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sezione lavoro; sentenza 8 luglio 2004, n. 12645; Pres. Mileo, Est. Cuoco, P.M. Matera (concl....

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sezione lavoro; sentenza 8 luglio 2004, n. 12645; Pres. Mileo, Est. Cuoco, P.M. Matera (concl. diff.); Campoluongo e altro (Avv. Balletti) c. Fall. soc. C.g.a. - Compagnia generale abbigliamento; Fall. soc. C.g.a. - Compagnia generale abbigliamento (Avv. Rizzo) c. Campoluongo e altro. Cassa App. Napoli 25 gennaio 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 163/164-173/174 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200386 . Accessed: 24/06/2014 23:31 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.12 on Tue, 24 Jun 2014 23:31:21 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 8 luglio 2004, n. 12645; Pres. Mileo, Est. Cuoco, P.M. Matera (concl.diff.); Campoluongo e altro (Avv. Balletti) c. Fall. soc. C.g.a. - Compagnia generaleabbigliamento; Fall. soc. C.g.a. - Compagnia generale abbigliamento (Avv. Rizzo) c. Campoluongoe altro. Cassa App. Napoli 25 gennaio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 163/164-173/174Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200386 .

Accessed: 24/06/2014 23:31

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PARTE PRIMA 164

Motivi della decisione. — L'unico motivo denuncia violazio

ne e falsa applicazione degli art. 324, 325 e 434 c.p.c. e vizio di

motivazione. Addebita al tribunale di essere incorso, in relazio

ne alla decorrenza del termine breve per l'impugnazione, nel

medesimo errore compiuto con la sentenza non definitiva emes

sa nei confronti del Bellabona e già impugnata da costui con al

tro ricorso per cassazione. La sentenza del pretore n. 154 del 29

novembre 1988, allegata agli atti di causa, era stata notificata il

7 ottobre 1989 dai lavoratori, i quali avevano poi eccepito l'i

nammissibilità dell'appello proposto dall'ente ferrovie oltre il

termine dei trenta giorni, con ricorso depositato il 22 novembre

1989. Peraltro, la medesima sentenza del pretore era stata impu

gnata dall'ente ferrovie con altro atto, depositato 1*8 novembre

1989 (iscritto al r.g. sotto il n. 59985/89) ed eccepita anche in

questo secondo giudizio la tardività del gravame, il tribunale

con sentenza 28 aprile - 21 dicembre 1999 (n. 27836), oramai

passata in giudicato, aveva dichiarato inammissibile l'impugna zione.

Esaminando, in quanto logicamente prioritario, l'ultimo rilie

vo, esso deve essere disatteso, poiché per la pronuncia del Tri

bunale di Roma, che aveva deciso sull'altro appello proposto dall'ente ferrovie (con atto depositato l'8 novembre 1989 ed

iscritto al n. 59985 del registro generale anno 1989), avverso la

medesima decisione di primo grado, non risulta la certificazione

del suo passaggio in giudicato, a norma dell'art. 124 disp. att.

c.p.c. Come già rilevato dalla giurisprudenza di questa corte

(cfr. sentenza 19 marzo 1999, n. 2524, Foro it., Rep. 1999, voce

Cosa giudicata civile, n. 27) colui che afferma il passaggio in

giudicato di una sentenza resa in altro giudizio, deve dimo

strarlo, per cui non basta la produzione della sentenza, ma deve

altresì corredarla di idonea certificazione dalla quale risulti che

non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere né che

la mancata contestazione di controparte sull'affermato passag

gio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che

sia onere di quest'ultima dimostrare il secondo elemento dell'u

nica fattispecie costituente il giudicato (sentenza non impugna bile). (Omissis)

se essere comprovata mediante l'allegazione di copia di sentenza cor redata dalla certificazione attestante la sua mancata impugnazione, ma aveva ed ha testualmente affermato che «anche a prescindere dalle contestazioni del ricorrente» (basate sulla deduzione della mancanza di dimostrazione del giudicato attraverso l'esibizione di sentenza munita dell'anzidetta certificazione) «il giudice d'appello avrebbe dovuto

svolgere sul punto un'indagine esaustiva, senza tralasciare l'utilizzo eventuale dei poteri istruttori attribuiti al giudice del lavoro», con ciò

anticipando, in qualche modo, la configurazione dell'ampiezza dei po teri cognitivi ed istruttori poi riconosciuti in argomento al giudice. [C.M. Barone]

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 luglio 2004, n. 12645; Pres. Mileo, Est. Cuoco, P.M. Matera

(conci, diff.); Campoluongo e altro (Avv. Balletti) c. Fall,

soc. C.g.a. -

Compagnia generale abbigliamento; Fall. soc.

C.g.a. -

Compagnia generale abbigliamento (Avv. Rizzo) c.

Campoluongo e altro. Cassa App. Napoli 25 gennaio 2001.

Lavoro (rapporto di) — Fallimento del datore di lavoro —

Procedura di mobilità — Inosservanza — Licenziamento

collettivo — Inefficacia (L. 23 luglio 1991 n. 223, norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoc

cupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mer

cato del lavoro, art. 3, 4, 5, 24).

E inefficace il licenziamento collettivo intimato dal curatore

fallimentare senza la previa osservanza della procedura di

mobilità, anche nell'ipotesi in cui risulti impossibile la conti

nuazione dell'attività aziendale. (1)

(1) I. - Il tema oggetto della pronuncia in epigrafe segna uno dei

punti d'interferenza, che talora si volgono in attrito, tra la disciplina del fallimento e la disciplina del rapporto di lavoro.

In questo caso, il principio dell'obbligatorietà dello svolgimento della procedura di mobilità in tutte le ipotesi il cui il curatore del falli mento intenda procedere al licenziamento collettivo dei lavoratori di

pendenti dal datore di lavoro fallito, anche quando sia impossibile la continuazione dell'attività d'impresa, è conseguenza di alcune afferma zioni di respiro generale:

a) la disciplina dei licenziamenti collettivi è speciale rispetto alla di

sciplina del fallimento, in quanto regola particolari e specifici eventi della situazione concorsuale;

b) la finalità cui risponde la 1. n. 223 del 1991, che è la tutela del la

voro, prevale sulle finalità (segnatamente, di tutela della massa dei cre

ditori), al perseguimento delle quali è diretta la disciplina del fallimen

to; c) la sopravvivenza del rapporto di lavoro dopo il fallimento, anche

in caso di cessazione dell'attività d'impresa, dà corpo all'interesse del lavoratore allo svolgimento della procedura di mobilità, affinché sia

vagliato ogni elemento relativo all'esistenza di alternative. Finalmente trovano sbocco nella disciplina regolata dalla legge fal

limentare i principi di garanzia che presidiano la fase del recesso dal

rapporto di lavoro. La corte suffraga il principio con argomenti d'interpretazione storica

(l'inapplicabilità della 1. 223/91 nell'ipotesi dì «cessazione dell'attività

dell'impresa per provvedimento dell'autorità giudiziaria», prevista nel testo originariamente approvato dal senato è stata soppressa dal testo

approvato poi dalla camera dei deputati) e col richiamo alla normativa comunitaria (la direttiva 92/56/Cee, modificando la direttiva

75/129/Cee, ha esteso il proprio ambito di applicazione ai licenziamenti collettivi conseguenti a cessazione di attività determinata da decisione

giudiziaria). Cfr., in termini, sia pure in obiter dictum, Cass. 3 marzo 2003, n.

