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sezione lavoro; sentenza 9 luglio 2004, n. 12770; Pres. Sciarelli, Est. Lamorgese, P.M. Nardi...

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sezione lavoro; sentenza 9 luglio 2004, n. 12770; Pres. Sciarelli, Est. Lamorgese, P.M. Nardi (concl. conf.); Bellabona e altri (Avv. Nappi) c. Soc. Rete ferroviaria italiana (Avv. Pessi). Cassa Trib. Roma 29 gennaio 2001 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 161/162-163/164 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200385 . Accessed: 25/06/2014 03:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 03:14:45 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 9 luglio 2004, n. 12770; Pres. Sciarelli, Est. Lamorgese, P.M. Nardi(concl. conf.); Bellabona e altri (Avv. Nappi) c. Soc. Rete ferroviaria italiana (Avv. Pessi). CassaTrib. Roma 29 gennaio 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 161/162-163/164Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200385 .

Accessed: 25/06/2014 03:14

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

prietario è tenuto a controllare l'efficienza della strada allo sco

po di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, ac

quisendo quella conoscenza che è il presupposto di ogni inter

vento; nella specie, poi, l'omissione del controllo è tanto più

grave in quanto il comune ha segnalato la situazione di dissesto.

I motivi, che ragioni di connessione consigliano di esaminare

congiuntamente, non possono ricevere accoglimento. Osserva la corte che il nucleo centrale della sentenza impu

gnata è che la presente fattispecie va ricondotta all'ambito di

applicazione dell'art. 2043 c.c.; norma, secondo la quale la re

sponsabilità in generale e quella della pubblica amministrazione

in relazione ad eventi dannosi connessi all'uso di strade, di cui

sia proprietaria o che attraversino terreni che le appartengono, in particolare, può essere ritenuta, ove sia dimostrato che, nono

stante la consapevolezza della situazione di pericolo che nel ca

so specifico della pubblica amministrazione la strada presenta

per gli utenti, si mantenga un comportamento omissivo senza

assumere ogni cautela idonea ad evitare il verificarsi di eventi

dannosi.

Orbene, questo nucleo non è investito né direttamente né in

direttamente dai motivi, sicché costituisce punto fermo, non

valendo a rimetterlo in discussione il richiamo alla consolidata

giurisprudenza di questa corte relativa all'insidia o trabocchetto;

giurisprudenza che si riferisce a situazioni stradali e non con

cerne fattispecie, come quella presente, in cui l'evento dannoso

è causato da fenomeni (distacco di massi o formazione di frane) verificatisi fuori della sede stradale ed a distanza da essa (nel

caso concreto — secondo quanto si legge nel controricorso del

comune — il masso si sarebbe staccato a circa centonovanta

metri dal piano stradale). I motivi investono, invece, l'interpretazione degli art. 14, 30 e

31 cod. strada vigente all'epoca del fatto, adottata dalla corte di

merito, e la motivazione concernente il difetto di consapevolez za della situazione di pericolo.

Senonché l'interpretazione degli articoli sopra menzionati è

corretta.

In particolare, l'art. 14 pone a carico dell'ente proprietario della strada l'obbligo di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia di essa e delle pertinenze onde garantirne la sicurezza.

La lettera della norma è chiara nel senso che l'obbligo è rife

rito alla sede stradale con le pertinenze ed in mancanza di ele

menti interpretativi di segno diverso sarebbe irragionevole ed

arbitrario estenderlo fino a comprendere zone estranee, sicché

non si può assecondare l'interpretazione propugnata nel ricorso,

ritenendo che l'ente proprietario è tenuto a vigilare sulle zone

circostanti e ad assumere ogni iniziativa anche fuori dall'ambito

stradale intesa ad evitare danni agli utenti.

L'art. 30 pone a carico dei proprietari dei fondi adiacenti o

dell'ente proprietario della strada la costruzione o riparazione delle opere di sostegno lungo le strade a seconda che servano a

difendere e sostenere i fondi o a garantire la stabilità o conser

vazione della strada, per come esattamente affermato dalla corte

di merito.

