+ All Categories
Home > Documents > sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico...

sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: haphuc
View: 216 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
4
sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico (concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa Trib. Roma 6 marzo 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 595/596-599/600 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188839 . Accessed: 28/06/2014 11:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.0.146.74 on Sat, 28 Jun 2014 11:22:24 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico (concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa

sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico(concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa Trib.Roma 6 marzo 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 2 (FEBBRAIO 1995), pp. 595/596-599/600Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188839 .

Accessed: 28/06/2014 11:22

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.0.146.74 on Sat, 28 Jun 2014 11:22:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico (concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa

PARTE PRIMA

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 marzo

1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chi

rico (conci, conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacob

be) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa Trib. Roma 6 marzo

1992.

Appello civile — Atto introduttivo — Sommaria esposizione dei fatti di causa (Cod. proc. civ., art. 342, 434).

Appello civile — Atto introduttivo — Indicazione dei motivi — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 342, 434).

Citazione civile — Indicazione delle parti — Nullità — Costitu

zione del convenuto — Conseguenze (Cod. proc. civ., art.

157, 163, 164, 414).

(1) Ai sensi degli art. 342 e 434 c.p.c., nell'atto di appello deve essere contenuta una «esposizione sommaria dei fatti di causa» che consiste — come ha affermato con la sentenza in epigrafe la Cassazione — in un breve riassunto di quelle che sono state le attività principali del giu dizio di primo grado, che permetta al giudice dell'impugnazione di indi

viduare il contenuto dei motivi di appello (nello stesso senso: Cass. 14 novembre 1989, n. 4831, Foro it., Rep. 1989, voce Appello civile, n. 37; 15 aprile 1987, n. 3724, id., Rep. 1987, voce cit., n. 108; 21

gennaio 1987, n. 554, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 459; 21 gennaio 1987, n. 553, ibid., n. 457; 29 gennaio 1983, n.

820, id., Rep. 1983, voce Appello civile, n. 83; 3 luglio 1980, n. 4217, id., Rep. 1980, voce cit., n. 135, e Giust. civ., 1980, I, 2444 e Dir.

fallirti., 1980, II, 590; 3 aprile 1980, n. 2202, Foro it., Rep. 1980, voce

cit., n. 116; 9 maggio 1979, n. 2647, id., Rep. 1979, voce cit., n. 144; 13 febbraio 1976, n. 1466, id., Rep. 1976, voce cit., n. 104; 5 dicembre

1974, n. 4022, id., Rep. 1974, voce cit., n. 136; 12 gennaio 1972, n.

79, id., Rep. 1972, voce cit., n. 130; 5 luglio 1968, nn. 2260-2266, id., Rep. 1968, voce cit., nn. 64-70; 5 luglio 1968, n. 2274, ibid., n. 71; 23 giugno 1964, n. 1647, id., Rep. 1964, voce cit., n. 35; 8 marzo 1960 n. 426, id., Rep. 1960, voce cit., n. 36; App. Palermo 5 marzo 1954, id., Rep. 1954, voce cit., n. 99, e Giur. sic., 1954, II, 35; App. Napoli 3 gennaio 1953, Foro it., Rep. 1953, voce cit., n. 88, e Foro nap., 1953, I, 3 e Dir. e giur., 1953, 139; Cass. 6 marzo 1950, n. 562, Foro

it., Rep. 1950, voce cit., n. 80; 28 giugno 1948, n. 1026, id., Rep. 1948, voce cit., n. 21; App. Palermo 6 aprile 1945, id., Rep. 1946, voce cit., n. 69; App. Napoli 20 gennaio 1945, id., Rep. 1943-45, voce

cit., n. 95, e Dir. e giur., 1945 , 8; App. Palermo 1° dicembre 1944, Foro it., Rep. 1943-45, voce cit., n. 96, e Giur. sic., 1945 , 71.

