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sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1986, n. 2491; Pres. Cassata, Est. O. Fanelli, P. M. Gazzara...

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sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1986, n. 2491; Pres. Cassata, Est. O. Fanelli, P. M. Gazzara (concl. conf.); Cavallo (Avv. De Feis) c. Soc. Nuova Italsider (Avv. G. Guerra, Pennisi). Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Taranto 24 maggio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2801/2802-2803/2804 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180932 . Accessed: 28/06/2014 16:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.202 on Sat, 28 Jun 2014 16:08:20 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1986, n. 2491; Pres. Cassata, Est. O. Fanelli, P. M. Gazzara(concl. conf.); Cavallo (Avv. De Feis) c. Soc. Nuova Italsider (Avv. G. Guerra, Pennisi). Dichiarainammissibile ricorso avverso Trib. Taranto 24 maggio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2801/2802-2803/2804Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180932 .

Accessed: 28/06/2014 16:08

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

uguaglianza, del diritto di difesa e del giudice naturale (sent. 11 dicembre 1974, n. 270, id., 1975, I, 270).

Recentemente, infine, questa corte, con la sentenza n. 3052 del 1983 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 569), ha statuito che la chiusura della procedura fallimentare per omologazione del concordato non fa venir meno la competenza del tribunale fallimentare in ordine al giudizio di opposizione allo stato passivo, il quale, per il principio della perpetuatici iurisdictionis, deve essere riassunto,

dopo la sua eventuale interruzione, davanti allo stesso tribunale e

deve continuare a svolgersi con il medesimo rito con il quale si era iniziato.

Premesso tale quadro giurisprudenziale, non può invero condi vidersi l'assunto del ricorrente, secondo cui la corte del merito avrebbe errato nel qualificare giuridicamente come riassunzione l'atto con cui egli formulò la propria domanda giudiziale nei confronti della società assuntrice, essendosi in realtà trattato dell'atto introduttivo di un nuovo ed autonomo giudizio, come tale affrancato dal rito speciale.

La richiesta (che la sentenza impugnata dice esservi stata) di un rinvio di udienza per evocare in giudizio l'assuntrice, come in effetti è avvenuto per l'udienza all'uopo fissata, dimostra, al di là di ogni dubbio, che fu utilizzata la struttura processuale già esistente e non già instaurato un processo ex novo, mentre la

circostanza che non sia intervenuto un provvedimento formale di

interruzione e si sia passati direttamente, con la concessione del

rinvio al suddetto scopo, alla fase di riattivazione del processo, vale semmai a sottolineare ulteriormente la continuità del proces so medesimo (e a spiegare, annullando i significati che a ciò il ricorrente collega, perché si sia fatto uso, anziché del ricorso in

riassunzione, della forma della citazione, peraltro intitolata « rias

sunzione »).

Quanto poi al fatto che nei confronti del curatore, peraltro

anch'egli destinatario della notificazione di tale atto, non siano

state formulate domande, va detto che ciò corrisponde al si

gnificato « attenuato » della presenza di tale organo nella fase

intercorrente fra l'omologazione e l'adempimento del concordato, ma non esclude (ed anzi, con il fatto della notificazione, con

ferma) la presenza stessa e le implicazioni sistematiche che ne

derivano. La evocazione in giudizio del curatore serviva, del

resto, a rendere a lui opponibile la sentenza che sarebbe stata

pronunciata, effetto assai rilevante nell'eventualità di annullamen

to o di risoluzione del concordato: nel che è giustamente

ravvisata dalla resistente una ulteriore ragione della persistenza

della legittimazione del curatore e della conseguente non riducibi

lità del giudizio in esame ad un mero giudizio ordinario inter

privatos. 4. - L'applicabilità del rito speciale rende rilevante il primo

motivo del ricorso, con cui il Missiroli deduce che la sentenza

impugnata, prendendo atto della dichiarata illegittimità costituzio

nale della affissione come dies a quo per le impugnazioni nei

giudizi di opposizione allo stato passivo, ha erroneamente ritenuto

di sostituirlo con la comunicazione del dispositivo, negando ogni

rilevanza alla notificazione e quindi escludendo anche, in man

canza di questa, l'applicabilità del termine annuale di cui all'art.

327 c.p.c.

