sezione lavoro; sentenza 9 gennaio 1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone (concl.diff.); Inps (Avv. Zicavo, Ausenda, Palmieri, Pescosolido) c. Alberici (Avv. Petti) e altri.Conferma Trib. Piacenza 2 giugno 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 873/874-879/880Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190849 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sugli acquisti ad esse attinenti sia ostacolata dal 1° comma del
citato art. 19.
La censura è fondata. La disciplina delle detrazioni dell'im
posta sul valore aggiunto, introdotta dal d.p.r. 633/72, è stata
largamente modificata dal d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24 e dal
d.p.r. 31 marzo 1979 n. 94.
L'originaria previsione del'art. 19 — secondo cui dall'ammon
tare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate era ammesso
in detrazione quello della imposta assolta dal contribuente o
a lui addebitata a tiolo di rivalsa o da lui dovuta a norma del
2° comma dell'art. 17, in relazione ai beni ed ai servizi importa
ti o acquistati nell'esercizio dell'impresa ... — ha trovato con
ferma nella novella del '79, e, per quanto attiene alle operazioni
esenti ai termini dell'art. 10 della normativa, nelle disposizioni
transitorie e di attuazione del decreto 24/79 contenute nel citato
d.p.r. 94/79. Con esse, da un lato si è disposta, per il contribuente, autore
di operazioni esenti (art. 10), la riduzione della detrazione nella
percentuale corrispondente al rapporto tra l'ammontare delle
operazioni esenti effettuate nell'anno ed il volume d'affari rela
tivo, arrotondata all'unità inferiore. Per altro verso, nel disci
plinare il calcolo della percentuale di riduzione, sono state escluse
dalle operazioni esenti quelle di cui ai nn. 6, 10, 11 dell'art.
10 e, ove non formino oggetto dell'attività propria dell'impresa o siano accessorie ad operazioni imponibili, si è disposto di non
tener conto, nemmeno nel volume d'affari, delle altre operazio
ni esenti indicate ai numeri da 1 a 9 del citato art. 10.
È evidente che la nuova disciplina ha inteso attuare un tratta
mento di maggior favore per l'erario riducendo l'entità della
detrazione; che ha regolato con i particolari interventi già men
zionati sulle operazioni esenti e sul volume d'affari.
Orbene, delle operazioni esenti di cui al n. 8 dell'art. 10 —
le locazioni e gli affitti di beni immobili, comprese le pertinen ze .. . — non deve tenersi conto nel determinare il volume d'af
fari se non formano oggetto dell'attività propria dell'impresa.
Al riguardo, deve sottolinearsi che il diritto alla detrazione (pre vista dall'art. 19, 1° comma, d.p.r. 633/72) dell'imposta assolta
in relazione a beni o servizi acquistati nell'esercizio dell'impresa
non può prescindere dalla inerenza della operazione all'eserci
zio dell'attività realizzata dal soggetto (cfr. Cass. 10919/92, Fo
ro it., Rep. 1992, voce Valore aggiunto (imposta), n. 223;
5981/92, ibid., n. 218); anzi la esige. E deve ritenersi «non ine rente» ciò che non è riconducibile all'attività propria dell'im
presa, perché l'aggettivo intende additare la particolarità e la
specificità dell'attività realizzata e considerata. Il legislatore, nel
l'applicare le detrazioni, e, più puntualmente, nel determinare
la percentuale di riduzione della detrazione in termini di corri
spondenza al rapporto tra l'ammontare delle operazioni esenti
effettuate nell'anno ed il volume d'affari dell'anno stesso, ha
ritenuto «non proprio» ciò che non è inerente. Di certo, in rife
rimento alle finalità dell'erario.
La specifica disciplina è del tutto coerente con i principi ispi
ratori atteso che si porrebbe fuori dal sistema l'affermazione
di riconducibilità alla attività «propria» dell'impresa di quelle attività che solo indirettamente si propongono come connesse
all'impresa. Si intende sottolineare che il 1° comma dell'art.
19, laddove si riferisce ai beni acquistati nell'esercizio dell'im
presa, dell'arte o della professione, intende additare la esigenza
di una «diretta» riferibilità dell'acquisto all'esercizio imprendi
toriale, non già una riferibilità comunque sostenibile.
Gli acquisti concernenti la manutenzione di immobili dati in
locazione a terzi, a maggior ragione di quelli dati in locazione
a dipendenti — per i quali, comunque, si perviene a conclusioni
identiche — non possono considerarsi oggetto dell'attività «pro
pria» dell'impresa ma solo indirettamente connessi ad essa. E,
dunque, fuori della inerenza richiesta dal legislatore.
Le conclusioni rese nella decisione impugnata non sono —
alla stregua del convincimento della corte di legittimità — con
formi a diritto. La Commissione tributaria centrale, in sede di
rinvio, applicherà i principi appena enunciati, secondo cui non
è legittima la detrazione dell'Iva pagata in rivalsa dalla contri
buente per l'acquisto di beni e servizi relativi ad immobili dati in locazione a terzi (operazioni esenti) al di fuori della attività
propria della impresa epperciò non direttamente strumentali al
la attività propria di quel soggetto.