3129, Foro it., Rep. 2003, voce Fallimento, n. 468, citata in motivazio ne.

In senso contrario era il precedente edito della giurisprudenza di le

gittimità, secondo cui la procedura di mobilità contemplata dall'art. 4 1. 223/91 si applica nelle sole ipotesi in cui il fallimento consenta lo svol

gimento, anche parziale o provvisorio, dell'attività d'impresa e la con

seguente salvaguardia, anche parziale, dei livelli occupazionali: Cass. 12 maggio 1997, n. 4146, id., 1997, I, 2490, citata in motivazione, con nota di richiami; in termini, per la giurisprudenza di merito, Trib. Roma 11 luglio 2002, id., Rep. 2003, voce cit., n. 467.

In dottrina, escludono l'applicabilità della procedura nelle ipotesi in cui sia impossibile la prosecuzione dell'attività d'impresa, L. Mattace Raso (nota a Corte giust. 17 dicembre 1998, causa C-250/97, Dansk

Metalbejderforbund, id., Rep. 1999, voce Unione europea, n. 1288), in Lavoro giur., 1999, 1123; A. Caiafa, Lezioni di diritto concorsuale, Padova, 2003, 222.

Reputa necessario l'espletamento della procedura, F. Mutarelli, Cessazione dell'attività di impresa fallita e obbligo di svolgere la pro cedura ex art. 4 e 24 l. 223/91 (nota a Cass. 12 maggio 1997, n. 4146), in Riv. it. dir. lav., 1997, II, 851.

Cfr. anche gli ulteriori riferimenti contenuti nella nota di richiami che correda Cass. 4146/97, cit.

Da ultimo, in generale, v. A. Caiafa, I rapporti di lavoro nelle crisi

d'impresa, Padova, 2004. II. - Sull'ambito di applicazione generale della 1. 223/91, v. Cass. 20

maggio 2002, n. 7309, Foro it., Rep. 2002, voce Ferrovie e tramvie, n. 43, citata in motivazione.

Su alcuni aspetti della procedura di mobilità, v. Cass. 9 agosto 2004, n. 15377, id., Mass., 1200.

Sulla nozione di licenziamento collettivo, v. Corte giust. 12 ottobre

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 2 maggio 1997

al Pretore di Napoli, Luciano Macchione, Nicolino Cappella e

Giuseppe Lanzetti esposero che:

a) avevano lavorato alle dipendenze della Compagnia gene rale abbigliamento (C.g.a.) s.p.a., dichiarata fallita con sentenza

del 31 luglio 1996;

b) l'8 luglio 1996 questa società aveva stipulato con l'Euro

trend s.p.a. un concordato preventivo con cessione d'azienda; il

contratto era subordinato alla condizione sospensiva del passag

gio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato,

e prevedeva che, nella pendenza della condizione, l'azienda sa

rebbe stata gestita dalla cessionaria, in base a contratto d'affitto;

c) avevano ricevuto dalla cessionaria (come tutti gli altri di

pendenti della C.g.a. s.p.a.) la proposta di assunzione con decor

renza dall'8 luglio 1996;

d) il 27 settembre 1996 il curatore del fallimento C.g.a. s.p.a. aveva loro comunicato la decisione di ricostituire i singoli rap

porti di lavoro con retrodatata decorrenza, e nel contempo la so

spensione dei rapporti stessi;

e) l'Eurotrend s.p.a. aveva a sua volta revocato la proposta di

assunzione; ed il 21 gennaio 1997 il curatore aveva risolto i

rapporti di lavoro;

f) i licenziamenti erano illegittimi in quanto, in violazione della 1. 23 luglio 1991 n. 223, non era stata richiesta preventi vamente la c.i.g.s., non erano stati adempiuti gli obblighi di pro cedura e di consultazione ivi previsti, non era stata verificata la

possibilità di ripresa dell'attività aziendale, né, per altro verso,

esisteva giusta causa o giustificato motivo.

Ciò premesso, i ricorrenti chiesero, congiuntamente ad un

2004, causa C-55/02, Commissione c. Repubblica portoghese, id.,

2004, IV, 606, con note di G. Ricci e R. Cosio.

III. - Sulla sussistenza dell'interesse del lavoratore dell'impresa fal

lita ad ottenere il ripristino del rapporto di lavoro in stato di quiescenza

per la possibilità che riprenda il lavoro nonché per le possibilità di frui

zione di una serie di benefici previdenziali, v. Cass. 28 aprile 2003, n.

6612, id., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1760; 3 marzo 2003, n.

3129, cit.; 3 novembre 1998, n. 11010, id., Rep. 1998, voce cit., n.

1727. Di opinione contraria, nella giurisprudenza di merito, sembra Trib.

Padova 18 giugno 1998, id., Rep. 1999, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 112.

IV. - Sulla commisurazione della tutela risarcitoria conseguente al

l'illegittimità del licenziamento intimato dal curatore alla retribuzione

globale di fatto maturata dal dipendente dal momento del licenziamento

sino a quello in cui si possa presuntivamente considerare cessato lo

stato di disoccupazione, v. App. Torino 29 novembre 2001, id., Rep. 2002, voce Lavoro (rapporto), n. 1421.

In dottrina, v. M. Martina, Una breve rassegna di giurisprudenza (e un interrogativo) su licenziamento e procedure concorsuali, in Riv.

critica dir. lav., 2002, 197. V. - Sull'efficacia endofallimentare del provvedimento di rigetto del

giudice delegato della domanda del lavoratore di corresponsione di

somme a titolo di retribuzione, privo di efficacia preclusiva della deci

sione del giudice del lavoro sulla domanda di reintegra, Cass. 15 mag

gio 2002, n. 7075, Foro it., Rep. 2002, voce Lavoro e previdenza (con troversie), n. 50.

VI. - Sulla ripartizione di competenze tra giudice del lavoro e giudice fallimentare in ordine all'accertamento dell'illegittimità del licenzia

mento ed alla determinazione delle conseguenze derivanti dalla pro nuncia d'illegittimità, v. Cass. 3 marzo 2003, n. 3129, cit.; 15 maggio 2002, n. 7075, cit., ibid., n. 48; 7 giugno 2001, n. 7738, id., Rep. 2001, voce cit., n. 82; 22 giugno 2000, n. 8514, id., Rep. 2000, voce Falli

mento, n. 312; 4 dicembre 1999, n. 13580, ibid., n. 570; 18 agosto 1999, n. 8708, id., 2000, I, 1244, e, per la giurisprudenza di merito, Trib. Vicenza 8 maggio 2002, id., Rep. 2002, voce Lavoro e previdenza

(controversie), n. 51.

Sulla competenza del giudice del lavoro nel caso del concordato pre ventivo, Trib. Milano 11 ottobre 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 83.

Quanto alla liquidazione coatta amministrativa, per la competenza del giudice del lavoro in ordine alla domanda di reintegra e per l'im

proponibilità o improseguibilità per difetto temporaneo di giurisdizione in ordine alle domande di condanna al pagamento di crediti retributivi,

v. Cass. 21 novembre 2000, n. 14998, ibid., voce Liquidazione coatta

amministrativa, n. 66; 27 luglio 1999, n. 8136, id., Rep. 2000, voce cit.,

n. 63. Idem nell'ipotesi di amministrazione straordinaria: Cass. 5 di

cembre 2000, n. 15447, ibid., n. 94.

