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sezione lavoro; sentenza 9 ottobre 1999, n. 11332; Pres. Prestipino, Est. Maiorano, P.M. Giacalone...

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sezione lavoro; sentenza 9 ottobre 1999, n. 11332; Pres. Prestipino, Est. Maiorano, P.M. Giacalone (concl. conf.); Di Lorenzo e altra (Avv. Cavaliere, Cerra) c. Fall. Posteraro. Cassa Trib. Paola 13 dicembre 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 513/514-515/516 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195458 . Accessed: 24/06/2014 21:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.52 on Tue, 24 Jun 2014 21:56:57 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 9 ottobre 1999, n. 11332; Pres. Prestipino, Est. Maiorano, P.M.Giacalone (concl. conf.); Di Lorenzo e altra (Avv. Cavaliere, Cerra) c. Fall. Posteraro. Cassa Trib.Paola 13 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 2 (FEBBRAIO 2000), pp. 513/514-515/516Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195458 .

Accessed: 24/06/2014 21:56

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il tenore della norma ora citata, che va letta in combinato

disposto con i precetti di cui all'art. 67, 1° e 2° comma, lett.

a), d.p.r. n. 43 del 1988, impone di affermare che il ricorso

contro il ruolo fosse devoluto alle commissioni tributarie. E,

poiché la norma riguardava il ruolo «formato ai sensi delle di

sposizioni di cui all'art. 67, 2° comma, lett. a), d.p.r. 28 gen naio 1988 n. 43, nonché contro i relativi avvisi di mora», a

quest'ultima norma bisogna far capo per identificare il conte

nuto del ruolo medesimo. Ed essa si riferisce alle somme di

cui al 1° comma (dello stesso art. 67) nel cui ambito rientrano

anche i diritti doganali e ogni altro diritto o accessorio la cui

riscossione è demandata all'amministrazione doganale. Il quadro normativo ora richiamato nel suo dettato testuale

(dal quale l'interprete non può prescindere: art. 12, 1° comma,

disp. sulla legge in generale) è chiaro, e demanda alla commis

sione tributaria il ricorso contro il ruolo come sopra formato, nonché contro i relativi avvisi di mora, senza distinguere tra

i diversi tributi elencati nell'art. 67, 1° comma, d.p.r. 28 gen naio 1988 n. 43.

È vero che esso, in ordine a taluni tributi, comporta un diver

so regime processuale per i ricorsi contro gli atti di accertamen

to o rettifica e per i ricorsi contro il ruolo o gli avvisi di mora.

Ma questa conseguenza discende dal ricordato sistema normati

vo, che peraltro non può neppure esser definito privo di ragio

nevolezza, apparendo mosso dall'esigenza di uniformare in fase

di riscossione, e dopo la formazione del ruolo, i possibili rimedi

giurisdizionali. In ogni caso, si è in presenza di una scelta rientrante nella

discrezionalità del legislatore, scelta non superabile col rilievo

che quest'ultimo sarebbe stato «fuorviato» dalla presenza dei

tributi maggiori indicati nell'art. 67 cit., onde non avrebbe av

vertito che gli altri tributi minori, radicati nella giurisdizione

ordinaria, avrebbero richiesto una diversa disciplina (così a pag. 7 del ricorso per cassazione). Già si è notato che la scelta legis lativa appare ispirata ad una esigenza di uniformità nel momen

to della riscossione che non appare irragionevole, sicché il pre sunto errore nella formulazione della norma è frutto di una

mera ipotesi. Ma, a parte tale considerazione, non è consentito

all'interprete superare il dato normativo, se non quando l'ele

mento letterale sia smentito dall'interpretazione logico-sistematica idonea a palesare con certezza l'intenzione del legislatore (in

presenza di un testo equivoco), il che nella specie, per quanto

sopra osservato circa la ratio della norma in questione, non

si registra. Non può quindi essere condivisa la tesi propugnata dal ricor

rente, secondo cui l'art. 11, 5° comma, cit. andrebbe inteso

nel senso che il ruolo di cui all'art. 67 d.p.r. n. 43 del 1988

sarebbe sottoposto alle stesse impugnazioni cui era soggetta l'in

giunzione (come atto di riscossione coattiva) secondo la discipli na generale. Questa non sarebbe un'interpretazione adeguatrice o restrittiva, ma introdurrebbe nella norma una distinzione che

essa non contempla, così finendo per integrare il precetto modi

ficandone il significato: tale operazione è preclusa all'interprete

e, tra l'altro, farebbe ricadere sul destinatario della norma (nel la specie, il contribuente) le conseguenze di eventuali errori si

stematici nei quali (ipoteticamente) il legislatore sarebbe incorso.