11 Foro Italiano — 19%.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 gennaio
1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone
(conci, diff.); Inps (Avv. Zicavo, Ausenda, Palmieri, Pe
scosolido) c. Alberici (Avv. Petti) e altri. Conferma Trib.
Piacenza 2 giugno 1993.
Previdenza e assistenza sociale — Cumulo di pensioni — Dirit to all'integrazione ai minimo della pensione di reversibilità — Azione giudiziaria
— Termine di decadenza sostanziale —
Decorrenza — Fattispecie (D.p.r. 30 aprile 1970 n. 639, at
tuazione delle deleghe conferite al governo con gli art. 27 e
29 1. 30 aprile 1969 n. 153, concernente revisione degli ordi
namenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 47; d.l. 29 marzo 1991 n. 103, disposizioni urgenti in
materia previdenziale, art. 6; 1. 1° giugno 1991 n. 166, con
versione in legge, con modificazioni, del d.l. 29 marzo 1991
n. 103).
Sia nelle controversie in tema di cumulo delle pensioni pendenti alla data (2 aprile 1991) di entrata in vigore dell'art. 6 d.l.
103/91, convertito in I. 166/91, sia nelle cause introdotte suc
cessivamente, il termine di decadenza dall'azione giudiziaria avente per oggetto l'integrazione al minimo della pensione di
reversibilità, per effetto dell'autonomia di tale diritto, decor
re dalla specifica istanza amministrativa di liquidazione della
componente integrativa. (1)
(1) Non meno rilevante di quel che viene affermato, nella pronuncia in rassegna, è ciò che la Suprema corte nega, vale a dire, la fondatezza della tesi dell'Inps circa il decorso del termine di decadenza sostanziale
dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei della prestazione previdenzia le. Ne deriva una certa simmetria fra l'odierna statuizione in materia
di integrazione al minimo e la decisione resa da Cass. 24 novembre
1994, n. 9965 (Foro it., 1995, I, 1513, con nota di S.L. Gentile, C'è
ancora una logica nella disciplina della decadenza previdenziale?, cui
si rinvia per una rilettura della complessa vicenda dell'art. 47 d.p.r. 639/70), che, a proposito di riliquidazione dell'indennità di disoccupa zione ordinaria, ha fissato come dies a quo del periodo ablatorio la
reiezione del ricorso presentato ante causam in sede amministrativa e
non, appunto, l'epoca di maturazione del diritto alla prestazione o ai ratei.
Cosi, in entrambe le materie giudiziarie che più espongono le casse
dell'Inps al rischio di prosciugamento, si completa l'interpretazione sal
vifica delle aspettative degli assistiti, mentre, sull'altro fronte, rimane di nuovo frustrata l'opposta finalità, palesemente perseguita dal legisla tore con l'art. 6 1. 166/91, di potenziare l'istituto della decadenza previ denziale fino a farne un baluardo contro la riconsiderazione in massa
del livello quantitativo delle prestazioni già erogate.
Questa volta risulta decisivo l'argomento che l'integrazione al mini
mo (come le quote aggiuntive o i supplementi della pensione) è si una
componente addizionale della prestazione, ma ha propri presupposti e, in definitiva, possiede i connotati di un diritto autonomo, tanto che
gli errori sulla spettanza dell'importo perequativo non riguardano la
mera misura della pensione. L'assunto non è nuovo, come dimostrano
i numerosi precedenti di legittimità che arricchiscono la motivazione, ma oggi viene rivitalizzato per essere speso in un ambiente normativo
irto di accresciute difficoltà: l'art. 6 cit., innanzitutto. Piace menziona
re in tema, fra altre sentenze di merito, la disamina della questione condotta da Trib. Parma 12 ottobre 1995 (espressiva nel rendere l'idea
che il diritto all'integrazione al minimo si sarebbe conquistato l'autono
mia — come dire — sul campo, «stante l'evoluzione della vicenda nel
tempo, con il rincorrersi di pronunce della Corte costituzionale, inter
venti del legislatore ed interpretazioni giurisprudenziali») e Pret. Rovi
go 30 maggio 1995 (che, proseguendo sulla strada del frazionamento
della prestazione previdenziale, giunge a scorporare il diritto alla c.d. cristallizzazione dal diritto all'integrazione al minimo, quasi che il pri mo non fosse quel che resta del secondo dopo il 1° ottobre 1983, da
ta/crinale fissata dall'art. 6 1. 638/83: cfr. Cass. 21 ottobre 1995, n.
10952, id., 1996, I, 607, e S.L. Gentile, Cristalizzazione ultimo atto
(o penultimo), osservazioni a Cass. 14 gennaio 1995, n. 421, id., 1995,
I, 2167), entrambe inedite (per quanto consta).
