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sezione lavoro; sentenza 9 gennaio 1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone (concl....

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sezione lavoro; sentenza 9 gennaio 1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone (concl. diff.); Inps (Avv. Zicavo, Ausenda, Palmieri, Pescosolido) c. Alberici (Avv. Petti) e altri. Conferma Trib. Piacenza 2 giugno 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 873/874-879/880 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190849 . Accessed: 28/06/2014 16:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.116 on Sat, 28 Jun 2014 16:56:15 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 9 gennaio 1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone (concl.diff.); Inps (Avv. Zicavo, Ausenda, Palmieri, Pescosolido) c. Alberici (Avv. Petti) e altri.Conferma Trib. Piacenza 2 giugno 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 873/874-879/880Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190849 .

Accessed: 28/06/2014 16:56

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sugli acquisti ad esse attinenti sia ostacolata dal 1° comma del

citato art. 19.

La censura è fondata. La disciplina delle detrazioni dell'im

posta sul valore aggiunto, introdotta dal d.p.r. 633/72, è stata

largamente modificata dal d.p.r. 29 gennaio 1979 n. 24 e dal

d.p.r. 31 marzo 1979 n. 94.

L'originaria previsione del'art. 19 — secondo cui dall'ammon

tare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate era ammesso

in detrazione quello della imposta assolta dal contribuente o

a lui addebitata a tiolo di rivalsa o da lui dovuta a norma del

2° comma dell'art. 17, in relazione ai beni ed ai servizi importa

ti o acquistati nell'esercizio dell'impresa ... — ha trovato con

ferma nella novella del '79, e, per quanto attiene alle operazioni

esenti ai termini dell'art. 10 della normativa, nelle disposizioni

transitorie e di attuazione del decreto 24/79 contenute nel citato

d.p.r. 94/79. Con esse, da un lato si è disposta, per il contribuente, autore

di operazioni esenti (art. 10), la riduzione della detrazione nella

percentuale corrispondente al rapporto tra l'ammontare delle

operazioni esenti effettuate nell'anno ed il volume d'affari rela

tivo, arrotondata all'unità inferiore. Per altro verso, nel disci

plinare il calcolo della percentuale di riduzione, sono state escluse

dalle operazioni esenti quelle di cui ai nn. 6, 10, 11 dell'art.

10 e, ove non formino oggetto dell'attività propria dell'impresa o siano accessorie ad operazioni imponibili, si è disposto di non

tener conto, nemmeno nel volume d'affari, delle altre operazio

ni esenti indicate ai numeri da 1 a 9 del citato art. 10.

È evidente che la nuova disciplina ha inteso attuare un tratta

mento di maggior favore per l'erario riducendo l'entità della

detrazione; che ha regolato con i particolari interventi già men

zionati sulle operazioni esenti e sul volume d'affari.

Orbene, delle operazioni esenti di cui al n. 8 dell'art. 10 —

le locazioni e gli affitti di beni immobili, comprese le pertinen ze .. . — non deve tenersi conto nel determinare il volume d'af

fari se non formano oggetto dell'attività propria dell'impresa.

Al riguardo, deve sottolinearsi che il diritto alla detrazione (pre vista dall'art. 19, 1° comma, d.p.r. 633/72) dell'imposta assolta

in relazione a beni o servizi acquistati nell'esercizio dell'impresa

non può prescindere dalla inerenza della operazione all'eserci

zio dell'attività realizzata dal soggetto (cfr. Cass. 10919/92, Fo

ro it., Rep. 1992, voce Valore aggiunto (imposta), n. 223;

5981/92, ibid., n. 218); anzi la esige. E deve ritenersi «non ine rente» ciò che non è riconducibile all'attività propria dell'im

presa, perché l'aggettivo intende additare la particolarità e la

specificità dell'attività realizzata e considerata. Il legislatore, nel

l'applicare le detrazioni, e, più puntualmente, nel determinare

la percentuale di riduzione della detrazione in termini di corri

spondenza al rapporto tra l'ammontare delle operazioni esenti

effettuate nell'anno ed il volume d'affari dell'anno stesso, ha

ritenuto «non proprio» ciò che non è inerente. Di certo, in rife

rimento alle finalità dell'erario.

La specifica disciplina è del tutto coerente con i principi ispi

ratori atteso che si porrebbe fuori dal sistema l'affermazione

di riconducibilità alla attività «propria» dell'impresa di quelle attività che solo indirettamente si propongono come connesse

all'impresa. Si intende sottolineare che il 1° comma dell'art.

19, laddove si riferisce ai beni acquistati nell'esercizio dell'im

presa, dell'arte o della professione, intende additare la esigenza

di una «diretta» riferibilità dell'acquisto all'esercizio imprendi

toriale, non già una riferibilità comunque sostenibile.

Gli acquisti concernenti la manutenzione di immobili dati in

locazione a terzi, a maggior ragione di quelli dati in locazione

a dipendenti — per i quali, comunque, si perviene a conclusioni

identiche — non possono considerarsi oggetto dell'attività «pro

pria» dell'impresa ma solo indirettamente connessi ad essa. E,

dunque, fuori della inerenza richiesta dal legislatore.