Quanto, poi, all'argomento che il ricorrente vorrebbe desu

mere dall'avvenuta abrogazione dell'art. 11,5° comma, d.p.r. n. 151 del 1991, ad opera dell'art. 71, 1° comma, d.leg. 31

dicembre 1992 n. 546 con effetto dalla data d'insediamento del

le nuove commissioni tributarie (1° aprile 1996), deve osservarsi

che esso è reversibile. Proprio quell'abrogazione, invero, si pre sta ad essere considerata come indice di un ripensamento del

legislatore, che avrebbe inteso modificare una scelta in prece denza compiuta (consapevolmente). Del resto, che la materia

abbia costituito oggetto di valutazioni differenziate nel tempo in sede legislativa è dimostrato dalla successiva evoluzione nor

mativa: infatti, con l'art. 12, 1° comma, lett. h), d.l. 8 agosto 1996 n. 437 (convertito, con modificazioni, in 1. 24 ottobre 1996

n. 556) fu tra l'altro soppresso, nel citato art. 71, 1° comma,

d.leg. n. 546 del 1992, il richiamo all'art. 11, 5° comma, d.l.

13 maggio 1991 n. 151, convertito nella 1. 12 luglio 1991 n.

202. Lo stesso art. 11,5° comma, è stato poi novellamente abro

gato dall'art. 37 del recentissimo d.leg. 26 febbraio 1999 n. 46

(recante il riordino della disciplina della riscossione mediante

ruolo, a norma dell'art. 1 1. 28 settembre 1998 n. 337), destina

li Foro Italiano — 2000.

to ad entrare in vigore il 1° luglio 1999 (v. suppl. ord. alla

G.U. n. 53 del 5 marzo 1999). In tale contesto ipotizzare un legislatore distratto o «fuorvia

to» non è sostenibile. Si tratta invece di materia che ha subito

nel tempo varie evoluzioni normative, il che impone all'inter

prete, per evidenti esigenze di certezza del diritto (almeno come

valore tendenziale, nella situazione data), di mantenersi stretta mente aderente al dettato della legge.

Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni che prece dono, la decisione impugnata si rivela corretta, onde il ricorso

deve essere respinto dichiarandosi la giurisdizione delle commis

sioni tributarie.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 ottobre

1999, n. 11332; Pres. Presto-ino, Est. Maiorano, P.M. Gia

calone (conci, conf.); Di Lorenzo e altra (Aw. Cavaliere,

Cerra) c. Fall. Posteraro. Cassa Trib. Paola 13 dicembre 1996.

Famiglia (regime patrimoniale delia) — Impresa familiare —

Diritti del partecipante — Quota di utili — Determinazione

(Cod. civ., art. 230 bis).

Nel determinare in via equitativa la quota di utili dovuta al

partecipante a un'impresa familiare, il giudice non può fare ricorso al parametro della retribuzione spettante ad un lavo

ratore subordinato che svolga la stessa attività. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Paola

Posteraro Francesca conveniva in giudizio Di Lorenzo Benedet

to e Camerieri Luigina per il pagamento della somma di lire

146.966.000, a titolo di competenze a lei spettanti per il lavoro

svolto dal luglio 1973 al giugno 1987 alle dipendenze della ditta

Gina abbigliamenti, gestita dai coniugi convenuti in regime di

comunione legale. Costituendosi in giudizio i convenuti contrastavano la doman

da, chiedendone il rigetto, perché infondata, ma il pretore la

(1) Sul punto, l'unico precedente che si rinviene nella giurisprudenza di legittimità è costituito da Cass. 18 dicembre 1992, n. 13390, Foro

it., Rep. 1993, voce Famiglia (regime patrimoniale), n. 42, e, per este

so, Nuova giur. civ., 1993, I, 609, con nota di Bontempi, cui la senten za in rassegna ha inteso conformarsi, ma che in realtà, diversamente da quanto risulta dalla massima che ne è stata estratta, sembra aver voluto escludere solo la necessità, sostenuta in quella sede dalla parte ricorrente, ma non anche la possibilità di utilizzare come parametro, per la determinazione degli utili dovuti ai partecipanti all'impresa fami

liare, «la retribuzione spettante ad un lavoratore subordinato che svol

ga la stessa attività», essendosi la corte limitata a rilevare che «nell'im

presa familiare non è configurabile una retribuzione in senso tecnico

giuridico, la quale è incompatibile con il riferimento all'entità dei risul tati conseguiti — cui è commisurato il diritto di partecipazione del com

ponente l'impresa familiare — ed è necessariamente indipendente da tali risultati, atteso il principio di proporzionalità e sufficienza che la caratterizza nel lavoro subordinato». D'altra parte, in quella pronuncia non si era fatto alcun cenno alla possibilità di una «valutazione equita tiva», che con la sentenza in rassegna è stata ritenuta senz'altro ammis