Peraltro, Cass. n. 95 del 1996 si fa notare per lo spunto conclusivo
che ritorce contro l'Inps (secondo cui la pretesa autonomia del diritto
al trattamento minimo sarebbe addirittura «priva di senso» per il perio do senza preclusioni legislative anteriore al 1° ottobre 1983) l'argomen to — agli antipodi di quello posto a base della decisione — della inscin
dibilità tra l'importo della pensione e la quota di integrazione al mini
mo. Insomma (spiega la corte): è per via della sua autonomia che il
diritto alla componente addizionale si sottrae alla decadenza, «ma, quan d'anche si volesse seguire l'opposto orientamento», nessuna paura, per
ché, in tal caso, «l'istituto previdenziale avrebbe dovuto procedere d'uf
ficio» alla riliquidazione della pensione, senza la necessità da parte del
l'assistito di alcuna azione giudiziaria, che, quindi, «sfugge completamente all'effetto del decorso del termine» in discussione. E, alla fine della
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Il Pretore di Piacenza, acco
gliendo le domande proposte con separati ricorsi, depositati il
6 agosto 1991 e poscia riuniti in unico procedimento, da Maria
Teresa Albanesi e altri nove — Maria Alberici, Ada Archeri,
Vittoria Bonadè, Ilvio Malaguti, Giovannina Pavesi, Ida Ponzi
ni, Ida Sollicione, Rosa Tinelli ed Ester Vocca —, riconosceva, nei limiti della prescrizone decennale, il loro diritto all'integra
zione al minimo della pensione di reversibilità, di cui erano tito
lari, adottando le conseguenti statuizioni di condanna nei con
fronti dell'Inps. Su gravame di questo, il tribunale della stessa
città, con sentenza 2 giugno 1993, confermava la decisione di
primo grado «precisando che gli appellati hanno diritto ad otte
nere l'integrazione al minimo nei limiti della decadenza de
cennale».
In merito alla tesi sostenuta dall'Inps, che, non essendo stato
impugnato nei dieci anni l'originario provvedimento di liquida
zione della pensione non integrata, si fosse verificata la deca
denza di cui all'art. 47 d.p.r. 639/70 come autenticamente in
terpretato dall'art. 6 d.l. 103/91 convertito dalla 1. 166/91, il
giudice dell'appello osservava che «il diritto alla integrazione
al minimo della pensione di reversibilità a carico dell'Inps, spet tante al titolare di altro trattamento pensionistico a carico dello
Stato in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 314
del 1985 (Foro it., 1986,1, 1795) riveste una sua autonoma con
figurazione rispetto al provvedimento di concessione della pen
sione», sicché «ai fini del computo del decennio non deve tener
si conto della data in cui l'istituto ha provveduto a liquidare la pensione ma della ulteriore e diversa domanda con la quale il titolare avente diritto ha fatto espressa istanza di integrazione al minimo»; con la conseguenza che nei casi di specie, essendo
vi stata proposizione dell'azione giudiziaria entro i dieci anni
dalla data come sopra individuata, l'azione stessa era «piena mente ammissibile» e, sul piano sostanziale, erano «estinti [so
lo] i ratei anteriori ai dieci anni precedenti la presentazione del
la domanda in sede amministrativa di riliquidazione della pen sione di reversibilità» (ma non anche i successivi).
L'Inps propone ora ricorso per cassazione, affidato a un solo
spira, l'inconfessabile ammissione che «francamente non si comprende il perché della presente controversia, giunta fin in Cassazione».
Che dire? Semplicemente che nessuna sorpresa, invece, si attaglia al
l'odissea dell'art. 47 d.p.r. 639/70, disposizione intorno alla quale da
molti anni ruota un conflitto amministrativo, giudiziario e legislativo con migliaia di miliardi di lire in gioco. Questa lunga storia, contrastata
fino a divenire contorta, non può essere riscritta ogni volta che si valu
ta una nuova pronuncia in materia, ma va comunque tenuta a mente
per scongiurare il rischio di soluzioni piroettanti. Reiterato, quindi, l'invito a ripercorrerne le tappe, conviene dar con
to di alcune decisioni di merito, in materia di integrazione al minimo, che hanno preso disciplinatamente atto della sconfitta subita dagli assi
stiti «sulla natura del termine in questione — da procedimentale a so stanziale — e sugli effetti del suo inutile decorso» a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6 1. 166/91, norma della quale Corte cost. 3 giugno 1992, n. 246 (id., 1992, I, 2601), di sicuro, non si è occupata inutititer, salvandola in chiave di misura finanziaria di risanamento. Tra altre
statuizioni dello stesso segno, si vedano: Trib. Acqui Terme 10 marzo
1995, Informazione prev., 1995, 534 («una volta riconosciuta la natura
sostanziale del termine di decadenza de quo, che, come tale, va ad inci dere direttamente sul diritto ai ratei pregressi, non può non riconoscer
si, altresì, che il suo inutile decorso sia strettamente collegato all'effetti vo esercizio del diritto medesimo»); Trib. Bassano del Grappa 3 marzo
1995, ibid., 936 («affinché il termine decadenziale possa servire allo
scopo — chiaramente perseguito dal legislatore — di assicurare entro un termine regionevole l'irretrattabilità delle singole posizioni previden ziali, è necessario che il suo decorso venga correlato al provvedimento assunto dall'Inps sulla richiesta di prestazione previdenziale inoltrata
dall'interessato»); Trib. Perugia 23 gennaio 1995, ibid., 138 («è eviden
te che il legislatore del d.l. 103/91 aveva riguardo proprio ai ricorsi avverso l'originario provvedimento di liquidazione della pensione, per ché altrimenti la finalità perseguita da esso legislatore, di contenimento della spesa a carico dell'Inps, sarebbe stata evidentemente vanificata»); Pret. Brescia 8 febbraio 1995, ibid., 416 («sarebbe... abnorme concede re all'avente diritto un termine mobile di decorrenza della decadenza
per muovere censure ad una determinazione dell'istituto — previdenzia le — che viceversa permane costante nel tempo»); Pret. Novara 16 gen naio 1995, ibid., 149 («tale soluzione sembra preferibile in quanto me
glio garantisce l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, evitando che
gli interessati possano protrarre nel tempo, in base ad una scelta unila
terale, il dies a quo del termine di decadenza»). Il mutamento di prospettiva che, senza eccessive esitazioni, avrebbe
Il Foro Italiano — 1996.