Le conclusioni rese nella decisione impugnata non sono —

alla stregua del convincimento della corte di legittimità — con

formi a diritto. La Commissione tributaria centrale, in sede di

rinvio, applicherà i principi appena enunciati, secondo cui non

è legittima la detrazione dell'Iva pagata in rivalsa dalla contri

buente per l'acquisto di beni e servizi relativi ad immobili dati in locazione a terzi (operazioni esenti) al di fuori della attività

propria della impresa epperciò non direttamente strumentali al

la attività propria di quel soggetto.

11 Foro Italiano — 19%.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 gennaio

1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone

(conci, diff.); Inps (Avv. Zicavo, Ausenda, Palmieri, Pe

scosolido) c. Alberici (Avv. Petti) e altri. Conferma Trib.

Piacenza 2 giugno 1993.

Previdenza e assistenza sociale — Cumulo di pensioni — Dirit to all'integrazione ai minimo della pensione di reversibilità — Azione giudiziaria

— Termine di decadenza sostanziale —

Decorrenza — Fattispecie (D.p.r. 30 aprile 1970 n. 639, at

tuazione delle deleghe conferite al governo con gli art. 27 e

29 1. 30 aprile 1969 n. 153, concernente revisione degli ordi

namenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 47; d.l. 29 marzo 1991 n. 103, disposizioni urgenti in

materia previdenziale, art. 6; 1. 1° giugno 1991 n. 166, con

versione in legge, con modificazioni, del d.l. 29 marzo 1991

n. 103).

Sia nelle controversie in tema di cumulo delle pensioni pendenti alla data (2 aprile 1991) di entrata in vigore dell'art. 6 d.l.

103/91, convertito in I. 166/91, sia nelle cause introdotte suc

cessivamente, il termine di decadenza dall'azione giudiziaria avente per oggetto l'integrazione al minimo della pensione di

reversibilità, per effetto dell'autonomia di tale diritto, decor

re dalla specifica istanza amministrativa di liquidazione della

componente integrativa. (1)

(1) Non meno rilevante di quel che viene affermato, nella pronuncia in rassegna, è ciò che la Suprema corte nega, vale a dire, la fondatezza della tesi dell'Inps circa il decorso del termine di decadenza sostanziale

dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei della prestazione previdenzia le. Ne deriva una certa simmetria fra l'odierna statuizione in materia

di integrazione al minimo e la decisione resa da Cass. 24 novembre

1994, n. 9965 (Foro it., 1995, I, 1513, con nota di S.L. Gentile, C'è

ancora una logica nella disciplina della decadenza previdenziale?, cui

si rinvia per una rilettura della complessa vicenda dell'art. 47 d.p.r. 639/70), che, a proposito di riliquidazione dell'indennità di disoccupa zione ordinaria, ha fissato come dies a quo del periodo ablatorio la

reiezione del ricorso presentato ante causam in sede amministrativa e

non, appunto, l'epoca di maturazione del diritto alla prestazione o ai ratei.

Cosi, in entrambe le materie giudiziarie che più espongono le casse

dell'Inps al rischio di prosciugamento, si completa l'interpretazione sal

vifica delle aspettative degli assistiti, mentre, sull'altro fronte, rimane di nuovo frustrata l'opposta finalità, palesemente perseguita dal legisla tore con l'art. 6 1. 166/91, di potenziare l'istituto della decadenza previ denziale fino a farne un baluardo contro la riconsiderazione in massa

del livello quantitativo delle prestazioni già erogate.

Questa volta risulta decisivo l'argomento che l'integrazione al mini

mo (come le quote aggiuntive o i supplementi della pensione) è si una

componente addizionale della prestazione, ma ha propri presupposti e, in definitiva, possiede i connotati di un diritto autonomo, tanto che

gli errori sulla spettanza dell'importo perequativo non riguardano la

mera misura della pensione. L'assunto non è nuovo, come dimostrano

i numerosi precedenti di legittimità che arricchiscono la motivazione, ma oggi viene rivitalizzato per essere speso in un ambiente normativo

irto di accresciute difficoltà: l'art. 6 cit., innanzitutto. Piace menziona

re in tema, fra altre sentenze di merito, la disamina della questione condotta da Trib. Parma 12 ottobre 1995 (espressiva nel rendere l'idea

che il diritto all'integrazione al minimo si sarebbe conquistato l'autono

mia — come dire — sul campo, «stante l'evoluzione della vicenda nel

tempo, con il rincorrersi di pronunce della Corte costituzionale, inter

venti del legislatore ed interpretazioni giurisprudenziali») e Pret. Rovi

go 30 maggio 1995 (che, proseguendo sulla strada del frazionamento

della prestazione previdenziale, giunge a scorporare il diritto alla c.d. cristallizzazione dal diritto all'integrazione al minimo, quasi che il pri mo non fosse quel che resta del secondo dopo il 1° ottobre 1983, da

ta/crinale fissata dall'art. 6 1. 638/83: cfr. Cass. 21 ottobre 1995, n.

10952, id., 1996, I, 607, e S.L. Gentile, Cristalizzazione ultimo atto

(o penultimo), osservazioni a Cass. 14 gennaio 1995, n. 421, id., 1995,

I, 2167), entrambe inedite (per quanto consta).