sibile, «sulla base degli elementi di valutazione forniti sempre dall'attri

ce, cui incombe l'onere probatorio», allorché il credito non può essere

quantificato «in modo esatto». Viene spontaneo, allora, osservare che

proprio il criterio dei «minimi sindacali» — al quale più volte hanno fatto ricorso i giudici di merito: v. Pret. Fermo 23 agosto 1997, Foro

it., Rep. 1998, voce cit., n. 63; Pret. Catania 27 maggio 1996, id., 1996, I, 3236, con nota di richiami — risulta il più idoneo (se non

l'unico, non essendo agevole individuarne altri e non avendone la Cas sazione indicato alcuno) a fondare una simile valutazione, in base alla

considerazione che un imprenditore, se si avvale di un lavoratore subor

dinato, certamente ne ricava utili quanto meno pari alle retribuzioni che è tenuto a corrispondergli: appare quindi semmai riduttivo, ma co

munque ragionevole, appunto «in via equitativa», commisurare la quo ta di utili, da imputare all'opera del partecipante all'impresa familiare, ai compensi che sarebbero spettati a un dipendente adibito a mansioni

analoghe. [E. Bucciante]

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PARTE PRIMA

accoglieva parzialmente, condannando i convenuti al pagamen to della somma di lire 70.000.000.

Il Tribunale di Paola, investito in grado di appello ad istanza

di Di Lorenzo e Camerieri, in parziale riforma della sentenza, modificava le «causali di cui alla condanna, che conferma nel

suo ammontare» e compensava le spese. Precisava il tribunale che non poteva essere disposto l'inter

rogatorio dell'appellata, perché la stessa era fallita e non pote va disporre del diritto; peraltro il mezzo istruttorio non era ne

cessario, perché era già delineata chiaramente la natura del rap

porto intercorso fra le parti nel periodo 1973-1987, prima cioè

della cessione dell'azienda medesima in favore della stessa Po

steraro e di Di Lorenzo Angela Maria; dalle risultanze probato rie emergeva, infatti, che il rapporto rientrava nell'ambito del

lavoro familiare ex art. 230 bis c.c. La Posteraro era nuora de

gli appellanti e ciò consentiva di ritenere che l'attività di com

messa e sarta dalla stessa espletata era stata svolta come lavoro

familiare. La subordinazione non era stata provata e la «collaborazione

prestata da un congiunto . . . deve far presumere, in mancanza

della prova di un negozio costitutivo di un diverso rapporto, la partecipazione ad un'impresa familiare»; peraltro che fosse

tale risultava da una denuncia alla guardia di finanza del 9 no

vembre 1992 degli stessi appellanti, mentre la partecipazione at

tiva della Posteraro come commessa e sarta (per gli adattamenti

dei capi venduti) era confortata dalle dichiarazioni testimoniali.

In ordine al quantum debeatur la decisione doveva essere con

fermata, con valutazione equitativa, pur in mancanza di idonei

criteri di riferimento circa l'entità dei risultati conseguiti dall'a zienda; tenuto conto delle spese di mantenimento eventualmen

te assicurate dai suoceri in favore della nuora (ivi compresa la

merce acquisita gratuitamente), equa appariva la somma di lire

70.000.000, oltre interessi e rivalutazione.

Avverso questa decisione proponevano ricorso per cassazione

i coniugi Di Lorenzo Camerieri, fondato su due motivi.

Non si costituiva l'altra parte, malgrado la regolare notifica

zione del ricorso.

Motivi della decisione. — (Omissis). Col secondo motivo i

ricorrenti lamentano l'omessa, insufficiente e contraddittoria mo

tivazione su punto decisivo, emergente dalle considerazioni fat

te in precedenza, nonché dalle seguenti: il giudice aveva modifi

cato la causale della condanna, confermandola nel suo ammon

tare, senza avere però alcun parametro logico e concreto ed

in assenza di qualunque prova, che doveva essere fornita dalla

Posteraro.