L'art. 31, infine, fa obbligo ai proprietari delle ripe dei fondi

laterali alle strade di mantenerle in modo da impedire e preveni re situazioni di pericolo connesse a franamenti o cedimenti del

corpo stradale e delle opere di sostegno o lo scoscendimento del

terreno o la caduta di massi o altro materiale sulla strada, dove

per ripe si debbono intendere, per come ritenuto dalla corte di

merito, le zone di terreno immediatamente sovrastanti o sotto

stanti la scarpata del corpo stradale (Cass. 2 agosto 2000, n.

10112, Foro it., Rep. 2000, voce Strade, n. 23). Ne consegue che non merita censura la corte di merito per

avere sostanzialmente escluso che dalle menzionate disposizioni discendesse alcun obbligo dell'Anas o del comune di attivarsi

per l'eliminazione di situazioni di pericolo. Costituisce giudizio di fatto quello espresso dalla corte di me

rito in ordine alla mancanza di consapevolezza, da parte del co

mune e dell'Anas, dello stato di dissesto idrogeologico della

zona e, come tale, avrebbe potuto essere censurato per omessa,

contraddittoria, insufficiente motivazione e non già sostenendo

puramente e semplicemente che la consapevolezza è pacifica in

atti.

In conclusione, il ricorso principale va rigettato; quello inci

dentale è condizionato e rimane assorbito.

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 luglio 2004, n. 12770; Pres. Sciarelli, Est. Lamorgese, P.M. Nardi

(conci, conf.); Bellabona e altri (Avv. Nappi) c. Soc. Rete fer

roviaria italiana (Avv. Pessi). Cassa Trib. Roma 29 gennaio 2001.

Cosa giudicata civile — Giudicato esterno — Deduzione —

Dimostrazione — Estremi (Cod. proc. civ., art. 324; disp. att. cod. proc. civ., art. 124).

La parte che invoca il giudicato esterno deve fornirne la prova, mediante produzione di copia della sentenza corredata dalla

certificazione del suo passaggio in cosa giudicata. (1)

(1) La (sezione lavoro della) corte formula l'enunciazione riassunta in massima, uniformandosi sic et simpliciter alle affermazioni di sez. II 19 marzo 1999, n. 2524, Foro it., Rep. 1999, voce Cosa giudicata civi

le, n. 27, ma ignorando completamente il più recente orientamento della stessa corte (inaugurato da sez. un. 25 maggio 2001, n. 226/SU, id., 2001, I, 2810, con nota di M. Iozzo, e ripreso, fra le altre, da sez. I 24 febbraio 2004. n. 3621, id., 2004, I, 2459, con osservazioni di C.M.

Barone) circa le caratteristiche e le modalità di deduzione del giudicato esterno.

E la disinformazione, che connota la riportata sentenza, la relega sul

piano delle pronunzie anacronistiche, privandola di ogni attendibilità non solo con riferimento alla decisione del caso di specie ma anche con

riguardo alla soluzione della più generale questione della comprovabi lità (della deduzione) del giudicato esterno.

Sotto il primo profilo, infatti, l'obliterazione di sez. un. n. 226/SU del 2001 (confermativa del rilievo dell'impossibilità di dedurre per la

prima volta in Cassazione il giudicato esterno), ha impedito alla (sezio ne lavoro della) corte di motivare il mancato accoglimento della dedu

zione (del ricorrente) di giudicato esterno, nell'unico modo corretto e

pertinente, e cioè svolgendo l'assorbente e incontestabile considerazio ne dell'inammissibilità della stessa (deduzione), perché formulata per la prima volta in Cassazione.