Peraltro, Cass. n. 95 del 1996 si fa notare per lo spunto conclusivo

che ritorce contro l'Inps (secondo cui la pretesa autonomia del diritto

al trattamento minimo sarebbe addirittura «priva di senso» per il perio do senza preclusioni legislative anteriore al 1° ottobre 1983) l'argomen to — agli antipodi di quello posto a base della decisione — della inscin

dibilità tra l'importo della pensione e la quota di integrazione al mini

mo. Insomma (spiega la corte): è per via della sua autonomia che il

diritto alla componente addizionale si sottrae alla decadenza, «ma, quan d'anche si volesse seguire l'opposto orientamento», nessuna paura, per

ché, in tal caso, «l'istituto previdenziale avrebbe dovuto procedere d'uf

ficio» alla riliquidazione della pensione, senza la necessità da parte del

l'assistito di alcuna azione giudiziaria, che, quindi, «sfugge completamente all'effetto del decorso del termine» in discussione. E, alla fine della

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PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — Il Pretore di Piacenza, acco

gliendo le domande proposte con separati ricorsi, depositati il

6 agosto 1991 e poscia riuniti in unico procedimento, da Maria

Teresa Albanesi e altri nove — Maria Alberici, Ada Archeri,

Vittoria Bonadè, Ilvio Malaguti, Giovannina Pavesi, Ida Ponzi

ni, Ida Sollicione, Rosa Tinelli ed Ester Vocca —, riconosceva, nei limiti della prescrizone decennale, il loro diritto all'integra

zione al minimo della pensione di reversibilità, di cui erano tito

lari, adottando le conseguenti statuizioni di condanna nei con

fronti dell'Inps. Su gravame di questo, il tribunale della stessa

città, con sentenza 2 giugno 1993, confermava la decisione di

primo grado «precisando che gli appellati hanno diritto ad otte

nere l'integrazione al minimo nei limiti della decadenza de

cennale».

In merito alla tesi sostenuta dall'Inps, che, non essendo stato

impugnato nei dieci anni l'originario provvedimento di liquida

zione della pensione non integrata, si fosse verificata la deca

denza di cui all'art. 47 d.p.r. 639/70 come autenticamente in

terpretato dall'art. 6 d.l. 103/91 convertito dalla 1. 166/91, il

giudice dell'appello osservava che «il diritto alla integrazione

al minimo della pensione di reversibilità a carico dell'Inps, spet tante al titolare di altro trattamento pensionistico a carico dello

Stato in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 314

del 1985 (Foro it., 1986,1, 1795) riveste una sua autonoma con

figurazione rispetto al provvedimento di concessione della pen

sione», sicché «ai fini del computo del decennio non deve tener

si conto della data in cui l'istituto ha provveduto a liquidare la pensione ma della ulteriore e diversa domanda con la quale il titolare avente diritto ha fatto espressa istanza di integrazione al minimo»; con la conseguenza che nei casi di specie, essendo

vi stata proposizione dell'azione giudiziaria entro i dieci anni

dalla data come sopra individuata, l'azione stessa era «piena mente ammissibile» e, sul piano sostanziale, erano «estinti [so

lo] i ratei anteriori ai dieci anni precedenti la presentazione del

la domanda in sede amministrativa di riliquidazione della pen sione di reversibilità» (ma non anche i successivi).

L'Inps propone ora ricorso per cassazione, affidato a un solo

spira, l'inconfessabile ammissione che «francamente non si comprende il perché della presente controversia, giunta fin in Cassazione».

Che dire? Semplicemente che nessuna sorpresa, invece, si attaglia al

l'odissea dell'art. 47 d.p.r. 639/70, disposizione intorno alla quale da

molti anni ruota un conflitto amministrativo, giudiziario e legislativo con migliaia di miliardi di lire in gioco. Questa lunga storia, contrastata

fino a divenire contorta, non può essere riscritta ogni volta che si valu

ta una nuova pronuncia in materia, ma va comunque tenuta a mente

per scongiurare il rischio di soluzioni piroettanti. Reiterato, quindi, l'invito a ripercorrerne le tappe, conviene dar con

to di alcune decisioni di merito, in materia di integrazione al minimo, che hanno preso disciplinatamente atto della sconfitta subita dagli assi

stiti «sulla natura del termine in questione — da procedimentale a so stanziale — e sugli effetti del suo inutile decorso» a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6 1. 166/91, norma della quale Corte cost. 3 giugno 1992, n. 246 (id., 1992, I, 2601), di sicuro, non si è occupata inutititer, salvandola in chiave di misura finanziaria di risanamento. Tra altre

statuizioni dello stesso segno, si vedano: Trib. Acqui Terme 10 marzo

1995, Informazione prev., 1995, 534 («una volta riconosciuta la natura

sostanziale del termine di decadenza de quo, che, come tale, va ad inci dere direttamente sul diritto ai ratei pregressi, non può non riconoscer

si, altresì, che il suo inutile decorso sia strettamente collegato all'effetti vo esercizio del diritto medesimo»); Trib. Bassano del Grappa 3 marzo