Diversamente, per Cass. 8 maggio 1984, n. 2799, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 73 e per App. Torino 10 luglio 1958, id., Rep. 1958, voce

cit., n. 56, e Giur. it., 1958, I, 2, 872, l'onere della sommaria esposizio ne dei fatti coinciderebbe di fatto con l'onere di specificare i motivi

dell'impugnazione, il loro oggetto e la relativa portata. In dottrina Chiarloni (Appello (dir. proc. civ.), voce dell'Enciclope

dia giuridica Treccani, 1990) ricorda che una eventuale assenza dell'e

sposizione sommaria dei fatti determinerebbe «una mera irregolarità non sanzionata dell'atto»; sul punto v. anche Cass. 3 aprile 1980, n.

2202, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 116; 3 luglio 1980, n. 4217, ibid., n. 135, e Giust. civ., 1980, I, 2444 e Dir. fallim., 1980, II, 590; parzialmente contrario a questa impostazione App. Torino 10 luglio 1958, Foro it., Rep. 1958, voce cit., n. 56, e Giur it., 1958, I, 2, 872.

Sull'onere del deposito di copia della sentenza impugnata, v. Cass., sez. un., 28 febbraio 1992, n. 2438, Foro it., Rep. 1992, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 230, secondo la quale nel rito del lavoro il mancato deposito della sentenza non comporta l'improcedibilità del

l'appello ai sensi dell'art. 348 c.p.c., ma «comporta che il giudice, ove non possa supplire con gli atti di causa, (possa ordinare) all'appellante medesimo a norma dell'art. 421 c.p.c. detto deposito, e poi, in caso di inosservanza dell'ordine, con la persistente carenza della documenta zione necessaria ai fini della decisione, rigettare nel merito l'impugna zione». Sulla stessa linea Cass. 7 gennaio 1988, n. 9, id., Rep. 1988, voce cit., n. 294; 3 novembre 1987, n. 8060, id., Rep. 1987, voce cit., n. 466; 16 marzo 1987 n. 2687, n. 2687, ibid., n. 468; 13 giugno 1986, n. 3939, id.. Rep. 1986, voce cit., n. 442; contraria invece a questa impostazione: Cass. 12 novembre 1993, n. 11164, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 194; 21 gennaio 1986, n. 382, id., 1986, I, 3083. Nel rito ordinario la giurisprudenza ravvisa nel mancato deposito di

copia della sentenza impugnata un'ipotesi irrituale di improcedibilità, anche se nel caso di deposito tardivo della sentenza ha poi spesso rite nuto l'impugnazione, validamente proposta: v. Cass. 20 gennaio 1992, n. 662, id., Rep. 1992, voce Appello civile, n. 77; 16 aprile 1991, n.

4043, id., Rep. 1991, voce cit., n. 61; 22 novembre 1990, n. 11270, id., Rep. 1990, voce cit., n. 64; 7 agosto 1989, n. 3620, id., Rep. 1989, voce cit., n. 57; 23 luglio 1987, n. 6429, id., Rep. 1988, voce cit., n.

85; in motivazione Cass. 17 giugno 1982, n. 3676, id., 1982, I, 1843

(v. anche Cass. 22 ottobre 1976, n. 3791, id., 1977, I, 111). Per Cass. 30 aprile 1988, n. 3286, id., Rep. 1988, voce cit., n. 87, invece, il giudi ce deve dichiarare improcedibile l'appello quando l'appellante non de

II Foro Italiano — 1995.

La sommaria esposizione dei fatti di causa nell'atto di appello consiste in una sintesi degli atti di parte, dell'attività proces suale svolta e del contenuto della sentenza impugnata, sintesi

che può essere contenuta anche nella parte espositiva dei mo

tivi dell'impugnazione. (1) Ai fini della validità dell'atto di appello, la specificità dei moti

vi di impugnazione deve essere valutata in relazione alla spe

cificità della motivazione della sentenza di primo grado (nella

specie, è stato ritenuto valido l'appello contenuto in un mo

dulo redatto in serie). (2) La nullità dell'atto di citazione per omessa indicazione del no

me proprio del convenuto non può essere rilevata d'ufficio se il convenuto si è costituito in giudizio. (3)

positi il proprio fascicolo alla prima udienza o se, pur depositandolo, il fascicolo non contenga copia della sentenza impugnata.