motivo. Degli intimati resiste con controricorso la sola Alberici,
gli altri non essendosi costituiti.
Motivi della decisione. — Con l'univo motivo l'istituto ricor
rente denuncia, in base all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione
e falsa applicazione dell'art. 47 d.p.r. 30 aprile 1970 n. 639,
come autenticamente interpretato dall'art. 6 d.l. 29 marzo 1991
n. 103 convertito dalla 1. 1° giugno 1991 n. 166, oltre che difet
to di motivazione su un punto decisivo della controversia, e
censura la decisione impugnata insistendo nella tesi già sostenu
ta davanti al tribunale ed ampiamente illustrandola attraverso
una serie di passaggi argomentativi, che possono essere cosi sin
tetizzati: — il caso contemplato nel terzo periodo del 1° comma del
l'art. 6 cit. è quello della «mancata proposizione di ricorso am
ministrativo» — come nella specie — avverso la liquidazione
della pensione quantificata a calcolo, con implicita negazione
del diritto al minimo, avente decorrenza anteriore al 1 ° ottobre
1983; costituisce, infatti, ius receptum che la norma (successiva mente dichiarata incostituzionale) preclusiva di quel diritto non
impediva alla parte, se non in via di mero fatto, di agire per
chiedere l'integrazione della pensione, sollevando contestualmente
e in subordine questioni di legittimità costituzionale della stessa
norma; — nell'anzidetto caso «i termini decorrono dall'insorgenza
del diritto ai singoli ratei» (art. 6, 1° comma, terza parte, cit.),
e tali ratei «non possono che esser quelli relativi alla prestazio
ne previdenziale, come esplicitamente enunciato dai due prece
denti periodi dello stesso 1° comma»; — prestazione previdenziale non è l'integrazione al minimo
della pensione, «rappresentando essa soltanto una componente assistenziale della prestazione», spettante in base a determinate
condizioni soggettive dell'avente diritto, condizioni eliminate dalle
numerose sentenze della Corte costituzionale intervenute in ma
teria per le pensioni aventi decorrenza anteriore al 1° ottobre
1983, e ristabilite in modo più ampio e rigoroso dall'art. 6 1.
11 novembre 1983 n. 638 per le pensioni aventi decorrenza po
steriore;
dovuto accompagnarsi alla piena vigenza dell'art. 6 1. n. 166 del 1991
si coglie in Cass. 8 aprile 1994, n. 3301, Foro it., Rep. 1994, voce Previdenza sociale, n. 805.
Cosi riannodato il discorso, nella sentenza in epigrafe spicca la sotto
valutazione della circostanza che l'istituto del trattamento minimo risa
le alla 1. 4 aprile 1952 n. 218, sicché il corrispondente diritto, la cui
autonomia sarebbe decisiva, non è una novità dell'ultima ora: di relati
vamente recente ci sono, nella nostra vicenda, soltanto i noti interventi
della Consulta sui divieti di cumulo dei trattamenti integrati al minimo. In conseguenza, risulta a torto assorbito l'argomento dell'Inps secondo
cui «costituisce... ius receptum che la norma (successivamente dichiara
ta incostituzionale) preclusiva di quel diritto non impediva alla parte, se non in via di mero fatto, di agire per chiedere l'integrazione della
pensione, sollevando contestualmente e in subordine questione di legit timità costituzionale della stessa norma».
D'altro canto, in ordine al dovere dell'ente pubblico di provvedere ex officio all'integrazione al minimo della pensione, si tratta di uno
scenario che tempo addietro ho auspicato (immaginando un sistema ca
ratterizzato dall'officioso e automatico adeguamento dell'importo della
pensione al variare — inevitabile negli anni — dello statuto legale della
stessa, quale che sia la causa del ricalcolo»: La «scure finanziaria» sugli arretrati di pensione, osservazioni a Corte cost. 246/92, cit.), per cui
ben venga l'odierno riconoscimento in giudizio di tale obbligo da parte dell'istituto previdenziale. Ma, se i desiderata dell'assistito non coinci
dono con l'interpretazione che l'Inps fa della normativa applicabile (nella
specie, a causa della maturazione per intero di un termine di decadenza
sostanziale nella vigenza della disposizione impediente la cui successiva
eliminazione per incostituzionalità ha innescato la pretesa di tutti i pen
sionati, pure quelli rimasti inerti nelle more), allora, soltanto una sen
tenza resa da un giudice può sbloccare la situazione. E meravigliarsene è fuori posto.