1995, ibid., 936 («affinché il termine decadenziale possa servire allo

scopo — chiaramente perseguito dal legislatore — di assicurare entro un termine regionevole l'irretrattabilità delle singole posizioni previden ziali, è necessario che il suo decorso venga correlato al provvedimento assunto dall'Inps sulla richiesta di prestazione previdenziale inoltrata

dall'interessato»); Trib. Perugia 23 gennaio 1995, ibid., 138 («è eviden

te che il legislatore del d.l. 103/91 aveva riguardo proprio ai ricorsi avverso l'originario provvedimento di liquidazione della pensione, per ché altrimenti la finalità perseguita da esso legislatore, di contenimento della spesa a carico dell'Inps, sarebbe stata evidentemente vanificata»); Pret. Brescia 8 febbraio 1995, ibid., 416 («sarebbe... abnorme concede re all'avente diritto un termine mobile di decorrenza della decadenza

per muovere censure ad una determinazione dell'istituto — previdenzia le — che viceversa permane costante nel tempo»); Pret. Novara 16 gen naio 1995, ibid., 149 («tale soluzione sembra preferibile in quanto me

glio garantisce l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, evitando che

gli interessati possano protrarre nel tempo, in base ad una scelta unila

terale, il dies a quo del termine di decadenza»). Il mutamento di prospettiva che, senza eccessive esitazioni, avrebbe

Il Foro Italiano — 1996.

motivo. Degli intimati resiste con controricorso la sola Alberici,

gli altri non essendosi costituiti.

Motivi della decisione. — Con l'univo motivo l'istituto ricor

rente denuncia, in base all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione

e falsa applicazione dell'art. 47 d.p.r. 30 aprile 1970 n. 639,

come autenticamente interpretato dall'art. 6 d.l. 29 marzo 1991

n. 103 convertito dalla 1. 1° giugno 1991 n. 166, oltre che difet

to di motivazione su un punto decisivo della controversia, e

censura la decisione impugnata insistendo nella tesi già sostenu

ta davanti al tribunale ed ampiamente illustrandola attraverso

una serie di passaggi argomentativi, che possono essere cosi sin

tetizzati: — il caso contemplato nel terzo periodo del 1° comma del

l'art. 6 cit. è quello della «mancata proposizione di ricorso am

ministrativo» — come nella specie — avverso la liquidazione

della pensione quantificata a calcolo, con implicita negazione

del diritto al minimo, avente decorrenza anteriore al 1 ° ottobre

1983; costituisce, infatti, ius receptum che la norma (successiva mente dichiarata incostituzionale) preclusiva di quel diritto non

impediva alla parte, se non in via di mero fatto, di agire per

chiedere l'integrazione della pensione, sollevando contestualmente

e in subordine questioni di legittimità costituzionale della stessa

norma; — nell'anzidetto caso «i termini decorrono dall'insorgenza

del diritto ai singoli ratei» (art. 6, 1° comma, terza parte, cit.),

e tali ratei «non possono che esser quelli relativi alla prestazio

ne previdenziale, come esplicitamente enunciato dai due prece

denti periodi dello stesso 1° comma»; — prestazione previdenziale non è l'integrazione al minimo

della pensione, «rappresentando essa soltanto una componente assistenziale della prestazione», spettante in base a determinate

condizioni soggettive dell'avente diritto, condizioni eliminate dalle

numerose sentenze della Corte costituzionale intervenute in ma

teria per le pensioni aventi decorrenza anteriore al 1° ottobre

1983, e ristabilite in modo più ampio e rigoroso dall'art. 6 1.

11 novembre 1983 n. 638 per le pensioni aventi decorrenza po

steriore;

dovuto accompagnarsi alla piena vigenza dell'art. 6 1. n. 166 del 1991

si coglie in Cass. 8 aprile 1994, n. 3301, Foro it., Rep. 1994, voce Previdenza sociale, n. 805.

Cosi riannodato il discorso, nella sentenza in epigrafe spicca la sotto

valutazione della circostanza che l'istituto del trattamento minimo risa

le alla 1. 4 aprile 1952 n. 218, sicché il corrispondente diritto, la cui

autonomia sarebbe decisiva, non è una novità dell'ultima ora: di relati

vamente recente ci sono, nella nostra vicenda, soltanto i noti interventi

della Consulta sui divieti di cumulo dei trattamenti integrati al minimo. In conseguenza, risulta a torto assorbito l'argomento dell'Inps secondo

cui «costituisce... ius receptum che la norma (successivamente dichiara

ta incostituzionale) preclusiva di quel diritto non impediva alla parte, se non in via di mero fatto, di agire per chiedere l'integrazione della

pensione, sollevando contestualmente e in subordine questione di legit timità costituzionale della stessa norma».

D'altro canto, in ordine al dovere dell'ente pubblico di provvedere ex officio all'integrazione al minimo della pensione, si tratta di uno

scenario che tempo addietro ho auspicato (immaginando un sistema ca

ratterizzato dall'officioso e automatico adeguamento dell'importo della

pensione al variare — inevitabile negli anni — dello statuto legale della

stessa, quale che sia la causa del ricalcolo»: La «scure finanziaria» sugli arretrati di pensione, osservazioni a Corte cost. 246/92, cit.), per cui

ben venga l'odierno riconoscimento in giudizio di tale obbligo da parte dell'istituto previdenziale. Ma, se i desiderata dell'assistito non coinci

dono con l'interpretazione che l'Inps fa della normativa applicabile (nella

specie, a causa della maturazione per intero di un termine di decadenza

sostanziale nella vigenza della disposizione impediente la cui successiva

eliminazione per incostituzionalità ha innescato la pretesa di tutti i pen

sionati, pure quelli rimasti inerti nelle more), allora, soltanto una sen

tenza resa da un giudice può sbloccare la situazione. E meravigliarsene è fuori posto.