Anche sotto il secondo riguardo, rilevante, peraltro, solo da un punto di vista astratto (stante la risolutività dell'indicata argomentazione, er

roneamente omessa dalla riportata sentenza), si conferma determinante la pretermissione, da parte della (sezione lavoro della) corte, degli in

segnamenti della ridetta sez. un. n. 226/SU del 2001, concernenti, nel l'ordine: 1) la rilevabilità d'ufficio del giudicato esterno una volta che il suo contenuto risulti acquisito al giudizio di merito; 2) la irriconduci bilità del ripetuto giudicato alle prove e alle regole che le governano; 3) l'assimilabilità del medesimo giudicato, per la sua intrinseca natura e

per gli effetti che produce, agli elementi normativi, con la conseguenza di doverlo valutare alla stregua dell'interpretazione delle norme di di

ritto e non in base a quella dei negozi e degli atti giuridici; 4) la possi bilità per il giudice di legittimità di accertare l'esistenza e la portata del

giudicato esterno con cognizione piena, estesa al diretto riesame degli atti del procedimento e alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indi

pendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice di me

rito. Nel quadro di riferimento così delineato dalle sezioni unite, del tutto

ignorato, come si è visto, dalla riportata sentenza, «la mancata conte

stazione di controparte sull'effettivo passaggio in giudicato», lungi dal

l'essere irrilevante, come apoditticamente reputato nella specie dalla

sezione lavoro, assumeva ed assume invece significativa valenza, posto che l'utilizzazione del principio della non contestazione (sul punto, cons, le citate osservazioni di C.M. Barone), ampiamente considerata in dottrina (G. Scarselli, Note in tema di eccezione di cosa giudicata, a

commento di Cass. 23 ottobre 1995, n. 11018 [cit. infra], in Riv. dir.

proc., 1996, 824 ss., spec. 837 s., nota 21), costituiva e costituisce in

subiecta materia, una non secondaria opzione valutativa, sicuramente riconducibile nell'ambito degli ampi poteri di accertamento attribuiti al

giudice ai fini della verifica dell'esistenza e della portata del giudicato esterno.

Peraltro, anche nella prospettiva di Cass. 19 marzo 1999, n. 2524, fatta propria dalla pronuncia in rassegna (senza tener conto, però, dei

radicali mutamenti medio tempore intervenuti sul tema), l'impostazione allora seguita non appariva del tutto convincente, non solo e non tanto

perché contraddetta frontalmente da diverse argomentate sentenze della

stessa corte (sez. I 20 febbraio 1998, n. 1833, Foro it., Rep. 1999, voce

cit., n. 10; 17 aprile 1997, n. 3299, id., Rep. 1997, voce Tributi locali, n. 138; sez. lav. 19 agosto 1987, n. 6952, id., Rep. 1987, voce Cosa

giudicata civile, n. 41) ma anche e soprattutto perché basata su una

«lettura», alquanto approssimativa e sommaria della citata Cass. 23 ot

tobre 1995, n. 11018, id., 1996,1, 599, con osservazioni di G. Scarsel

li, e Riv. dir. proc., 1996, 824, con la ricordata nota del medesimo auto

re. Nella parte della pronuncia non riprodotta nelle riviste testé citate

(Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 7), infatti, la sent. n. 11018 del 1995

non aveva e non ha ritenuto che l'esistenza del giudicato esterno doves

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PARTE PRIMA 164

Motivi della decisione. — L'unico motivo denuncia violazio

ne e falsa applicazione degli art. 324, 325 e 434 c.p.c. e vizio di

motivazione. Addebita al tribunale di essere incorso, in relazio

ne alla decorrenza del termine breve per l'impugnazione, nel

medesimo errore compiuto con la sentenza non definitiva emes

sa nei confronti del Bellabona e già impugnata da costui con al

tro ricorso per cassazione. La sentenza del pretore n. 154 del 29

novembre 1988, allegata agli atti di causa, era stata notificata il

7 ottobre 1989 dai lavoratori, i quali avevano poi eccepito l'i

nammissibilità dell'appello proposto dall'ente ferrovie oltre il

termine dei trenta giorni, con ricorso depositato il 22 novembre

1989. Peraltro, la medesima sentenza del pretore era stata impu

gnata dall'ente ferrovie con altro atto, depositato 1*8 novembre

1989 (iscritto al r.g. sotto il n. 59985/89) ed eccepita anche in

questo secondo giudizio la tardività del gravame, il tribunale

con sentenza 28 aprile - 21 dicembre 1999 (n. 27836), oramai

passata in giudicato, aveva dichiarato inammissibile l'impugna zione.

