sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli (concl.diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci, Cicolari). Cassa Trib.Bergamo 3 aprile 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2317/2318-2323/2324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187559 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
articolo nel senso auspicato dal ricorrente deriverebbe — donde
la rilevanza della questione sollevata in relazione all'art. 3 —
l'inapplicabilità del medesimo nel suo testo vigente e la declara
toria influirebbe sull'attuale stato di sospensione dell'avv. Ba
gedda dall'esercizio professionale — che costituisce l'oggetto del
procedimento a quo — e non certo — se non del tutto indiret
tamente — sulla condizione economica di lui.
Il collegio ritiene che l'art. 43/3 manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 3 Cost, nella parte in cui conferisce al
consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori il potere di
pronunciare la sospensione dell'avvocato dall'esercizio della pro fessione a tempo indeterminato quando egli sia stato colpito da mandato/ordine di comparizione/accompagnamento.
Manifestamente non è configurabile violazione del principio della parità di trattamento dell'avvocato rispetto al pubblico im
piegato, essendo le rispettive situazioni notevolmente diverse.
Evidenti sono, infatti, le ragioni di opportunità che giustifi cano la scelta di un diverso trattamento, da parte del legislato
re, dell'una situazione rispetto all'altra, ragioni correlate alla
stretta connessione tra la professione dell'avvocatura — eserci
tando la quale l'avvocato deve godere di una reputazione perso nale non compromessa a tenere indenne la dignità della classe
forense: art. 41 r.d.l. 1578/33 cit. — e l'attribuzione al profes sionista — attraverso il mandato/ordine e, ancor più gravemen te, perché basata non su semplici indizi di colpevolezza ma su
prove sufficienti, attraverso una «sentenza» di rinvio a giudizio — di reati in ordine ai quali l'attesa di una pronuncia giurisdi zionale definitiva lascia un pesante dubbio incompatibile con
quell'esercizio. Tale incompatibilità rischia di diventare assoluta se si ha ri
guardo all'attività professionale svolta negli ambienti giudiziari, deve il contrasto fra l'essere e il dover essere deontologico assu
me connotati di immediata percepibilità. Tutto ciò non accade nella situazione in cui versa il pubblico
impiegato che sia stato sospeso dal servizio per analogo motivo,
nel cui ambiente la relazione tra i fatti che hanno dato origine alla sospensione (sottoposizione al procedimento penale) e le
mansioni svolte non appare di cosi immediata e diretta perce zione da ledere altrettanto gravemente che nell'altro caso il pre
stigio di cui deve apparire circondato.
Il primo motivo non ha fondamento. Non è rinvenibile nella
decisione impugnata alcun difetto o contraddittorietà di moti
vazione:
1) a) b): permanendo — com'è pacifico — la condizione del
l'avv. Bagedda di imputato di gravissimi reati, non era rilevan
te, ai fini del procedimento avanti al consiglio, apprezzare il
fatto che la sanzione penale fosse stata dal giudice di rinvio
ridotta da quindici a quattordici anni di reclusione, né i motivi
per cui anche tale sentenza di condanna fosse stata annullata
dalla Cassazione; •
2) la valutazione probatoria, al momento della decisione, in
senso sfavorevole alla parte precedentemente autorizzata a pro durre i documenti in giudizio sul presupposto della loro rilevan
za, non costituisce vizio della motivazione sotto il profilo della
contraddittorietà poiché questa può sussistere soltanto nel rap
porto fra le diverse parti in cui la decisione si articola e non
nel rapporto tra la decisione nel suo complesso e precedenti
provvedimenti sia pure dello stesso giudice; in tal caso la «con
traddizione» non ha alcun rilievo giuridico al di fuori di specifi
che disposizioni della legge, nella specie (non indicate dal ricor
rente e comunque) non reperibili.
Il Foro Italiano — 1993.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 aprile
1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli
(conci, diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci, Cicolari). Cassa Trib. Bergamo 3
aprile 1989.
Sindacati — Condotta antisindacale — Trattative dirette con
i lavoratori — Illegittimità — Fattispecie (Cost., art. 39; 1.
20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e di
gnità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).