Come la simmetrica Cass. 9965/94, cit., la sentenza in rassegna si

espone anch'essa alla conclusiva censura ex art. 4, 1° comma, ultima

parte, d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito, con modificazioni, nel

la 1. 14 novembre 1992 n. 438, che impone il computo del termine di

decadenza (divenuto) di tre anni (per le controversie in materia di trat

tamenti pensionistici) «a decorrere dalla data di presentazione della ri chiesta di prestazione». In altre parole, con riguardo al momento di

introduzione delle singole controversie (quelle riunite e decise risalivano

all'agosto 1991), dovrebbe comunque arrestarsi alle soglie dell'autunno 1992 l'influenza dell'odierna statuizione, che, peraltro, di tale questione non si fa carico. [S. L. Gentile]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

— l'esaurimento dell'originario procediemento amministrati

vo, reale con la comunicazione dell'esito della domanda e dei

ricorsi, o teorico con l'inutile decorso dei termini previsti per

proporre ricorso e per la formazione del silenzio-rifiuto in ordi

ne alla implicita negazione del trattamento minimo, determina

l'estinzione del diritto ai ratei pregressi di tale trattamento, che è una componente inscindibile della prestazione, stante «la uni

tarietà del diritto a pensione con il diritto al trattamento

minimo»; — la pretesa autonomia del trattamento minimo — addirit

tura «priva di senso» per il periodo anteriore al 1° ottobre 1983

«posto che per effetto delle numerose sentenze della Corte co

stituzionale ogni preclusione legislativa al suo conseguimento in sede di liquidazione della pensione è stata caducata, per im

pugnazione del relativo diniego da parte degli interessati che

hanno eccepito con successo l'incostituzionalità della norma pre clusiva» —, in realtà non esiste, tanto è vero che «ai fini del

l'attribuzione (o della decurtazione) del trattamento minimo è

sempre l'istituto ad agire d'ufficio senza necessità di domanda

di parte, formando il relativo importo parte integrante ed in

scindibile della prestazione». Il ricorso è infondato. Invero, per verificare se l'azione giudi

ziaria sia stata proposta prima della scadenza del termine (di decadenza «sostanziale») in questione, occorre aver riguardo non

già alla originaria domanda amministrativa e al successivo iter

attraverso cui la stessa portò alla liquidazione della pensione non integrata, ma alla successiva specifica domanda di integra zione al minimo della stessa pensione eventualmente presentata dall'avente diritto (com'è accaduto nel presente e, notoriamen

te, in altri innumerevoli consimili casi, dopo le note sentenze

ablative con le quali la Corte costituzionale ha espunto dall'or

dinamento le norme che, anteriormente al d.l. 12 settembre 1983

n. 463, precludevano la doppia o plurima integrazione). Ciò va ritenuto in base alla considerazione che l'integrazione

al minimo, e cosi le quote aggiuntive o i supplementi della pen

sione, sono si «componenti integrative» della stessa, ma «con

i connotati di autonomi diritti e [con] propri presupposti», co

me affermato dalle sezioni unite di questa corte con le pronun zie del 20 gennaio 1989, nn. 310-314 (id., Rep. 1989, voce Pre

videnza sociale, nn. 710-713, relative al c.d indebito pensionisti

co, sicché in esse si afferma pure che gli errori sulla spettanza o meno di tali componenti «non riguardano la mera misura

della pensione»). E nello stesso senso è la giurisprudenza (suc

cesiva) assolutamente prevalente di questa sezione (basti citare,

fra le tante, Cass. 29 dicembe 1993, n. 12911, id., Rep. 1993,

voce cit., n. 767; 26 aprile 1993, n. 4864, ibid., n. 820; 8 giugno 1992, n. 7018, id., Rep. 1992, voce cit., n. 851; 27 maggio 1992,

n. 6343, ibid., n. 852; 8 ottobre 1990, n. 9884, id., Rep. 1990, voce cit., n. 855; 11 settembre 1990, n. 9333, ibid., n. 778;

cui può aggiungersi l'ancor più recente Cass. 8 aprile 1994, n.