VII. - Sulla inidoneità dei licenziamenti ad esternare lo stato d'insol

venza dell'imprenditore, v. Trib. Arezzo 9 settembre 2002, id., Rep. 2003, voce Fallimento, n. 452. [A.M. Perrino]

Il Foro Italiano — 2005.

provvedimento cautelare, la dichiarazione di nullità o di ineffi

cacia dei licenziamenti stessi od il relativo annullamento.

Con altro ricorso del 17 giugno 1997 altri venticinque lavo

ratori, licenziati dal fallimento C.g.a. s.p.a., chiesero che il giu dice del lavoro di Napoli accertasse la nullità od inefficacia del

licenziamento, la permanenza dei rapporti di lavoro subordinato

ed il loro diritto all'espletamento della procedura prevista dal

l'art. 3, 1° e 3° comma, 1. 23 luglio 1991 n. 223.

Riunite le cause, il Tribunale di Napoli dichiarò l'inefficacia dei licenziamenti di Salvatore Perrella, Gloria Campoluongo,

Giuseppe Lanzetti, Nicolino Cappella e Luciano Macchione, e

la conseguente permanenza dei relativi rapporti di lavoro, e re

spinse i ricorsi degli altri lavoratori.

Questi proposero appello avverso la predetta sentenza, con

giuntamente al Perrella ed alla Campoluongo; distinto appello

propose la curatela del fallimento C.g.a. s.p.a. nei confronti dei

lavoratori in relazione ai quali era stata dichiarata l'inefficacia

dei relativi licenziamenti (Salvatore Perrella, Gloria Campo

luongo, Giuseppe Lanzetti, Nicolino Cappella e Luciano Mac

chione).

Appello incidentale a loro volta proposero il Cappella e la

Campoluongo, chiedendo l'accoglimento dell'ulteriore doman

da di declaratoria del diritto all'esperimento della procedura

prevista dall'art. 3 1. 23 luglio 1991 n. 223.

Con sentenza del 25 gennaio 2001 la Corte d'appello di Na

poli, accogliendo l'appello del fallimento C.g.a. s.p.a., ha re

spinto le domande introduttive.

Il giudicante ricostruisce in primo luogo i fatti:

a) il 27 settembre 1996 il curatore del fallimento aveva co

municato ai lavoratori la sospensione dei rapporti di lavoro, lo

svolgimento di incontri con le organizzazioni sindacali per l'av

vio della procedura prevista dalla 1. n. 223 del 1991, e, «nell'i

potesi di mancato accoglimento della procedura prescelta», la

cessazione dei rapporti stessi;

b) l'Eurotrend s.p.a. (cui i lavoratori erano stati trasferiti in

esecuzione della cessione di azienda, stipulata l'8 luglio 1996) il

14 ottobre 1996 aveva comunicato ai lavoratori la revoca delle

assunzioni effettuate l'8 luglio 1996;

c) i lavoratori erano ritornati alle dipendenze del fallimento

C.g.a., prestando la loro opera per la completa liberazione dei

locali aziendali (occupati dall'Eurotrend s.p.a.);

d) con la lettera inoltrata del 27 gennaio 1997, il curatore

aveva dichiarato ai lavoratori di ritenere avvenuta la cessazione

dei rapporti per l'intervenuta novazione, e, nell'eventualità di

contestazione, l'atto era da considerarsi licenziamento per ces

sazione dell'attività.

Questi elementi conducono il giudicante:

a) ad escludere che con l'Eurotrend s.p.a. fosse intervenuta

(come sostenuto dal fallimento) una novazione dei rapporti di

lavoro;

b) ad escludere che il 27 settembre 1996 i rapporti stessi fos

sero stati risolti; la stessa condizione, ivi prevista («mancato ac

coglimento della procedura prescelta»), non si era verificata;

c) a ritenere che i rapporti si erano risolti il 27 gennaio 1997,

con la lettera inviata dal curatore del fallimento ai lavoratori.

Ciò premesso, il giudicante, pur osservando che il fallimento

dell'imprenditore non determina la cessazione (di diritto) del

rapporto di lavoro con i dipendenti, ed aggiungendo che questo

rapporto si risolve solo con atto del curatore, il quale è obbli

gato all'osservanza della normativa sui licenziamenti indivi

duali e collettivi, ritiene che nel caso in esame i licenziamenti

non erano nulli per pretesa violazione dell'art. 3 1. 23 luglio 1991 n. 223, né inefficaci per pretesa violazione degli art. 4 e 24

stessa legge. In ordine all'ammissione alla c.i.g.s., pur dando atto del con

trario orientamento di gran parte della dottrina, il giudicante ri

tiene che il fallimento non determini automaticamente l'ammis

sione dell'impresa al trattamento straordinario di integrazione salariale e l'obbligo del curatore di proporre la relativa richie

sta. Ciò deduce dalla stessa lettera della legge (necessità della

domanda ed assenza del relativo obbligo), dalla facoltà, per il

curatore, di collocare in mobilità i lavoratori eccedenti (art. 3,

3° comma), e dal rientro dei lavoratori in azienda, al termine del

trattamento (art. 4, 13° comma). Per quanto attiene alla procedura prevista dagli art. 4 ss., il

giudicante, testualmente richiamando Cass. 12 maggio 1997, n.

4146 (Foro it., 1997, I, 2490), ritiene che la stessa sia da osser

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PARTE PRIMA

vare solo ove sia possibile conservare alcuni rapporti di lavoro.

Ove il fallimento abbia determinato la cessazione dell'attività

dell'impresa «e non sia possibile attuare una sua prosecuzione», non vi è ragione di applicare la procedura stessa, in quanto «il

curatore non ha possibilità di scelta», dovendo compiere un atto

dovuto, e nell'interesse dei creditori; e la stessa reintegrazione dei lavoratori (quale conseguenza dell'inosservanza della pro

cedura) in un'impresa inesistente non avrebbe funzione alcuna;

per cui, i licenziamenti disposti dal curatore, differenziandosi

dal licenziamento collettivo, integrano una figura residuale di

licenziamento plurimo individuale per giustificato motivo og

gettivo. D'altro canto, la legge che disciplina il fallimento ha il ca

rattere della specialità; ed il fallimento, in cui l'atto del curatore

s'inserisce, conferisce alla cessazione totale di attività un carat

tere peculiare, giustificando, per la finalità cui la disciplina è di

retta, l'esclusione della procedura. Per la cassazione di questa sentenza ricorrono Gloria Cam

poluongo e Salvatore Perrella, percorrendo le linee di cinque

motivi; il fallimento C.g.a. s.p.a. resiste con controricorso, pro

ponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato coltivato

con memoria, cui i ricorrenti principali resistono con controri

corso nonché con memoria e note d'udienza.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricorso

principale, denunciando per l'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. violazio

ne ed errata applicazione degli art. 3, 4, 5 e 24 1. 23 luglio 1991

n. 223 nonché inesatta e contraddittoria motivazione, i ricorrenti

sostengono che la disciplina del procedimento preordinato al li

cenziamento collettivo, previsto dall'indicata legge, ha carattere

generale, ed e obbligatoria anche nei confronti delle aziende di

chiarate fallite, ed anche nei casi di cessazione dell'attività

aziendale (senza che questa cessazione assuma rilievo alcuno).

Questa cessazione è prevista come presupposto, che legittima la collocazione in mobilità, in alternativa alla c.i.g.s. (che co

stituisce la prima soluzione prospettata ex lege)-, ed è espressa mente richiamata dall'art. 24, 2° comma, della legge. E non è

prevista alcuna disposizione derogatoria nei confronti del gene rale principio dell'art. 3, 3° comma.