Costituisce condotta antisindacale l'iniziativa del datore di la
voro di intraprendere trattative, in occasione dei rinnovi con
trattuali, direttamente con i singoli lavoratori che si sono co
stituiti in gruppo e come tali, attraverso decisioni assunte in
assemblea, hanno mostrato di volersi contrapporre al datore
di lavoro nella vertenza e nella trattativa, ferma restando ogni iniziativa individuale dei lavoratori medesimi in dissenso da!
gruppo (nella specie, la sentenza riformata aveva escluso l'an
tisindacalità della distribuzione di una proposta contrattuale
per il rinnovo del premio aziendale, già due volte respinta all'unanimità dall'assemblea dei lavoratori, direttamente ai sin
goli dipendenti). (1)
(1) I. - Nel caso deciso, la proposta contrattuale per il rinnovo del
l'accordo sul premio annuale, raggiunta tra la direzione aziendale e il
consiglio di fabbrica, era stata sottoposta all'assemblea dei lavoratori, e respinta per due volte all'unanimità. Il contenuto di tale secondo ac
cordo era stato quindi sottoposto individualmente ai lavoratori, con
l'indicazione di un termine di accettazione per pagare il premio, mal
grado la richiesta di un nuovo incontro sollecitata dalle segreterie pro vinciali dei sindacati di categoria. Quindi i lavoratori, riuniti in assem
blea, avevano deciso il ricorso allo sciopero. Sulla delegittimazione del ruolo negoziale del sindacato, la sentenza
di primo grado (Pret. Bergamo 24 novembre 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Sindacati, n. 144 e Dir. e pratica lav., 1988, 1331), aveva qualifi cato antisindacale la trattativa individuale intrapresa dal datore di lavo
ro, precisando che quest'ultimo, pur non avendo alcun obbligo di trat
tare con il consiglio di fabbrica, «deve necessariamente accettarlo come
unico interlocutore laddove intenda negoziare questioni che interessino la collettività dei lavoratori».
La sentenza di secondo grado, ora riformata (Trib. Bergamo 3 aprile
1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 158 e Dir. e pratica lav., 1989,
2384) aveva invece concluso per la piena legittimità della condotta de
nunziata, in ragione del fallimento delle trattative con il sindacato, in
terrottesi su una piattaforma più volte respinta dall'assemblea. Quanto alla volontà manifestata dai dipendenti riuniti in assemblea, ad esclu derne ogni rilevanza era sembrata decisiva la circostanza che ad essa
non parteciparono tutti i lavoratori.
II. - La questione delle trattative dirette con i lavoratori aveva in
precedenza formato oggetto di una sola pronuncia della Corte di cassa
zione (sent. 15 aprile 1976, n. 1366, Foro it., 1976, I, 1132, con nota
di richiami), che si era espressa nel senso della sussistenza, per il datore
di lavoro, del «dovere di riconoscere, come proprio antagonista nella
determinazione delle condizioni di lavoro, la rappresentanza sindaca
le»; sicché, ferma restando l'insussistenza di un obbligo del datore di
lavoro a negoziare, dalla tutela dell'attività sindacale introdotta dallo
statuto dei lavoratori «deriva che, se l'imprenditore ritenga opportuno non assumere una posizione meramente negativa di fronte alle istanze
di cui si sono fatti, o stanno per farsi, portavoce i sindacati, deve trat
tare con costoro», senza che gli sia «consentito addurre a pretesto la
sua libertà di negoziare, o il diritto di rivolgersi ai lavoratori, per sca
valcare la rappresentanza aziendale e dar luogo ad un dibattito diretto
con i lavoratori stessi». Una successiva decisione della Suprema corte (sent. 17 gennaio 1990,
n. 207, id., 1990, I, 2591, con nota di richiami) ha ritenuto non censu
rabile il comunicato aziendale esprimente l'intento di rinegoziare diret
tamente con i dipendenti l'accordo istitutivo di un premio feriale annuo
divenuto troppo oneroso, dopo il fallimento della trattativa con il sin
dacato (sul rilievo antisindacale dei comunicati aziendali, cfr. i riferi
menti in nota a Pret. Roma 17 giugno 1992, Pret. Livorno 2 giugno
1992, Pret. Firenze 24 aprile 1992 e Pret. Roma 4 aprile 1992, id.,
1992, I, 2532). Al di là di dati normativi di per sé non decisivi (come l'art. 19 statuto
dei lavoratori, che non regola i diritti negoziali: per l'antisindacalità
della trattativa e della stipulazione di un accordo aziendale con una
commissione rappresentante la maggioranza del personale, affermata
in considerazione del pregiudizio recato alle rappresentanze sindacali
regolarmente costituite ai sensi dell'art. 19, v. comunque Pret. Firenze
11 ottobre 1979, id., 1980, I, 530, con nota di richiami. La decisione
è stata riformata da Trib. Firenze 27 giugno 1980, id., Rep. 1981, voce
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2319 PARTE PRIMA 2320
Svolgimento del processo. — I segretari provinciali della Fis
Cisl e della Filis-Cgil, con ricorso al Pretore di Bergamo in fun
zione di giudice del lavoro, esponevano che la Icis s.p.a. di Moz
zo, durante una vertenza gestita dalle organizzazioni sindacali,
aveva distribuito direttamente ai singoli dipendenti una sua pro
posta contrattuale e affisso un comunicato con l'indicazione di
un termine per l'accettazione di tale proposta (onde pagare im
mediatamente le conseguenti spettanze agli accettanti), rifiutan
do nel contempo un incontro con le segreterie provinciali dei
sindacati di categoria. Ciò premesso, chiedevano ai sensi del
l'art. 28 dello statuto dei lavoratori che venisse dichiarata l'an
tisindacalità della condotta della società e la nullità degli accor
di individuali stipulati (a seguito di qualla proposta) e che fosse
ordinata la ripresa delle trattative.