3301, id., Rep. 1994, voce cit., n. 805). L'autonomia dell'integrazione rispetto alla pensione è inne

gabile — e cosi' l'autonomia della domanda di riliquidazione

della pensione con inclusione in essa dell'integrazione al mini

mo per effetto della dichiarazione d'illegittimità costituzionale

della norma ostativa a tale integrazione, rispetto alla originaria domanda di attribuzione della pensione medesima (e su ciò po

ne l'accento Cass. 9333/90, cit.) —, sol che si consideri che

il diritto all'integrazione, regolato da apposite disposizioni di

legge, è ancorato a «propri presupposti», appunto, o requisiti

(il più ovvio dei quali naturalmente «è costituito dall'avvenuta

concessione della pensione»: Cass. 9884/90, cit., in motivazio

ne), a condizioni di fatto e di diritto del tutto peculiari e distin

te e diverse da quelle in presenza delle quali sorge il diritto

alla pensione, tant'è che non soltanto può darsi diritto alla pen

sione e non all'integrazione, ma questo può «cessare» per cause

solo ad esso relative e che non toccano l'altro diritto (e si pensi

alle note vicende legislative e giurisprudenziali e a tutta la pro

blematica in tema di c.d. cristalizzazione). È del resto lo stesso

istituto ricorrente che oltre ad attribuire all'integrazione natura,

come si è visto, addirittura diversa (assistenziale) da quella (pre

videnziale) della pensione — tesi ripudiata sia da questa corte

che dalla Corte costituzionale, nella cui giurisprudenza si rinvie

ne che l'istituto dell'integrazione al trattamento minimo, secon

do l'una, «non ha natura prevalentemente assistenziale, ma es

senzialmente previdenziale» (ord. 10 febbraio 1994, n. 107, id.,

1994, I, 1025), la sua funzione valendo a qualificarlo, secondo

Il Foro Italiano — 1996.

l'altra, come istituto previdenziale fondato sul principio di soli

darieà» (sent. 10 giugno 1994, n. 240, ibid., 2016) —, afferma

che «per il periodo successivo al 30 settembre 1983, a seguito della riforma del trattamento minimo, questo può essere rico

nosciuto o negato soltanto in presenza di determinte condizioni

reddituali o pensionistiche previste dalla legge, la prova della

sussistenza delle quali deve essere fornita o dalla parte interes

sata, ovvero può essere rilevata dagli atti in possesso dell'istitu

to»: ciò che, se non si sbaglia, equivale proprio al riconosci

mento di quell'autonomia (dell'integrazione) — e del suo mani

festarsi per chiari ed inequivoci indici —, che poco prima o

poco dopo trovasi, nello stesso ricorso, recisamente (e contrad

dittoriamente) negata. Va detto a questo punto che la giurisprudenza cui sopra si

è fatto riferimento, successiva e conforme (quasi sempre non

dichiaratamente) a sez. un. 310/314/89, in punto di affermata

autonomia del diritto all'integrazione — donde la conseguenza che «la verifica del rispetto del termine di decadenza procedi mentale previsto dall'art. 47, cit., dev'essere compiuta con ri

guardo alla comunicazione della decisione definitiva del ricorso

in via amministrativa o in ogni caso dalla scadenza del cento

ventesimo giorno dalla data di presentazione della domanda am

ministrativa d'integrazione, non potendo essere considerato equi valente alla suddetta decisione, agli effetti della disposizione suin

dicata, il provvedimento di liquidazione della pensione (non

integrata), che non investe di per sé l'autonomo diritto all'inte

grazione al minimo ma solo la spettanza del trattamento pen sionistico» (nella specie: di reversibilità), giusta massima uffi

ciale estratta da Cass. 12911/93, cit. (massima che, per quanto sta per dirsi, va ora «aggiornata» premettendovi «anche con

riguardo ai processi non in corso alla data di entrata in vigore del d.l. 29 marzo 1991 n. 103 convertito, con modificazioni,

dalla 1. 1° giugno 1991 n. 166, ed ai quali pertanto le disposi zioni di cui all'art. 6, 1° comma, del decreto stesso si applica

no», e cambiando in «sostanziale» l'attributo «procedimentale» che segue al complemento «della decadenza») — è tutta relativa

(com'è peraltro evidente, dato l'esplicito riferimento alla natura

«procedimentale» della decadenza) esclusivamente a processi in

corso alla data [2 aprile 1991] di entrata in vigore del citato

d.l. n. 103 del 1991, e ai quali pertanto sono invece inapplicabi

li, per espressa previsione dell'art. 6, 2° comma, dello stesso

decreto, le disposizioni del precedente 1° comma, pur aventi

efficacia retroattiva (ragionevolmente esclusa per i ratei richiesti

con domande giudiziali già proposte: Corte cost. 3 giugno 1992,

n. 246, id., 1992, I, 2601), e del seguente testuale tenore: «I

termini previsti dall'art. 47, 2° e 3° comma, d.p.r. 30 aprile 1970 n. 639, sono posti a pena di decadenza per l'esercizio del

diritto alla prestazione previdenziale. La decadenza determina

l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previ

denziali e l'inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i

termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei».