Come la simmetrica Cass. 9965/94, cit., la sentenza in rassegna si
espone anch'essa alla conclusiva censura ex art. 4, 1° comma, ultima
parte, d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito, con modificazioni, nel
la 1. 14 novembre 1992 n. 438, che impone il computo del termine di
decadenza (divenuto) di tre anni (per le controversie in materia di trat
tamenti pensionistici) «a decorrere dalla data di presentazione della ri chiesta di prestazione». In altre parole, con riguardo al momento di
introduzione delle singole controversie (quelle riunite e decise risalivano
all'agosto 1991), dovrebbe comunque arrestarsi alle soglie dell'autunno 1992 l'influenza dell'odierna statuizione, che, peraltro, di tale questione non si fa carico. [S. L. Gentile]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
— l'esaurimento dell'originario procediemento amministrati
vo, reale con la comunicazione dell'esito della domanda e dei
ricorsi, o teorico con l'inutile decorso dei termini previsti per
proporre ricorso e per la formazione del silenzio-rifiuto in ordi
ne alla implicita negazione del trattamento minimo, determina
l'estinzione del diritto ai ratei pregressi di tale trattamento, che è una componente inscindibile della prestazione, stante «la uni
tarietà del diritto a pensione con il diritto al trattamento
minimo»; — la pretesa autonomia del trattamento minimo — addirit
tura «priva di senso» per il periodo anteriore al 1° ottobre 1983
«posto che per effetto delle numerose sentenze della Corte co
stituzionale ogni preclusione legislativa al suo conseguimento in sede di liquidazione della pensione è stata caducata, per im
pugnazione del relativo diniego da parte degli interessati che
hanno eccepito con successo l'incostituzionalità della norma pre clusiva» —, in realtà non esiste, tanto è vero che «ai fini del
l'attribuzione (o della decurtazione) del trattamento minimo è
sempre l'istituto ad agire d'ufficio senza necessità di domanda
di parte, formando il relativo importo parte integrante ed in
scindibile della prestazione». Il ricorso è infondato. Invero, per verificare se l'azione giudi
ziaria sia stata proposta prima della scadenza del termine (di decadenza «sostanziale») in questione, occorre aver riguardo non
già alla originaria domanda amministrativa e al successivo iter
attraverso cui la stessa portò alla liquidazione della pensione non integrata, ma alla successiva specifica domanda di integra zione al minimo della stessa pensione eventualmente presentata dall'avente diritto (com'è accaduto nel presente e, notoriamen
te, in altri innumerevoli consimili casi, dopo le note sentenze
ablative con le quali la Corte costituzionale ha espunto dall'or
dinamento le norme che, anteriormente al d.l. 12 settembre 1983
n. 463, precludevano la doppia o plurima integrazione). Ciò va ritenuto in base alla considerazione che l'integrazione
al minimo, e cosi le quote aggiuntive o i supplementi della pen
sione, sono si «componenti integrative» della stessa, ma «con
i connotati di autonomi diritti e [con] propri presupposti», co
me affermato dalle sezioni unite di questa corte con le pronun zie del 20 gennaio 1989, nn. 310-314 (id., Rep. 1989, voce Pre
videnza sociale, nn. 710-713, relative al c.d indebito pensionisti
co, sicché in esse si afferma pure che gli errori sulla spettanza o meno di tali componenti «non riguardano la mera misura
della pensione»). E nello stesso senso è la giurisprudenza (suc
cesiva) assolutamente prevalente di questa sezione (basti citare,
fra le tante, Cass. 29 dicembe 1993, n. 12911, id., Rep. 1993,
voce cit., n. 767; 26 aprile 1993, n. 4864, ibid., n. 820; 8 giugno 1992, n. 7018, id., Rep. 1992, voce cit., n. 851; 27 maggio 1992,
n. 6343, ibid., n. 852; 8 ottobre 1990, n. 9884, id., Rep. 1990, voce cit., n. 855; 11 settembre 1990, n. 9333, ibid., n. 778;
cui può aggiungersi l'ancor più recente Cass. 8 aprile 1994, n.