Il pretore accoglieva parzialmente il ricorso (dichiarando an
tisindacale la trattativa individuale intrapresa dalla società) con
decreto che poi confermava con la sentenza del 24 novembre
1987.
cit., nn. 50, 51), la giurisprudenza mostra come una soluzione giuridica univoca manchi di fondamento normativo, venendo a dipendere da ele menti eterogenei, a cominciare dalla situazione sindacale complessiva. La questione della legittimità o meno delle trattative dirette appare il
più delle volte risolta senza presunzioni legali a favore del sindacato
(tale è quella di Pret. Milano 20 ottobre 1988, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 156, che ha riconosciuto un diritto del sindacato a partecipare alla stipulazione dei contratti collettivi, ravvisando gli estremi della con dotta antisindacale in una fattispecie in cui la maggioranza dei lavora tori si era espressa in senso favorevole alle proposte dell'azienda sotto scrivendo tramite una propria delegazione il contratto), ma in base alla valutazione di una serie di circostanze di fatto che depongano in tal senso.
A riprova di quest'attenzione alle fattispecie concrete, si vedano: — Pret. Sestri Ponente 18 dicembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit.,
nn. 101, 136-139, e Lavoro 80, 1987, 665, anch'essa relativa alla tratta tiva per il rinnovo del premio di produzione, che ha concluso nel senso
dell'antisindacalità, in pendenza di trattative da tempo in corso con il sindacato e in presenza dello stato di agitazione proclamato dai di
pendenti a causa del mancato accordo sulla piattaforma rivendicativa
aziendale, della stipulazione di accordi direttamente con i singoli lavo
ratori, previa convocazione in assemblea del personale con offerte van
taggiose e con la minaccia di revocarle in caso di intromissione del sin dacato nelle trattative (nella decisione, si è escluso che gli effetti da rimuovere in sede di giudizio ex art. 28 statuto dei lavoratori possano consistere nella invalidazione degli accordi individuali, optandosi — at teso che l'antisindacalità è stata ravvisata non nel contenuto degli ac cordi conclusi, bensì' nelle modalità seguite per la stipulazione dei mede simi — per la sanzione della inibitoria di eventuali analoghi comporta menti futuri);
— Trib. Milano 23 aprile 1986, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 132 e Orient, giur. lav., 1986, 341, per la quale non è antisindacale la disdetta dell'accordo aziendale istitutivo di un premio feriale aggan ciato alla dinamica salariale e perciò divenuto troppo oneroso per il datore di lavoro, manifestandosi in un comunicato, una volta verificata
l'indisponibilità del sindacato a rinegoziare l'istituto in modo non indi
cizzato, la volontà di trattare direttamente con i lavoratori. Determi nante è sembrata la circostanza della continuazione del pagamento del premio da parte dell'azienda, ancorché deindicizzato, nonché la ridotta
potenzialità lesiva di un mero comunicato (tale decisione è stata confer mata da Cass. 207/90, cit.);
— Pret. Milano 30 giugno 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 135 e Lavoro 80, 1984, 997, che ha ritenuto antisindacale la consulta zione diretta dei lavoratori, riuniti dal datore di lavoto in assemblea sfociata in una accordo avente ad oggetto la soppressione del servizio pullman per il trasporto dei dipendenti sul luogo di lavoro (la cessazio ne della condotta è consistita nell'ordine di riattivare il servizio di tra
sporto nella sua interezza). Seguono questo orientamento, che presta prevalente attenzione — ai fini del giudizio di antisindacalità — alle
irregolarità procedurali commesse nelle trattative con il personale, do vute alle modalità illegittime di convocazione dell'assemblea (per legge riservata alla r.s.a.) o di riunione dei dipendenti effettuate dal datore di lavoro, cui si accompagna in genere un netto ostruzionismo di que st'ultimo nei confronti del sindacato, tra le altre decisioni, oltre a Cass.
1366/76, cit. (relativa alla convocazione ed alla partecipazione del dato re di lavoro all'assemblea del personale), Pret. Borgo a Mozzano 10
gennaio 1981, Foro it., Rep. 1981, voce cit., nn. 52, 68; Pret. Lodi 16 gennaio 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 65; Pret. Milano 10 gen naio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 139;
— App. Venezia 20 maggio 1974, id., 1974, I, 3508, con nota di
richiami, sull'assenza di rilievo antisindacale del deposito presso l'uffi cio del lavoro di una proposta di accordo, subordinandosi alla ratifica dell'accordo medesimo da parte dei sindacati il pagamento degli au
II Foro Italiano — 1993.