Con l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 348 c.p.c., cosi come modificato dalla 1. 353/90, il mancato deposito da parte dell'ap pellante del proprio fascicolo entro la prima udienza non costituirà

più motivo di improcedibilità: la dottrina suggerisce che nel caso in cui «la mancanza del fascicolo dell'appellante e della copia della sentenza impugnata non metta il giudice d'appello in grado di valuta re i limiti e il fondamento dell'impugnazione proposta, questi [ordini] ex art. 123 disp. att. la produzione della documentazione mancante

e, solo a seguito della mancata ottemperanza a tale ordine, dispo[nga] la chiusura del giudizio di appello per inidoneità del raggiungimento dello scopo» (v. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civi

le, 1991, 205). (2) L'atto di appello contenuto in un modulo prestampato è valido

se i motivi di impugnazione, pur essendo «seriali», non sono generici e sono idonei a contrastare la motivazione della sentenza impu gnata.

Sul principio per cui il grado di specificità dei motivi deve essere verificato non in astratto ma in relazione al grado di specificità della motivazione della sentenza impugnata v. Cass. 20 settembre 1993, n.

9628, Foro it., Rep. 1993, voce Appello civile, n. 56; 22 novembre 1989, n. 5007, id., Rep. 1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 228 (che decide il caso di appello contenuto in moduli prestampati) e sez. un. 6 giugno 1987, n. 4991, id., 1987, I, 3037.

Sul principio per cui i motivi di appello servono ad individuare le

parti impugnate della sentenza e non possono dunque consistere in cen sure generiche, Cass., sez. un., 24 novembre 1992, n. 12518, id., Rep. 1992, voce Giurisdizione civile, n. 184; 25 febbraio 1992, n. 2303, ibid., voce Appello civile, n. 54; TI gennaio 1992, n. 852, ibid., n. 53; 26

gennaio 1989, n. 449, id., Rep. 1989, voce cit., n. 38; 15 aprile 1988, n. 2979, id., Rep. 1988, voce cit., n. 69; 11 giugno 1987, n. 5106, id., Rep. 1987, voce cit., n. 103, e Riv. società, 1987, 1140; nonché la già citata Cass. 6 giugno 1987, n. 4991.

Oltre alla dottrina indicata nella nota alla sent. 4991/87, Chiarlo

ni, Appello (dir. proc. civ.), voce dell' Enciclopedia giuridica Trecca

ni, 1990, 6; Proto Pisani, Note sulla struttura dell'appello civile e sui suoi riflessi sulla Cassazione, in Foro it., 1991, I, 107; sulla nuova disciplina dell'atto di appello a seguito dell'entrata in vigore della riforma del processo civile, v. Proto Pisani, La nuova discipli na del processo civile, 1991, 193 ss. nonché del medesimo autore

Appunti sull'appello civile (alla stregua della l. 353/90), in Foro

it., 1994, V, 193.

(3) In applicazione dei principi generali in tema di nullità dell'atto di citazione, la sentenza della Cassazione ha ribadito che nel caso di vizio relativo alla vocatio in ius il giudice non può rilevare d'ufficio la nullità, nel caso in cui il convenuto si sia regolarmente costituito in giudizio e nulla abbia eccepito riguardo al vizio in questione. In par ticolare, si sono pronunciate sul caso di incerta indicazione del nome o cognome del convenuto nell'atto di citazione, con soluzione confor me a quella indicata Cass. 17 ottobre 1992, n. 11382, Foro it., Rep. 1992, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 217; 25 marzo 1987, n. 2895, id., Rep. 1987, voce Citazione civile, n. 1; 5 novembre 1985, n. 5356, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2; 11 agosto 1982, n. 4532, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1; 13 gennaio 1982, n. 171, ibid., n. 2; 16

giugno 1982, n. 3653, ibid., n. 4; 26 febbraio 1981, n. 1186, id., Rep. 1981, voce cit., n. 3; 6 ottobre 1977, n. 4259, id., Rep. 1977, voce

cit., n. 3; 13 giugno 1975, n. 2378, id., Rep. 1975, voce cit., n. 2; 13 dicembre 1974, n. 4257, id., Rep. 1974, voce cit., n. 4; App. Firenze 24 settembre 1966, id., Rep. 1967, voce cit., n. 2; Cass. 7 gennaio 1966, n. 129, id., Rep. 1966, voce cit., n. 2; 30 giugno 1965, n. 1370, id., Rep. 1965, voce cit., n. 2, e Giust. civ., 1966, I, 137; App. Roma 21