3301, id., Rep. 1994, voce cit., n. 805). L'autonomia dell'integrazione rispetto alla pensione è inne
gabile — e cosi' l'autonomia della domanda di riliquidazione
della pensione con inclusione in essa dell'integrazione al mini
mo per effetto della dichiarazione d'illegittimità costituzionale
della norma ostativa a tale integrazione, rispetto alla originaria domanda di attribuzione della pensione medesima (e su ciò po
ne l'accento Cass. 9333/90, cit.) —, sol che si consideri che
il diritto all'integrazione, regolato da apposite disposizioni di
legge, è ancorato a «propri presupposti», appunto, o requisiti
(il più ovvio dei quali naturalmente «è costituito dall'avvenuta
concessione della pensione»: Cass. 9884/90, cit., in motivazio
ne), a condizioni di fatto e di diritto del tutto peculiari e distin
te e diverse da quelle in presenza delle quali sorge il diritto
alla pensione, tant'è che non soltanto può darsi diritto alla pen
sione e non all'integrazione, ma questo può «cessare» per cause
solo ad esso relative e che non toccano l'altro diritto (e si pensi
alle note vicende legislative e giurisprudenziali e a tutta la pro
blematica in tema di c.d. cristalizzazione). È del resto lo stesso
istituto ricorrente che oltre ad attribuire all'integrazione natura,
come si è visto, addirittura diversa (assistenziale) da quella (pre
videnziale) della pensione — tesi ripudiata sia da questa corte
che dalla Corte costituzionale, nella cui giurisprudenza si rinvie
ne che l'istituto dell'integrazione al trattamento minimo, secon
do l'una, «non ha natura prevalentemente assistenziale, ma es
senzialmente previdenziale» (ord. 10 febbraio 1994, n. 107, id.,
1994, I, 1025), la sua funzione valendo a qualificarlo, secondo
Il Foro Italiano — 1996.
l'altra, come istituto previdenziale fondato sul principio di soli
darieà» (sent. 10 giugno 1994, n. 240, ibid., 2016) —, afferma
che «per il periodo successivo al 30 settembre 1983, a seguito della riforma del trattamento minimo, questo può essere rico
nosciuto o negato soltanto in presenza di determinte condizioni
reddituali o pensionistiche previste dalla legge, la prova della
sussistenza delle quali deve essere fornita o dalla parte interes
sata, ovvero può essere rilevata dagli atti in possesso dell'istitu
to»: ciò che, se non si sbaglia, equivale proprio al riconosci
mento di quell'autonomia (dell'integrazione) — e del suo mani
festarsi per chiari ed inequivoci indici —, che poco prima o
poco dopo trovasi, nello stesso ricorso, recisamente (e contrad
dittoriamente) negata. Va detto a questo punto che la giurisprudenza cui sopra si
è fatto riferimento, successiva e conforme (quasi sempre non
dichiaratamente) a sez. un. 310/314/89, in punto di affermata
autonomia del diritto all'integrazione — donde la conseguenza che «la verifica del rispetto del termine di decadenza procedi mentale previsto dall'art. 47, cit., dev'essere compiuta con ri
guardo alla comunicazione della decisione definitiva del ricorso
in via amministrativa o in ogni caso dalla scadenza del cento
ventesimo giorno dalla data di presentazione della domanda am
ministrativa d'integrazione, non potendo essere considerato equi valente alla suddetta decisione, agli effetti della disposizione suin
dicata, il provvedimento di liquidazione della pensione (non
integrata), che non investe di per sé l'autonomo diritto all'inte
grazione al minimo ma solo la spettanza del trattamento pen sionistico» (nella specie: di reversibilità), giusta massima uffi
ciale estratta da Cass. 12911/93, cit. (massima che, per quanto sta per dirsi, va ora «aggiornata» premettendovi «anche con
riguardo ai processi non in corso alla data di entrata in vigore del d.l. 29 marzo 1991 n. 103 convertito, con modificazioni,
dalla 1. 1° giugno 1991 n. 166, ed ai quali pertanto le disposi zioni di cui all'art. 6, 1° comma, del decreto stesso si applica
no», e cambiando in «sostanziale» l'attributo «procedimentale» che segue al complemento «della decadenza») — è tutta relativa
(com'è peraltro evidente, dato l'esplicito riferimento alla natura
«procedimentale» della decadenza) esclusivamente a processi in
corso alla data [2 aprile 1991] di entrata in vigore del citato
d.l. n. 103 del 1991, e ai quali pertanto sono invece inapplicabi
li, per espressa previsione dell'art. 6, 2° comma, dello stesso
decreto, le disposizioni del precedente 1° comma, pur aventi
efficacia retroattiva (ragionevolmente esclusa per i ratei richiesti
con domande giudiziali già proposte: Corte cost. 3 giugno 1992,
n. 246, id., 1992, I, 2601), e del seguente testuale tenore: «I
termini previsti dall'art. 47, 2° e 3° comma, d.p.r. 30 aprile 1970 n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del
diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina
l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previ
denziali e l'inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i
termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei».