Il Tribunale di Bergamo, in accoglimento del gravame della
società Icis, rigettava le domande dei sindacati.
Ricorrono per cassazione con due motivi, illustrati da memo
ria, i soccombenti. Resiste con controricorso, anch'esso illustra
to da memoria, la società.
Motivi della decisione. — I ricorrenti col primo motivo de
nunciano la violazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori
(anche in relazione all'art. 19 dello statuto stesso), nonché la
carenza e contraddittorietà della motivazione della sentenza im
pugnata. Il Tribunale di Bergamo nella sua sentenza anzitutto ha escluso
l'estensibilità della tutela dell'attività sindacale prevista dall'art.
28 dello statuto dei lavoratori ad organismi «più o meno spon tanei» indipendenti dai sindacati.
I ricorrenti con tale primo motivo contestano l'avviso del tri
bunale, opponendo la risultanza pacifica di un consiglio di fab
brica che ha svolto le funzioni proprie della rappresentanza sin
dacale aziendale, tanto da essere indicato come r.s.a. della stes
sa controparte.
menti salariali ivi previsti a favore dei lavoratori che avessero firmato
per accettazione. III. - La rilevanza della volontà assembleare emersa in occasione di
trattative dirette con i dipendenti, che in Cass. 4319/92 in epigrafe vie ne in considerazione come sintomo della volontà di gestire collettiva mente la vertenza in sede sindacale, è stata negata, come presupposto di efficacia vincolante della proposta contrattuale adottata a maggio ranza nei confronti dei lavoratori dissenzienti, da Cass. 13 gennaio 1992, n. 289 (per la cui motivazione cfr. id., 1992, I, 1793), la cui massima va letta nel senso che:
«In difetto della previsione legale o negoziale del principo maggiori tario quale regola per la formazione della volontà dell'assemblea dei
lavoratori, la deliberazione della proposta contrattuale adottata dall'as semblea a maggioranza non vincola i lavoratori dissenzienti all'osser vanza dell'accordo perfezionatosi a seguito dell'accettazione della pro posta medesima da parte del datore di lavoro».
La sentenza ha concluso per l'illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate a lavoratori che, pur partecipando all'assemblea del personale dove era stata deliberata a maggioranza una proposta contrattuale che
prevedeva, nelle more del rinnovo del contratto nazionale di categoria, la corresponsione di un acconto sui futuri miglioramenti retributivi in cambio della sospensione delle agitazioni a livello aziendale, avevano
espresso il loro dissenso riprendendo, a seguito della stipulazione del l'accordo, le agitazioni programmate. Va notato che in Cass. 289/92 non si affronta la questione della legittimità di trattative dirette con i dipendenti: la soluzione positiva discende tuttavia dalla qualificazione di «inefficacia» e non di «invalidità» data all'accordo controverso, che
suppone «la "legittimazione" della "comunità di lavoro" a deliberare in assemblea (e trasmettere alla controparte datoriale) — senza alcuna "mediazione sindacale" — la propria proposta di contratto, per l'even tuale accettazione» (cosi, in motivazione, per la quale cfr. ibid., 1793).
Cass. 289/92 si può leggere anche in Dir. e pratica lav., 1992, 993, con nota di D'Avossa; Mass. giur. lav., 1992, 335, con nota di Prospe
retti; Riv. it. dir. lav., 1993, II, 74, con nota di B. Caruso e osserva zioni di Pandolfo, e Riv. giur. lav., 1992, II, 629, con nota di Co LACURTO.
Per una applicazione particolare del rapporto tra antisindacalità e principio di maggioranza, v. inoltre Pret. Bologna 5 maggio 1992, Foro
it., 1992, I, 2553, relativa alla estensione di un accordo aziendale sepa rato a tutti i lavoratori, malgrado il dissenso del sindacato rappresenta tivo della maggioranza dei dipendenti, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti.
Sulla natura giuridica degli accordi stipulati dal datore di lavoro con la pluralità dei propri dipendenti, v. infine Cass. 11 aprile 1988, n. 2859, id., Rep. 1988, voce Lavoro (contratto), n. 21; 6 luglio 1988, n. 4458, ibid., n. 70 (e Riv. giur. lav., 1989, II, 282, con nota di Assan
ti, Interrogativi vari nella disciplina del contratto collettivo, anche azien dale, e rilievo dell'art. 36 Cost.)-, sull'efficacia di essi, cfr. Trib. Cata nia 10 marzo 1988, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 72.
IV. - SulPobbligo a trattare, in ipotesi di discriminazioni tra sindaca
ti, v., da ultimo, Pret. Lamezia Terme 14 ottobre 1992, id., 1993, I, 2066, con nota di richiami relativa alla contrattazione nel settore pubblico.