Il ricorso non merita accoglimento neppure sotto l'esposto

profilo. Ed invero occorre tener presente una ulteriore motivazio

ne che la sentenza impugnata, seppure succintamente, ha svolto,

rilevando che, indipendentemente dalla intempestività dell'appello

derivante dalla identificazione del dies a quo nella comunicazione

(tesi in verità ormai superata dalla giurisprudenza di questa

corte), si era comunque verificato il passaggio in giudicato della

sentenza di primo grado, in quanto, anteriormente alla pronuncia

27 novembre 1980, n. 152 della Corte costituzionale (pubblicata

nella Gazzetta ufficiale del 3 dicembre 1980), era interamente

decorso, nel caso di specie, il termine di quindici giorni dal

l'affissione (formalità compiuta in data 11 novembre 1980).

La declaratoria di incostituzionalità è intervenuta, cioè, non

quando pendeva una impugnazione, sia pur tardivamente propo

sta in base alla disciplina poi dichiarata costituzionalmente illegit

tima, ma quando, per non essere stata proposta alcuna impugna

zione entro il termine che in tal momento operava, si era ormai

chiuso il ciclo processuale e prodotta quella irreversibile qualità

della sentenza che è la cosa giudicata formale

5. - Il ricorso va dunque rigettato. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1986.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1986, n. 2491; Pres. Cassata, Est. O. Fanelli, P.M. Gazzara

(conci, conf.); Cavallo (Avv. De Feis) c. Soc. Nuova Italsider

(Avv. G. Guerra, Pennisi). Dichiara inammissibile ricorso

avverso Trib. Taranto 24 maggio 1982.

Sentenza, ordinanza e decreto in materia civile — Errore materia

le — Irrilevanza — Condizioni — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 288).

L'impugnazione della sentenza nelle parti corrette è ammissibile, con riapertura del termine a decorrere dal provvedimento di

correzione, soltanto rispetto alle parti che abbiano inter

ferenze con la sostanza del giudicato (nella specie è stata

ritenuta inammissibile l'impugnazione ultrannale di sentenza

corretta quanto al nome della parte riportata nel dispositivo in maniera difforme da quello letto in udienza e riportato nella

intestazione, senza che, peraltro, potesse sorgere dubbio sul

l'identità della parte). (1)

Motivi della decisione. — L'eccezione di inammissibilità del

ricorso è fondata.

Invero, secondo un principio da tempo affermato dalla giuri

sprudenza di questa corte, l'errore materiale nell'indicazione della

parte alla quale un atto (e in particolare una sentenza) è riferito, non è suscettibile di conseguenze, se dal complesso dell'atto sia

agevole rilevare l'errore ed identificare la parte stessa (Cass. 17

ottobre 1956, n. 3669, Foro it., Rep. 1956, voce Impugnazioni civili, n. 66; 13 ottobre 1954, n. 3630, id., Rep. 1954, voce cit., n.

35; 10 aprile 1934, n. 1022, id., Rep. 1934, voce Citazione civile, n. 11).

L'errore correggibile, infatti, consiste in una decorrenza diret

tamente percepibile tra la forma intenzionale e la forma fattuale

della esteriorizzazione del giudizio; non, dunque, un errore di

giudizio e neppure una discordanza tra il giudizio e la sua

(1) Conf. Cass. 15 febbraio 1982, n. 6931, Foro it., Rep. 1982, voce Sentenza civile, n. 116; 12 giugno 1973, n. 1701, id., Rep. 1973, voce

cit., n. 159; 28 luglio 1969, n. 2864, id., Rep. 1969, voce cit., n. 256; 21 marzo 1963, n. 681, id., Rep. 1963, voce cit., n. 40; 20 ottobre 1961, n. 2263, id., Rep. 1962, voce cit., n. 35; 17 ottobre 1956, n. 3669, id., Rep. 1956, voce Impugnazioni civili, n. 66; 13 ottobre 1954, n. 3630, id., Rep. 1954, voce cit., n. 35; 22 agosto 1952, n. 2732, id., Rep. 1952, voce cit., n. 32, e in Giur. it., 1953, I, 1, 419, con nota adesiva di Massari, In tema di correzione della sentenza-, 24 giugno 1950, n.

1610, Foro it., Rep. 1950, voce Sentenza civile, n. 178, cui adde Cass., ord. 28 gennaio 1984, n. 58, id., Rep. 1984, voce cit., n. 56 e 16 settembre 1981, n. 5138, id., 1982, I, 2000, con nota di Trifone; contra sembra invece Cass. 24 febbraio 1984, n. 1338, id., Rep. 1984, voce cit., n. 55, la quale pare affermare una generica ammissibilità

dell'impugnazione contro le parti di sentenza corrette, e nello stesso senso Cass. 16 novembre 1976, n. 4248, id., Rep. 1976, voce cit., n. 95.