E la facoltà prevista da questa disposizione, esprimendo solo

l'alternativa, non esclude l'obbligatorietà della procedura. Né assume rilievo, a differenza di quanto erroneamente af

fermato dalla sentenza, l'interesse dei creditori: costoro non

solo non ricevono pregiudizio alcuno dall'applicazione della

procedura, bensì sono esentati (art. 3, 3° comma) dalla normale

contribuzione (prevista dall'art. 5, 4° comma). Il trattamento di

disoccupazione è del tutto «esterno» nei confronti del rapporto di lavoro, essendo a carico dell'istituto previdenziale (e ciò con

ferma l'assenza d'un controinteresse del datore all'espletamento della procedura in esame).

Né l'interesse dei creditori potrebbe, in astratto, prevalere sull'interesse primario che questa legge persegue: l'interesse al

lavoro, alla conservazione dei livelli occupazionali, ed alle

provvidenze della mobilità.

Conferma di questa interpretazione (coerente anche con il

dettato costituzionale) è l'iter di formazione della norma: nel te

sto definitivo scomparve l'inapplicabilità (della procedura) ini

zialmente prevista (nel testo approvato dal senato) nell'ipotesi di cessazione dell'attività dell'impresa per provvedimento del

l'autorità giudiziaria. Con il secondo motivo, denunciando per l'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c. violazione ed errata applicazione degli art. 3, 4, 5 e 24 1.

23 luglio 1991 n. 223 e degli art. 1362 e 1366 c.c. nonché ine satta e contraddittoria motivazione, i ricorrenti sostengono che

prima della controversia giudiziaria era pacifica fra le parti

l'obbligatorietà della pròcedura alla situazione in esame, in

quanto era stata riconosciuta e data per scontata dalla curatela, che l'aveva anche avviata. Solo nel giudizio d'appello la cura

tela aveva per la prima volta negato questa obbligatorietà. Con il terzo motivo, denunciando per l'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c. violazione ed errata applicazione degli art. 112 e 416

c.p.c. nonché insufficiente ed inesistente motivazione, i ricor

renti sostengono che la curatela aveva eccepito in primo grado solo l'intervenuta novazione soggettiva dei rapporti: e solo in

secondo grado aveva eccepito la non obbligatorietà della proce dura ex art. 4 e 24 1. 23 luglio 1991 n. 223 per cessazione del

l'attività aziendale, in tal modo introducendo in controversia un

Il Foro Italiano — 2005.

nuovo fatto (la cessazione dell'attività aziendale) ed una nuova

ragione giuridica (la non obbligatorietà dell'indicata procedura). E la decisione impugnata è fondata su questi nuovi elementi,

estranei alla materia ritualmente introdotta in controversia.

Con il quarto motivo, denunciando per l'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c. violazione ed errata applicazione degli art. 116 e 117

c.p.c. nonché insufficiente ed inesistente motivazione, i ricor

renti sostengono che la cessazione dell'attività aziendale, erro

neamente posta a fondamento dell'impugnata sentenza, non solo

è fatto irritualmente introdotto nella materia in controversia,

bensì è un assunto contrario alle risultanze istruttorie (lo stesso

curatore del fallimento aveva dichiarato che l'azienda continua

va a svolgere attività di progettazione e commercializzazione).

Con il quinto motivo, i ricorrenti eccepiscono, in subordine,

l'illegittimità costituzionale degli art. 3, 4, 6, 7, 8, 9 e 24 1. 23

luglio 1991 n. 223, come interpretati dall'impugnata decisione,

in quanto, in contrasto con gli art. 3, 4, 38 e 41 Cost., conduco

no alla lesione di beni assolutamente primari. 2. - Con il ricorso incidentale condizionato, denunciando per

l'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli art. 1235, 1324, 1362 ss. c.c. e degli art. 23, 24, 25, 26, 31 e 36 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, il ricorrente incidentale sostiene che,

a differenza di quanto erroneamente ritenuto dalla sentenza im

pugnata, i dipendenti dovevano ritenersi definitivamente passati alle dipendenze dell'Eurotrend s.p.a., a causa della novazione

soggettiva dei loro rapporti di lavoro.

Questa era deducibile da molteplici elementi, non esaminati

ed adeguatamente valutati dalla sentenza impugnata: 2.a. - il fatto che, anche dopo la dichiarazione di fallimento

della C.g.a. s.p.a., i lavoratori avevano continuato a lavorare per l'Eurotrend s.p.a. e da questa avevano ricevuto anche parte della

retribuzione loro spettante; e, in questo quadro, le dichiarazioni

rese dai lavoratori Lanzetti («Mi risulta che la Eurotrend s.p.a. dall'ottobre 1996 in poi ha continuato a lavorare regolarmente») e dal Macchione («Dall'ottobre 1996 ho collaborato con l'Eu

rotrend per sistemare le carte ... nei locali della Eurotrend

s.p.a., ma in favore della C.g.a. s.p.a., perché così richiesto dal

sig. De Angelis, amministratore della C.g.a. s.p.a.»); 2.b. - il trasferimento dei lavoratori all'Eurotrend s.p.a. quale

esecuzione del contratto di cessione dell'8 luglio 1996;

2.c. - il contratto di affitto del marchio C.g.a. s.p.a., stipulato dall'Eurotrend s.p.a. il 27 settembre 1996;

2.d. - la richiesta di rinnovo della locazione dell'azienda,

formulata l'8 novembre 1996 dall'indicata società;

2.e. - il provvedimento con cui il giudice delegato aveva dato

atto della novazione soggettiva dei rapporti;

2./. - il reclamo proposto dall'Eurotrend s.p.a. avverso il

provvedimento con cui il giudice delegato, dando atto di questa novazione, aveva respinto la richiesta di c.i.g.s. e l'avviamento

della procedura di mobilità.

3. - Il ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato, essendo oggettivamente e soggettivamente connessi, devono es

sere riuniti. Le questioni in giudizio sono:

3.a. - la sussistenza d'una novazione soggettiva del rapporto di lavoro svoltosi dopo il licenziamento (questione dedotta con

il ricorso incidentale); 3.b. -

l'obbligatorietà della procedura prevista dalla 1. 23 lu

glio 1991 n. 223, ove, con la cessazione dell'attività aziendale, sia ritenuta impossibile la prosecuzione dei rapporti di lavoro

(questione dedotta con il ricorso principale).

Ogni altra questione, secondo quanto la sentenza impugnata ha incensuratamente ritenuto, è da ritenere assorbita.

4. - L'invocata novazione del rapporto, poiché è potenzial mente idonea ad escludere l'ipotizzabilità della seconda que stione ed a risolvere la controversia, deve essere esaminata prio ritariamente, pur nella natura condizionata del ricorso.

Il ricorso incidentale è infondato. Fondata è l'affermazione

della sentenza impugnata, per cui i lavoratori erano inizialmente

passati alle dipendenze dell'Eurotrend s.p.a. e poi erano ritor

nati alle dipendenze della C.g.a. s.p.a., e che era da escludersi

una novazione soggettiva dei rapporti. Esaminando le singole argomentazioni della ricorrente (come

riportate sub 2), è da osservare quanto segue. 4.a. - Su un piano generale, è da osservare che l'applicabilità

all'affitto (invocata dalla ricorrente incidentale), ex art. 2112

c.c., delle disposizioni dettate per il trasferimento d'azienda,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

coinvolge i rapporti di lavoro solo per la durata del relativo

contratto. Come, con l'inizio di questo contratto, il rapporto di

lavoro «continua» con l'affittuario ed il lavoratore «conserva tutti i diritti che ne derivano», in egual modo, con la cessazione del contratto, il rapporto di lavoro «continua» con l'originario datore, ed il lavoratore, ripristinato l'originario rapporto, con

serva (ed a maggior ragione) tutti i diritti che derivano dall'ori

ginario rapporto.

