sezione tributaria; sentenza 12 dicembre 2003, n. 19062; Pres. Favara, Est. Cultrera, P.M.Cafiero (concl. diff.); Min. economia e finanze c. Soc. Molitoria toscana (Avv. Gallo, Salvini).Conferma Comm. trib. reg. Toscana 31 marzo 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 6 (GIUGNO 2004), pp. 1807/1808-1811/1812Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199238 .
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PARTE PRIMA 1808
l'art. 14, 1° comma, del protocollo sui privilegi e sulle immu
nità delle Comunità europee, firmato a Bruxelles l'8 aprile 1965, ratificato con 1. 3 maggio 1966 n. 437, e agli art. 43 (già 52) e 49 (già 59), del trattato Ce; nonché eccesso di potere per
perplessità, sviamento, errore sui presupposti travisamento dei
fatti, irragionevolezza e disparità di trattamento — censura tale
conclusione, pur senza contestare che anche gli avvocati addetti
al servizio giuridico della commissione Ce hanno, in linea
astratta, titolo per essere iscritti nell'elenco «annesso» all'albo
ordinario e che l'inserimento in tale servizio comporta, per i
funzionari addetti, l'obbligo della residenza in Bruxelles.
Si assume, infatti, nel ricorso che l'iscrizione può essere otte
nuta (e mantenuta) solo dal professionista che ha il proprio do
micilio professionale nella circoscrizione del tribunale in cui ha
sede il consiglio dell'ordine al quale è stata rivolta la domanda
d'iscrizione. 6.1. - E però agevole replicare che, come si rileva nella sen
tenza impugnata, l'attività degli addetti al servizio giuridico della commissione ha carattere esclusivo e non può essere quin di svolta in favore di soggetti diversi.
La possibilità di ottenere l'iscrizione nell'elenco speciale an
che da parte degli avvocati addetti agli uffici legali di enti aventi
sede in un paese membro della Ce è ora riconosciuta esplicita mente dalla legge (art. 5, 2° comma, d.leg. 2 febbraio 2001 n.
96) e non è comunque contestata dal ricorrente {retro, par. 6). Non si comprende, allora, come possa pretendersi di subordi
nare tale iscrizione alla conservazione, da parte del legale, del
proprio domicilio professionale nella circoscrizione originaria, dal momento che la sua attività, a seguito del suo inserimento nella struttura organizzativa di un ente (la commissione Ce) la
cui sede è stabilita in uno Stato estero (a Bruxelles e, pertanto, in Belgio: consiglio europeo di Edimburgo 11-12 dicembre
1992, par. 1, lett. c), viene ad essere localizzata necessariamente in un luogo diverso da quello originario.
6.2. - Il consiglio dell'ordine obietta che il ricorrente, proprio in virtù dei principi in tema di libertà di stabilimento, avrebbe potuto ottenere l'iscrizione nell'albo degli avvocati di Bruxel
les, onde conservare la possibilità di continuare a prestare la
propria opera, in qualità di avvocato, nell'ambito del servizio
giuridico della commissione.
La deduzione è però palesemente inammissibile, in quanto implica accertamenti di fatto (riguardanti la verifica, in concre
to, dei requisiti richiesti per l'iscrizione in detto albo) che non
possono essere effettuati in questa sede di legittimità. Del resto, contrariamente a quel che si assume nel ricorso,
non è esatto che la mancanza di residenza impedirebbe al consi
glio dell'ordine la vigilanza sugli iscritti, come è comprovato dall'esistenza di specifiche disposizioni di legge, le quali preve dono, con riferimento ad altre figure professionali, che, in situa zioni particolari, possano essere iscritti nell'albo anche profes sionisti che hanno la propria residenza abituale fuori del territo rio della repubblica (così: art. 7 e 4, lett./, 1. 9 febbraio 1942 n.
194, sulla professione degli attuari; art. 26 1. 3 febbraio 1963 n.