gennaio 1963, Foro it., Rep. 1963, voce cit., n. 16, e Temi romana, 1963, 112; Trib. Roma 30 gennaio 1962, Foro it., Rep. 1962, voce cit., n. 19 e Temi romana, 1962, 124; Cass. 19 aprile 1961, n. 854, Foro

it., Rep. 1961, voce cit., n. 6, e Foro pad., 1961, I, 898; Trib. Livorno 30 ottobre 1959, Foro it., Rep. 1960, voce cit., n. 6, e Giur. tose., 1959, 496, con nota di Berti; Cass. 29 settembre 1960, n. 2526, Foro

This content downloaded from 193.0.146.74 on Sat, 28 Jun 2014 11:22:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico (concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 31 marzo 1988

il Pretore di Roma ha condannato il ministero dell'interno ad

erogare ad Angela Giorgino la pensione di inabilità con gli inte

ressi legali dalle singole scadenze al saldo.

Essendo stata la decisione impugnata dal ministero dell'inter

no, il Tribunale di Roma con sentenza del 6 marzo 1992 ha

dichiarato inammissibile l'appello. Il tribunale ha osservato che il ricorso del ministero era privo

dei requisiti formali per essere qualificato come atto di impu

gnazione, considerato che: a) non era dato desumere il contenu

to della sentenza impugnata, tenuto conto altresì' del fatto che

l'appellante si era astenuto dall'ottemperare al disposto dell'art.

347, 2° comma, c.p.c.; ti) l'appellata, in violazione dell'art. 414

c.p.c., era stata indicata soltanto con il cognome; c) doveva

rilevarsi il carattere puramente seriale dei motivi di impugnazio

ne, i quali esponevano un ventaglio di censure prive del caratte

re della specificità in quanto genericamente prospettabili per tutte

le sentenze rese in una certa materia. Aggiungeva il giudice di

appello che non poteva assegnarsi efficacia sanante alla costitu

zione in giudizio della Giorgino, essendo tale costituzione avve

nuta quando ormai era decorso il termine per impugnare. Ricorre per cassazione il ministero dell'interno, che deduce

tre distinti motivi illustrati da memoria. Resiste con controri

corso la Giorgino. Motivi della decisione. — Con i tre motivi dell'impugnazio

ne, che per ragioni di connessione debbono essere congiunta mente esaminati, il ricorrente denuncia violazione e falsa appli cazione degli art. 347, 414, 434 c.p.c. e vizi di motivazione, in relazione all'art. 360, 1° comma, n. 3, 4° e 5°, c.p.c., e so

stiene che il tribunale avrebbe errato a dichiarare inammissibile

l'atto di appello, atteso che: a) i motivi erano stati specifica mente articolati in sei distinti punti, proprio per censurare in

ogni sua parte la decisione emessa dal pretore, in risposta a una

motivazione non enunciata in modo esplicito, con la conseguen za che, semmai, poteva ravvisarsi l'infondatezza nel merito di

alcuni dei motivi medesimi, ma non già la loro genericità; ti) se era vero che la parte appellata era stata indicata con il solo

cognome, altrettanto vero era che la stessa era perfettamente identificabile a mezzo di tutti gli altri elementi presenti in giudi zio, primo fra tutti la relata di notifica; c) l'atto conteneva la som

it., Rep. 1960, voce cit., n. 8; 9 aprile 1960, n. 813, ibid., n. 12, e

Foro amm., 1960, II, 247; App. Firenze, 10 giugno 1960, Foro iti, Rep. 1960, voce cit., n. 13, e Giur. tose., 1960, 678; Cass. 15 aprile 1959, n. 1112, Foro it., Rep. 1959, voce cit., n. 31; 9 settembre 1958, n. 2989,

id., 1958, I, 1239. Secondo Cass. 17 giugno 1992, n. 7420, id., Rep. 1992, voce, Rinvio

civile, n. 6; 7 gennaio 1980, n. 82, id., Rep. 1980, voce Citazione civile, n. 2, il destinatario dell'atto deve essere desunto non solo dalla letterale

formulazione della vocatio in ius, ma dall'intero complesso dell'atto, ivi compresa la relata di notifica.