Esaminando, in quanto logicamente prioritario, l'ultimo rilie

vo, esso deve essere disatteso, poiché per la pronuncia del Tri

bunale di Roma, che aveva deciso sull'altro appello proposto dall'ente ferrovie (con atto depositato l'8 novembre 1989 ed

iscritto al n. 59985 del registro generale anno 1989), avverso la

medesima decisione di primo grado, non risulta la certificazione

del suo passaggio in giudicato, a norma dell'art. 124 disp. att.

c.p.c. Come già rilevato dalla giurisprudenza di questa corte

(cfr. sentenza 19 marzo 1999, n. 2524, Foro it., Rep. 1999, voce

Cosa giudicata civile, n. 27) colui che afferma il passaggio in

giudicato di una sentenza resa in altro giudizio, deve dimo

strarlo, per cui non basta la produzione della sentenza, ma deve

altresì corredarla di idonea certificazione dalla quale risulti che

non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere né che

la mancata contestazione di controparte sull'affermato passag

gio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che

sia onere di quest'ultima dimostrare il secondo elemento dell'u

nica fattispecie costituente il giudicato (sentenza non impugna bile). (Omissis)

se essere comprovata mediante l'allegazione di copia di sentenza cor redata dalla certificazione attestante la sua mancata impugnazione, ma aveva ed ha testualmente affermato che «anche a prescindere dalle contestazioni del ricorrente» (basate sulla deduzione della mancanza di dimostrazione del giudicato attraverso l'esibizione di sentenza munita dell'anzidetta certificazione) «il giudice d'appello avrebbe dovuto

svolgere sul punto un'indagine esaustiva, senza tralasciare l'utilizzo eventuale dei poteri istruttori attribuiti al giudice del lavoro», con ciò

anticipando, in qualche modo, la configurazione dell'ampiezza dei po teri cognitivi ed istruttori poi riconosciuti in argomento al giudice. [C.M. Barone]

Il Foro Italiano — 2005.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 luglio 2004, n. 12645; Pres. Mileo, Est. Cuoco, P.M. Matera

(conci, diff.); Campoluongo e altro (Avv. Balletti) c. Fall,

soc. C.g.a. -

Compagnia generale abbigliamento; Fall. soc.

C.g.a. -

Compagnia generale abbigliamento (Avv. Rizzo) c.

Campoluongo e altro. Cassa App. Napoli 25 gennaio 2001.

Lavoro (rapporto di) — Fallimento del datore di lavoro —

Procedura di mobilità — Inosservanza — Licenziamento

collettivo — Inefficacia (L. 23 luglio 1991 n. 223, norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoc

cupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mer

cato del lavoro, art. 3, 4, 5, 24).

E inefficace il licenziamento collettivo intimato dal curatore

fallimentare senza la previa osservanza della procedura di

mobilità, anche nell'ipotesi in cui risulti impossibile la conti

nuazione dell'attività aziendale. (1)

(1) I. - Il tema oggetto della pronuncia in epigrafe segna uno dei

punti d'interferenza, che talora si volgono in attrito, tra la disciplina del fallimento e la disciplina del rapporto di lavoro.