Le considerazioni svolte e gli affermati principi conservano
tuttavia piena validità anche ove si tratti — come nel caso in
esame — di processi non in corso all'anzidetta data di entrata
in vigore del d.l. cit., e ai quali pertanto la norma d'interpreta zione autentica, dianzi trascritta, è viceversa applicabile. Trat
tasi, infatti, di norma che incide esclusivamente sulla natura
del termine in questione e sugli effetti del suo inutile decorso,
ma che per il resto, e per quanto riguarda in particolare il fatto
giuridico e il momento da cui il termine stesso inizia a decorre
re, ha lasciato — salvo ad aver previsto l'ipotesi, che la norma
interpretata non considerava, della mancata proposizione del
ricorso amministrativo, fissando per essa la decorrenza «dal
l'insorgenza del diritto ai singoli ratei» (ipotesi che non si dà
nella specie, il ricorso essendo stato proposto — beninteso av
verso la reiezione della domanda di integrazione —, come la
resistente afferma e ripete più volte nel controricorso, senza che
dall'altra parte si muovano al riguardo contestazioni di sorta) — ha lasciato, dunque, per il resto, del tutto immutato l'origi
nario «assetto» dell'art. 47 cit., secondo il quale, per le contro
versie in materia di trattamenti pensionistici, il termine di dieci
anni per la proposizione dell'azione giudiziaria decorre «dalla
data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pro nunziata dai competenti organi dell'istituto o dalla data di sca
denza del termine stabilito per la pronunzia della decisione me
desima» (ora di centoventi giorni dalla data di presentazione
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PARTE PRIMA
della richiesta all'istituto senza che questo si sia pronunciato, ex art. 7 1. 533/73, cit.). Rimane fermo e va ribadito allora,
per tutto quanto sopra considerato, che tale «decisione» non
è quella relativa alla domanda originaria — non è, in particola
re, il provvedimento di liquidazione della pensione non-integrata
—, ma è invece quella che è stata pronunciata e comunicata, o che avrebbe dovuto esserlo, sulla domanda di integrazione. La diversa natura (non meramente procedimentale), insomma, e i diversi effetti (estintivi del diritto ai ratei pregressi), del ter mine in questione, non incidono minimamente sugli altri ele
menti della fattispecie, come delineata dall'art. 47, cit.
Ma quand'anche si volesse seguire l'opposto orientamento,
pur esistente, e presente pure nella giurisprudenza di questa corte, che parte dalla premessa che l'integrazione al minimo non è
«oggetto di un diritto distìnto da quello relativo alla pensione, di cui rappresenta solo una componente inscindibile» (in termi
ni sostanzialmente diversi, e per maggior esattezza in termini
di componente non ancora liquidata dell'ordinaria pensione» e rientrante nel novero dei «trattamenti spettanti all'assicurato
e non riconosciuti dallo istituto» si esprime, in motivazione, sez. un. 10 giugno 1990, n. 6245, id., 1991, I, 160), e giunge alla conclusione che per conseguirla non occorre nemmeno un'ap
posita domanda amministrativa (domanda che, per l'altro orien
tamento, qui seguito, è invece sempre ammissibile «indipenden temente dalla originaria istanza di pensione, stante l'imprescrit
tibilità, e non assoggettabilità a termini di decadenza, del diritto
alla pensione e del diritto all'integrazione della pensione al mi
nimo»: Cass. 4864/93, cit., massima e motivazione, nella quale ultima si richiamano Cass. 23 gennaio 1989, n. 376, id., 1990,
I, 147; 22 marzo 1991, n. 3094, id., Rep. 1991, voce cit., n.
950, e 30 luglio 1991, n. 8442, ibid., nn. 800, 974, 988), e che, una volta caducate le norme incostituzionali in senso contrario, che hanno solo comportato un ritardo della liquidazione inte
grale della pensione, questa va «riconosciuta nella forma inte
grata sulla base della domanda originaria», anche perché «il
diritto a pensione è diritto indisponibile, per cui non è possibile farne richiesta in misura ridotta» (in tal senso, Cass. 11 marzo
1993, n. 2913, id., Rep. 1993, voce cit., n. 866), — allora sa
rebbe giocoforza ritenere che l'azione giudiziaria tendente ad
ottenere quella riliquidazione della pensione (con inclusione del
la integrazione al minimo) cui l'istituto previdenziale avrebbe
in effetti dovuto procedere d'ufficio, com'esso si fa qui a soste
nere, non essendo ammissibile che le pensioni vengano (e ri
mangano) liquidate in misura inferiore al minimo di legge, e
ciò per obbligo costituzionale ex art. 38, 2° comma, Cost, e
«anche per le pensioni già liquidate e per le quali non sia stata
chiesta l'integrazione» (Cass. 5 febbraio 1992, n. 1223, id., Rep.
1992, voce cit., n. 830) si dovrebbe ritenere, dunque, che detta azione «sfugge» completamente all'effetto del decorso del ter
mine decennale di decadenza (già procedimentale, ora sostan
ziale), che non la riguarda affatto, e «soggiace» solo al termine di prescrizione (decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di «rate
non ancora liquidate»: sez. un. 6245/90, cit.), quanto meno
per le pensioni di vecchiaia e ai superstiti, la cui decorrenza è fissata con riguardo non alla data di presentazione della do
manda amministrativa, come invece previsto per la pensione di
invalidità, ma a quella di verificazione dell'evento considerato
(Cass. 17 marzo 1994, n. 2562, id., Rep. 1994, voce cit., n.