In dottrina si rimanda sul tema dell'invalidità della citazione in gene rale a Proto Pisani, Note in tema di nullità dell'atto di citazione e

di effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, in Riv. dir.

civ., 1988, I, 655; Balena, Nullità della citazione e «diritti quesiti»,

id., 1985, II, 541. Sulla disciplina che verrà introdotta a seguito dell'en

trata in vigore della 1. 353/90, Cerino Canova e Balena, Citazione, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, 1991; Proto Pisani, La nuo

va disciplina del processo civile, 1991, 51 ss.; Consolo, Luiso e Sassa

ni, La riforma del processo civile, 1991; G. Fabbrini Tombari, La chia

mata in giudizio del convenuto alla luce della legge 26 novembre 1990

n. 353, in Scritti in onore di Fazzalari, Milano, 1993, III, 123 ss.

In particolare, poi, sul vizio relativo all'omessa o incerta indicazione

delle parti, completa la breve esposizione contenuta in Cerino Canova

e Balena, Citazione, cit., 3; Giudiceandrea, Citazione (dir. proc. civ.), voce dell'Enciclopedia del diritto, 1960, 110. Sulla differenza fra parte in senso formale e parte del rapporto sostanziale dedotto in giudizio e su come tale distinzione si rifletta sulla disciplina della nullità dell'at

to di citazione, v. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civi

le, cit., 97 ss.

Sulla insindacabilità in sede di legittimità della valutazione del giudi ce circa la sussistenza o meno dell'incertezza assoluta del destinatario

dell'atto: Cass. 11 agosto 1982, n. 4532, Foro it., Rep. 1982, Citazione

civile, n. 1; 13 gennaio 1982, n. 171, ibid., n. 2; 7 aprile 1981, n. 1975,

id., Rep. 1981, voce cit., n. 7; 7 gennaio 1980, n. 82, id., Rep. 1980, voce cit., n. 2; 7 gennaio 1980, n. 88, ibid., n. 3; 12 luglio 1978, n.

3524, id., Rep. 1978, voce cit., n. 11; 6 ottobre 1977, n. 4259, id.,

Rep. 1977, voce cit., n. 3; 15 novembre 1976, n. 4222, id., Rep. 1976, voce cit., n. 12; 1° febbraio 1974, n. 259, id., 1974, I, 1061.

Il Foro Italiano — 1995.

maria esposizione del fatto, mentre la copia della sentenza im

pugnata era stata regolarmente acquisita agli atti a seguito di

rinvio della prima udienza disposto dal collegio. Il ricorso è fon

dato. Premesso che la corte ha il potere-dovere di esaminare

gli atti della causa, dato che con il ricorso per cassazione è stato

denunciato un error in procedendo, va innanzi tutto rilevato

che nella sentenza di primo grado, redatta su un modulo a stampa

opportunamente riempito nelle parti riguardanti il caso di spe

cie, era stato sinteticamente affermato che, essendo stata accer

tata dal consulente tecnico di ufficio l'esistenza delle infermità

denunciate, il ministero dell'interno doveva essere condannato

a corrispondere alla ricorrente la pensione di inabilità «ai sensi

della 1. 30 marzo 1971», oltre agli interessi legali dalle singole scadenze al saldo.

Ora, poiché nella parte espositiva dell'atto di appello, dopo il richiamo del contenuto dell'atto di citazione (con la precisa zione che da parte dell'attrice era stato chiesto «il riconosci

mento dello stato di invalidità integrante i diritti di cui alle leggi 118/71 e 18/80»), era stato dedotto che, «disposta c.t.u., il pre tore con sentenza depositata il 31 marzo 1988 riconosceva il di

ritto del ricorrente ai benefici richiesti e ordinava al ministero

di liquidare al ricorrente medesimo i conseguenti sussidi econo

mici nella misura di legge», fondata deve ritenersi la censura

sopra indicata con la lett. c), atteso che, contrariamente a quanto è stato affermato dal tribunale, era stato soddisfatto il dettato