Questo «ripristino» assume più incisivo aspetto ove lo stesso

contratto d'affitto, pur avendo avuto concreto svolgimento, debba poi considerarsi, per il verificarsi d'un evento risolutivo

previsto dallo stesso contratto, tamquam non esset. In questa

ipotesi, gli effetti provvisori del contratto (in particolare, il lavo

ro prestato e la retribuzione dovuta) restano. Non resta (ed ab

initio scompare) ciò che è estraneo a questa provvisorietà: alla

contingenza. Ciò nel caso in esame. Ai fini della titolarità datorile dei rap

porti di lavoro, in particolare dall'8 luglio 1996, appare deter

minante il contratto che la C.g.a. s.p.a. e l'Eurotrend s.p.a. in

questa data stipularono. Come incensuratamente la sentenza ha

accertato, il contratto prevedeva: — la cessione dell'azienda con il connesso trasferimento di

tutti i dipendenti dalla prima alla seconda società; — l'assunzione del concordato preventivo da parte di questa

seconda società; — la subordinazione dell'efficacia della cessione con con

cordato alla condizione sospensiva del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;

— la gestione dell'azienda a titolo di affitto provvisorio, da

parte dell'Eurotrend s.p.a., in pendenza della condizione so

spensiva; — la necessità, nel caso di fallimento della C.g.a. s.p.a., di

considerare il contratto «come mai stipulato». In tal modo, la cessione con assunzione di concordato pre

ventivo era subordinata all'indicata condizione sospensiva (pas

saggio in giudicato della sentenza di omologazione); e nel con

tempo l'affitto provvisorio era subordinato alla condizione ri

solutiva del fallimento del titolare dell'azienda.

A seguito del fallimento (dichiarato il 31 luglio 1996), la ces sione dell'azienda ed il trasferimento dei dipendenti sono da ri

tenersi come non verificatisi. E la C.g.a. s.p.a. in stato falli

mentare riacquista (ex tunc: art. 1360, 1° comma, c.c.) la titola

rità dei rapporti di lavoro; alcuna titolarità permane nell'altra

società.

Di ciò (come la sentenza ha incensuratamente ricostruito) danno atto sia il curatore con la lettera del 27 settembre 1996

(con cui si comunica ai singoli lavoratori la permanenza del loro

rapporto di lavoro), che l'Eurotrend s.p.a. con la lettera del 14

ottobre 1996, che coinvolge anche un futuro non definito perio do di tempo (con cui la società comunica loro che essi sono da

considerarsi a tutti gli effetti «tuttora alle dipendenze della

C.g.a. s.p.a.», e si impegna a corrispondere quanto loro dovuto, «limitatamente all'attività lavorativa di fatto espletata durante il

periodo di tempo ... concesso dal giudice delegato per realizza

re la liberazione dei locali della C.g.a. s.p.a.»); e di ciò, con le indicate missive, sono resi edotti gli stessi lavoratori.

Da questa premessa discende che l'affermazione del giudi cante, per cui l'attività prestata dai lavoratori dopo il fallimento

avveniva nell'ambito del preesistente rapporto di lavoro con la

C.g.a. s.p.a. («dichiaratamente alle dipendenze del fallimento»), è giuridicamente fondata.

Ora, poiché la novazione soggettiva determina la modifica

d'un incontroverso fatto preesistente (titolarità del rapporto), colui che l'invoca ha l'onere di fornirne la prova (art. 2697

c.c.). E nel caso in esame, il ricorrente incidentale, che ricono

sce il contratto di cessione e le condizioni alle quali era subor

dinato, aveva l'onere di fornire la prova del fatto modificativo

dedotto (la novazione). E tuttavia, nei confronti delle ragioni poste a base dell'affer

mazione (recata dalla sentenza) per cui dopo il fallimento il rap

porto di lavoro continuò a svolgersi nella titolarità dello stesso

fallimento ed il licenziamento fu da questi effettuato solo con la

lettera del 27 gennaio 1997, il ricorrente incidentale non muove

adeguata censura, limitandosi a sostenere che i lavoratori in tale

periodo continuarono a prestare la loro opera con la nuova so

cietà (Eurotrend s.p.a.). In questo quadro, l'attività che i dipendenti d'un imprenditore

Il Foro Italiano — 2005.

svolgano, su disposizione e con il datorile consenso, per le con

tingenti esigenze di un secondo distinto imprenditore, non

esclude la permanenza del preesistente rapporto di lavoro con il

primo imprenditore; né lo esclude il fatto che il compenso, avente per oggetto questa specifica attività, sia erogato dal se

condo che della prestazione riceve il contingente vantaggio. Ciò, in particolare, ove su questa permanenza (e sull'inesistenza

d'un nuovo rapporto di lavoro con il secondo) convergano il

consenso dei due diversi imprenditori e la consapevolezza degli stessi dipendenti: questa convergenza determina la permanenza

dell'originaria titolarità del rapporto. Ciò, nel caso in esame. Per le indicate ragioni, l'argomenta

zione della ricorrente incidentale, per cui anche dopo la dichia

razione di fallimento della C.g.a. s.p.a. i lavoratori avevano

continuato a lavorare per l'Eurotrend s.p.a. e da questa società

avevano ricevuto anche parte della retribuzione loro spettante, non è decisiva al fine di escludere la permanenza del preesi stente originario rapporto di lavoro (ed è illuminante la stessa

riportata testimonianza di Macchione: «Dall'ottobre 1996 ho

collaborato con l'Eurotrend per sistemare le carte ... nei locali

della Eurotrend s.p.a., ma in favore della C.g.a. s.p.a., perché così richiesto dal sig. De Angelis, amministratore della C.g.a.

s.p.a.»). Né lo sono gli altri argomenti indicati dalla ricorrente.

4.b. - Il trasferimento dei lavoratori all'Eurotrend s.p.a., es

sendo stato effettuato prima del fallimento, costituiva mera ese

cuzione del contratto di affitto.

4.c.-d. - Il contratto di affitto del marchio C.g.a. s.p.a., stipu lato dall'Eurotrend s.p.a. il 27 settembre 1996, e la richiesta di

rinnovo della locazione dell'azienda, formulata da questa so

cietà 1' 8 novembre 1996, esprimevano il persistente interesse

della società ad utilizzare l'azienda (interesse dell'affittuario è

anche il diritto di prelazione nell'acquisto dell'azienda: art. 3, 4° comma, 1. 23 luglio 1991 n. 223): non erano idonei a costitui

re un nuovo rapporto di lavoro con i dipendenti. 4.e. - Le espressioni contenute nel provvedimento emesso il

14 gennaio 1997 dal giudice delegato (con cui questi aveva dato

atto che i rapporti di lavoro dovevano «ormai reputarsi definiti

vamente cessati per risoluzione degli stessi da parte dei lavora

tori medesimi, il cui comportamento concludente non può quali ficarsi altrimenti se non nei termini dell'inizio d'un nuovo rap

porto di lavoro con un nuovo e diverso datore») non sono deci

sive, non solo in quanto sono parte di altra controversia, bensì in

quanto costituiscono (come espone l'impugnata sentenza) mera

argomentazione di quel giudice al fine di «dettare precise dispo sizioni al curatore»; e la deduzione dell'impugnata sentenza, che solo all'esecuzione di queste «disposizioni» (lettera del 21

gennaio 1997, inviata dal curatore ai singoli lavoratori, espres samente qualificata come «comunicazione di licenziamento»)

collega cronologicamente la cessazione dell'originario rapporto di lavoro (con la C.g.a. s.p.a.), è fondata.