Per quanto riguarda la possibilità di correzione dell'errore del nome della parte nell'epigrafe o nel dispositivo o in entrambi, allorché

emerga con certezza l'identità della parte medesima, v., fra le tante, in senso conforme, Cass. 9 novembre 1982, n. 5889, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 34; 28 aprile '1981, nn. 2591 e 2578, 29 gennaio 1981, n. 688, 15 gennaio 1981, n. 364, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 24-27; 27 marzo

1979, n. 1787, id., Rep. 1979, voce cit., n. 28; 28 agosto 1978, n.

3995, 13 febbraio 1978, n. 670, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 6, 7; 11

aprile 1975, n. 1369, id., Rep. 1975, voce cit., n. 19; 26 marzo 1973, n. 829, id., Rep. 1973, voce cit., n. 7; 17 marzo 1972, n. 814, id., Rep. 1972, voce cit., n. 14.

La giurisprudenza è costante anche nell'alfermare la natura ammi

nistrativa del procedimento di correzione, e perciò esclude l'impugnabi lità del provvedimento ai sensi dell'art. Ill Cost., in quanto manca di

contenuto decisorio; v. Cass. 16 settembre 1981, n. 5138, cit.; cui

adde Cass., ord. 6 febbraio 1984, n. 80, id., 1984, I, 3011 e Cass. 14

febbraio 1983, n. 1104, id., 1983, I, 1930, con nota di richiami di

Mariani, ove si è escluso che il procedimento di correzione possa essere utilizzato per un riesame della decisione e diventare un mezzo

straordinario d'impugnazione. Nel senso della non impugnabilità della ordinanza di correzione v.,

di recente, Cass. 11 luglio 1985, n. 4126, id., Rep. 1985, voce cit., n.

68. Nel senso della revocabilità della ordinanza di correzione, da parte del giudice stesso che l'ha emessa, Cass. 7 gennaio 1974, n. 28, id.,

1974, I, 332, con nota di richiami. In dottrina conf. alla sentenza in epigrafe Andrioli, Commento,

Napoli, 1957, II3, 298; D'Onofrio, Commento al c.p.c., Torino, 1951,

I, 370; Redenti, Dir. proc. civ., Milano, 1957, II, 266.

Nel senso che l'impugnazione serva per verificare l'esattezza e la

legittimità della correzione, Carpi, Colesanti, Taruffo, Commento bre

ve al c.p.c., Padova, 1984, 410; Spiazzi, Correzione e integrazione dei

provvedimenti del giudice, voce del Novissimo digesto, appendice, II,

835; Taranto, Revoca del provvedimento di correzione dell'errore materiale e impugnabilità della sentenza, in Giur. it., 1974, I, 1, 1699.

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2803 PARTE PRIMA 2804

espressione, ma soltanto una difformità della espressione voluta, come risultato di uno sviamento dal suo fine dell'attività di traduzione in scritto (autografa o eterografa) della formulazione

mentale; una discordanza, insomma, tra l'apparenza immediata ed il reale contenuto, nella stessa tuttavia indirettamente individuabi

le, dell'espressione. Cosi individuata ha natura dell'errore correggibile, la sentenza

3 novembre 1982, n. 5749 (id., Rep. 1982, voce Giustizia ammini

strativa, n. 737) di questa corte ne trae la conseguenza che l'errore, perciò definito « materiale », e chiamato « sbaglio » o « svista », può in sede di interpretazione essere rilevato e neutralizzato mediante il diretto riferimento dell'interprete, senza bisogno di correzione del testo, all'effettivo — e trasparente — significato nel discorso.

Tuttavia il legislatore, all'evidente scopo di evitare ogni possibi lità di equivoci e di controversie che tuttavia le immediate

apparenze determinate da un tale errore potrebbero provocare, ha

apprestato un mezzo (quello di cui agli art. 287 e 288 c.p.c.) per rendere il testo delle decisioni in tutto conforme al suo effettivo

contenuto, ed ha altresì stabilito che la correzione riapre, sui

punti della decisione su cui interviene, i termini delle sue

possibili impugnazioni. La sopra esposta ratio della riapertura di termini è dunque

quella che l'errore sia tale da determinare un qualche obiettivo dubbio sull'effettivo contenuto della decisione.