Le considerazioni svolte e gli affermati principi conservano

tuttavia piena validità anche ove si tratti — come nel caso in

esame — di processi non in corso all'anzidetta data di entrata

in vigore del d.l. cit., e ai quali pertanto la norma d'interpreta zione autentica, dianzi trascritta, è viceversa applicabile. Trat

tasi, infatti, di norma che incide esclusivamente sulla natura

del termine in questione e sugli effetti del suo inutile decorso,

ma che per il resto, e per quanto riguarda in particolare il fatto

giuridico e il momento da cui il termine stesso inizia a decorre

re, ha lasciato — salvo ad aver previsto l'ipotesi, che la norma

interpretata non considerava, della mancata proposizione del

ricorso amministrativo, fissando per essa la decorrenza «dal

l'insorgenza del diritto ai singoli ratei» (ipotesi che non si dà

nella specie, il ricorso essendo stato proposto — beninteso av

verso la reiezione della domanda di integrazione —, come la

resistente afferma e ripete più volte nel controricorso, senza che

dall'altra parte si muovano al riguardo contestazioni di sorta) — ha lasciato, dunque, per il resto, del tutto immutato l'origi

nario «assetto» dell'art. 47 cit., secondo il quale, per le contro

versie in materia di trattamenti pensionistici, il termine di dieci

anni per la proposizione dell'azione giudiziaria decorre «dalla

data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pro nunziata dai competenti organi dell'istituto o dalla data di sca

denza del termine stabilito per la pronunzia della decisione me

desima» (ora di centoventi giorni dalla data di presentazione

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 9 gennaio 1996, n. 95; Pres. Mollica, Est. Toriello, P.M. Martone (concl. diff.); Inps (Avv. Zicavo, Ausenda, Palmieri, Pescosolido) c. Alberici (Avv. Petti)

PARTE PRIMA

della richiesta all'istituto senza che questo si sia pronunciato, ex art. 7 1. 533/73, cit.). Rimane fermo e va ribadito allora,

per tutto quanto sopra considerato, che tale «decisione» non

è quella relativa alla domanda originaria — non è, in particola

re, il provvedimento di liquidazione della pensione non-integrata

—, ma è invece quella che è stata pronunciata e comunicata, o che avrebbe dovuto esserlo, sulla domanda di integrazione. La diversa natura (non meramente procedimentale), insomma, e i diversi effetti (estintivi del diritto ai ratei pregressi), del ter mine in questione, non incidono minimamente sugli altri ele

menti della fattispecie, come delineata dall'art. 47, cit.

Ma quand'anche si volesse seguire l'opposto orientamento,

pur esistente, e presente pure nella giurisprudenza di questa corte, che parte dalla premessa che l'integrazione al minimo non è

«oggetto di un diritto distìnto da quello relativo alla pensione, di cui rappresenta solo una componente inscindibile» (in termi

ni sostanzialmente diversi, e per maggior esattezza in termini

di componente non ancora liquidata dell'ordinaria pensione» e rientrante nel novero dei «trattamenti spettanti all'assicurato

e non riconosciuti dallo istituto» si esprime, in motivazione, sez. un. 10 giugno 1990, n. 6245, id., 1991, I, 160), e giunge alla conclusione che per conseguirla non occorre nemmeno un'ap

posita domanda amministrativa (domanda che, per l'altro orien

tamento, qui seguito, è invece sempre ammissibile «indipenden temente dalla originaria istanza di pensione, stante l'imprescrit

tibilità, e non assoggettabilità a termini di decadenza, del diritto

alla pensione e del diritto all'integrazione della pensione al mi

nimo»: Cass. 4864/93, cit., massima e motivazione, nella quale ultima si richiamano Cass. 23 gennaio 1989, n. 376, id., 1990,

I, 147; 22 marzo 1991, n. 3094, id., Rep. 1991, voce cit., n.

950, e 30 luglio 1991, n. 8442, ibid., nn. 800, 974, 988), e che, una volta caducate le norme incostituzionali in senso contrario, che hanno solo comportato un ritardo della liquidazione inte

grale della pensione, questa va «riconosciuta nella forma inte

grata sulla base della domanda originaria», anche perché «il

diritto a pensione è diritto indisponibile, per cui non è possibile farne richiesta in misura ridotta» (in tal senso, Cass. 11 marzo

1993, n. 2913, id., Rep. 1993, voce cit., n. 866), — allora sa

rebbe giocoforza ritenere che l'azione giudiziaria tendente ad

ottenere quella riliquidazione della pensione (con inclusione del

la integrazione al minimo) cui l'istituto previdenziale avrebbe

in effetti dovuto procedere d'ufficio, com'esso si fa qui a soste

nere, non essendo ammissibile che le pensioni vengano (e ri

mangano) liquidate in misura inferiore al minimo di legge, e

ciò per obbligo costituzionale ex art. 38, 2° comma, Cost, e

«anche per le pensioni già liquidate e per le quali non sia stata

chiesta l'integrazione» (Cass. 5 febbraio 1992, n. 1223, id., Rep.

1992, voce cit., n. 830) si dovrebbe ritenere, dunque, che detta azione «sfugge» completamente all'effetto del decorso del ter

mine decennale di decadenza (già procedimentale, ora sostan

ziale), che non la riguarda affatto, e «soggiace» solo al termine di prescrizione (decennale ex art. 2946 c.c., trattandosi di «rate

non ancora liquidate»: sez. un. 6245/90, cit.), quanto meno

per le pensioni di vecchiaia e ai superstiti, la cui decorrenza è fissata con riguardo non alla data di presentazione della do

manda amministrativa, come invece previsto per la pensione di

invalidità, ma a quella di verificazione dell'evento considerato

(Cass. 17 marzo 1994, n. 2562, id., Rep. 1994, voce cit., n.