4./. - Il reclamo proposto dall'Eurotrend s.p.a. avverso il

provvedimento con cui il giudice delegato il 14 gennaio 1997

aveva respinto «la richiesta di c.i.g.s. e l'avviamento della pro cedura di mobilità, per l'intervenuta novazione soggettiva dei

rapporti di lavoro» (come riportato in ricorso incidentale), è non

solo non decisivo ai fini d'una potenziale idoneità a condurre ad

una diversa decisione, bensì assume, in relazione a questi fini, un valore di segno contrario.

Ed invero, il contenuto del provvedimento impugnato era la

reiezione della richiesta di c.i.g.s. a causa dell'intervenuta nova

zione soggettiva dei rapporti di lavoro. E (qualunque fosse la fi

nalità del reclamo), con le espressioni riportate in ricorso inci

dentale la società intendeva negare questa novazione soggettiva

(«la contestuale e provvisoria presenza dell'Eurotrend s.p.a. e

dei dipendenti nello stabilimento C.g.a. s.p.a., dovuta peraltro a

ragioni per nulla coincidenti, era giustificata esclusivamente per effetto del pregresso contratto di affitto, poi immediatamente

revocato dagli organi fallimentari»; «il pagamento delle retribu

zioni da parte dell'Eurotrend s.p.a. per un periodo limitato è av

venuto per un atto di liberalità e non certo per volontà di rico

stituire un impossibile rapporto di lavoro»), 5. - Fondato è il primo motivo del ricorso principale. 5.a. - È da premettere che, se il resistente ha l'onere (art. 416,

2° comma, c.p.c.: Cass., sez. un., 3 febbraio 1998, n. 1099, id.,

1998,1, 764) di far valere tempestivamente le eccezioni in senso

proprio, e (solo, tuttavia, ove sia costituito: Cass., sez. un., 23

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PARTE PRIMA

gennaio 2002, n. 761, id., 2002, I, 2019) di eccepire l'inesisten za dei fatti costitutivi della domanda, alcun onere egli ha di ec

cepire l'inapplicabilità delle disposizioni che costituiscono il fondamento stesso della domanda (onere d'ufficio del giudi cante).

Nel caso in esame, poiché l'obbligatorietà della procedura

prevista dalla 1. 23 luglio 1991 n. 223 costituiva il fondamento

normativo del ricorso introduttivo, il fatto (assunto dai ricorren

ti) che solo in appello la curatela avrebbe eccepito la non obbli

gatorietà dell'indicata procedura, era irrilevante.

5.b. - La disciplina prevista dagli art. 3, 4, 5 e 24 1. 23 luglio 1991 n. 223 ha un carattere assolutamente generale (Corte cost,

n. 6 del 1999, id.., Rep. 1999, voce Previdenza sociale, n. 361, e

n. 190 del 2000, id., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n.

1893). Per questo carattere, la sua obbligatorietà non trova limite

nell'ipotesi di cessazione dell'attività aziendale («anche la ces

sazione dell'attività aziendale si vuole inserita in quella com

plessa concertazione attraverso cui la normativa sulla mobilità

tende a ridurre le conseguenze della crisi o della ristrutturazione

dell'impresa sull'occupazione», e ciò, in quanto «la messa in

mobilità viene a coniugarsi con gli ulteriori meccanismi predi

sposti per la ricollocazione dei lavoratori», di talché «essa as

surge ad espressione d'un principio generale, che non può non

valere anche quando ci si trovi in presenza della mera soppres sione dell'impresa»: Corte cost. n. 6 del 1999).

5.c. - Ed è obbligatoria (art. 3, 3° comma) anche nell'ipotesi di fallimento, come, pur con i predetti limiti, la stessa sentenza

impugnata riconosce (esaminando casi nei quali era prevista la

continuazione dell'attività aziendale, affermano questa applica bilità: Cass. 2 marzo 2001, n. 3063, id., Rep. 2001, voce Ferro

vie e tramvie, n. 39; 20 novembre 1996, n. 10187, id., Rep. 1997, voce Lavoro (raporto), n. 1860).

5.d. - Ed è obbligatoria anche nell'ipotesi in cui, nell'ambito

del fallimento, l'impresa intenda cessare l'attività (art. 3, 3°

comma, art. 24, 2° comma). 5.e. - Nella più specifica ipotesi in cui, nell'ambito del falli

mento e della cessazione dell'attività aziendale, si ritenga im

possibile la continuazione dell'attività stessa, non emerge (a dif

ferenza di quanto afferma la sentenza impugnata) alcun limite

espresso all'indicata obbligatorietà (l'obbligatorietà della pro cedura «anche nell'ipotesi in cui, in esito ad una procedura con

corsuale, risulti impossibile la continuazione dell'attività», è in

cidentalmente affermata da Cass. 3 marzo 2003, n. 3129, id.,

Rep. 2003, voce Fallimento, n. 468).

Espressa è la previsione dell'art. 3, 3° comma, 1. 23 luglio 1991 n. 223, per cui «quando non sia possibile la continuazione

dell'attività, anche tramite cessione dell'azienda o di sue parti, o quando i livelli occupazionali possano essere salvaguardati solo parzialmente, il curatore, il liquidatore od il commissario

hanno facoltà di collocare in mobilità, ai sensi dell'art. 4 ovvero dell'art. 24, i lavoratori eccedenti».

Né limite all'obbligatorietà della procedura può dedursi (a differenza di quanto la sentenza impugnata afferma) dal riferi mento ai lavoratori «eccedenti»: l'eccedenza esprime una sola delle ipotesi previste dall'art. 3, 3° comma: la salvaguardia par ziale dei livelli occupazionali.

La distinzione, che l'impugnata sentenza (attraverso testuale richiamo a Cass. 12 maggio 1997, n. 4146, cit.) formula, fra l'i

potesi in cui sia possibile la continuazione di alcune attività

aziendali, e quindi la conservazione di alcuni rapporti di lavoro, e l'ipotesi in cui ciò non si ritenga possibile (ipotesi in cui l'ob bligo non sussisterebbe), non ha fondamento normativo.

5./. - Infondata è, in primo luogo, l'argomentazione della

sentenza, che, in questa ipotesi, deduce la non obbligatorietà della procedura dalla natura speciale della normativa che disci

plina il fallimento, nell'ambito della quale prevarrebbero gli interessi dei creditori, ed «il curatore non può che agire all'in

terno delle ipotesi di gestione provvisoria o continuazione del

l'attività autorizzata dal tribunale, per cui le relative scelte sono riservate agli organi della procedura stessa».