Ma quando una siffatta possibilità di equivoco o di controver sia sia agevolmente eliminabile in via di diretta interpretazione del testo, la correzione, pur se effettuata, non vale a riaprire i

termini, appunto perché di carattere meramente formale, essendo la sentenza e il contenuto dell'atto non toccati dall'intervenuta « svista ».

Sicché è impugnabile la sentenza nelle parti corrette, non per una qualsiasi correzione, ma soltanto per quelle che abbiano

un'interferenza con la sostanza del giudicato (Cass. 24 giugno 1950, n. 1610, id., Rep. 1950, voce Sentenza civile, n. 178).

E cosi avviene quando l'errore riguardi il nome di una delle

parti, senza peraltro minimamente porre in forse la inequivoca identificazione di essa (come, invece, nel caso deciso della senten

za 3630/54).

Orbene, nella specie (come questa corte ben può accertare

mediante diretto esame degli atti di causa, trattandosi di questio ne processuale attinente all'ammissibilità del ricorso) non poteva

sorgere, anche prima della correzione, dubbio alcuno sulla iden

tificazione della parte, atteso che il suo esatto nome figurava nella intestazione della sentenza e nel dispositivo letto in udienza, cosicché appariva ben chiaro che la menzione dell'appellato sotto

l'erroneo nome di Patti nel dispositivo della sentenza pubblicata con deposito in cancelleria (menzione d'altronde inutile, essendo

già di per sé del tutto sufficiente all'esatta identificazione della

causa la mera intestazione della sentenza e comunque l'identifica

zione dell'appellante Italsider e degli estremi della sentenza del

pretore ripetuti nel dispositivo) era dovuta ad una innocua svista.

Non poteva, perciò, trovare applicazione la remissione in ter

mini prevista dal 2° comma dell'art. 288 c.p.c., e la sentenza

andava impugnata nel termine (annuale) decorrente dal suo

deposito. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 7 aprile

1986, n. 2405; Pres. Lo Surdo, Est. Schermi, P.M. La Valva

(conci, conf.); Pontrelli (Aw. Scognamiglio, Di Berardino, A. Ferrari) c. Capovilla, Stea e Chimenti (Avv. Castellana). Cassa Trib. Bari 5 febbraio 1981.

Impugnazioni civili in genere — Notificazione della sentenza in

forma esecutiva alla parte personalmente — Termine breve —

Decorrenza nei confronti del notificante — Esclusione (Cod.

proc. eiv., art. 285, 325, 326). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Giudizio di

primo grado — Rito ordinario — Omessa lettura del dispo sitivo in udienza — Nullità — Insussistenza (Cod. proc. civ., art. 426, 427, 429, 439).

Esecuzione forzata in genere — Successione a titolo particolare nel corso del giudizio di cognizione — Legittimazione ad agire in via esecutiva dell'alienante — Sussistenza (Cod. proc. civ., art. 81, 111).

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Esecuzione della sentenza d'appello sulla base del dispositivo letto in udienza — Applicabilità solo a favore del lavoratore — Fatti

li, Foro Italiano — 1986.

specie in materia di controversia agraria (Cod. proc. civ., art.

431, 438).

La notificazione della sentenza in forma esecutiva alla parte personalmente non fa decorrere il termine breve nei confronti del notificante. (1)

Non è nulla la sentenza di primo grado, per mancata lettura del

dispositivo in udienza, quando il giudizio di primo grado, pur attenendo ad una delle controversie elencate nell'art. 409

c.p.c. od a queste assimilate, sia stato instaurato e si sia svolto

nelle forme del rito ordinario. (2) In ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controver

so durante lo svolgimento del giudizio di cognizione, l'alienan

te, ove non sia stato estromesso da tale giudizio, è legittimato, quale sostituto processuale, ad esercitare nei confronti della

controparte l'azione esecutiva originata dalla sentenza. (3) Nel rito speciale del lavoro l'esecuzione della sentenza d'appello

sulla base della sola copia del dispositivo letto in udienza è

consentita soltanto al lavoratore (e, nei contratti agrari, al

coltivatore affittuario, mezzadro, colono, ecc.) quando si tratti

di sentenza di condanna del datore di lavoro per crediti derivanti da uno dei rapporti elencati nell'art. 409 c.p.c., e non

anche al datore di lavoro (e, nei contratti agrari, al proprietario

concedente) che abbia ottenuto sentenza di condanna nei

confronti del lavoratore (nella specie, in applicazione di questo

principio di diritto, è stata cassata la sentenza che aveva

ritenuto legittima l'esecuzione, sulla base della sola copia del

dispositivo, della sentenza d'appello di condanna dell'affittuario al rilascio di un fondo). (4)

