico-fisico dei lavoratori. ( 1 )

(1-3) Conformemente alla prima massima, cfr. Cass. 21 ottobre 1999, n. 11851, Foro it., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 1152; 19 no vembre 1997, n. 11524, id., Rep. 1997, voce cit., n. 985.

Sulla natura risarcitoria del compenso dovuto e le relative modalità

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

L 'attribuzione patrimoniale spettante al lavoratore per la per dita del riposo settimanale, avente natura risarcitola di un

danno (usura psico-fìsica) correlato ad un inadempimento del

datore di lavoro, deve essere stabilita dal giudice in concreto,

secondo una motivata valutazione che tenga conto della gra vosità delle varie prestazioni lavorative e di eventuali stru

menti ed istituti affini della disciplina collettiva, nonché di

clausole collettive che disciplinino il risarcimento ricono

sciuto al lavoratore nell'ipotesi de qua. (2)

Nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda in giudizio l'accerta

mento di un diritto avente ad oggetto il risarcimento di un

danno conseguente ad inadempimento contrattuale del datore

di lavoro (nella specie, danno da usura psico-fisica provocato dal mancato godimento del riposo settimanale), la tutela ri

chiesta non riguarda prestazioni periodiche, ma l'accerta

mento di un debito connesso e tuttavia di distinta natura, per il quale vale la regola generale della prescrizione nel termine

ordinario (decennale), e non la disciplina della prescrizione

(quinquennale) dei crediti stabilita dall'art. 2948 c.c. (3)

Svolgimento del processo. — Con sentenza n. 8773/96 del 23

ottobre - 13 novembre 1996, il Pretore di Torino accoglieva

parzialmente la domanda proposta da Stefano Somà contro Fiat

auto s.p.a. diretta al riconoscimento del risarcimento dei danni

per il mancato godimento di riposi settimanali, e condannava la

società al pagamento in favore del dipendente della somma di

lire 2.245.838, oltre accessori. Aveva dedotto il Somà che, in

considerazione della propria attività di sorvegliante, articolata

su tre turni avvicendati, ogni mese, in relazione all'orario di la

voro, per una o due volte, le previste ventiquattro ore consecuti

ve di riposo settimanale, in aggiunta al riposo giornaliero, in oc

casione del passaggio dal terzo al primo o al secondo turno di

lavoro, non si erano completate. Il Tribunale di Torino, a parziale modifica della sentenza

pretorile, che confermava sulla questione di diritto, riduceva la

somma a carico della società, riproporzionandola al principio che la soppressione dei riposi settimanali era stata solo parziale; dichiarava per un terzo compensate le spese del grado, ponendo a carico della società i residui due terzi.

Osservava il tribunale: costituiva principio giurisprudenziale che il riposo settimanale di ventiquattro ore non poteva neanche

parzialmente sovrapporsi a quello giornaliero; la tesi dèlia so

cietà circa la riduzione in tali ipotesi del periodo di riposo gior naliero non era percorribile, atteso che, se per cinque giorni consecutivi del terzo turno, le otto ore lavorate erano seguite dalle sedici ore di riposo giornaliero, le sedici ore di riposo

giornaliero consecutive alle otto ore di lavoro della sesta gior nata dovevano essere godute prima del cambio turno; il mancato

godimento di dette sedici ore perché non in supero alle venti

quattro ore successive di riposo, volte ad assicurare il riposo

giornaliero, le prime, e quello settimanale di ventiquattro ore, le

seconde, in realtà finiva con il determinare l'illegittima sovrap

posizione dei due riposi con conseguente fondamento dell'azio

ne risarcitoria; il danno andava risarcito in misura proporzionale alla quota di riposo settimanale in concreto sacrificata; andava

applicata la prescrizione decennale, trattandosi di responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Ricorre per cassazione la Fiat auto s.p.a. con due motivi di

censura, illustrati anche da successiva memoria.

Somà Stefano si è costituito con controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso la

Fiat auto s.p.a. denunzia violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 3 1. 22 febbraio 1993 n. 370, nonché omessa motivazio

ne su un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione

di determinazione in sede giudiziale, v., in senso sostanzialmente ana

logo alla seconda massima in epigrafe, pur nelle diverse specifiche arti

colazioni, Cass. 26 gennaio 1999, n. 704, id., Rep. 1999, voce cit., n.

1224; 28 gennaio 1998, n. 867, ibid., n. 1451; 13 marzo 1997, n. 2231,

id., Rep. 1997, voce cit., n. 990; 20 agosto 1996, n. 7677, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 919; 27 aprile 1992, n. 5019, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 1181.