Sulla intenzionalità della condotta, v., in motivazione, Pret. Bologna 5 maggio 1992, cit., nonché Cass. 27 luglio 1990, n. 7589, id., Rep. 1990, voce Sindacati, n. 113.
Sulla posizione del consiglio di fabbrica ai fini della tutela dell'attivi tà sindacale (esclusa dalla sentenza riformata da Cass. 4319/92, in epi grafe, in quanto organismo indipendente e separato dai sindacati), v., con riguardo al diritto di assemblea di cui all'art. 20 statuto dei lavora
tori, Cass. 10 settembre 1990, n. 9306, id., Rep. 1991, voce cit., n.
66; in dottrina, cfr. Perone, Organismi sindacali aziendali, voce del
VEnciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXII. [P. Bellocchi]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il motivo è fondato, e per ragioni più radicali di quelle pro
spettate dai ricorrenti.
La libertà e l'attività sindacale protette dall'art. 28 dello sta
tuto dei lavoratori non sono solo quelle delle organizzazioni tradizionalmente definite come «sindacati».
Il lavoratore, «parte debole» del rapporto di lavoro rispetto al datore di lavoro, dotato di poteri di supremazia nei confronti
di lui, difende meglio i propri interessi nel senso più ampio,
organizzandosi con gli altri lavoratori in gruppo ed affidando
ai rappresentanti del gruppo stesso la tutela dei propri interessi, non potendo sul gruppo che essere ridotta l'influenza del senso
d'inferiorità dei lavoratori di fronte al datore di lavoro da cui
gerarchicamente dipendono. Nascendo le organizzazioni sindacali da questa esigenza dei
lavoratori, ogni raggruppamento di lavoratori che sorge per l'au
totutela in forma collettiva degli interessi professionali dei sin
goli non può che definirsi espressione di libertà e attività sin
dacale.
Del resto, si tratta di nozioni sulle quali non è registrabile contrasto.
Pertanto, anche un «consiglio di fabbrica» liberamente eletto
da tutti i dipendenti dell'azienda, a prescindere dalla loro ap
partenenza o meno a sindacati esterni, è espressione di libertà
e attività sindacale. E in conseguenza è configurabile come anti
sindacale ai sensi dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, una
condotta datoriale che sia diretta «ad impedire o limitare l'eser
cizio della libertà e dell'attività» del consiglio di fabbrica.
L'organismo del consiglio di fabbrica non potrà pretendere
quanto lo statuto consente solo alle rappresentanze sindacali
aziendali, ma per il resto i suoi aderenti godranno del diritto
di attività sindacale riconosciuto, nel titolo II sulla «libertà sin
dacale», dello statuto dei lavoratori.
I ricorrenti, quindi, col secondo motivo denunciano la viola
zione ancora dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori (anche in
relazione all'art. 19 sempre dello statuto e all'art. 1337 c.c.), nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione della
sentenza impugnata su punto essenziale della controversia.
II tribunale, dopo la statuizione che è stata confutata nell'e
same del primo motivo, ha «comunque» osservato che la distri
buzione, da parte dell'impresa, di una sua proposta contrattua
le scritta ai singoli dipendenti non era un superamento e uno
screditamento delle organizzazioni sindacali — rilevante ai sensi
dell'art. 28 dello statuto —, perché a quel momento non vi era
no più trattative in corso — essendo le trattative collettive or
mai esaurite per loro fallimento — e vi era quindi piena libertà
di iniziativa da parte dell'imprenditore.
Sempre secondo il tribunale, l'imprenditore non aveva nep
pure l'obbligo — né legale né pattizio — di trattare con le orga nizzazioni sindacali esterne che, nel frattempo, sollecitate dal
consiglio di fabbrica, avevano chiesto invano due volte un in
contro con la direzione aziendale; se, come aveva rilevato il
primo giudice, unico agente contrattuale della controparte da
toriale in tema di negoziazione collettiva si era posto il consiglio di fabbrica, ciò di per sé doveva escludere ogni obbligo datoria
le di trattare appunto con i sindacati esterni.
Il tribunale poi ha considerato di nessun significato antisin
dacale che la proposta contrattuale datoriale prevedesse anche
l'immediata promessa di pagamento del «premio» (premio rien
trante nell'oggetto della proposta) e richiedesse i nomi degli ade
renti alla proposta stessa: il pagamento del premio era una na
turale conseguenza dell'adesione alla proposta (e l'immediatez
za era conforme alla prassi); ed era credibile la necessità
dell'azienda di conoscere i nomi degli aderenti anche per il pa
gamento del premio a coloro che già in precedenza avevano
sottoscritto l'accordo e attendevano tale pagamento. I ricorrenti contestano col secondo motivo che le trattative
fossero interrotte; e definiscono antisindacale quindi lo «scaval
camento» degi organismi collettivi per un appello diretto alla
«base». Essi sostengono anche l'antisindacalità della promessa
di pagamento immediato del premio agli aderenti alla proposta
datoriale, promessa rivolta chiaramente, in quel contesto, a spez
zare l'unità dei lavoratori e a vincerne la resistenza; e sottoli
neano anche il tentativo dell'azienda di carpire la buona fede
dei dipendenti presentando il consiglio di fabbrica come parte
cipe della sua proposta. Anche il secondo motivo è fondato. In effetti è illogica la
convenzione del tribunale sull'esaurimento delle precedenti trat
II Foro Italiano — 1993.