di cui all'art. 342 c.p.c. con riferimento all'esposizione dei fat

ti. A parte che la legge richiede che l'esposizione deve essere

«sommaria» e a parte che nel caso in esame l'esposizione è sta

ta poi integrata con le argomentazioni svolte a sostegno dei mo

tivi di gravame (v., in particolare, il motivo n. 6, inerente alla

pronuncia sugli interessi legali), deve escludersi la violazione della

disposizione (su indicata soprattutto perché la descrizione del

contenuto della sentenza impugnata, attesa la schematicità della

relativa motivazione, non consentiva precisazioni diverse da quelle

esposte nel suddetto atto di appello. E, non essendo stata di

chiarata l'improcedibilità dell'impugnazione, non è dato com

prendere quanto è stato adombrato nella sentenza del tribunale

nella parte in cui è stato affermato che «l'appellante ammini

strazione si era astenuta dall'ottemperare al disposto dell'art.

347, 2° comma, c.p.c.», quando, come bene ora rileva il ricor

rente, all'udienza di discussione lo stesso tribunale aveva dispo sto un rinvio della causa per consentire la produzione in giudi zio della copia della sentenza di primo grado (poi regolarmente

acquisita) e per permettere, quindi, l'esame del merito della causa

(cfr., al riguardo, fra le tante sentenze, Cass. 16 aprile 1991,

n. 4043, Foro it., Rep. 1991, voce Appello civile, n. 61, secon

do cui l'improcedibilità dell'appello non può essere pronunciata in tutti i casi in cui, qualunque sia il momento in cui si provve da all'incombente, venga comunque prodotta in giudizio una

copia della sentenza impugnata). Per quanto riguarda, poi, il rilevato carattere seriale dei mo

tivi di impugnazione, è evidente, in generale, che l'utilizzazione

in giudizio di un atto di parte redatto in serie, in se e per se,

non può impedire al giudice la sua disamina nel merito. Si con

sideri, del resto, che il suddetto carattere con sempre maggiore

frequenza si presenta nella redazione di provvedimenti giurisdi zionali che hanno in comue l'esame di una identica materia e

la decisione di eguali questioni; e se si ammette, come è giusto

che si faccia, che non sia affetta dal vizio di motivazione la

sentenza che sia stesa su un modulo prediposto purché siano

attuati gli opportuni specifici richiami agli elementi di fatto del

caso deciso (Cass. 6 marzo 1984, n. 1570, id., Rep. 1984, voce

Sentenza civile, n. 18), deve parimenti ammettersi che negli atti

di parte siano utilizzati moduli prestampati quando il loro con

tenuto faccia riferimento a una serie di procedimenti relativi a

identiche questioni. Il tribunale, a dire il vero, ha rilevato che l'atto di appello

del ministero dell'interno non poteva essere considerato come

un atto di impugnazione dato che la serialità dei motivi privava

questi ultimi del carattere di specificità richiesto dall'art. 342

c.p.c., trattandosi di «censure genericamente prospettabili per

tutte le sentenze rese in una certa materia» e considerato che

la quinta censura non aveva alcuna relazione con la specifica

vicenda processuale. In contrario, però, basta osservare che cosi argomentando il

giudice di appello ha finito con il ritenere, senza fondamento

alcuno, che il termine «seriale» sia sinonimo del termine «gene

This content downloaded from 193.0.146.74 on Sat, 28 Jun 2014 11:22:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione lavoro; sentenza 8 marzo 1994, n. 2247; Pres. Farinaro, Est. Prestipino, P.M. Chirico (concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato Giacobbe) c. Giorgino (Avv. Deluigi). Cassa

PARTE PRIMA

rico» e, quindi, con l'equiparare due termini che hanno invece

un diverso significato, senza altresì considerare, come esatta

mente ora deduce il ricorrente, che nell'atto di appello erano

state formulate ben sei distinte censure. E il fatto stesso che

una sola di queste (la quinta) sia stata qualificata come comple tamente svincolata dalla concreta vicenda processuale dimostra

che le altre censure, a tale vicenda essendo attinenti, dovevano

essere esaminate nel merito. Di tal che si deve affermare che

il tribunale ha omesso di applicare i principi dettati da questa corte nella interpretazione dell'art. 342 c.p.c. (nella parte in cui