Infine, sull'applicazione, in relazione al diritto al risarcimento del

danno per il mancato godimento del riposo settimanale, del regime di

prescrizione decennale, v., negli stessi termini, Cass. 24 dicembre

1997, n. 13039, id., Rep. 1998, voce Prescrizione e decadenza, n. Ili; 4 dicembre 1997, n. 12334, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n.

983.

Il Foro Italiano — 2002.

all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.; è vero che il lavoratore ha diritto al

riposo settimanale di ventiquattro ore continuative, da aggiun

gersi al riposo giornaliero, senza che detti riposi avessero co

munque anche parziali periodi di sovrapposizione, tuttavia, nel

caso di specie, l'effetto risarcitorio non trova spazio perché, in

concreto, si era anche previsto dalla contrattazione collettiva un

qualche vantaggio compensativo; in realtà, il ricorrente aveva

goduto di un riposo aggiuntivo in occasione del mancato ri

spetto del riposo compensativo di ventiquattro ore allorché, per

ragioni di turnazione, di tale ultimo non aveva goduto per inte

ro.

Il motivo è infondato.

Costituisce principio consolidato, in thema, che il riposo set

timanale necessario, dopo sei giorni consecutivi di lavoro, per il

recupero delle energie psico-fisiche, costituisce oggetto di un

diritto garantito, oltre che dall'art. 21Q9, ,1° comma, c.c., dal

l'art. 36, 3° comma, Cost., che ne ha sancito 1 'irrinunciabilità.

Pertanto, la mancata concessione del riposo settimanale, con

definitiva perdita del medesimo (in quanto dal lavoratore non

utilizzato, o non utilizzato completamente, in un tempo utile al

recupero delle energie psico-fisiche), è illegittima, siccome in

contrasto con il precetto costituzionale. É, in quanto tale, non

può essere validamente disciplinata né da clausole di contratto

(collettivo o individuale), che sarebbero nulle per contrarietà a

norme imperative o, più precisamente, per illiceità dell'oggetto

(art. 1418 e 1346 c.c.), né dalla legge, che sarebbe fondatamente

sospettabile di illegittimità costituzionale. Tale danno — di na

tura contrattuale perché correlato all'inadempimento del datore

di lavoro, il quale compie una scelta organizzativa in contrasto

con norme imperative — è oggetto, quanto all'aw, di presunzio

ne assoluta (Cass. 5015/92, Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro

(rapporto), n. 1041), posto che, dalla norma dell'art. 36 Cost., si

desume che la mancata fruizione del riposo settimanale è lesiva

di un diritto fondamentale, che deve essere rispettato per tutela

re il benessere fisico e psichico dei lavoratori (v. Cass. 26 gen naio 1999, n. 704, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 1224; 19 novem

bre 1997, n. 11524, id., Rep. 1997, voce cit., n. 985). Si osserva nelle dette decisioni anche che l'entità del danno,

non determinabile in astratto, deve essere stabilita (eventual mente in via equitativa) dal giudice del merito secondo una mo

tivata valutazione, che tenga conto della gravosità delle varie

prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti affini

della disciplina collettiva (Cass. .1607/89, id., Rep. 1989, voce

cit., n. 1053; 5019/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1181; 4087/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1038), nonché di clausole collettive che, a differenza di quelle (nulle e, perciò, inutilizza

bili), che direttamente regolamentino l'ipotesi dell'illecita pre stazione nel settimo giorno con definitiva perdita del riposo, si

limitano a disciplinare il risarcimento riconosciuto al lavoratore

nell'ipotesi anzidetta. Con la precisazione che il giudice deve

astenersi dalla liquidazione di tale pregiudizio soltanto nel caso

in cui il contratto collettivo preveda un'indennità per mancato

riposo, tenuto conto, peraltro, che per escludere tale diritto non

è certamente sufficiente la mera acquiescenza del lavoratore a

turni di lavoro unilateralmente predisposti dall'azienda.

Attenendosi solo in parte a questi principi, la tesi prospettata dall'azienda introduce una mancata verifica della disciplina

collettiva, che, ove effettuata dal giudice di merito, avrebbe

consentito di rilevare l'avvenuta garanzia, in toto, dell'integrale risarcimento del mancato recupero delle energie psico-fisiche; avrebbe verificato, cioè, che la legge e la detta contrattazione

avrebbero, in particolare, «inserito non poche ulteriori giornate di non lavoro per riposi o permessi di variegata natura».

Orbene, va rilevato che dal principio sopra enunciato di pre sunzione assoluta del danno per effetto dell'inadempimento contrattuale del datore di lavoro non può non desumersi, quanto

meno, l'obbligo del lavoratore di dedurre le circostanze impedi tive del suo riconoscimento, se e come esistenti nella contratta

zione collettiva; tali circostanze, risultano affermate, invece,

genericamente, nel ricorso in esame, in via solo di principio e in

termini finanche contraddittori, ove riferite a non poche giornate di non lavoro per riposi o permessi di variegata natura, e quindi

comunque motivati da esigenze di natura diversa.