tative collettive, se è certo, per quanto riferito dallo stesso tri
bunale, che l'azienda non aveva fatto altro, nonostante il ripe tuto intervento dei sindacati esterni sollecitati dal consiglio di
fabbrica, che sottoporre ai singoli lavoratori una proposta con
trattuale collettiva identica a quella già due volte rifiutata all'u
nanimità dall'assemblea dei dipendenti (circostanze di fatto che
neppure la resistente contesta). Non si possono, cioè, considerare esaurite determinate tratta
tive contrattuali, quando una delle parti (il consiglio di fabbri
ca) chiede che le trattative stesse proseguano con ulteriori in
contri, sia pure con l'intervento di sindacalisti esterni (non defi
nibili estranei se disegnati come interlocutori da quel consiglio riconosciuto quale controparte dalla stessa azienda), e quando la controparte non fa che continuare le trattative direttamente
coi dipendenti sulla base sempre della sua iniziale identica pro
posta già respinta in sede collettiva.
Ma non è decisivo ritenere non interrotte le trattative. Occor
re anche poter affermare che, in corso di trattative, l'imprendi tore non potesse continuare le trattative stesse direttamente coi
dipendenti rifiutando i loro rappresentanti sindacali.
In via di principio, è esatto che il datore di lavoro è libero
di avviare o meno trattative per la conclusione di contratti col
lettivi e che è libero anche di rifiutare richieste in questo senso, da qualunque direzione provengano, a meno che obblighi di
tal contenuto non sussistano già in leggi o contratti; cosi come
è libero di interrompere trattative in corso quando esse si pre sentino senza utile sbocco ed è salva la «buona fede» (art. 1337
c.c.). E sempre in via di principio è ancora esatto che lo statuto
dei lavoratori tutela l'esercizio della libertà e dell'attività sinda
cale nell'azienda ma non il raggiungimento del risultato che di
volta in volta con l'attività sindacale i lavoratori si prefiggono, come la stipula di un contratto collettivo conforme alle loro
aspirazioni. Per cui quel rifiuto di trattative da parte del datore
0 il rifiuto, dopo trattative, della proposta sindacale non sono
antisindacali: anche in presenza di questi rifiuti, i lavoratori pos sono esplicare egualmente, in mancanza di ostacoli, la loro atti
vità sindacale nell'azienda sostenendo in gruppo le loro rivendi
cazioni; lo statuto vuole solo assicurare che il conflitto tra dato
re e dipendenti si svolga in libertà; garantendo ai lavoratori la
piena possibilità di opporsi in gruppo all'imprenditore. Ma la libertà dei lavoratori di organizzarsi in gruppo onde
contrapporsi più efficacemente al datore, per essere tale, non
tollera interferenze dell'imprenditore nel corso della sua esplica
zione, interferenze con interventi diretti sui singoli lavoratori, 1 quali fuori dal gruppo sono più deboli, come si è già posto in evidenza, di fronte al datore di lavoro.
L'art. 20 dello statuto prevede che all'assemblea dei lavorato
ri in azienda possono partecipare, oltre ai lavoratori stessi, sin
dacalisti esterni (a determinate condizioni), ma non il datore
di lavoro; e la mancata previsione del datore deve intendersi
nel senso della sua esclusione (Cass. 16 aprile 1976, n. 1366,
Foro it., 1976, I, 1132). Ma questa esclusione indica testual
mente come il datore non possa interferire, col peso del suo
potere di supremazia, sui singoli lavoratori, nella fase di libera
formazione della volontà collettiva (l'assemblea rientra in que sta fase) dei lavoratori.
In sostanza, i lavoratori sono liberi di contrapporsi al datore
individualmente o in gruppo nel corso di trattative per «rinnovi
contrattuali». Ma questa loro libertà non sarebbe effettiva se
fosse condizionata, nel momento di formazione della volontà
collettiva, da interferenze dirette sui singoli: il singolo non va
posto, in questa fase, nella condizione di dover rispondere con
un rifiuto ad una richiesta diretta del datore, perché un rifiuto
del singolo al datore riesce più gravoso dell'assenso.
Pertanto, la garanzia della libertà e dell'attività sindacale è
difesa anche della libertà di determinazione dei lavoratori come
gruppo che vuole contrapporsi al datore.