807, e 30 luglio 1991, n. 8442, cit.). E qui si discute appunto

d'integrazione di pensione ai superstiti. Andrebbe inoltre fatta applicazione del principio, ripetuta

mente affermato da questa corte (ad es., in materia di rivaluta

zione monetaria del credito previdenziale, che certamente costi

tuisce una «componente» anzi «essenziale» del credito stesso), secondo cui, qualora la legge preveda la decadenza da un dirit

to di credito per il caso di suo mancato esercizio entro un certo

termine, la richiesta di pagamento, cui segua un adempimento soltanto parziale, è atto (di esercizio) idoneo a impedire la deca

denza con riguardo all'intera prestazione dovuta, e a far si che

la richiesta di pagamento dell'importo residuo non sia poi sog getta ad alcun termine di tal genere (Cass. 4 febbraio 1994, n. 1136, ibid., nn. 441, 848; 17 dicembre 1993, n. 12472, id., Rep. 1993, voce cit., 401, 422; 2 novembre 1992, n. 11866, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 455, 456).

Delle due l'una, insomma: o non è richiesta una specifica domanda per ottenere l'integrazione della pensione al trattamento

minimo, e l'istituto deve riconoscerla e corrisponderla ex offi

II Foro Italiano — 1996.

ciò, e in tal caso francamente non si comprende il perché della

presente controversia, giunta fin in Cassazione, non esistendo

altra domanda, cui fare riferimento per la verifica del rispetto del termine di cui all'art. 47, cit. (che in tanto comincia a de

correre in quanto sia stata presentata una domanda di presta

zione, contro la reiezione della quale sia stato o non sia stato

proposto ricorso), che non sia quella originaria ed unica di pen

sione, con riguardo alla quale, ed al successivo iter amministra

tivo, il problema del rispetto del termine, per quanto sopra det

to, non si pone; o una tal domanda è richiesta, e allora non

può che esser questa a dare l'avvio ali 'iter che porta ex art.

47 cit. alla decadenza (ed è del tutto irrilevante che questa abbia natura procedimentale o sostanziale).

Non rimane che rigettare il ricorso, avendo il Tribunale di

Piacenza deciso la causa in senso pienamente conforme ai prin

cipi di diritto sopra enunciati, segnatamente con l'aver assunto

come dato di partenza, per la verifica del rispetto del termine

di cui si discute, non l'originaria domanda amministrativa, che

portò alla liquidazione della pensione non integrata, ma la suc

cessiva domanda d'integrazione della stessa pensione al tratta

mento minimo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 8 gen naio 1996, n. 51; Pres. Verde, Est. Fantacchiotti, P.M.

Di Salvo (conci, conf.); Soc. Cremonese (Aw. Porcù, E.

Romanelli) c. Giordano (Aw. Magri, Taddei), Martini (Aw.

Piacenza) e altri. Conferma App. Torino 2 giugno 1992.

Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Contratti preli minari in sequenza — Esecuzione in forma specifica proposta dal promissario finale — Azione surrogatoria — Domanda

implicita — Accoglimento — Ultrapetizione — Esclusione

(Cod. civ., art. 2900, 2932; cod. proc. civ., art. 112). Prova documentale — Data certa — Rapporto tra rappresen

tante e rappresentato — Necessità — Esclusione (Cod. civ., art. 2704).

La domanda, proposta ai sensi dell'art. 2932 c.c. contro il pro mittente venditore, che a sua volta sia destinatario di altra

promessa di vendita da parte di un terzo, contiene implicita mente la domanda in via surrogatoria di trasferimento coatti

vo del bene dal terzo al promittente venditore, purché l'attore abbia dedotto il pregiudizio che gli derivava dall'inadempi mento del contratto intercorso tra il Convenuto ed il terzo, e quest'ultimo sia stato parte del giudizio; con la conseguenza che la sentenza di accoglimento della suddetta domanda non

è viziata da ultrapetizione ai sensi dell'art. 112 c.p.c. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti della Corte di cassazione in termini. Sull'esercizio in via surrogatoria dell'azione di cui all'art. 2932 c.c., v. Trib. Monza 26 maggio 1987, Foro it., Rep. 1988, voce Contratto in genere, n. 355, secondo cui «la domanda del promissario di esecuzio ne specifica dell'obbligazione di trasferire un'unità immobiliare nei con fronti dei vari promittenti, in una serie di preliminari a catena, e nei confronti del proprietario effettivo, in teoria ammissibile, non può es sere accolta ove non sia esercitata l'azione surrogatoria e ove non sia stato debitamente instaurato il contraddittorio con i vari danti causa del proprio dante causa, anche se già presentì in causa» (la motivazione

può leggersi in Foro pad., 1988, I, 119); Trib. Napoli 28 luglio 1967, Foro it., Rep. 1968, voce Surrogazione del creditore, nn. 3, 4, secondo cui «l'azione surrogatoria non può sperimentarsi in relazione all'esecu zione specifica di un contratto preliminare unilaterale giacché il credito re del promissario non può esercitare un diritto che è al tempo stesso un atto di disposizione e deve costituire il risultato di una libera deter minazione del soggetto. Per converso, il creditore si può surrogare al debitore per ottenere l'esecuzione specifica di un contratto preliminare

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