In questo caso, il principio dell'obbligatorietà dello svolgimento della procedura di mobilità in tutte le ipotesi il cui il curatore del falli mento intenda procedere al licenziamento collettivo dei lavoratori di

pendenti dal datore di lavoro fallito, anche quando sia impossibile la continuazione dell'attività d'impresa, è conseguenza di alcune afferma zioni di respiro generale:

a) la disciplina dei licenziamenti collettivi è speciale rispetto alla di

sciplina del fallimento, in quanto regola particolari e specifici eventi della situazione concorsuale;

b) la finalità cui risponde la 1. n. 223 del 1991, che è la tutela del la

voro, prevale sulle finalità (segnatamente, di tutela della massa dei cre

ditori), al perseguimento delle quali è diretta la disciplina del fallimen

to; c) la sopravvivenza del rapporto di lavoro dopo il fallimento, anche

in caso di cessazione dell'attività d'impresa, dà corpo all'interesse del lavoratore allo svolgimento della procedura di mobilità, affinché sia

vagliato ogni elemento relativo all'esistenza di alternative. Finalmente trovano sbocco nella disciplina regolata dalla legge fal

limentare i principi di garanzia che presidiano la fase del recesso dal

rapporto di lavoro. La corte suffraga il principio con argomenti d'interpretazione storica

(l'inapplicabilità della 1. 223/91 nell'ipotesi dì «cessazione dell'attività

dell'impresa per provvedimento dell'autorità giudiziaria», prevista nel testo originariamente approvato dal senato è stata soppressa dal testo

approvato poi dalla camera dei deputati) e col richiamo alla normativa comunitaria (la direttiva 92/56/Cee, modificando la direttiva

75/129/Cee, ha esteso il proprio ambito di applicazione ai licenziamenti collettivi conseguenti a cessazione di attività determinata da decisione

giudiziaria). Cfr., in termini, sia pure in obiter dictum, Cass. 3 marzo 2003, n.

3129, Foro it., Rep. 2003, voce Fallimento, n. 468, citata in motivazio ne.

In senso contrario era il precedente edito della giurisprudenza di le

gittimità, secondo cui la procedura di mobilità contemplata dall'art. 4 1. 223/91 si applica nelle sole ipotesi in cui il fallimento consenta lo svol

gimento, anche parziale o provvisorio, dell'attività d'impresa e la con

seguente salvaguardia, anche parziale, dei livelli occupazionali: Cass. 12 maggio 1997, n. 4146, id., 1997, I, 2490, citata in motivazione, con nota di richiami; in termini, per la giurisprudenza di merito, Trib. Roma 11 luglio 2002, id., Rep. 2003, voce cit., n. 467.

In dottrina, escludono l'applicabilità della procedura nelle ipotesi in cui sia impossibile la prosecuzione dell'attività d'impresa, L. Mattace Raso (nota a Corte giust. 17 dicembre 1998, causa C-250/97, Dansk

Metalbejderforbund, id., Rep. 1999, voce Unione europea, n. 1288), in Lavoro giur., 1999, 1123; A. Caiafa, Lezioni di diritto concorsuale, Padova, 2003, 222.

Reputa necessario l'espletamento della procedura, F. Mutarelli, Cessazione dell'attività di impresa fallita e obbligo di svolgere la pro cedura ex art. 4 e 24 l. 223/91 (nota a Cass. 12 maggio 1997, n. 4146), in Riv. it. dir. lav., 1997, II, 851.

Cfr. anche gli ulteriori riferimenti contenuti nella nota di richiami che correda Cass. 4146/97, cit.

Da ultimo, in generale, v. A. Caiafa, I rapporti di lavoro nelle crisi

d'impresa, Padova, 2004. II. - Sull'ambito di applicazione generale della 1. 223/91, v. Cass. 20

maggio 2002, n. 7309, Foro it., Rep. 2002, voce Ferrovie e tramvie, n. 43, citata in motivazione.

Su alcuni aspetti della procedura di mobilità, v. Cass. 9 agosto 2004, n. 15377, id., Mass., 1200.

Sulla nozione di licenziamento collettivo, v. Corte giust. 12 ottobre

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