In conseguenza, l'imprenditore, se i suoi dipendenti hanno
deciso di trattare con lui in gruppo in occasione di «rinnovi
contrattuali», non può ignorare il gruppo e trattare direttamen
te coi singoli lavoratori che si sono costituiti in gruppo: è una
limitazione dell'esercizio dell'attività sindacale dei lavoratori, che
appunto dallo statuto hanno il riconoscimento della loro libertà
di contrapporsi in gruppo al datore nelle vertenze e nelle tratta
tive in genere sulle condizioni di lavoro nel senso più ampio,
e hanno quindi il diritto di essere in merito contattati non sin
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2323 PARTE PRIMA 2324
golarmente ma in gruppo. La condotta, in realtà, del datore
di lavoro di ignorare il gruppo e contattare direttamente i com
ponenti del gruppo è sostanzialmente analoga a quella interdet
tagli di interferire nella formazione della volontà collettiva: per ché è un tentativo di scardinamento della volontà collettiva con
azione diretta sui singoli che hanno partecipato a quella for
mazione.
È appena il caso di aggiungere che è salva ogni iniziativa in
dividuale dei lavoratori verso il datore di lavoro, in dissenso
dal gruppo. Deve quindi ritenersi antisindacale ai sensi dell'art. 28 dello
statuto dei lavoratori una condotta datoriale come quella accer
tata dal Tribunale di Bergamo.
Se, inoltre, quel dettaglio del comportamento aziendale sul
l'immediato pagamento del «premio» agli aderenti non ha si
gnificato univoco — potendo il pagamento immediato essere
logicamente una scontata conseguenza dell'adesione e non es
sendo peraltro certo che l'impresa volesse attuare una discrimi
nazione retributiva tra aderenti e non aderenti (perché poteva mirare ad un'adesione della maggioranza dei dipendenti con
estensione quindi del trattamento a tutti), la ricerca dei nomi
dei dipendenti che aderivano, pur funzionale a quei promessi
pagamenti, confermerebbe il risultato di quella divisione tra i
lavoratori con azione diretta sui singoli, meno resistenti fuori
dal grupo dalle richiese datoriali. Mentre non risulta accertato
dal tribunale che l'azienda abbia anche tentato di carpire la buona
fede dei dipendenti presentando loro la sua proposta contrat
tuale come condivisa dal consiglio di fabbrica.
È poi rilievo senza fondamento quello del tribunale secondo
cui non sarebbe stato «provocatorio» da parte del datore di
lavoro sottoporre ai singoli dipendenti una proposta contrattua
le già due volte respinta all'unanimità dall'assemblea dei lavo
ratori, perché sarebbe «troppo noto» che alle assemblee non
partecipano tutti i lavoratori (alcuni dei quali difatti avevano
già accettato le proposte datoriali). A parte la definizione del comportamento («provocatorio»)
rilevando in questa sede solo l'antisindacalità, la svalutazione
delle volontà assembleari è veramente inspiegabile, non solo per il rilievo che lo stesso statuto dà alle assemblee, ma anche e
soprattutto per l'uso di un argomento sulla partecipazione dei
lavoratori alle assemblee, che è fondato su di un «notorio» che
non dice nulla sul caso concreto, senza considerare che l'espres sione delle volontà collettive avviene sempre attraverso determi
nate regole procedurali, rispettate le quali la volontà deve rite
nersi tale. I lavoratori che già avevano accettato la proposta datoriale evidentemente erano una minoranza se le volontà as
sembleari erano in senso contrario, e difatti mai la resistente
ha invocato a proprio favore una maggioranza dei dipendenti. Né ha influenza che le assemblee siano state convocate senza
l'esistenza di una rappresentanza sindacale aziendale (l'unica le
gittimata alla convocazione per l'art. 20 dello statuto): nulla
vieta comunque che il datore di lavoro (come è avvenuto nel
caso) possa consentire assemblee in azienda, indette da un con
siglio di fabbrica. Il tribunale all'inizio della sua motivazione richiama il princi
pio secondo il quale «l'intenzionalità del comportamento del
datore di lavoro ai sensi dell'art. 28 1. 20 maggio 1970 n. 300, mentre è irrilevante nel caso di condotta contrastante con nor
ma imperativa, può assumere rilievo per qualificare come anti
sindacale una condotta del datore di lavoro che lecita nella sua obiettività presenti i caratteri dell'abuso del diritto» (Cass. 7 luglio 1987, n. 5922, id., Rep. 1988, voce Sindacati, n. 109). Ma poi nel prosieguo della motivazione non confronta espressa mente la fattispecie col principio richiamato. Il richiamo, in man
canza di altre indicazioni, non può che avere il senso di una
liceità della condotta datoriale in presenza di un comportamen to conforme alle leggi e non contrario alla libertà e all'attività
sindacale senza alcun subdolo piano antisindacale mascherato
sotto una condotta formalmente lecita.