È da osservare che il rapporto fra norma generale e norma

speciale presuppone l'identità della materia, specificata (nei confronti del minus della norma generale) attraverso il plus adiectum: norma speciale è quella che, nei confronti della nor

ma generale si trova in rapporto di specie a genere, in quanto contiene, oltre ad elementi comuni, anche elementi particolari o

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specializzanti, non contenuti nella norma generale (Cass. 18

giugno 1999, n. 6146, id., Rep. 2000, voce Farmacia, n. 52; 5

febbraio 1975, n. 427, id., Rep. 1975, voce Turismo, n. 19). A

caratterizzare la norma speciale contribuisce anche la sua fina

lità, in quanto specifica e prevalente sulla finalità della norma

generale. Nel caso in esame, la 1. 23 luglio 1991 n. 223 (che, peraltro,

su un piano di più generale affinità, disciplina, come la legge sul

fallimento — e pur nelle ovvie diversità, particolarmente per

potenzialità di sviluppo — una situazione di crisi dell'impresa),

nell'art. 3 (e disposizioni ivi richiamate) contiene non solo gli elementi comuni (alla materia disciplinata dalla legge sul falli

mento), bensì elementi specializzanti, dettati per disciplinare una particolare e specifica contingenza (ivi compreso il licen

ziamento collettivo nella ritenuta impossibilità di continuazione

dell'attività aziendale) della situazione concorsuale, regolata in

via generale dalla legge sul fallimento. La legge in esame è poi diretta ad una finalità (tutela del lavoro) che, per il suo specifico contenuto e per il suo rilievo costituzionale (art. 1 e 4 Cost.),

prevale sulle pur importanti finalità alle quali è diretta la disci

plina del fallimento.

E pertanto, a differenza di quanto erroneamente affermato

nell'impugnata sentenza, non è norma speciale la disciplina del

fallimento, nei confronti della 1. 23 luglio 1991 n. 223, bensì è

questa che, nei confronti della prima, costituisce norma specia le.

Da ciò, anche l'interesse da tutelare. L'obbligo del curatore

di tutelare gli interessi del fallimento non esclude il suo obbligo di osservare, pur dall'angolazione del fallimento (creditori e

fallito), le procedure previste dalla legge: e, fra queste, anche

(per la sua prevalente finalità) la normativa speciale in esame.

5.g. -

L'impossibilità della continuazione dell'attività, di cui

all'art. 3, 3° comma, della legge in esame, non ha carattere as

soluto: non è una necessità, che priva il curatore di ogni alter

nativa possibilità (come argomenta l'impugnata sentenza). È di natura economica ed emerge da valutazioni tecniche. La

stessa «facoltà» prevista dall'art. 3, 3° comma (che trova riso

nanza nelle parallele «facoltà» previste dall'art. 4, 1° comma, e

dall'art. 4, 9° comma) esprime un potere (fondato su una valu

tazione tecnica ed economica contingente, che può condurre

spesso a soluzioni alternative, e che il legislatore riserva all'or

gano della procedura, come, nell'art. 4, in via generale all'im

prenditore); e le alternative, che questo potere per sua natura

presuppone, non sono costituite dal seguire o non seguire la

procedura (la stessa norma, la sua collocazione topografica e lo

stesso richiamo alla procedura, non avrebbero ragione di essere

ove sussistesse questa facoltà), bensì dal mantenere i dipendenti ancora in organico aziendale (con gli ammortizzatori consentiti) ovvero licenziarli (con l'osservanza della procedura).

E come il curatore ha questa «facoltà» prima di seguire la

procedura di mobilità: art. 3, 3° comma), analoga «facoltà» (pur di diverso contenuto) ha l'imprenditore (e lo stesso curatore) al

l'esito della procedura stessa (collocare in mobilità ovvero

mantenere in organico o seguire le altre alternative emerse at

traverso la procedura: art. 4, 9° comma). A tal fine è da osservare che l'impossibilità della continua

zione dell'attività aziendale non è l'oggettivo, acquisito, irre

versibile presupposto della procedura, bensì è da un canto la

preventiva soggettiva giustificazione che della procedura gli or

gani del fallimento danno (l'art. 3, 3° comma, pur nella sua più incisiva formulazione, è da interpretare, anche per gli interni

espressi richiami, attraverso le parallele formule dell'art. 4, 1°

comma — «ritenga»

— e dell'art. 24, 2° comma — «intenda

no»); ed è d'altro canto parte della prospettiva cui la procedura è diretta: accertare, con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e dell'organo pubblico, se oggettivamente sussistano o

non sussistano situazioni alternative alla soppressione dei posti di lavoro. In tal modo, l'obiettivo della procedura non è solo la

(pur apprezzabile) trasparenza della soggettiva ragione impren ditoriale che conduce alla soppressione, bensì (e prioritaria mente) il fornire a questa ragione (pur nella sua riconosciuta autonomia decisionale: «ha facoltà»), con esterni contributi e

controlli, ogni elemento in ordine all'oggettiva esistenza di al

ternative alla soppressione. 5.h. -

Dopo il fallimento, l'azienda, nella sua unitarietà (Cass. n. 648 del 1988, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n.

2061), sopravvive, e, nel suo ambito, anche il rapporto di lavoro

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

(art. 2119 c.c.); sopravvivenza che, non condizionata al mate

riale esercizio dell'attività imprenditoriale, sussiste anche nel

l'ipotesi in cui, a seguito della cessazione dell'attività aziendale, sia (pur contingentemente) impossibile la materiale reintegra zione nel posto di lavoro (Cass. 15 maggio 2002, n. 7075, id.,

Rep. 2002, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 48).

Questa perdurante vigenza del rapporto (Cass. 5 giugno 1998, n. 5567, id., Rep. 1999, voce cit., n. 110), pur in uno stato di

quiescenza (Cass. 3 novembre 1998, n. 11010, id.. Rep. 1998, voce Lavoro (rapporto), n. 1727), rende ipotizzabile la futura ri

presa dell'attività lavorativa, per iniziativa del curatore o con

successivo provvedimento del tribunale fallimentare (il quale

per l'art. 90 1. fall, può autorizzare l'esercizio provvisorio anche

dopo il decreto di esecutività dello stato passivo: Cass. 21 no

vembre 1998, n. 11787, id., 1999, I, 1184) o con la cessione

dell'azienda o con la ripresa dell'attività lavorativa da parte dello stesso datore a seguito di concordato.

E pertanto, anche nell'ipotesi in cui, in esito ad una procedura concorsuale, si ritenga impossibile la continuazione dell'attività

aziendale, la permanenza del rapporto di lavoro, con l'indicata

potenzialità, conferisce giuridico interesse non solo alla doman

da di reintegrazione nel posto di lavoro (per questo interesse in

tale ipotesi, Cass. 15 maggio 2002, n. 7075), bensì all'applica zione della procedura prevista dalla legge in esame, in modo

che, nella prospettata impossibilità della continuazione (che pe raltro conserva immanente contingenza), sia fornito alla ragione

imprenditoriale (pur nella sua riconosciuta autonomia decisio

nale: «ha facoltà»), con esterni contributi e controlli, ogni ele

mento in ordine all'oggettiva esistenza di alternative alla sop

pressione. La stessa contingenza dell'impossibilità della conti

nuazione dell'attività è un ulteriore aspetto della sua natura

economica: un'ulteriore ragione che giustifica, per i contributi

ed i controlli che consente, l'obbligatorietà della procedura in

esame.

L'affermazione della sentenza impugnata, per cui non avreb

be ragione normativa una reintegrazione dei lavoratori (necessa riamente conseguente all'inosservanza della procedura) in

un'impresa inesistente per cessazione dell'attività, è pertanto in

fondata.