69, sull'ordinamento della professione di giornalista; art. 7 e 5, lett. e, 1. 3 febbraio 1963 n. 112, sulla professione di geologo).
7. - La decisione impugnata deve essere quindi tenuta ferma, anche se per ragioni non in tutto coincidenti con quelle esplici tate nella motivazione della decisione impugnata, che deve in tendersi pertanto integrata ai sensi dell'art. 384, 2° comma,
c.p.c.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 12 di cembre 2003, n. 19062; Pres. Favara, Est. Cultrera, P.M.
Cafiero (conci, diff.); Min. economia e finanze c. Soc. Mo
litoria toscana (Avv. Gallo, Salvini). Conferma Comm. trib.
reg. Toscana 31 marzo 1998.
Tributi in genere — Accertamento — Ricavi inesistenti — Riduzione dal reddito imponibile — Necessità (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di ac
certamento delle imposte sui redditi, art. 39).
In sede di rettìfica del reddito d'impresa l'ufficio finanziario non può limitarsi a recuperare a tassazione i costi di cui sia
accertata l'inesistenza, ma deve, al contempo, scomputare dal reddito imponibile quei ricavi che, pur dichiarati dal
contribuente, appaiono anch 'essi inesistenti. ( 1 )
Svolgimento del processo. — Con ricorso 30 marzo 1995 la
società Molitoria toscana s.r.l. impugnò innanzi alla Commis
sione tributaria provinciale di Montepulciano l'avviso d'accer
tamento n. 15/95, con il quale l'ufficio distrettuale delle imposte
(1) Al fine di conseguire illeciti contributi Aima (e costituire fittizi crediti Iva), il contribuente aveva contabilizzato false fatture di acqui sto di materia prima (semi di girasole, semi di soia, ecc.) e, parallela mente. false fatture di vendita del prodotto (olio) finito. Scoperto l'ille
cito, l'ufficio finanziario aveva rettificato il reddito dichiarato dal con
tribuente, depurandolo dei soli costi fittizi e non anche dei ricavi, la cui inesistenza pur emergeva in sede di verifica.
La Suprema corte reputa illegittimo l'accertamento sul rilievo che all'amministrazione non è dato di utilizzare in senso parziale il baga glio indiziario acquisito, intervenendo non su tutti i fattori reddituali ri sultati inattendibili, ma solo su quelli negativi.
Nella giurisprudenza tributaria, il principio di diritto enunciato in massima è condiviso da Comm. trib. II grado Brindisi 5 maggio 1994, Foro it., Rep. 1995, voce Redditi (imposte), n. 546, e Giur. pugliese, 1995, 367, con nota di Ardito, Accertamento di.maggiori ricavi e costi
per operazioni inesistenti. Nel senso che, agli effetti delle imposte sul reddito, non sono impo
nibili i ricavi risultanti da fatture emesse per operazioni inesistenti, v. Comm. trib. reg. Basilicata 29 maggio 1998, Foro it., 1999, III, 626.
La necessità di tener conto, in sede di accertamento induttivo, di tutte le componenti reddituali, sia che ciò giovi all'amministrazione, sia che
giovi al contribuente, è alla base delle massime che fanno obbligo al l'ufficio finanziario di tener conto, unitamente ai maggiori ricavi ac certati, anche dei costi che hanno costituito la base per l'acquisizione di
questi, e ciò a prescindere della loro registrazione contabile: in questo senso, v., explurimis, Comm. trib. centrale 16 novembre 1999, n. 6918, id., Rep. 2000, voce cit., n. 707; 25 febbraio 1998, n. 1028, id., Rep. 1998, voce cit., n. 623; 24 febbraio 1998, n. 999, ibid., n. 624; 13 feb braio 1998, n. 669, ibid., n. 625; 28 gennaio 1998, n. 317, ibid., n. 628; 9 dicembre 1997, n. 6161, ibid., 629; 26 novembre 1997, n. 5748, ibid., n. 630; 13 novembre 1997, n. 5523, ibid., n. 631; 13 novembre 1997, n.
