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sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli (concl....

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sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli (concl. diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci, Cicolari). Cassa Trib. Bergamo 3 aprile 1989 Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2317/2318-2323/2324 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187559 . Accessed: 24/06/2014 22:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.81 on Tue, 24 Jun 2014 22:52:59 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli (concl.diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci, Cicolari). Cassa Trib.Bergamo 3 aprile 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1993), pp. 2317/2318-2323/2324Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187559 .

Accessed: 24/06/2014 22:52

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

articolo nel senso auspicato dal ricorrente deriverebbe — donde

la rilevanza della questione sollevata in relazione all'art. 3 —

l'inapplicabilità del medesimo nel suo testo vigente e la declara

toria influirebbe sull'attuale stato di sospensione dell'avv. Ba

gedda dall'esercizio professionale — che costituisce l'oggetto del

procedimento a quo — e non certo — se non del tutto indiret

tamente — sulla condizione economica di lui.

Il collegio ritiene che l'art. 43/3 manifestamente non si pone in contrasto con l'art. 3 Cost, nella parte in cui conferisce al

consiglio dell'ordine degli avvocati e procuratori il potere di

pronunciare la sospensione dell'avvocato dall'esercizio della pro fessione a tempo indeterminato quando egli sia stato colpito da mandato/ordine di comparizione/accompagnamento.

Manifestamente non è configurabile violazione del principio della parità di trattamento dell'avvocato rispetto al pubblico im

piegato, essendo le rispettive situazioni notevolmente diverse.

Evidenti sono, infatti, le ragioni di opportunità che giustifi cano la scelta di un diverso trattamento, da parte del legislato

re, dell'una situazione rispetto all'altra, ragioni correlate alla

stretta connessione tra la professione dell'avvocatura — eserci

tando la quale l'avvocato deve godere di una reputazione perso nale non compromessa a tenere indenne la dignità della classe

forense: art. 41 r.d.l. 1578/33 cit. — e l'attribuzione al profes sionista — attraverso il mandato/ordine e, ancor più gravemen te, perché basata non su semplici indizi di colpevolezza ma su

prove sufficienti, attraverso una «sentenza» di rinvio a giudizio — di reati in ordine ai quali l'attesa di una pronuncia giurisdi zionale definitiva lascia un pesante dubbio incompatibile con

quell'esercizio. Tale incompatibilità rischia di diventare assoluta se si ha ri

guardo all'attività professionale svolta negli ambienti giudiziari, deve il contrasto fra l'essere e il dover essere deontologico assu

me connotati di immediata percepibilità. Tutto ciò non accade nella situazione in cui versa il pubblico

impiegato che sia stato sospeso dal servizio per analogo motivo,

nel cui ambiente la relazione tra i fatti che hanno dato origine alla sospensione (sottoposizione al procedimento penale) e le

mansioni svolte non appare di cosi immediata e diretta perce zione da ledere altrettanto gravemente che nell'altro caso il pre

stigio di cui deve apparire circondato.

Il primo motivo non ha fondamento. Non è rinvenibile nella

decisione impugnata alcun difetto o contraddittorietà di moti

vazione:

1) a) b): permanendo — com'è pacifico — la condizione del

l'avv. Bagedda di imputato di gravissimi reati, non era rilevan

te, ai fini del procedimento avanti al consiglio, apprezzare il

fatto che la sanzione penale fosse stata dal giudice di rinvio

ridotta da quindici a quattordici anni di reclusione, né i motivi

per cui anche tale sentenza di condanna fosse stata annullata

dalla Cassazione; •

2) la valutazione probatoria, al momento della decisione, in

senso sfavorevole alla parte precedentemente autorizzata a pro durre i documenti in giudizio sul presupposto della loro rilevan

za, non costituisce vizio della motivazione sotto il profilo della

contraddittorietà poiché questa può sussistere soltanto nel rap

porto fra le diverse parti in cui la decisione si articola e non

nel rapporto tra la decisione nel suo complesso e precedenti

provvedimenti sia pure dello stesso giudice; in tal caso la «con

traddizione» non ha alcun rilievo giuridico al di fuori di specifi

che disposizioni della legge, nella specie (non indicate dal ricor

rente e comunque) non reperibili.

Il Foro Italiano — 1993.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 aprile

1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli

(conci, diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci, Cicolari). Cassa Trib. Bergamo 3

aprile 1989.

Sindacati — Condotta antisindacale — Trattative dirette con

i lavoratori — Illegittimità — Fattispecie (Cost., art. 39; 1.

20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e di

gnità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin

dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).