(1) In senso conforme, richiamata in motivazione, Cass., sez. un., 20

maggio 1982, n. Sfili, Foro it., 1982, I, 2210, con nota di richiami, cui adde in dottrina Cerino Canova, Sulla soggezione del notificante al termine breve di gravame, in Riv. dir. proc., 1982, 624 ss. e Amato, Termine breve di impugnazione e bilateralità della notificazione della sentenza nel processo con due sole parti, id., 1985, 330 ss.

(2) Il principio riassunto nella massima trova il suo fondamento in

Cass., sez. un., 10 novembre 1982, n. 5919, Foro it., 1983, I, 63, stranamente non richiamata nella pur sovrabbondante e ripetitiva motivazione della sentenza che si riporta. Cass. 5919/82 ha enunciato il principio secondo cui la forma e i termini dall'atto d'appello devono essere quelli propri del rito secondo cui è svolto e concluso il primo grado di giudizio, salvo il successivo provvedimento di mutamento di rito da parte del giudice d'appello ove questi rilevi che il procedimen to in primo grado non si sia svolto secondo il rito prescritto; e tale soluzione ha fondato sulla base dell'interpretazione degli art. 426, 427 e 439 c.p.c.

Esplicitamente nel senso della sentenza in epigrafe, v., non richiama ta in motivazione, Cass. 5 settembre 1980, n. 5114, id., 1980, I, 2983.

La nullità per omessa lettura del dispositivo in udienza nel rito del

lavoro, nullità soggetta alla regola dell'art. 161, 1° comma, c.p.c., è stata affermata originariamente da Cass., sez. un., 22 giugno 1977, n.

3632, id., 1977, I, 1638, non richiamata in motivazione, e ribadita dalla giurisprudenza successiva la quale ha precisato (Cass. 21 agosto 1982, n. 4693, id., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 267, riportata in altra parte in Foro it., 1983, I, 1018) che tale nullità, se verificatasi nel corso del giudizio di primo grado, non comporta la rimessione della causa al primo giudice.

(3) L'unico precedente della Cassazione sul punto è costituito dalla sent. 24 gennaio 1964, n. 172, Foro it., 1964, I, 1197 (non richiamata in motivazione), con nota di richiami, che in via di principio escluse la legittimazione ad agire in via esecutiva dell'alienante (nel caso di specie, però, a quanto sembra, la successione era avvenuta dopo l'emanazione di ordinanza di convalida di sfratto che aveva concluso il giudizio di cognizione; in considerazione, poi, della circostanza che tra venditore ed acquirente dell'immobile locato si era pattuita la perma nenza nel venditore della originaria qualità di locatore, si riconobbe al venditore la legittimazione ad esercitare l'azione esecutiva derivante dalla ordinanza di convalida di sfratto). Sempre nel senso del difetto di legittimazione dell'alienante ad agire in via esecutiva v. Trib. S. Angelo dei Lombardi 20 luglio 1969, id., Rep. 1970, voce Procedi mento civile, n. 122.

In dottrina, da ultimo, nel senso che « la successione a titolo particolare nel diritto controverso dal lato dell'attore consente al successore, e solo a lui, di intraprendere l'esecuzione forzata utilizzan do la pronuncia emessa a favore della parte originaria », v. Luiso, L'esecuzione « ultra partes », Milano, 1984, 279 ss., ed ivi esame della dottrina anche tedesca.

Sul diverso problema dei limiti di applicabilità dell'art. Ili c.p.c. al processo esecutivo v. Cass. 4 settembre 1985, n. 4612, Foro it., 1986, I, 494 (e in Giust. civ., 1986, I, 455, con nota di Luiso).

(4) Nello stesso senso della sentenza in epigrafe, hanno affermato che solo il lavoratore e non anche il datore di lavoro può agire esecutivamente sulla base della sola copia del dispositivo letto in udienza della sentenza d'appello, Pret. Legnano 10 giugno 1975, Foro it., Rep. 1976, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 249 e Pret.

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