5522, ibid., n. 632; 7 novembre 1997, n. 5361, ibid., n. 633; 24 ottobre 1997, n. 5133, ibid., n. 634; 14 ottobre 1997, n. 4860, ibid., n. 635; 9 ottobre 1997, n. 4770, ibid., n. 636; 17 luglio 1997, n. 3988, id., Rep. 1997, voce cit., n. 573; 12 giugno 1997, n. 3189, id., Rep. 1998, voce cit., n. 637; 9 aprile 1997, n. 1463, ibid., n. 638; 19 febbraio 1997, n. 515, id., Rep. 1997, voce cit., n. 577; nella giurisprudenza della Supre ma corte, v. Cass. 17 gennaio 2001, n. 640, id., Rep. 2001, voce cit., n. 652, e Corriere trib., 2001, 828, con nota di Nocera, Per la deducibi lità delle spese non rileva l'annotazione nelle scritture contabili; Giur. it., 2001, 1749, con nota di Bonavitacola, In tema di deducibilità dei costi non registrati (c.d. «costi neri») nell'accertamento dei redditi
d'impresa, per la quale il principio sancito dall'art. 75 d.p.r. n. 917 del 1986 e ribadito dall'art. 6 bis d.l. n. 90 del 1990, secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato del conto profitti e perdite, non è applicabile in caso dì rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un'incidenza per centualizzata dei costi, e (con riferimento alla previgente normativa) 13 marzo 1992, n. 3083, Foro it.. Rep. 1992, voce cit., n. 474, secondo la
quale l'amministrazione finanziaria, ove accerti presuntivamente mag giori ricavi ai fini delle imposte sui redditi inerenti ad attività d'impre sa, disattendendo in tutto o in parte le risultanze del bilancio o delle scritture contabili, deve portare in detrazione i relativi costi, al fine di individuare il reddito netto, mentre non può invocare le regole poste dall'art. 74, 3° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, circa l'indedu cibilità di costi ed oneri in presenza di inosservanza delle formalità di contabilizzazione, atteso che tali regole sono operanti solo quando ven
ga in discussione la detraibilità di costi od oneri rispetto ai proventi di chiarati dal contribuente; conf. Cass. 10 aprile 1996, n. 3317, id., Rep. 1996, voce cit., n. 439.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dirette di Montepulciano, sulla base delle indagini svolte dalla
guardia di finanza del nucleo regionale della polizia tributaria di
Milano, che aveva verificato che la società aveva emesso e
contabilizzato fatture false per la compravendita di materie pri me (semi di girasole, di soia, ecc.) al fine di conseguire illeciti contributi Aima e costituire fittizi crediti Iva, aveva individuato
maggior reddito ai fini Irpeg ed Ilor per l'anno 1991 per lire
23.748.753.000, a fronte della dichiarazione di lire 917.599.000, avendo recuperato l'ammontare dei costi, ritenuti inesistenti, fermi restando i ricavi dichiarati corrispondenti ai costi suddetti.
Lamentò, in limine, la nullità dell'avviso, per difetto di motiva
zione, deducendo che l'amministrazione finanziaria aveva rece
pito i risultati dell'indagine della guardia di finanza senza sotto
porli a vaglio critico, e, nel merito, osservò che l'ufficio aveva
recuperato come costi indeducibili gli importi di tutte le fatture
ritenute false senza considerare i ricavi corrispondenti, con la
conseguenza che a ricavi presuntivamente fittizi, risultavano
aggiunti costi altrettanto presuntivamente fittizi. Come emerge va dal conto economico, infatti, ai costi di cui alle fatture false
corrispondevano ricavi di pari importo, e, dunque, l'ufficio era
caduto in grossolano errore in quanto, non avendo considerato
tale circostanza, non aveva tenuto conto del fatto che il reddito
d'impresa scaturisce dalla differenza fra costi e ricavi e non già dalla loro somma. Per l'effetto, dei ricavi non avrebbe dovuto
tener conto ai fini della determinazione del reddito imponibile. La commissione di primo grado accolse il ricorso nel merito,
e, con sentenza n. 87/01/95, prendendo in esame le due ipotesi, di cui la prima che le fatture corrispondessero ad operazioni reali e la seconda che le operazioni fossero inesistenti, ritenne
che nessun reddito doveva essere recuperato ed annullò l'avvi
so.