l'articolo richiede che l'atto di appello deve contenere i motivi

specifici dell'impugnazione), in base ai quali è stato sostenuto, in primo luogo, che il requisito stabilito dalla legge deve essere

collegato a quello della determinazione dell'oggetto della do

manda previsto dal n. 3 dell'art. 163 c.p.c. e a quello della espo sizione delle ragioni della domanda con le relative conclusioni

di cui al n. 4 del medesimo articolo e, in secondo luogo, che

l'onere della specificazione dei motivi di appello esige che la

manifetazione volitiva dell'appellante, indirizzata ad ottenere la

riforma della sentenza impugnata, trovi un supporto argomen tativo idoneo a contrastare la motivazione, con la conseguenza che i motivi debbono essere più o meno articolati a seconda

della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, della mo

tivazione (cfr., per tutte, la sentenza n. 4991 del 6 giugno 1987,

id., 1987, I, 3037, emessa dalle sezioni unite di questa corte, che ha fatto completa chiarezza sulla interpretazione della di

sposizione di legge). Tenuto conto delle argomentazioni che precedono, quindi, deve

ritenersi fondata anche la prima delle tre censure formulate nel

ricorso per cassazione (sopra indicata sub a), dovendosi condi

videre la tesi del ricorrente secondo cui, nonostante l'esposizio ne in sreie dei motivi di impugnazione, nell'atto di appello era

stato ottemperato all'onere della specificità dei motivi.

Infine, in relazione alla asserita nullità dell'atto di appello, stante la violazione dell'art. 414 c.p.c., per essere stata la con

venuta indicata non con le complete generalità ma con il solo

cognome («Giorgino»), anche ad ammettere che di vera e pro

pria nullità si sia trattato ai sensi dell'art. 164, 1° comma, c.p.c. — e a non considerare, viceversa, che l'appellata era stata rego larmente citata mediante la rituale notifica dell'atto di impu

gnazione, per il che si potrebbe fare riferimento a quella tesi

dottrinaria che è stata condivisa da questa corte in una non re

cente pronuncia (Cass. 7 gennaio 1980, n. 82, id., Rep. 1980, voce Citazione civile, n. 2), secondo cui per l'identificazione del

destinatario dell'atto di citazione occorre ricercare l'effettiva vo

lontà della parte istante, che deve essere desunta, senza che pos sa darsi rilievo alla letterale formulazione della vocatio in ius, da tutti gli elementi risultanti dal complessivo contenuto dell'at

to stesso nonché dalla sua notificazione in base alle disposizioni

impartite dalla suddetta parte istante all'ufficiale giudiziario —

resta il fatto che, ricorrendo un'ipotesi di nullità relativa e non

già di inesistenza, la stessa avrebbe dovuto essere eccepita dalla

parte interessata nella sua prima difesa e non già rilevata d'uffi

cio dal giudice. Debbono essere, al riguardo, richiamate le disposizioni conte

nute nei primi due commi dell'art. 157 c.p.c. e nel 1° comma

(ultimo alinea) dell'art. 164 stesso codice, in base alle quali è

stabilito, per un verso, che la nullità di un atto processuale può essere pronunciata soltanto su istanza di parte (mediante ecce

zione formulata nella prima difesa successiva all'atto o alla no tizia di esso), ammenoché la legge non disponga che possa esse

re rilevata anche d'ufficio e, per un altro verso, che la nullità

dell'atto di citazione può essere rilevata d'ufficio dal giudice solamente quando il convenuto non si è costituito in giudizio

(cfr. Cass. 17 ottobre 1992, n. 11382, id., Rep. 1992, voce La

voro e previdenza (controversie) n. 217, secondo cui, a parte le conseguenze che ne derivano — sanatoria del vizio con effi

cacia ex nunc e non già ex tunc, ai sensi del 2° comma dell'art.