Nel caso, il richiamo al principio non giova perché la condot
ta datoriale, nell'accertamento di fatto del tribunale, deve con
siderarsi in violazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori. Se è vero che sussiste un indirizzo nel senso che nell'art. 28
suddetto è elemento decisivo il fine perseguito dall'imprendito re, questo collegio non ritiene tuttavia che realmente la legge richieda per l'integrazione di una condotta antisindacale anche
la ricorrenza di quello che sarebbe in sostanza un «dolo specifi
II Foro Italiano — 1993.
co». Come è stato rilevato (Cass. 6 giugno 1984, n. 3409, id.,
1984, I, 2779), nel segno di un indirizzo poi confermato (Cass. 19 gennaio 1990, n. 295, id., Rep. 1991, voce cit., n. 115), e condiviso dalla dottrina nettamente prevalente, l'art. 28 richie
de solo una condotta che sia diretta a impedire o limitare l'eser
cizio della libertà e dell'attività sindacale (nonché del diritto di sciopero) senza con ciò richiedere un particolare profilo sogget tivo nell'autore della condotta, profilo che nella ragione della
norma volta all'immediata tutela di insopprimibili diritti dei la voratori non trova logicamente spazio e che di norma in diritto
civile non è richiesto.
In conclusione, il ricorso va accolto, e il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Brescia, valuterà la fattispecie secondo il principio di diritto enunciato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 aprile
1992, n. 4219; Pres. Menichino, Est. Pontrandolfi, P.M.
Martone (conci, conf.); Malerba e altri (Aw. Ghera) c. Ban
co di Napoli; Banco di Napoli (Avv. Persiani, D'Acunto,
Barbagallo) c. Sodano e altri; Banco di Napoli c. Malerba
e altri. Conferma Trìb. Napoli 16 novembre 1988.
Lavoro (rapporto) — Dipendenti del Banco di Napoli — Trat
tamento pensionistico — Normativa di perequazione automa
tica delle pensioni pubbliche e private — Inapplicabilità (L. 8 agosto 1895 n. 486, legge sui provvedimenti di finanza e
di tesoro, art. 39, all. T, art. 11; 1. 29 aprile 1976 n. 177,
collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica
delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescen za del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza, art. 1, 2; 1. 21 dicembre 1978 n. 843, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurien nale dello Stato (legge finanziaria), art. 18).
Lavoro (rapporto) — Dipendenti del Banco di Napoli — Trat
tamento pensionistico — Natura — Retribuzione differita —
Sistema di perequazione automatica delle pensioni pubbliche e private — Inapplicabilità (D.l. 23 dicembre 1977 n. 942, provvedimenti in materia previdenziale, art. 1; 1. 27 febbraio
1978 n. 41, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
23 dicembre 1977 n. 942, art. unico). Lavoro (rapporto) — Trattamento pensionistico di fonte nego
ziale — Modificazioni «in peius» introdotte da accordi collet
tivi — Lavoratori già collocati in quiescenza — Inopponibili tà — Conciliazioni e transazioni — Validità (Cod. civ., art.
2113).
Il Banco di Napoli non ha l'obbligo giuridico, ai sensi dell'art. 18 legge finanziaria 21 dicembre 1978 n. 843, di conformarsi al sistema di perequazione automatica delle pensioni statali
di cui agli art. 1 e 2 I. n. 177 del 29 aprile 1976, in quanto il rinvio alle disposizioni di legge sul trattamento di quiescen za degli impiegati dello Stato, operato dall'art. Il all. T al
l'art. 39 l. n. 486 del 1895, svolge una mera funzione di ga ranzia del minimo, che, impedendo l'attribuzione di un trat
tamento inferiore, non esclude peraltro l'operatività in melius
della contrattazione collettiva. (1)
(1-3) La controversia risolta dalla sentenza in epigrafe origina dalla avvenuta soppressione da parte del Banco di Napoli, in ossequio al
disposto dell'art. 18 della legge finanziaria 21 dicembre 1978 n. 843, dell'art. 108 del regolamento del personale dell'istituto.
Tale norma regolamentare prevedeva il principio della variabilità co stante ed automatica delle pensioni in funzione della dinamica salariale, mentre la sua soppressione veniva ad introdurre il sistema di perequa zione automatica del trattamento pensionistico di cui agli art. 1 e 2 1. 29 aprile 1976 n. 177, disciplina peggiorativa rispetto alla precedente.
Successivamente, il Banco di Napoli aveva previsto la possibilità di estendere al personale già in quiescenza alla data del 1° gennaio 1983, che ne avesse fatto esplicita richiesta ed avesse rinunziato, nelle forme
previste dall'art. 2113 c.c., ad ogni rivendicazione connessa all'abroga zione del citato art. 108, un nuovo meccanismo perequativo delle pen
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