L'ufficio finanziario impugnò questa decisione innanzi alla
Commissione tributaria regionale toscana che la confermò con
sentenza 14 gennaio 1998, n. 38/1/98, contro cui il ministero
delle finanze propone ora ricorso per cassazione che affida ad
unico articolato motivo.
L'intimata resiste con controricorso illustrato anche con me
moria difensiva.
Motivi della decisione. — Il ministero ricorrente denuncia
violazione degli art. 39 e 40 d.p.r. 600/73, e sostiene che la de
cisione attribuisce all'accertamento impugnato una natura san
zionatoria che tale atto non ha. L'accertamento del maggior reddito è stato effettuato nel rispetto delle norme citate, né l'uf
ficio era tenuto a verificare la veridicità della dichiarazione dei
ricavi, essendo invece pienamente legittimo l'accertamento di
minori costi quando quelli dichiarati risultino fittizi, perché re
lativi ad operazioni inesistenti. Pur in presenza di scritture re
golari, le omissioni e false indicazioni possono essere desunte
dagli accertamenti della polizia tributaria, che rappresentano in
dizi gravi, precisi e concordanti, che, peraltro, nella specie erano
riscontrati dalla confessione resa dal legale rappresentante della
società fittizia venditrice. In questa condizione non vi era obbli
go per l'ufficio di ricostruire il reddito ma incombeva sul con
tribuente l'onere di vincere la presunzione. Inconferente è, infi
ne, la distinzione fra sanzione ed accertamento sulla premessa che nessuna operazione era stata accertata, per cui il reddito non
poteva essere rettificato.
In conclusione l'ufficio sostiene che il potere di rettifica non
si estende ai casi di correzione della dichiarazione nell'interesse
del contribuente e, dunque, la rettifica analitica deve riguardare la singola componente considerata e non il reddito nel suo com
plesso, per cui all'esclusione del costo inesistente non deve cor
rispondere quella del relativo ricavo, neppure quando costo e ri
cavo sono indicati dal dichiarante come momenti della medesi
ma operazione. La società resistente insiste nelle doglianze dedotte a soste
gno del suo ricorso introduttivo, deducendo, in fatto, che i falsi
costi ed i falsi ricavi contabilizzati sono correlati tra di loro in
quanto dichiarati, e riconosciuti anche dalla guardia di finanza, come momenti della medesima operazione, e che la falsa fattu
razione era finalizzata a scopi diversi dall'evasione fiscale, non
ché che la rettifica non avrebbe dovuto determinare accerta
mento di maggior reddito in quanto non sussiste un reddito su
periore a quello dichiarato e solo questo doveva essere assog
gettato a tassazione.
Il Foro Italiano — 2004.
Ciò premesso, essendo pacificamente accertato che i ricavi, derivanti dalla cessione delle materie falsamente acquistate, erano inesistenti, l'ufficio avrebbe dovuto procedere ad accer
tamento non computandone l'ammontare. Richiama a conforto
sia i principi di collaborazione e buona fede, sanciti nello statuto del contribuente, sia il dettato costituzionale contenuto nell'art. 53 Cost.
Il ricorso è infondato.