La partecipazione agli utili ed agli incrementi dell'azienda non

poteva che essere determinata in relazione all'accrescimento della

produttività aziendale procurato dall'apporto del partecipante e che questi aveva l'onere di provare. Il tribunale, invece, rico

nosceva espressamente che mancavano «idonei criteri di riferi

mento circa l'entità dei risultati conseguiti dall'azienda», ma, con un giudizio di equità che sconfinava nell'arbitrio, aveva

ritenuto «equo far riferimento ai parametri della retribuzione

per prestazioni di lavoro subordinato», utilizzando un parame tro inaccettabile, perché si riferiva ad un istituto che prescinde dalla entità dei risultati conseguiti dall'impresa familiare e che

era stato già escluso dalla giurisprudenza di legittimità (sent, n. 13390 del 1992, Foro it., Rep. 1993, voce Famiglia (regime

patrimoniale), n. 42). Il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato, ma

il secondo invece va accolto. (Omissis) In ordine al secondo si osserva che è principio acquisito quel

lo secondo cui ai fini della determinazione delle somme spettan

ti, ai sensi dell'art. 230 bis c.c., a titolo di partecipazione agli utili per la collaborazione prestata nell'impresa familiare, in pro

porzione alla quantità e qualità del lavoro prestato, non può essere utilizzato come parametro l'importo della retribuzione ero

gata per prestazioni di lavoro subordinato in analoga attività, il cui ammontare prescinde dall'entità dei risultati conseguiti, ai quali invece è commisurato il diritto di partecipazione del

componente dell'impresa familiare.

Il tribunale ha fatto «riferimento ai parametri delle retribu

zioni per prestazioni di lavoro subordinato» che nulla hanno

a che fare con l'accrescimento della produttività dell'impresa. La contraddizione denunciata è quindi evidente, perché il giu

dice prende come termine di paragone il salario (che ha caratte

ristiche totalmente diverse dalla partecipazione agli utili) facen

II Foro Italiano — 2000.

do ricorso alla valutazione equitativa delle somme spettanti alla

Posteraro, sul presupposto che mancherebbero «criteri di riferi

mento circa l'entità dei risultati conseguiti dall'azienda» e quin di stabilisce la somma «tenuto conto delle spese di mantenimen

to eventualmente assicurate dai suoceri in favore della nuora»,

prendendo così in considerazione un fatto totalmente estraneo

al salario.

Gli elementi presi in considerazione dal giudice non sono fra

loro comparabili e quindi il risultato che ne deriva non può essere considerato come valutazione equitativa, ma semplicemente arbitraria.

La sentenza va quindi cassata, con rimessione ad altro giudi ce per una nuova valutazione di merito, tenuto conto del se

guente principio: in sede di decisione in ordine all'ammontare

delle somme dovute, il giudice può determinarle in modo esat

to, in base alla prova fornita, o in via equitativa sulla base

degli elementi di valutazione forniti sempre dall'attrice, cui in

combe l'onere probatorio; in ogni caso nella decisione in merito

all'accoglimento della domanda, oppure al rigetto della stessa

per assoluto difetto di prova, il giudice deve tenere presente che il titolo per la partecipazione all'impresa familiare è la pre

stazione, in modo continuativo, dell'attività di lavoro nella fa

miglia; tale attività si traduce nel diritto ad una quota di parte

cipazione agli utili, ai beni acquistati con essi ed agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla quantità ed alla qualità di la

voro prestato; tale quota, pertanto, non può che essere determi

nata in relazione agli utili non ripartiti al momento della cessa

zione della prestazione lavorativa o della alienazione dell'azien

da, nonché all'accrescimento della produttività dell'impresa («beni

acquistati» con gli utili, «incrementi dell'azienda, anche in ordi ne all'avviamento»), in proporzione all'apporto dell'attività del

partecipante.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 1 ° ot

tobre 1999, n. 710/SU; Pres. Panzarani, Est. Vella, P.M.

Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Stara (Avv. Marini

Balestra, Spinas) c. Pres. cons, ministri e altri (Aw. dello

Stato Di Martino). Dichiara inammissibile ricorso avverso

Cons. pres. giust. amm., decr. 11 gennaio 1999.

Consiglio di Stato e tribunali amministrativi — Consiglio di pre sidenza della giustizia amministrativa — Procedimento disci

plinare contro magistrati — Natura amministrativa — Ricor so alle sezioni unite della Cassatone — Inammissibilità (Cost., art. 24, 102; 1. 24 marzo 1958 n. 195, norme sulla costituzio

ne e sul funzionamento del Consiglio superiore della magi

stratura, art. 17; 1. 27 aprile 1982 n. 186, ordinamento della

giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed

ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi

regionali, art. 32).

È inammissibile, data la natura amministrativa del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e dei provvedi menti disciplinari da esso emessi, il ricorso alle sezioni unite

della Corte di cassazione proposto da magistrato amministra

tivo nei cui confronti il consiglio abbia deliberato l'applica zione di sanzione disciplinare. (1)

(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1999, I, 2809, con nota di richiami.

Se ne riproduce la massima per pubblicare la requisitoria dell'avvoca to generale all'udienza del 3 giugno 1999.

♦ # »

Requisitoria dell'avvocato generale presso la Corte di cassazione.

Mi sia consentito di ricordare che il Consiglio di Stato e gli altri

organi di giustizia amministrativa sono menzionati dalla Costituzione

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