5./. - Argomenti per la ritenuta obbligatorietà della procedura

(che, in quanto relativi alla generica ipotesi della cessazione

dell'attività, non consentono di escludere il riferimento alla più

specifica ipotesi della ritenuta impossibilità di continuazione

dell'attività) sono inoltre (a differenza di quanto affermato dalla

sentenza impugnata) l'iter formativo della legge (l'espressa

inapplicabilità della normativa nell'ipotesi di «cessazione del

l'attività dell'impresa per provvedimento dell'autorità giudizia

ria», prevista nel testo originariamente approvato dal senato, e

soppressa nel testo poi approvato dalla camera dei deputati,

esprime, pur tacitamente, elementi idonei a dedurre una volontà

legislativa diretta ad estendere anche a questa ipotesi la norma

tiva) e (in modo più rilevante) la direttiva 92/56/Cee, la quale, modificando la preesistente direttiva 75/129/Cee, che escludeva

dal proprio ambito di applicazione i licenziamenti collettivi con seguenti a cessazione di attività determinata da decisione giudi ziaria, si estende espressamente a questa specifica ipotesi.

5 .k. - La necessaria applicazione della predetta normativa

esclude che il licenziamento d'un numero di dipendenti superio re a cinque da parte degli organi del fallimento e per la ritenuta

impossibilità della continuazione dell'attività possa qualificarsi

(come erroneamente afferma l'impugnata sentenza), quale figu ra residuale di licenziamento individuale plurimo per giustifi cato motivo oggettivo (che resterebbe peraltro in dissonanza con

la categoria generale), e non licenziamento collettivo.

6. - E pertanto da affermare che «la procedura disposta dalla

1. 23 luglio 1991 n. 223 è obbligatoria anche nell'ipotesi in cui, nell'ambito d'una procedura concorsuale, risulti impossibile la

continuazione dell'attività aziendale, e, nelle condizioni norma

tivamente previste, si intenda procedere ai licenziamenti».

7. - Il ricorso incidentale deve essere pertanto respinto. Il

primo motivo del ricorso principale deve essere accolto. Ed in

questo accoglimento resta assorbita la necessità dell'esame de

gli altri motivi del ricorso stesso.

8. - Con la cassazione della sentenza, la causa deve essere

rinviata a contiguo equiordinato giudice di merito, che appliche rà l'indicato principio.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 6 luglio 2004, n. 12309; Pres. Olla, Est. Giuliani, P.M. Ciccolo

(conci, parz. diff.); T. (Avv. Gargani, Massignani, Favero) c. B. (Avv. Alessandrini, Spagnolo, Filiaci). Conferma App. Venezia 10 febbraio 2003.

Separazione di coniugi — Coniuge beneficiario di assegno di

mantenimento — Beni immobili dell'obbligato — Ipoteca giudiziale — Pericolo di inadempimento — Mancanza —

Conseguenze — Fattispecie (Cod. civ., art. 156, 2818).

Il coniuge separato giudizialmente o consensualmente, benefi ciario per sé o per i figli di assegno di mantenimento a carico

dell'altro coniuge, può iscrivere ipoteca giudiziale sui beni

immobili dell'obbligato, sempre però che vi sia pericolo di

inadempimento da parte di quest'ultimo, la cui valutazione è

sì rimessa al coniuge creditore, ma è sindacabile nel merito, sicché l'accertata mancanza, anche sopravvenuta, di tale pe ricolo comporta l'estinzione della garanzia ipotecaria, con

diritto dell'obbligato a conseguire dal giudice l'emanazione

del corrispondente ordine di cancellazione (nella specie, la

Cassazione ha ritenuto immune da vizi logico-giuridici, per ciò non censurabile, la motivazione del giudice di merito che

ha disposto la cancellazione dell'ipoteca iscritta dalla mo

glie, beneficiaria di assegno di mantenimento in forza della

sentenza di separazione, sui beni del marito, in ragione del

corretto adempimento di quest'ultimo, in misura anche supe riore al dovuto, con conseguente esclusione del pericolo di

inadempimento). (1)

(1) I. - La vicenda per cui è causa è così sintetizzabile: una moglie, beneficiaria in forza di sentenza di separazione di assegno di manteni mento a carico del marito, iscrive ipoteca giudiziale su un bene immo bile di quest'ultimo. La sentenza di appello, tuttavia, dispone la can cellazione dell'ipoteca, in quanto il marito ha sempre correttamente

adempiuto, anche in misura superiore al dovuto, l'obbligazione a suo carico.

La Cassazione ha confermato quest'ultima statuizione, affermando il

principio di cui alla massima. Non consta di precedenti in termini; v. però Cass. 10 novembre 1994,

n. 9393, Foro it., Rep. 1994, voce Separazione di coniugi, n. 85, ri chiamata anche dalla sentenza in rassegna: «Le clausole della separa zione consensuale omologata in tema di mantenimento, nel loro conte nuto originario od in quello ridefinito in esito alla procedura di cui agli art. 710 e 711 c.p.c., hanno, ai sensi dell'art. 158 c.c. (nel testo risul tante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 186 del 18 febbraio

1988, cit. infra), natura di titolo giudiziale, anche ai fini dell'iscrizione

d'ipoteca a norma dell'art. 2818 c.c., al pari delle statuizioni in propo sito incluse nella sentenza di separazione; ne discende che l'avente di ritto a detto mantenimento non è abilitato, per difetto di interesse, a re

clamare, con il rito ordinario o con quello monitorio, una decisione di condanna all'adempimento, la quale si tradurrebbe nella reiterazione di un titolo di cui già gode». In termini, con riferimento all'analoga norma della legge sul divorzio (art. 8, 2° comma, 1. 1° dicembre 1970 n. 898), Cass. 20 novembre 1991, n. 12428, id., Rep. 1992, voce Matrimonio, n. 200 (secondo cui è inammissibile, per difetto d'interesse, la richiesta al

giudice del divorzio di autorizzazione all'iscrizione ipotecaria da parte del coniuge divorziato, beneficiario di assegno).

II. - La giurisprudenza si è chiesta reiteratamente se i provvedimenti dati dal presidente del tribunale o quelli successivi di revoca o di modi fica resi dal giudice istruttore costituiscano titolo per l'iscrizione del

l'ipoteca giudiziale, ai sensi dell'art. 2818 c.c. Trib. Roma 18 febbraio 1997, id., Rep. 1998, voce Ipoteca, n. 6, ha

dichiarato l'illegittimità dell'ipoteca giudiziale iscritta in forza di ordi nanza del presidente del tribunale; ne consegue che deve esserne ordi nata la cancellazione, con la condanna dell'iscrivente al risarcimento dei danni. In termini, Pret. Padova-Este 19 settembre 1992, id.. Rep. 1993, voce Separazione di coniugi, n. 63.

Cass., ord. 25 novembre 2000, n. 1100, id., Rep. 2001, voce cit., n.

71, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del 3° e 4° comma dell'art. 708 c.p.c., per contrasto con gli art. 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevedono che

i provvedimenti interinali in parola costituiscano titolo per l'iscrizione

dell'ipoteca giudiziale; Corte cost. 24 giugno 2002, n. 272, id., Rep. 2003, voce cit., n. 96 (per esteso, Dir. famiglia, 2003, 26) ha però di

chiarato siffatta questione di legittimità costituzionale manifestamente

infondata. È quindi intervenuta, a definizione dello stesso giudizio, Cass. 12

novembre 2003, n. 17016, Foro it., Rep. 2003, voce Spese giudiziali ci

vili, n. 75 (per esteso, Dir. famiglia, 2004, 49), secondo cui la domanda

di risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, proposta dal co

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