Ne deriva che non trova smentita alcuna l'affermazione del

giudice del riesame allorché si esprime nel senso della insussi

stenza della situazione ipotizzata dal datore di lavoro e della ir

rilevante mancanza di prova da parte del lavoratore attesa la già affermata presunzione della sua esistenza.

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2759 PARTE PRIMA 2760

Con il secondo motivo di ricorso la Fiat auto s.p.a. denunzia

violazione e falsa applicazione degli art. 2946 e 2948 c.c. in re

lazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.: il dovuto eventuale, nel caso di

specie, era costituito da retribuzione non corrisposta di presta zione avente ad oggetto la messa a disposizione di energie lavo

rative; anche nell'ipotesi della natura risarcitoria di esso, co

munque essa andava ricondotta alla medesima causa debendi

delle spettanze del lavoratore mese per mese.

Anche questo secondo motivo è infondato.

Secondo il consolidato principio di questa corte, dal quale

questo collegio non ha motivo di discostarsi, «nell'ipotesi in cui

il lavoratore chieda in giudizio l'accertamento di un diritto

avente ad oggetto non già una voce ordinaria o straordinaria

della retribuzione, bensì il risarcimento di un danno patito per effetto di un'inadempienza contrattuale del datore di lavoro

(nella specie, danno da usura psico-fìsica provocato dal mancato

godimento del riposo settimanale), la tutela richiesta non ri

guarda prestazioni periodiche od aventi causa debendi conti

nuativa, ma l'accertamento di un debito connesso e tuttavia di

distinta natura, per il quale vale la regola generale della prescri zione nel termine ordinario (decennale), e non la disciplina della

prescrizione (quinquennale) dei crediti stabiliti dall'art. 2948

c.c.» (Cass. 24 dicembre 1997, n. 13039, id., Rep. 1998, voce

Prescrizione e decadenza, n. Ili; 4 dicembre 1997, n. 12334,

id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 983; 27 aprile 1992, n. 5015, cit.).

Il ricorso, pertanto, va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 feb

braio 2002, n. 2400; Pres. Ianniruberto, Est. Vidiri, P.M.

Napoletano (conci, conf.); Cinti (Avv. Andreozzi, Mandel) c. Banca d'Italia (Avv. Perassi, Ceci). Conferma Trib. Roma

26 luglio 1999.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Giusta causa —

Occupazione abusiva di immobile del datore di lavoro

(Cod. civ., art. 2087, 2119).

Configura giusta causa di licenziamento l'occupazione abusiva, da parte del dipendente (nella specie, portiere di un immobi

le), di un alloggio di proprietà del datore di lavoro, diverso

da quello assegnatogli, a nulla rilevando che tale condotta

sia stata posta in essere per sfuggire alle molestie praticate dai vicini di casa, di entità tale da configurare un concreto

pericolo per l'integrità fisica e psichica del lavoratore, che il

datore di lavoro è obbligato a preservare ai sensi dell'art.

2087 c.c. ( 1)

(1) La pronuncia, della quale non constano precedenti specifici, ri sulta di notevole interesse per i profili giuridici implicati.

La Suprema corte, in primo luogo, conferma l'impostazione preva lente in materia di accertamento degli elementi della condotta che con

figurano giusta causa di recesso, dando rilievo non solo all'elemento

oggettivo, ma altresì al profilo soggettivo, con riferimento alle circo

stanze, condizioni ed effetti, nonché all'intensità dell'elemento psico logico (in tal senso, cfr. Cass. 4 marzo 1996, n. 1667, Foro it.. Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1417).

Nel caso di specie, l'abbandono da parte del dipendente dell'immo bile destinato a suo alloggio e l'abusiva occupazione di altro apparta mento, in palese contrasto con la volontà datoriale, configura un atto

arbitrario, idoneo a minare il rapporto di fiducia e giustificare il recesso in tronco (in termini generali, su questi profili, cfr. Cass. 9 novembre

2000, n. 14551, id.. 2001,1, 95). Inoltre, ed è questo il tratto più originale della pronunzia, nessun ri

lievo può attribuirsi, a titolo di «scriminante», al fatto che tale com

portamento sarebbe stato indotto da uno stato di necessità, consistente

Il Foro Italiano — 2002.

Svolgimento del giudizio. — Con ricorso al Tribunale di Ro

ma depositato in data 24 agosto 1998, Aldo Cinti proponeva

tempestivo appello avverso la sentenza del Pretore di Roma

dell'I 1 giugno 1998 che, decidendo sul ricorso proposto dallo

stesso Cinti in data 10 settembre 1997, aveva respinto la do

manda del ricorrente volta ad ottenere l'annullamento del licen

ziamento intimatogli dalla Banca d'Italia per motivi disciplinari il 23 luglio 1997 nonché la condanna della stessa banca a rein

tegrarlo nel posto di lavoro con gli effetti previsti dall'art. 18 1.

20 maggio 1970 n. 300. A seguito di gravame del Cinti, il Tribunale di Roma con

sentenza del 26 luglio 1998 dichiarava la nullità della sentenza

di primo grado per non essere stato il dispositivo letto in pubbli ca udienza dal pretore e, decidendo nel merito, rigettava la do

manda proposta dal Cinti, che condannava anche alle spese del

giudizio. Nel pervenire a tale conclusione il tribunale premetteva che il

licenziamento era stato preceduto da una contestazione con la

quale il Cinti era stato diffidato a cessare dall'illecita condotta

posta in essere occupando abusivamente l'alloggio sito alla

scala A, interno 4, dello stabile dove lo stesso Cinti prestava servizio di portiere; occupazione seguita all'abbandono senza

alcuna autorizzazione di altro alloggio, gratuitamente goduto dallo stesso Cinti per ragioni di servizio. Nella nota del 22

aprile 1997, richiamata nella suddetta contestazione, la banca

aveva già addebitato al Cinti di essersi trasferito con una con

dotta del tutto arbitraria dall'appartamento —

concessogli gra tuitamente in virtù del contratto di lavoro — ubicato nella scala

B, interno 2, dello stabile sito in via del Mugello, presso il quale era addetto ai servizi di portierato, in altro appartamento dello

stesso stabile, ubicato, appunto, nella scala A, interno 4, e, per di più, aveva provveduto alla voltura delle utenze a suo nome.

Ciò premesso, il tribunale osservava che le giustificazioni ad

dotte dal Cinti per la condotta tenuta non erano condivisibili

perché ricorreva nel caso di specie una giusta causa di licenzia

mento non potendosi dubitare dell'idoneità del comportamento del Cinti a far venire meno la fiducia del datore di lavoro ed a

rendere, quindi, legittimo il recesso.

Ed invero, doveva, da un lato, considerarsi la gravità dei fatti

addebitati al lavoratore che aveva occupato abusivamente un

immobile di proprietà della banca avvalendosi delle chiavi affi

datigli in custodia e che aveva protratto la propria illecita con

dotta anche dopo la lettera di diffida e quella di contestazione

della banca. Dall'altro lato, non poteva non darsi rilevanza al

l'elemento fiduciario che improntava il rapporto di portierato, caratterizzato dal dovere primario della custodia degli apparta menti dello stabile nell'interesse della banca.

A fronte, poi, della gravità del fatto, valutato sia in relazione

alla sua portata oggettiva che a quella soggettiva, non poteva valere in alcun modo addurre da parte del Cinti la mancanza di

precedenti disciplinari a suo carico né il fatto di avere agito

«apertamente e senza sotterfugio». Né tanto meno la condotta

tenuta dal lavoratore poteva trovare giustificazione nel disposto dell'art. 2087 c.c. (e nella denunziata inerzia della banca dinanzi

alla dedotta situazione di disagio del proprio dipendente, venu

tasi a creare a causa delle ripetute molestie dei vicini di casa del

Cinti), in quanto anche se provata detta inerzia e l'inadempi mento del datore di lavoro alla prescrizione codicistica tutto ciò

non poteva, comunque, giustificare un comportamento disposto dal Cinti secondo il proprio arbitrio, attuato contro la volontà

del datore di lavoro e proseguito anche dopo che quest'ultimo lo

aveva espressamente diffidato dal persistere nell'occupazione abusiva dell'immobile.

Il richiamo all'art. 72 del contratto collettivo per i dipendenti dei proprietari di fabbricati del 25 maggio 1992 (relativo alla

nell'esigenza di sottrarsi alle molestie continue di «rumorosi» vicini di

casa, tali da configurare un reale pericolo di pregiudizio per la salute del lavoratore.

Infatti, ad avviso della Suprema corte, l'art. 2087 c.c. non risulta ap plicabile nella fattispecie, essendo tale norma diretta ad assicurare la

predisposizione da parte datoriale di tutte le misure a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori «nell'esercizio dell'impresa» e non, in termi ni generali, al di fuori dei luoghi di lavoro strido sensu (sui profili di

responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., v., da ultimo, Cass. 20 aprile 1998, n. 4012, id., 1999, I, 969; 1° settembre 1997, n. 8267, id., 1998, I, 131).

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