Costituisce condotta antisindacale l'iniziativa del datore di la

voro di intraprendere trattative, in occasione dei rinnovi con

trattuali, direttamente con i singoli lavoratori che si sono co

stituiti in gruppo e come tali, attraverso decisioni assunte in

assemblea, hanno mostrato di volersi contrapporre al datore

di lavoro nella vertenza e nella trattativa, ferma restando ogni iniziativa individuale dei lavoratori medesimi in dissenso da!

gruppo (nella specie, la sentenza riformata aveva escluso l'an

tisindacalità della distribuzione di una proposta contrattuale

per il rinnovo del premio aziendale, già due volte respinta all'unanimità dall'assemblea dei lavoratori, direttamente ai sin

goli dipendenti). (1)

(1) I. - Nel caso deciso, la proposta contrattuale per il rinnovo del

l'accordo sul premio annuale, raggiunta tra la direzione aziendale e il

consiglio di fabbrica, era stata sottoposta all'assemblea dei lavoratori, e respinta per due volte all'unanimità. Il contenuto di tale secondo ac

cordo era stato quindi sottoposto individualmente ai lavoratori, con

l'indicazione di un termine di accettazione per pagare il premio, mal

grado la richiesta di un nuovo incontro sollecitata dalle segreterie pro vinciali dei sindacati di categoria. Quindi i lavoratori, riuniti in assem

blea, avevano deciso il ricorso allo sciopero. Sulla delegittimazione del ruolo negoziale del sindacato, la sentenza

di primo grado (Pret. Bergamo 24 novembre 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Sindacati, n. 144 e Dir. e pratica lav., 1988, 1331), aveva qualifi cato antisindacale la trattativa individuale intrapresa dal datore di lavo

ro, precisando che quest'ultimo, pur non avendo alcun obbligo di trat

tare con il consiglio di fabbrica, «deve necessariamente accettarlo come

unico interlocutore laddove intenda negoziare questioni che interessino la collettività dei lavoratori».

La sentenza di secondo grado, ora riformata (Trib. Bergamo 3 aprile

1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 158 e Dir. e pratica lav., 1989,

2384) aveva invece concluso per la piena legittimità della condotta de

nunziata, in ragione del fallimento delle trattative con il sindacato, in

terrottesi su una piattaforma più volte respinta dall'assemblea. Quanto alla volontà manifestata dai dipendenti riuniti in assemblea, ad esclu derne ogni rilevanza era sembrata decisiva la circostanza che ad essa

non parteciparono tutti i lavoratori.

II. - La questione delle trattative dirette con i lavoratori aveva in

precedenza formato oggetto di una sola pronuncia della Corte di cassa

zione (sent. 15 aprile 1976, n. 1366, Foro it., 1976, I, 1132, con nota

di richiami), che si era espressa nel senso della sussistenza, per il datore

di lavoro, del «dovere di riconoscere, come proprio antagonista nella

determinazione delle condizioni di lavoro, la rappresentanza sindaca

le»; sicché, ferma restando l'insussistenza di un obbligo del datore di

lavoro a negoziare, dalla tutela dell'attività sindacale introdotta dallo

statuto dei lavoratori «deriva che, se l'imprenditore ritenga opportuno non assumere una posizione meramente negativa di fronte alle istanze

di cui si sono fatti, o stanno per farsi, portavoce i sindacati, deve trat

tare con costoro», senza che gli sia «consentito addurre a pretesto la

sua libertà di negoziare, o il diritto di rivolgersi ai lavoratori, per sca

valcare la rappresentanza aziendale e dar luogo ad un dibattito diretto

con i lavoratori stessi». Una successiva decisione della Suprema corte (sent. 17 gennaio 1990,

n. 207, id., 1990, I, 2591, con nota di richiami) ha ritenuto non censu

rabile il comunicato aziendale esprimente l'intento di rinegoziare diret

tamente con i dipendenti l'accordo istitutivo di un premio feriale annuo

divenuto troppo oneroso, dopo il fallimento della trattativa con il sin

dacato (sul rilievo antisindacale dei comunicati aziendali, cfr. i riferi

menti in nota a Pret. Roma 17 giugno 1992, Pret. Livorno 2 giugno

1992, Pret. Firenze 24 aprile 1992 e Pret. Roma 4 aprile 1992, id.,

1992, I, 2532). Al di là di dati normativi di per sé non decisivi (come l'art. 19 statuto

dei lavoratori, che non regola i diritti negoziali: per l'antisindacalità

della trattativa e della stipulazione di un accordo aziendale con una

commissione rappresentante la maggioranza del personale, affermata

in considerazione del pregiudizio recato alle rappresentanze sindacali

regolarmente costituite ai sensi dell'art. 19, v. comunque Pret. Firenze

11 ottobre 1979, id., 1980, I, 530, con nota di richiami. La decisione

è stata riformata da Trib. Firenze 27 giugno 1980, id., Rep. 1981, voce

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2319 PARTE PRIMA 2320

Svolgimento del processo. — I segretari provinciali della Fis

Cisl e della Filis-Cgil, con ricorso al Pretore di Bergamo in fun

zione di giudice del lavoro, esponevano che la Icis s.p.a. di Moz

zo, durante una vertenza gestita dalle organizzazioni sindacali,

aveva distribuito direttamente ai singoli dipendenti una sua pro

posta contrattuale e affisso un comunicato con l'indicazione di

un termine per l'accettazione di tale proposta (onde pagare im

mediatamente le conseguenti spettanze agli accettanti), rifiutan

do nel contempo un incontro con le segreterie provinciali dei

sindacati di categoria. Ciò premesso, chiedevano ai sensi del

l'art. 28 dello statuto dei lavoratori che venisse dichiarata l'an

tisindacalità della condotta della società e la nullità degli accor

di individuali stipulati (a seguito di qualla proposta) e che fosse

ordinata la ripresa delle trattative.