La pronuncia impugnata, sul presupposto dell'attendibilità
della tesi della falsità delle fatture relative all'acquisto delle
materie prime desunta dai dati probatori sottoposti al suo vaglio, ha affermato che l'eliminazione dalle componenti negative del
reddito rappresentate dal costo d'acquisto di detti prodotti, deve
essere coordinata necessariamente coii l'eliminazione delle
componenti positive, cioè dei ricavi scaturiti dalla cessione, ine
sistente, dei beni non prodotti. Ciò perché, se non è stata soste
nuta la spesa per l'acquisto delle materie prime, neppure posso no essere verificati guadagni derivati dalla vendita dell'olio
prodotto con quelle stesse materie prime. In conclusione, la commissione regionale afferma che l'errore
commesso dall'ufficio finanziario è costituito nell'aver ripreso a
tassazione i costi fittizi, e perciò indeducibili, senza annullare i
corrispondenti ricavi, ancorché avesse ritenuto anch'essi fittizi, e perciò, inesistenti. Decreta, dunque, sul presupposto di fatto
della fittizietà di entrambe le componenti, l'erroneità del meto
do usato dall'ufficio, che ha finito per attribuire alle norme ap
plicate, che regolano le modalità d'accertamento induttivo del
reddito, un aspetto sanzionatorio, che la legge non conferisce lo
ro, consumando violazione del principio della capacità contri
butiva posto dall'art. 53 Cost.
Questa decisione appare corretta ed immune dal vizio denun
ciato.
L'accertamento in fatto, incontroverso, ha riguardato le due
contrapposte ma interdipendenti componenti del reddito, risul
tate entrambe inesistenti, ma l'ufficio ha proceduto alla rettifica, effettuata in sede induttiva, di una sola di esse computandola in
aggiunta all'altra.
Non vi è dubbio che nel caso di specie l'accertamento, effet
tuato ai sensi dell'art. 39 d.p.r. 600/73, era legittimato dall'inu
tilizzabilità dell'impianto contabile della contribuente scatu
rente dalla sua inaffidabilità, che autorizzava l'ufficio a proce dere all'accertamento del reddito effettivamente prodotto modi
ficando tutti gli elementi che, sulla base delle risultanze della
verifica fiscale, risultavano infedelmente dichiarati. Non trova
giustificazione, però, l'operato dell'amministrazione che ha in
ciso solo sulle componenti passive, che ha recuperato al reddito, determinandone un aumento dell'imponibile, e, senza darne lo
gica giustificazione, non ha inteso tener conto anche di quelle attive, la cui contabilizzazione, sulla base del medesimo fatto
noto, era presumibile fosse anch'essa infedele e, per tale ragio ne, non dovevano essere sottratte ad autonoma rettifica.
Ciò non vuol dire certo, come suggestivamente afferma il mi
nistero ricorrente, che l'amministrazione finanziaria in sede
d'accertamento fosse tenuta a ricostruire il reddito effettivo della contribuente, rielaborandone la dichiarazione, ma piuttosto che non le era consentito utilizzare in senso parziale il bagaglio indiziario acquisito, intervenendo non su tutti i fattori reddituali
risultati inattendibili, ma solo su quelli negativi di cui la contri
buente si era giovata per ottenere indebita deduzione.
La ratio della norma citata è quella di consegnare agli uffici
finanziari uno strumento agevolato non già persecutorio del
contribuente infedele, ma finalizzato alla determinazione della
reale consistenza del reddito imponibile da lui prodotto, in
modo da ragguagliare ad esso l'imposta effettivamente dovuta, nel cui esercizio l'ufficio pubblico è tenuto al pieno rispetto del
principio della capacità contributiva del soggetto d'imposta, po sto dall'art. 53, 1° comma, della nostra Carta fondamentale, nonché di quello che impone la correttezza dell'azione ammini
strativa, sancito nel successivo art. 97.