807, e 30 luglio 1991, n. 8442, cit.). E qui si discute appunto
d'integrazione di pensione ai superstiti. Andrebbe inoltre fatta applicazione del principio, ripetuta
mente affermato da questa corte (ad es., in materia di rivaluta
zione monetaria del credito previdenziale, che certamente costi
tuisce una «componente» anzi «essenziale» del credito stesso), secondo cui, qualora la legge preveda la decadenza da un dirit
to di credito per il caso di suo mancato esercizio entro un certo
termine, la richiesta di pagamento, cui segua un adempimento soltanto parziale, è atto (di esercizio) idoneo a impedire la deca
denza con riguardo all'intera prestazione dovuta, e a far si che
la richiesta di pagamento dell'importo residuo non sia poi sog getta ad alcun termine di tal genere (Cass. 4 febbraio 1994, n. 1136, ibid., nn. 441, 848; 17 dicembre 1993, n. 12472, id., Rep. 1993, voce cit., 401, 422; 2 novembre 1992, n. 11866, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 455, 456).
Delle due l'una, insomma: o non è richiesta una specifica domanda per ottenere l'integrazione della pensione al trattamento
minimo, e l'istituto deve riconoscerla e corrisponderla ex offi
II Foro Italiano — 1996.
ciò, e in tal caso francamente non si comprende il perché della
presente controversia, giunta fin in Cassazione, non esistendo
altra domanda, cui fare riferimento per la verifica del rispetto del termine di cui all'art. 47, cit. (che in tanto comincia a de
correre in quanto sia stata presentata una domanda di presta
zione, contro la reiezione della quale sia stato o non sia stato
proposto ricorso), che non sia quella originaria ed unica di pen
sione, con riguardo alla quale, ed al successivo iter amministra
tivo, il problema del rispetto del termine, per quanto sopra det
to, non si pone; o una tal domanda è richiesta, e allora non
può che esser questa a dare l'avvio ali 'iter che porta ex art.
47 cit. alla decadenza (ed è del tutto irrilevante che questa abbia natura procedimentale o sostanziale).
Non rimane che rigettare il ricorso, avendo il Tribunale di
Piacenza deciso la causa in senso pienamente conforme ai prin
cipi di diritto sopra enunciati, segnatamente con l'aver assunto
come dato di partenza, per la verifica del rispetto del termine
di cui si discute, non l'originaria domanda amministrativa, che
portò alla liquidazione della pensione non integrata, ma la suc
cessiva domanda d'integrazione della stessa pensione al tratta
mento minimo.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 8 gen naio 1996, n. 51; Pres. Verde, Est. Fantacchiotti, P.M.
Di Salvo (conci, conf.); Soc. Cremonese (Aw. Porcù, E.
Romanelli) c. Giordano (Aw. Magri, Taddei), Martini (Aw.
Piacenza) e altri. Conferma App. Torino 2 giugno 1992.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Contratti preli minari in sequenza — Esecuzione in forma specifica proposta dal promissario finale — Azione surrogatoria — Domanda
implicita — Accoglimento — Ultrapetizione — Esclusione
(Cod. civ., art. 2900, 2932; cod. proc. civ., art. 112). Prova documentale — Data certa — Rapporto tra rappresen
tante e rappresentato — Necessità — Esclusione (Cod. civ., art. 2704).
La domanda, proposta ai sensi dell'art. 2932 c.c. contro il pro mittente venditore, che a sua volta sia destinatario di altra
promessa di vendita da parte di un terzo, contiene implicita mente la domanda in via surrogatoria di trasferimento coatti
vo del bene dal terzo al promittente venditore, purché l'attore abbia dedotto il pregiudizio che gli derivava dall'inadempi mento del contratto intercorso tra il Convenuto ed il terzo, e quest'ultimo sia stato parte del giudizio; con la conseguenza che la sentenza di accoglimento della suddetta domanda non
è viziata da ultrapetizione ai sensi dell'art. 112 c.p.c. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti della Corte di cassazione in termini. Sull'esercizio in via surrogatoria dell'azione di cui all'art. 2932 c.c., v. Trib. Monza 26 maggio 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Contratto in genere, n. 355, secondo cui «la domanda del promissario di esecuzio ne specifica dell'obbligazione di trasferire un'unità immobiliare nei con fronti dei vari promittenti, in una serie di preliminari a catena, e nei confronti del proprietario effettivo, in teoria ammissibile, non può es sere accolta ove non sia esercitata l'azione surrogatoria e ove non sia stato debitamente instaurato il contraddittorio con i vari danti causa del proprio dante causa, anche se già presentì in causa» (la motivazione
può leggersi in Foro pad., 1988, I, 119); Trib. Napoli 28 luglio 1967, Foro it., Rep. 1968, voce Surrogazione del creditore, nn. 3, 4, secondo cui «l'azione surrogatoria non può sperimentarsi in relazione all'esecu zione specifica di un contratto preliminare unilaterale giacché il credito re del promissario non può esercitare un diritto che è al tempo stesso un atto di disposizione e deve costituire il risultato di una libera deter minazione del soggetto. Per converso, il creditore si può surrogare al debitore per ottenere l'esecuzione specifica di un contratto preliminare
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