Il pretore accoglieva parzialmente il ricorso (dichiarando an

tisindacale la trattativa individuale intrapresa dalla società) con

decreto che poi confermava con la sentenza del 24 novembre

1987.

cit., nn. 50, 51), la giurisprudenza mostra come una soluzione giuridica univoca manchi di fondamento normativo, venendo a dipendere da ele menti eterogenei, a cominciare dalla situazione sindacale complessiva. La questione della legittimità o meno delle trattative dirette appare il

più delle volte risolta senza presunzioni legali a favore del sindacato

(tale è quella di Pret. Milano 20 ottobre 1988, id., Rep. 1989, voce

cit., n. 156, che ha riconosciuto un diritto del sindacato a partecipare alla stipulazione dei contratti collettivi, ravvisando gli estremi della con dotta antisindacale in una fattispecie in cui la maggioranza dei lavora tori si era espressa in senso favorevole alle proposte dell'azienda sotto scrivendo tramite una propria delegazione il contratto), ma in base alla valutazione di una serie di circostanze di fatto che depongano in tal senso.

A riprova di quest'attenzione alle fattispecie concrete, si vedano: — Pret. Sestri Ponente 18 dicembre 1986, id., Rep. 1987, voce cit.,

nn. 101, 136-139, e Lavoro 80, 1987, 665, anch'essa relativa alla tratta tiva per il rinnovo del premio di produzione, che ha concluso nel senso

dell'antisindacalità, in pendenza di trattative da tempo in corso con il sindacato e in presenza dello stato di agitazione proclamato dai di

pendenti a causa del mancato accordo sulla piattaforma rivendicativa

aziendale, della stipulazione di accordi direttamente con i singoli lavo

ratori, previa convocazione in assemblea del personale con offerte van

taggiose e con la minaccia di revocarle in caso di intromissione del sin dacato nelle trattative (nella decisione, si è escluso che gli effetti da rimuovere in sede di giudizio ex art. 28 statuto dei lavoratori possano consistere nella invalidazione degli accordi individuali, optandosi — at teso che l'antisindacalità è stata ravvisata non nel contenuto degli ac cordi conclusi, bensì' nelle modalità seguite per la stipulazione dei mede simi — per la sanzione della inibitoria di eventuali analoghi comporta menti futuri);

— Trib. Milano 23 aprile 1986, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 132 e Orient, giur. lav., 1986, 341, per la quale non è antisindacale la disdetta dell'accordo aziendale istitutivo di un premio feriale aggan ciato alla dinamica salariale e perciò divenuto troppo oneroso per il datore di lavoro, manifestandosi in un comunicato, una volta verificata

l'indisponibilità del sindacato a rinegoziare l'istituto in modo non indi

cizzato, la volontà di trattare direttamente con i lavoratori. Determi nante è sembrata la circostanza della continuazione del pagamento del premio da parte dell'azienda, ancorché deindicizzato, nonché la ridotta

potenzialità lesiva di un mero comunicato (tale decisione è stata confer mata da Cass. 207/90, cit.);

— Pret. Milano 30 giugno 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 135 e Lavoro 80, 1984, 997, che ha ritenuto antisindacale la consulta zione diretta dei lavoratori, riuniti dal datore di lavoto in assemblea sfociata in una accordo avente ad oggetto la soppressione del servizio pullman per il trasporto dei dipendenti sul luogo di lavoro (la cessazio ne della condotta è consistita nell'ordine di riattivare il servizio di tra

sporto nella sua interezza). Seguono questo orientamento, che presta prevalente attenzione — ai fini del giudizio di antisindacalità — alle

irregolarità procedurali commesse nelle trattative con il personale, do vute alle modalità illegittime di convocazione dell'assemblea (per legge riservata alla r.s.a.) o di riunione dei dipendenti effettuate dal datore di lavoro, cui si accompagna in genere un netto ostruzionismo di que st'ultimo nei confronti del sindacato, tra le altre decisioni, oltre a Cass.

1366/76, cit. (relativa alla convocazione ed alla partecipazione del dato re di lavoro all'assemblea del personale), Pret. Borgo a Mozzano 10

gennaio 1981, Foro it., Rep. 1981, voce cit., nn. 52, 68; Pret. Lodi 16 gennaio 1978, id., Rep. 1978, voce cit., n. 65; Pret. Milano 10 gen naio 1977, id., Rep. 1977, voce cit., n. 139;

— App. Venezia 20 maggio 1974, id., 1974, I, 3508, con nota di

richiami, sull'assenza di rilievo antisindacale del deposito presso l'uffi cio del lavoro di una proposta di accordo, subordinandosi alla ratifica dell'accordo medesimo da parte dei sindacati il pagamento degli au

II Foro Italiano — 1993.

Il Tribunale di Bergamo, in accoglimento del gravame della

società Icis, rigettava le domande dei sindacati.

Ricorrono per cassazione con due motivi, illustrati da memo

ria, i soccombenti. Resiste con controricorso, anch'esso illustra

to da memoria, la società.

Motivi della decisione. — I ricorrenti col primo motivo de

nunciano la violazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori

(anche in relazione all'art. 19 dello statuto stesso), nonché la

carenza e contraddittorietà della motivazione della sentenza im

pugnata. Il Tribunale di Bergamo nella sua sentenza anzitutto ha escluso

l'estensibilità della tutela dell'attività sindacale prevista dall'art.

28 dello statuto dei lavoratori ad organismi «più o meno spon tanei» indipendenti dai sindacati.

I ricorrenti con tale primo motivo contestano l'avviso del tri

bunale, opponendo la risultanza pacifica di un consiglio di fab

brica che ha svolto le funzioni proprie della rappresentanza sin

dacale aziendale, tanto da essere indicato come r.s.a. della stes

sa controparte.

menti salariali ivi previsti a favore dei lavoratori che avessero firmato

per accettazione. III. - La rilevanza della volontà assembleare emersa in occasione di

trattative dirette con i dipendenti, che in Cass. 4319/92 in epigrafe vie ne in considerazione come sintomo della volontà di gestire collettiva mente la vertenza in sede sindacale, è stata negata, come presupposto di efficacia vincolante della proposta contrattuale adottata a maggio ranza nei confronti dei lavoratori dissenzienti, da Cass. 13 gennaio 1992, n. 289 (per la cui motivazione cfr. id., 1992, I, 1793), la cui massima va letta nel senso che:

«In difetto della previsione legale o negoziale del principo maggiori tario quale regola per la formazione della volontà dell'assemblea dei

lavoratori, la deliberazione della proposta contrattuale adottata dall'as semblea a maggioranza non vincola i lavoratori dissenzienti all'osser vanza dell'accordo perfezionatosi a seguito dell'accettazione della pro posta medesima da parte del datore di lavoro».

La sentenza ha concluso per l'illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate a lavoratori che, pur partecipando all'assemblea del personale dove era stata deliberata a maggioranza una proposta contrattuale che

prevedeva, nelle more del rinnovo del contratto nazionale di categoria, la corresponsione di un acconto sui futuri miglioramenti retributivi in cambio della sospensione delle agitazioni a livello aziendale, avevano

espresso il loro dissenso riprendendo, a seguito della stipulazione del l'accordo, le agitazioni programmate. Va notato che in Cass. 289/92 non si affronta la questione della legittimità di trattative dirette con i dipendenti: la soluzione positiva discende tuttavia dalla qualificazione di «inefficacia» e non di «invalidità» data all'accordo controverso, che

suppone «la "legittimazione" della "comunità di lavoro" a deliberare in assemblea (e trasmettere alla controparte datoriale) — senza alcuna "mediazione sindacale" — la propria proposta di contratto, per l'even tuale accettazione» (cosi, in motivazione, per la quale cfr. ibid., 1793).

Cass. 289/92 si può leggere anche in Dir. e pratica lav., 1992, 993, con nota di D'Avossa; Mass. giur. lav., 1992, 335, con nota di Prospe

retti; Riv. it. dir. lav., 1993, II, 74, con nota di B. Caruso e osserva zioni di Pandolfo, e Riv. giur. lav., 1992, II, 629, con nota di Co LACURTO.

Per una applicazione particolare del rapporto tra antisindacalità e principio di maggioranza, v. inoltre Pret. Bologna 5 maggio 1992, Foro

it., 1992, I, 2553, relativa alla estensione di un accordo aziendale sepa rato a tutti i lavoratori, malgrado il dissenso del sindacato rappresenta tivo della maggioranza dei dipendenti, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti.

Sulla natura giuridica degli accordi stipulati dal datore di lavoro con la pluralità dei propri dipendenti, v. infine Cass. 11 aprile 1988, n. 2859, id., Rep. 1988, voce Lavoro (contratto), n. 21; 6 luglio 1988, n. 4458, ibid., n. 70 (e Riv. giur. lav., 1989, II, 282, con nota di Assan

ti, Interrogativi vari nella disciplina del contratto collettivo, anche azien dale, e rilievo dell'art. 36 Cost.)-, sull'efficacia di essi, cfr. Trib. Cata nia 10 marzo 1988, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 72.

IV. - SulPobbligo a trattare, in ipotesi di discriminazioni tra sindaca

ti, v., da ultimo, Pret. Lamezia Terme 14 ottobre 1992, id., 1993, I, 2066, con nota di richiami relativa alla contrattazione nel settore pubblico.

Sulla intenzionalità della condotta, v., in motivazione, Pret. Bologna 5 maggio 1992, cit., nonché Cass. 27 luglio 1990, n. 7589, id., Rep. 1990, voce Sindacati, n. 113.

Sulla posizione del consiglio di fabbrica ai fini della tutela dell'attivi tà sindacale (esclusa dalla sentenza riformata da Cass. 4319/92, in epi grafe, in quanto organismo indipendente e separato dai sindacati), v., con riguardo al diritto di assemblea di cui all'art. 20 statuto dei lavora

tori, Cass. 10 settembre 1990, n. 9306, id., Rep. 1991, voce cit., n.

66; in dottrina, cfr. Perone, Organismi sindacali aziendali, voce del

VEnciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXII. [P. Bellocchi]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il motivo è fondato, e per ragioni più radicali di quelle pro

spettate dai ricorrenti.

La libertà e l'attività sindacale protette dall'art. 28 dello sta

tuto dei lavoratori non sono solo quelle delle organizzazioni tradizionalmente definite come «sindacati».

Il lavoratore, «parte debole» del rapporto di lavoro rispetto al datore di lavoro, dotato di poteri di supremazia nei confronti

di lui, difende meglio i propri interessi nel senso più ampio,

organizzandosi con gli altri lavoratori in gruppo ed affidando

ai rappresentanti del gruppo stesso la tutela dei propri interessi, non potendo sul gruppo che essere ridotta l'influenza del senso

d'inferiorità dei lavoratori di fronte al datore di lavoro da cui

gerarchicamente dipendono. Nascendo le organizzazioni sindacali da questa esigenza dei

lavoratori, ogni raggruppamento di lavoratori che sorge per l'au

totutela in forma collettiva degli interessi professionali dei sin

goli non può che definirsi espressione di libertà e attività sin

dacale.

Del resto, si tratta di nozioni sulle quali non è registrabile contrasto.

Pertanto, anche un «consiglio di fabbrica» liberamente eletto

da tutti i dipendenti dell'azienda, a prescindere dalla loro ap

partenenza o meno a sindacati esterni, è espressione di libertà

e attività sindacale. E in conseguenza è configurabile come anti

sindacale ai sensi dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, una

condotta datoriale che sia diretta «ad impedire o limitare l'eser

cizio della libertà e dell'attività» del consiglio di fabbrica.

L'organismo del consiglio di fabbrica non potrà pretendere

quanto lo statuto consente solo alle rappresentanze sindacali

aziendali, ma per il resto i suoi aderenti godranno del diritto

di attività sindacale riconosciuto, nel titolo II sulla «libertà sin

dacale», dello statuto dei lavoratori.

I ricorrenti, quindi, col secondo motivo denunciano la viola

zione ancora dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori (anche in

relazione all'art. 19 sempre dello statuto e all'art. 1337 c.c.), nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione della

sentenza impugnata su punto essenziale della controversia.

II tribunale, dopo la statuizione che è stata confutata nell'e

same del primo motivo, ha «comunque» osservato che la distri

buzione, da parte dell'impresa, di una sua proposta contrattua

le scritta ai singoli dipendenti non era un superamento e uno

screditamento delle organizzazioni sindacali — rilevante ai sensi

dell'art. 28 dello statuto —, perché a quel momento non vi era

no più trattative in corso — essendo le trattative collettive or

mai esaurite per loro fallimento — e vi era quindi piena libertà

di iniziativa da parte dell'imprenditore.

Sempre secondo il tribunale, l'imprenditore non aveva nep

pure l'obbligo — né legale né pattizio — di trattare con le orga nizzazioni sindacali esterne che, nel frattempo, sollecitate dal

consiglio di fabbrica, avevano chiesto invano due volte un in

contro con la direzione aziendale; se, come aveva rilevato il

primo giudice, unico agente contrattuale della controparte da

toriale in tema di negoziazione collettiva si era posto il consiglio di fabbrica, ciò di per sé doveva escludere ogni obbligo datoria

le di trattare appunto con i sindacati esterni.

Il tribunale poi ha considerato di nessun significato antisin

dacale che la proposta contrattuale datoriale prevedesse anche

l'immediata promessa di pagamento del «premio» (premio rien

trante nell'oggetto della proposta) e richiedesse i nomi degli ade

renti alla proposta stessa: il pagamento del premio era una na

turale conseguenza dell'adesione alla proposta (e l'immediatez

za era conforme alla prassi); ed era credibile la necessità

dell'azienda di conoscere i nomi degli aderenti anche per il pa

gamento del premio a coloro che già in precedenza avevano

sottoscritto l'accordo e attendevano tale pagamento. I ricorrenti contestano col secondo motivo che le trattative

fossero interrotte; e definiscono antisindacale quindi lo «scaval

camento» degi organismi collettivi per un appello diretto alla

«base». Essi sostengono anche l'antisindacalità della promessa

di pagamento immediato del premio agli aderenti alla proposta

datoriale, promessa rivolta chiaramente, in quel contesto, a spez

zare l'unità dei lavoratori e a vincerne la resistenza; e sottoli

neano anche il tentativo dell'azienda di carpire la buona fede

dei dipendenti presentando il consiglio di fabbrica come parte

cipe della sua proposta. Anche il secondo motivo è fondato. In effetti è illogica la

convenzione del tribunale sull'esaurimento delle precedenti trat

II Foro Italiano — 1993.

tative collettive, se è certo, per quanto riferito dallo stesso tri

bunale, che l'azienda non aveva fatto altro, nonostante il ripe tuto intervento dei sindacati esterni sollecitati dal consiglio di

fabbrica, che sottoporre ai singoli lavoratori una proposta con

trattuale collettiva identica a quella già due volte rifiutata all'u

nanimità dall'assemblea dei dipendenti (circostanze di fatto che

neppure la resistente contesta). Non si possono, cioè, considerare esaurite determinate tratta

tive contrattuali, quando una delle parti (il consiglio di fabbri

ca) chiede che le trattative stesse proseguano con ulteriori in

contri, sia pure con l'intervento di sindacalisti esterni (non defi

nibili estranei se disegnati come interlocutori da quel consiglio riconosciuto quale controparte dalla stessa azienda), e quando la controparte non fa che continuare le trattative direttamente

coi dipendenti sulla base sempre della sua iniziale identica pro

posta già respinta in sede collettiva.

Ma non è decisivo ritenere non interrotte le trattative. Occor

re anche poter affermare che, in corso di trattative, l'imprendi tore non potesse continuare le trattative stesse direttamente coi

dipendenti rifiutando i loro rappresentanti sindacali.

In via di principio, è esatto che il datore di lavoro è libero

di avviare o meno trattative per la conclusione di contratti col

lettivi e che è libero anche di rifiutare richieste in questo senso, da qualunque direzione provengano, a meno che obblighi di

tal contenuto non sussistano già in leggi o contratti; cosi come

è libero di interrompere trattative in corso quando esse si pre sentino senza utile sbocco ed è salva la «buona fede» (art. 1337

c.c.). E sempre in via di principio è ancora esatto che lo statuto

dei lavoratori tutela l'esercizio della libertà e dell'attività sinda

cale nell'azienda ma non il raggiungimento del risultato che di

volta in volta con l'attività sindacale i lavoratori si prefiggono, come la stipula di un contratto collettivo conforme alle loro

aspirazioni. Per cui quel rifiuto di trattative da parte del datore

0 il rifiuto, dopo trattative, della proposta sindacale non sono

antisindacali: anche in presenza di questi rifiuti, i lavoratori pos sono esplicare egualmente, in mancanza di ostacoli, la loro atti

vità sindacale nell'azienda sostenendo in gruppo le loro rivendi

cazioni; lo statuto vuole solo assicurare che il conflitto tra dato

re e dipendenti si svolga in libertà; garantendo ai lavoratori la

piena possibilità di opporsi in gruppo all'imprenditore. Ma la libertà dei lavoratori di organizzarsi in gruppo onde

contrapporsi più efficacemente al datore, per essere tale, non

tollera interferenze dell'imprenditore nel corso della sua esplica

zione, interferenze con interventi diretti sui singoli lavoratori, 1 quali fuori dal gruppo sono più deboli, come si è già posto in evidenza, di fronte al datore di lavoro.

L'art. 20 dello statuto prevede che all'assemblea dei lavorato

ri in azienda possono partecipare, oltre ai lavoratori stessi, sin

dacalisti esterni (a determinate condizioni), ma non il datore

di lavoro; e la mancata previsione del datore deve intendersi

nel senso della sua esclusione (Cass. 16 aprile 1976, n. 1366,

Foro it., 1976, I, 1132). Ma questa esclusione indica testual

mente come il datore non possa interferire, col peso del suo

potere di supremazia, sui singoli lavoratori, nella fase di libera

formazione della volontà collettiva (l'assemblea rientra in que sta fase) dei lavoratori.

In sostanza, i lavoratori sono liberi di contrapporsi al datore

individualmente o in gruppo nel corso di trattative per «rinnovi

contrattuali». Ma questa loro libertà non sarebbe effettiva se

fosse condizionata, nel momento di formazione della volontà

collettiva, da interferenze dirette sui singoli: il singolo non va

posto, in questa fase, nella condizione di dover rispondere con

un rifiuto ad una richiesta diretta del datore, perché un rifiuto

del singolo al datore riesce più gravoso dell'assenso.

Pertanto, la garanzia della libertà e dell'attività sindacale è

difesa anche della libertà di determinazione dei lavoratori come

gruppo che vuole contrapporsi al datore.

In conseguenza, l'imprenditore, se i suoi dipendenti hanno

deciso di trattare con lui in gruppo in occasione di «rinnovi

contrattuali», non può ignorare il gruppo e trattare direttamen

te coi singoli lavoratori che si sono costituiti in gruppo: è una

limitazione dell'esercizio dell'attività sindacale dei lavoratori, che

appunto dallo statuto hanno il riconoscimento della loro libertà

di contrapporsi in gruppo al datore nelle vertenze e nelle tratta

tive in genere sulle condizioni di lavoro nel senso più ampio,

e hanno quindi il diritto di essere in merito contattati non sin

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 9 aprile 1992, n. 4319; Pres. Laudato, Est. Battaglia, P.M. Visalli (concl. diff.); Filis-Cgil, Fis-Cisl (Avv. Maresca Boiocchi) c. Soc. Icis (Avv. Vesci,

2323 PARTE PRIMA 2324

golarmente ma in gruppo. La condotta, in realtà, del datore

di lavoro di ignorare il gruppo e contattare direttamente i com

ponenti del gruppo è sostanzialmente analoga a quella interdet

tagli di interferire nella formazione della volontà collettiva: per ché è un tentativo di scardinamento della volontà collettiva con

azione diretta sui singoli che hanno partecipato a quella for

mazione.

È appena il caso di aggiungere che è salva ogni iniziativa in

dividuale dei lavoratori verso il datore di lavoro, in dissenso

dal gruppo. Deve quindi ritenersi antisindacale ai sensi dell'art. 28 dello

statuto dei lavoratori una condotta datoriale come quella accer

tata dal Tribunale di Bergamo.

Se, inoltre, quel dettaglio del comportamento aziendale sul

l'immediato pagamento del «premio» agli aderenti non ha si

gnificato univoco — potendo il pagamento immediato essere

logicamente una scontata conseguenza dell'adesione e non es

sendo peraltro certo che l'impresa volesse attuare una discrimi

nazione retributiva tra aderenti e non aderenti (perché poteva mirare ad un'adesione della maggioranza dei dipendenti con

estensione quindi del trattamento a tutti), la ricerca dei nomi

dei dipendenti che aderivano, pur funzionale a quei promessi

pagamenti, confermerebbe il risultato di quella divisione tra i

lavoratori con azione diretta sui singoli, meno resistenti fuori

dal grupo dalle richiese datoriali. Mentre non risulta accertato

dal tribunale che l'azienda abbia anche tentato di carpire la buona

fede dei dipendenti presentando loro la sua proposta contrat

tuale come condivisa dal consiglio di fabbrica.

È poi rilievo senza fondamento quello del tribunale secondo

cui non sarebbe stato «provocatorio» da parte del datore di

lavoro sottoporre ai singoli dipendenti una proposta contrattua

le già due volte respinta all'unanimità dall'assemblea dei lavo

ratori, perché sarebbe «troppo noto» che alle assemblee non

partecipano tutti i lavoratori (alcuni dei quali difatti avevano

già accettato le proposte datoriali). A parte la definizione del comportamento («provocatorio»)

rilevando in questa sede solo l'antisindacalità, la svalutazione

delle volontà assembleari è veramente inspiegabile, non solo per il rilievo che lo stesso statuto dà alle assemblee, ma anche e

soprattutto per l'uso di un argomento sulla partecipazione dei

lavoratori alle assemblee, che è fondato su di un «notorio» che

non dice nulla sul caso concreto, senza considerare che l'espres sione delle volontà collettive avviene sempre attraverso determi

nate regole procedurali, rispettate le quali la volontà deve rite

nersi tale. I lavoratori che già avevano accettato la proposta datoriale evidentemente erano una minoranza se le volontà as

sembleari erano in senso contrario, e difatti mai la resistente

ha invocato a proprio favore una maggioranza dei dipendenti. Né ha influenza che le assemblee siano state convocate senza

l'esistenza di una rappresentanza sindacale aziendale (l'unica le

gittimata alla convocazione per l'art. 20 dello statuto): nulla

vieta comunque che il datore di lavoro (come è avvenuto nel

caso) possa consentire assemblee in azienda, indette da un con

siglio di fabbrica. Il tribunale all'inizio della sua motivazione richiama il princi

pio secondo il quale «l'intenzionalità del comportamento del

datore di lavoro ai sensi dell'art. 28 1. 20 maggio 1970 n. 300, mentre è irrilevante nel caso di condotta contrastante con nor

ma imperativa, può assumere rilievo per qualificare come anti

sindacale una condotta del datore di lavoro che lecita nella sua obiettività presenti i caratteri dell'abuso del diritto» (Cass. 7 luglio 1987, n. 5922, id., Rep. 1988, voce Sindacati, n. 109). Ma poi nel prosieguo della motivazione non confronta espressa mente la fattispecie col principio richiamato. Il richiamo, in man

canza di altre indicazioni, non può che avere il senso di una

liceità della condotta datoriale in presenza di un comportamen to conforme alle leggi e non contrario alla libertà e all'attività

sindacale senza alcun subdolo piano antisindacale mascherato

sotto una condotta formalmente lecita.

Nel caso, il richiamo al principio non giova perché la condot

ta datoriale, nell'accertamento di fatto del tribunale, deve con

siderarsi in violazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori. Se è vero che sussiste un indirizzo nel senso che nell'art. 28

suddetto è elemento decisivo il fine perseguito dall'imprendito re, questo collegio non ritiene tuttavia che realmente la legge richieda per l'integrazione di una condotta antisindacale anche

la ricorrenza di quello che sarebbe in sostanza un «dolo specifi

II Foro Italiano — 1993.

co». Come è stato rilevato (Cass. 6 giugno 1984, n. 3409, id.,

1984, I, 2779), nel segno di un indirizzo poi confermato (Cass. 19 gennaio 1990, n. 295, id., Rep. 1991, voce cit., n. 115), e condiviso dalla dottrina nettamente prevalente, l'art. 28 richie

de solo una condotta che sia diretta a impedire o limitare l'eser

cizio della libertà e dell'attività sindacale (nonché del diritto di sciopero) senza con ciò richiedere un particolare profilo sogget tivo nell'autore della condotta, profilo che nella ragione della

norma volta all'immediata tutela di insopprimibili diritti dei la voratori non trova logicamente spazio e che di norma in diritto

civile non è richiesto.

In conclusione, il ricorso va accolto, e il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Brescia, valuterà la fattispecie secondo il principio di diritto enunciato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 aprile

1992, n. 4219; Pres. Menichino, Est. Pontrandolfi, P.M.

Martone (conci, conf.); Malerba e altri (Aw. Ghera) c. Ban

co di Napoli; Banco di Napoli (Avv. Persiani, D'Acunto,

Barbagallo) c. Sodano e altri; Banco di Napoli c. Malerba

e altri. Conferma Trìb. Napoli 16 novembre 1988.

Lavoro (rapporto) — Dipendenti del Banco di Napoli — Trat

tamento pensionistico — Normativa di perequazione automa

tica delle pensioni pubbliche e private — Inapplicabilità (L. 8 agosto 1895 n. 486, legge sui provvedimenti di finanza e

di tesoro, art. 39, all. T, art. 11; 1. 29 aprile 1976 n. 177,

collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica

delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescen za del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza, art. 1, 2; 1. 21 dicembre 1978 n. 843, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurien nale dello Stato (legge finanziaria), art. 18).

Lavoro (rapporto) — Dipendenti del Banco di Napoli — Trat

tamento pensionistico — Natura — Retribuzione differita —

Sistema di perequazione automatica delle pensioni pubbliche e private — Inapplicabilità (D.l. 23 dicembre 1977 n. 942, provvedimenti in materia previdenziale, art. 1; 1. 27 febbraio

1978 n. 41, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.

23 dicembre 1977 n. 942, art. unico). Lavoro (rapporto) — Trattamento pensionistico di fonte nego

ziale — Modificazioni «in peius» introdotte da accordi collet

tivi — Lavoratori già collocati in quiescenza — Inopponibili tà — Conciliazioni e transazioni — Validità (Cod. civ., art.

2113).

Il Banco di Napoli non ha l'obbligo giuridico, ai sensi dell'art. 18 legge finanziaria 21 dicembre 1978 n. 843, di conformarsi al sistema di perequazione automatica delle pensioni statali

di cui agli art. 1 e 2 I. n. 177 del 29 aprile 1976, in quanto il rinvio alle disposizioni di legge sul trattamento di quiescen za degli impiegati dello Stato, operato dall'art. Il all. T al

l'art. 39 l. n. 486 del 1895, svolge una mera funzione di ga ranzia del minimo, che, impedendo l'attribuzione di un trat

tamento inferiore, non esclude peraltro l'operatività in melius

della contrattazione collettiva. (1)

(1-3) La controversia risolta dalla sentenza in epigrafe origina dalla avvenuta soppressione da parte del Banco di Napoli, in ossequio al

disposto dell'art. 18 della legge finanziaria 21 dicembre 1978 n. 843, dell'art. 108 del regolamento del personale dell'istituto.

Tale norma regolamentare prevedeva il principio della variabilità co stante ed automatica delle pensioni in funzione della dinamica salariale, mentre la sua soppressione veniva ad introdurre il sistema di perequa zione automatica del trattamento pensionistico di cui agli art. 1 e 2 1. 29 aprile 1976 n. 177, disciplina peggiorativa rispetto alla precedente.

Successivamente, il Banco di Napoli aveva previsto la possibilità di estendere al personale già in quiescenza alla data del 1° gennaio 1983, che ne avesse fatto esplicita richiesta ed avesse rinunziato, nelle forme

previste dall'art. 2113 c.c., ad ogni rivendicazione connessa all'abroga zione del citato art. 108, un nuovo meccanismo perequativo delle pen

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