Per logico corollario, in sede di accertamento induttivo, la
rettifica deve essere effettuata mediante ricostruzione, anche in
via analitica, di tutte le voci che hanno determinato il reddito
imponibile, sicché, ove gli elementi presuntivi acquisiti con
sentono di disattendere le risultanze della dichiarazione del sog
getto d'imposta, deve intervenire su tutte le componenti infe
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PARTE PRIMA 1812
delmente dichiarate, sia che ciò giovi all'amministrazione, con
sentendo il recupero a tassazione di porzioni di reddito sottratte
all'imposizione, sia che giovi al contribuente, determinando ab
battimento della base imponibile e del relativo tributo. Al riguardo occorre rammentare che secondo la recente giu
risprudenza delle sezioni unite di questa Suprema corte (Cass. 25 ottobre 2002, n. 15063, Foro it., 2003, I, 831, richiamata dalla società resistente), la dichiarazione dei redditi non è atto
negoziale né dispositivo, ed è perciò modificabile dal soggetto
d'imposta, ed in specie «non costituisce il titolo dell'obbliga zione tributaria, ma integra un momento dell'iter procedimen tale inteso all'accertamento di tale obbligazione ed al soddisfa
cimento delle ragioni erariali che ne sono l'oggetto, e si porreb be contro le norme costituzionali sopra citate un sistema che si
proponesse di sottoporre il contribuente ad un prelievo indebi
to».
Applicato al caso in discussione, ciò vuol dire che, anche se
la società contribuente aveva inserito nella sua dichiarazione dei
redditi i ricavi, che in realtà non aveva realizzato in quanto de
rivati dalle operazioni mai compiute, l'amministrazione non in
contrava preclusione alcuna posta dalla dichiarazione, e ben
poteva disattendere quel dato e rettificarlo. Se è certo che,
quando il compendio indiziario acquisito lo consente, l'ufficio può procedere alla ricostruzione dei costi effettivi, determinan
done anche l'azzeramento, com'è avvenuto nella fattispecie,
analogo metodo deve essere utilizzato a proposito dei ricavi che, sulla base del medesimo supporto probatorio, risultano correlati
necessariamente a quelle stesse spese non sostenute.
Ricorda, a buon diritto, la società resistente che l'azione del
l'amministrazione deve essere improntata ai principi di collabo
razione e buona fede recepiti nell'art. 10 dello statuto del con
tribuente richiamati da questa corte, che nella sentenza
17576/02 (ibid., 1104) ha affermato che «Il principio della tu tela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giu ridica, che trova la sua base costituzionale nel principio di
eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.), e co
stituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto e ne limita
l'attività legislativa e amministrativa, è immanente in tutti i rap
porti di diritto pubblico ed anche nell'ambito della materia tri
butaria, dove è stato reso esplicito dall'art. 10, 1° comma, 1. n.
212 del 2000 (c.d. statuto del contribuente). Quest'ultima previ sione, a differenza di altre che presentano un contenuto innova
tivo rispetto alla legislazione preesistente, costituisce una delle
disposizioni statutarie che, per essere espressive ai sensi del
l'art. 1 stessa 1. n. 212 dei principi generali, anche di rango co
stituzionale, già immanenti nel diritto e nell'ordinamento tribu
tario, vincolano l'interprete in forza del canone ermeneutico
dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione, ed è pertanto
applicabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore».
L'accertamento in esame non soddisfa tali principi, ma è
chiaramente ispirato ad un favor per l'amministrazione erariale, che non ha alcun riscontro né di fondatezza né di legittimità e
viola palesemente i principi testé richiamati.
La determinazione del reddito d'impresa ai fini tributari ha la
sua sedes materiae nella previsione contenuta negli art. 51 ss.
d.p.r. 917/86 (Tuir) e, segnatamente, la nozione di ricavi quale sua componente è contenuta nell'art. 53 che, per quel che qui rileva, comprende alla lett. a) i corrispettivi delle cessioni di be
ni e delle prestazioni di servizi rientranti nell'attività propria
dell'impresa, ed alla lett. b) i corrispettivi per la cessione di be ni-merce.
La definizione di costo non è invece espressamente formulata
nel Tuir con riferimento a specifiche e tipiche componenti red
dituali, donde la necessità di far rinvio alla comune nozione, ormai acquisita in sede contabile, che l'individua in un fattore
negativo della produzione. Esso, evidentemente in quest'acce zione, è però richiamata nella previsione contenuta nell'art. 75
citato t.u., che detta le norme generali sui componenti del red dito d'impresa sancendo il principio, per l'ipotesi speculare a
quella ora in esame, che le spese e gli altri componenti negativi del reddito, così come gli oneri afferenti i ricavi, sono ammessi
in deduzione, alle condizioni espressamente indicate, e, comun
que, nell'interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata, anche in caso di violazione degli obblighi di tenuta e conserva
li. Foro Italiano — 2004.
zione delle scritture contabili, ovvero di loro omessa o irregola re registrazione (v. Cass. 10090/02, id., Rep. 2002, voce Redditi
(imposte), n. 714). La voluntas legis appare, dunque, chiara: l'imponibile è co
stituito dal reddito netto dichiarato, o accertato, calcolato al
netto dei costi. E, difatti, l'ufficio, quando procede a rettifica
induttiva dei ricavi è tenuto, sempre e comunque, pur in assenza
delle condizioni formali postulate dall'art. 75 cit. ribadite dal l'art. 6 bis d.l. 90/90 (peraltro abrogate dall'art. 5 d.p.r. 695/96), ad applicare suddetto criterio, ricostruendoli in modo che ad essi
corrisponda un'incidenza percentualizzata dei costi (cfr. Cass.
9581/94, id., Rep. 1995, voce Tributi in genere, n. 881; 3083/92, id., Rep. 1992, voce Redditi (imposte), n. 474; 3317/96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 439, e 640/01, id., Rep. 2001, voce cit., n. 652).
In senso analogo ma contrario, in base a tale principio, l'ac
certamento che inerisce ai costi non può prescindere dai ricavi
ai quali essi ineriscano in perfetta corrispondenza; sarebbe as
surdo, infatti, che l'amministrazione possa basarsi sulla rilevata
esistenza di acquisti contabilizzati ma non effettuati per desu
mere l'inesistenza delle relative uscite, per poi determinare il
reddito d'impresa escludendo le entrate correlate a quei costi, e
che, sulla base dei medesimi elementi presuntivi, non risultano
neppure esse realizzate.
La commissione regionale ha fatto corretto governo di tale
principio, ed avendo accertato che ai costi inesistenti, per l'ac
quisto dei semi mai comprati, corrispondevano ricavi anch'essi
inesistenti per la cessione, mai avvenuta, del prodotto ottenuta
dalla molitura di quegli stessi semi, ha annullato l'accertamento
dell'ufficio, che di tale ultima componente non aveva tenuto
conto avendo sommato ai ricavi, della cui insussistenza pur era
consapevole, l'intero ammontare dei costi illegittimamente de
tratti.
L'effetto di tale modus operandi è palesemente lesivo della
capacità contributiva della società contribuente ed è, perciò, il
legittimo. Il richiamo al principio sulla distribuzione dell'onere della
prova che, in presenza delle presunzioni, grava sul contribuente
resta, pertanto, del tutto irrilevante. La ratio decidendi della de
cisione impugnata non si fonda sull'applicazione, corretta o er
rata, di tale principio che, nella soluzione del thema deciden
dum, è rimasto del tutto irrilevante, posto che la contribuente
non ha contestato gli elementi presuntivi acquisiti, che avevano
consentito all'amministrazione finanziaria di dedurre che essa
aveva contabilizzato operazioni mai compiute sia in uscita che
in entrata. Il nodo della disputa ha riguardato il, ben diverso,
profilo attinente al corretto uso di queste presunzioni, ed è stato
correttamente sciolto nel senso che esse devono essere utilizzate
con riguardo a tutte le componenti del reddito che alla loro stre
gua risultino inattendibili, poiché solo operando in tal senso il
dettato della norma costituzionale più volte citata trova effettiva
e concreta attuazione, garantendo la corretta corrispondenza
dell'imposta all'imponibile effettivo.
Tanto premesso, il ricorso deve essere rigettato.
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