164 c.p.c. — in caso di nullità dell'atto di appello per l'assoluta

incertezza della persona dell'appellato e di costituzione in giudi zio di quest'ultimo, occorre che il vizio venga denunciato dal

l'appellato medesimo in sede di costituzione). Tenuto conto dei principi che si desumono dalle disposizioni

di legge indicate, quindi, il tribunale non aveva il potere di di

chiarare d'ufficio la nullità dell'atto di appello, posto che la

Giorgino si era regolarmente costituita in giudizio, difendendosi

Il Foro Italiano — 1995.

nel merito, senza eccepire alcunché circa la suddetta pretesa nul

lità (v. la comparsa di risposta della medesima). Anche sotto questo ulteriore profilo, per conseguenza, lungi

dal ritenere l'esistenza della nullità e lungi dall'affermare che

il ricorso in appello era privo dei requisiti indispensabili per po tere essere considerato come un atto di impugnazione, il tribu

nale avrebbe dovuto esaminare nel merito le censure esposte dal

l'appellante. Il ricorso deve essere dunque accolto e la sentenza impugnata

deve essere cassata, con rinvio della causa, per l'esame del me

rito della medesima, ad altro giudice, che si designa nel Tribu

nale di Latina e che dovrà uniformarsi ai seguenti principi di

diritto.

1) Poiché l'art. 342 c.p.c. usa il termine «sommaria», l'onere

che ha l'appellante di esporre i fatti della causa si riduce alla

esposizione nell'atto di impugnazione di una sintesi degli atti

di parte e delle pregresse vicende processuali, ivi compresa la

sintetica indicazione del contenuto della decisione impugnata e

deve ritenersi soddisfatto anche facendo riferimento alla parte

espositiva dei motivi dell'impugnazione medesima.

2) L'onere che ha la parte di indicare nell'atto di appello i

motivi specifici dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., è soddisfatto anche se l'atto sia contenuto in un modulo redatto

in serie per una pluralità di casi identici, purché la manifesta

zione volitiva dell'appellante, indirizzata ad ottenere la riforma

della sentenza impugnata, trovi un supporto argomentativo ido

neo a contrastarne la motivazione, con la conseguenza che i mo

tivi, pur avendo il carattere della serialità, debbono essere più o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, della suddetta motivazione.

3) Ai sensi del combinato disposto dei primi due commi del

l'art. 157 c.p.c. e del 1° comma (ultimo alinea) dell'art. 164

stesso codice (quest'ultimo applicabile anche all'atto di appello

per il generale richiamo contenuto nell'art. 359 c.p.c.), poiché la nullità di un atto processuale non può essere pronunciata senza

istanza di parte (mediante eccezione formulata nella prima dife sa successiva all'atto o alla notizia di esso) ammenoché la legge

espressamente non disponga che possa essere rilevata anche d'uf

ficio, la nullità dell'atto di citazione non può essere rilevata d'uf

ficio dal giudice quando il convenuto si sia costituito in giudizio

(e, costituendosi, si sia difeso nel merito senza eccepire il vizio

dell'atto).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 26 feb

braio 1994, n. 1972; Pres. De Rosa, Est. Berni Canani, P.M.

Lanni (conci, conf.); Inadel (Avv. Corrias) c. Agliata. Cas

sa Trib. Napoli 22 marzo 1990.

Impiegato dello Stato e degli enti pubblici in genere — Pregres so servizio presso enti locali — Ricongiunzione — Trattamento di fine rapporto — Indennità integrativa speciale — Esclusio

ne (L. 22 giugno 1954 n. 523, ricongiunzione ai fini del trat tamento di quiescenza dei servizi resi allo Stato con quelli

prestati presso enti locali, art. 13, 14, 15).

Al pensionato che sia stato dipendente dello Stato (o equipara

to) e di enti locali spetta per la fine del rapporto un unico

emolumento, qualificato dallo status al momento della cessa

zione definitiva dal servizio e determinato in base alle norme

che regolano a tale momento il trattamento previdenziale, te

nendo conto di tutti i servizi valutabili secondo le disposizioni dei relativi ordinamenti e secondo i criteri dettati dall'art. 14 l. 22 giugno 1954 n. 523 (nella specie, è stato negato al pen sionato cessato dal servizio quale dipendente dello Stato il

diritto al computo dell'indennità integrativa speciale). (1)

(1) In termini, con indicazione del giudice ordinario per la cognizione delle relative controversie, Cass. 1° ottobre 1991, n. 10213, Foro it.,

This content downloaded from 193.0.146.74 on Sat, 28 Jun 2014 11:22:24 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended