sezione tributaria; sentenza 24 giugno 2005, n. 13681; Pres. Cristarella Orestano, Est.Marinucci, P.M. Destro (concl. diff.); Fall. soc. Mariovilla (Avv. Tesauro) c. Agenzia delleentrate (Avv. dello Stato Cingolo). Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 4 settembre 2003Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 3 (MARZO 2006), pp. 787/788-791/792Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201293 .
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PARTE PRIMA 788
deve esaminare perché in tema di giurisdizione è anche giudice del fatto —
stipulata tra il comune e la cooperativa Cipap, che
ha assegnato il lotto n. 8 alla ditta Alfa sport, contiene la clau
sola secondo la quale in caso d'inadempienza all'obbligo di ini
zio e termine dei lavori di costruzione degli edifici senza giusti ficato motivo «la cessione in diritto di proprietà s'intende risolta
e pertanto tale diritto decade automaticamente».
Non avendo la ditta Alfa sport, dopo aver ottenuto (in data 12
gennaio 1995) la concessione edilizia (n. 725) per la realizza
zione di un edificio artigianale, ottemperato all'obbligo di ulti
mare i lavori nel termine triennale di efficacia di detta conces
sione, il comune con delibera della giunta n. 273 del 25 giugno 1998 ha provveduto a «prendere atto della scadenza dell'asse
gnazione in diritto di proprietà alla ditta Alfa sport del lotto n. 8
del piano per gli insediamenti produttivi di Faella per inosser
vanza dei termini finali e conseguente decadenza della conces
sione edilizia». Contro tale delibera, ritenuta illegittima, nulla e inidonea a
determinare la decadenza del diritto di proprietà del lotto n. 8, nonché della concessione edilizia, è insorta la ditta Alfa sport chiedendo il riconoscimento di tale diritto di proprietà, con con
danna del comune al risarcimento dei danni.
4. - In questo quadro la tesi del ricorrente va accolta in base
(non tanto all'art. 34 d.leg. n. 80 del 1998 quanto) agli art. 5 e 7
1. 6 dicembre 1971 n. 1034, all'art. 16 1. 28 gennaio 1977 n. 10 e
all'art. 11 1. 7 agosto 1990 n. 241, riguardando la controversia
una questione (riconoscimento del diritto di proprietà del lotto
n. 8) collegata alla categoria degli atti (cessione di beni pubbli ci, convenzione, concessione edilizia) rientranti, ai sensi di dette
disposizioni di legge nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
5. - Invero, con riguardo alle aree comprese nei p.i.p. di cui
all'art. 27 1. 22 ottobre 1971 n. 865, che vengano acquisite dal
comune con lo strumento espropriativo per la realizzazione di
impianti produttivi di carattere industriale, artigianale e com
merciale e turistico, qualora il comune medesimo, in conformità
di quanto previsto da detta norma, le ceda in proprietà (in misu
ra non superiore al cinquanta per cento) a cooperative mediante
deliberazione dei competenti organi municipali e successiva
convenzione, dette cooperative (al pari di quanto si verifica nel
l'analogo caso in cui vengano a godere di quelle aree a titolo di
concessione del diritto di superficie), si trovano nella posizione di concessionari di beni pubblici, soggetti ai poteri autoritativi
dell'ente fino a quando non sia realizzata la finalità pubblicisti ca cui la cessione è diretta. Pertanto, le controversie attinenti
agli atti con i quali il comune deliberi di far luogo o meno a tale
cessione, o l'annulli per carenza originaria dei suoi presupposti, ovvero la revochi per sopravvenuto venir meno dei presupposti stessi o per accertata violazione degli obblighi stabiliti con detta
convenzione, investono provvedimenti amministrativi relativi
ad un rapporto di concessione, e sono conseguentemente devo lute in via esclusiva alla giurisdizione del giudice amministrati vo (art. 5, 1° comma, e 7, 2° comma, 1. 6 dicembre 1971 n.
1034). 6. - Nella sostanza la presente controversia non attiene alla
mera titolarità del diritto di proprietà ma alle conseguenze pre viste in caso di violazione degli obblighi contenuti nella con
venzione inserita nel procedimento amministrativo relativo al
p.i.p. E, in effetti, la convenzione si configura come momento de
terminativo in ordine al contenuto del provvedimento di deca denza del diritto di proprietà e della concessione edilizia.
7. - L'art. 11 1. 7 agosto 1990 n. 241 (sul procedimento am
ministrativo) stabilisce che «Le controversie in materia di for
mazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al pre sente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giu dice amministrativo». Nel caso specifico si tende a mettere in
discussione l'accordo discendente dalla convenzione in ordine alla validità della scadenza dell'assegnazione del diritto di pro prietà del lotto per inosservanza dei termini finali di ultimazione della costruzione.
8. - A norma dell'art. 16 1. 28 gennaio 1977 n. 10, i ricorsi
giurisdizionali che investono il provvedimento con il quale la concessione edilizia viene data o negata o revocata sono devo luti alla cognizione del giudice amministrativo. La giurisdizione del giudice amministrativo ha natura esclusiva e si stende alle dedotte violazioni dei diritti soggettivi.
Il Foro Italiano — 2006.
In tale ambito, come questa corte ha più volte posto in luce, la
convenzione stipulata tra un comune ed un privato, con la quale
quest'ultimo si obbliga, al fine di evitare la decadenza della
concessione edilizia, ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell'ente pubblico, non integra un contratto di di
ritto privato e non riveste autonomia negoziale, ponendosi
piuttosto come atto del procedimento amministrativo diretto alla
conservazione del provvedimento concessorio. Ne deriva che le
vertenze relative a tali convenzioni si risolvono in controversie
attinenti al provvedimento concessorio (nel quale le convenzio
ni medesime vengono recepite) e dunque restano devolute alla
citata giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v., ex
plurimis, sez. un. 29 gennaio 2001, n. 29/SU, Foro it., 2001, I,
2473; 7 dicembre 1999, n. 866/SU, id., Rep. 1999, voce Edilizia e urbanistica, n. 241; 9 aprile 1999, n. 230/SU, ibid., n. 243).
9. - Nel caso di specie, alla stregua delle considerazioni espo
ste, il preteso riconoscimento del diritto di proprietà basato su
asserita nullità di un provvedimento dell'amministrazione ovve
ro su violazione della convenzione, investe inevitabilmente la
validità di tali atti amministrativi, stante lo stretto collegamento funzionale esistente tra questi e la domanda nei termini indicati.
10. - In conclusione, appartiene alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo la controversia con la quale l'attore, assumendo di essere assegnatario di un lotto di terreno in qualità di socio dì una cooperativa alla quale il comune mediante con
venzione ha ceduto in proprietà le aree comprendenti tale lotto
facente parte del p.i.p., chieda nei confronti dell'amministrazio
ne comunale l'accertamento del proprio diritto di proprietà sul
bene, nonché la condanna della convenuta al risarcimento dei
danni, contestando il provvedimento dell'amministrazione che, in base a detta convenzione, ha dichiarato la decadenza del di
ritto di proprietà e della concessione edilizia, riguardando tale
controversia una questione strettamente correlata a provvedi menti amministrativi (cessione di beni pubblici, convenzione tra
comune e concessionario o acquirente, concessione edilizia), che rientrano appunto in tale giurisdizione.
11. - Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso
principale va accolto e dichiarata la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, con cassazione senza rinvio dell'impu
gnata sentenza.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 24
giugno 2005, n. 13681; Pres. Costarella Orestano, Est.
Marinucci, P.M. Destro (conci, diff.); Fall. soc. Mariovilla
(Avv. Tesauro) c. Agenzia delle entrate (Avv. dello Stato
Cingolo). Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 4 settembre
2003.
Tributi in genere — Commissioni tributarie — Giudizio di ottemperanza —
Compensazione — Esclusione (Cod. civ., art. 1242; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 56; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul pro cesso tributario in attuazione della delega al governo conte nuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art. 70).
La commissione tributaria adita con ricorso per l'ottemperanza
agli obblighi derivanti da una sentenza passata in giudicato non può compensare il credito d'imposta del contribuente, nelle more fallito, con il credito fiscale vantato verso questi dall'amministrazione finanziaria. (1)
(1) Non si rinvengono, nella giurisprudenza ddla Suprema corte,
precedenti in tali esatti termini. La Suprema corte — ribadito che in sede di giudizio di ottemperanza
di cui all'art. 70 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546 il potere ermeneutico del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 15 febbraio
2003 il fallimento Mariovilla s.p.a. chiedeva l'ottemperanza della sentenza del 20 gennaio 2003, passata in giudicato, con la
quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia, confermando la sentenza del 28 gennaio 1998 pronunciata dalla
commissione provinciale, aveva condannato l'ufficio Iva di Mi
lano al pagamento «degli interessi di mora ex art. 38 bis d.p.r. 633/72 maturati sino al 6 novembre 1992 per lire 237.945.205,
degli ulteriori interessi maturati dal 7 novembre 1992 al saldo, nella misura del sei per cento annuo, nonché degli interessi da
calcolare al tasso legale ai sensi dell'art. 38 bis d.p.r. 633/72,
sugli interessi già dovuti a decorrere dal 6 aprile 1997 sino al
saldo». Tali interessi venivano complessivamente calcolati dal
ricorrente, fino all'8 maggio 2003, in euro 206.567,19.
L'agenzia delle entrate si opponeva alla richiesta sostenendo
di aver disposto la sospensione della liquidazione del dovuto per la presenza di debiti erariali della società fallita in misura supe riore all'importo di cui la ricorrente era creditrice.
La commissione tributaria regionale, con sent. n. 40/41/03
depositata il 4 settembre 2003, rigettava il ricorso per ottempe ranza.
Contro tale decisione il fallimento Mariovilla presentava ri
corso per cassazione sorretto da cinque motivi e presentava memoria difensiva.
invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale si
gnificato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo e ulteriore ri
spetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (v. Cass. 24 novembre 2004, n. 22188, Foro il., Rep. 2004, voce Tributi in genere, n. 1460, citata in sentenza; conf. Cass. 6 agosto 2003, n. 11867, ibid., n.
1463, e Rass. trib., 2004, 268, con nota di Pennella, Il giudizio per l'ottemperanza alle sentenze delle commissioni tributarie tra oggetto, modalità di esecuzione ed impugnazione', Giur. it., 2004, 1306, con nota di Giorgetti, La domanda degli interessi anatocistici nel giudizio tributario di ottemperanza) e che la commissione, investita della do manda per l'adozione dei provvedimenti necessari all'ottemperanza deve attenersi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza, tenuto conto della relativa motivazione, e senza modifi carne il contenuto (cfr. Cass. 22 febbraio 2005, n. 3555, Foro it., Mass.,
233, citata in sentenza) — giunge alla conclusione di cui in massima e videnziando che il necessario accertamento della natura del credito
portato in compensazione costituisce procedimento cognitivo che tra valica l'ambito di competenza del giudice dell'ottemperanza.
In argomento, v. Cass. 3 dicembre 2004. n. 22761, id., Rep. 2004, voce cit.. n. 1465. ad avviso della quale nel caso in cui, nel corso del
procedimento di esecuzione di una sentenza di condanna dell'ammini strazione passata in giudicato, il contribuente proponga domanda di
compensazione del credito da giudicato con debiti fiscali sopravvenuti, deve ritenersi che l'adempimento dell'obbligo derivante dalla sentenza si perfezioni con l'adozione, da parte dell'ufficio tributario, del prov vedimento di accettazione — esplicita o implicita — della suddetta
domanda, che è produttivo dell'effetto giuridico di compensazione, re stando irrilevanti, al fine di tale adempimento, i successivi comporta menti degli organi della riscossione necessari per la mera esecuzione dell'effetto di compensazione.
Nella giurisprudenza tributaria, v. Comm. trib. reg. Lombardia 9
giugno 1999, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1867, e Riv. giur. trib., 2001,
261, con nota di Florio, Ottemperanza di una sentenza di rimborso mediante compensazione, per la quale la commissione tributaria regio jiale, accertata la mancata esecuzione della sentenza di condanna del l'amministrazione finanziaria alla restituzione di somme pagate per imposte non dovute, può disporre che ne venga data ottemperanza me diante compensazione del debito dell'amministrazione finanziaria con i crediti per imposte dirette erariali nei confronti del contribuente; Comm. trib. prov. Pisa 30 giugno 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 1905, e Rass. trib., 1998, 583, con nota di Belle, Riflessioni sul
giudizio di ottemperanza, secondo cui il giudice non può dare attua
zione al giudicato pronunciando la compensazione del credito della
curatela verso lo Stato con il credito di questo verso la massa falli
mentare. In dottrina, v.. di recente, Buscema, Natura cognitoria od esecutiva
del giudice di ottemperanza, in Fisco 1, 2005, 7049. In tema di giudizio di ottemperanza, v. anche Cass. 21 maggio 2003,
n. 7999, Foro it., 2003, I. 2306, con nota di richiami, secondo cui il
giudice tributario adito ai fini dell'ottemperanza ad una decisione di
condanna dell'amministrazione finanziaria al rimborso di imposte non
dovute e dei relativi interessi legali, non può disporre il pagamento an
che degli interessi anatocistici.
Il Foro Italiano — 2006.
Resisteva con controricorso l'intimato ministero e presentava memoria.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo la società ha
lamentato la «violazione e falsa applicazione dell'art. 70, 7°
comma, d.leg. 546/92, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.; omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.)», atteso che la commissione
avrebbe violato l'art. 70 cit. giacché, in sede di giudizio di ot
temperanza, avrebbe svolto attività cognitiva dei crediti fiscali
vantati dal fisco e statuizione della compensazione tra crediti
d'imposta della curatela e crediti del fisco, compiti che esule
rebbero, a suo dire, da tale giudizio. I giudici, pertanto, si sarebbero comportati come se il giudi
zio di ottemperanza di una sentenza tributaria non fosse dissi
mile da un giudizio civile di cognizione, mentre unica funzione
del primo sarebbe quello di dare esecuzione a quanto deciso, senza ammettere azioni riconvenzionali.
Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato «ulteriore
violazione e falsa applicazione dell'art. 70, 7° comma, d.leg. 546/92 e dell'art. 2909 c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4,
c.p.c.». Secondo il fallimento, giacché i crediti rispetto ai quali è
stata disposta la compensazione sono crediti fiscali anteriori alla
dichiarazione del fallimento e, quindi, anteriori alla sentenza
tributaria cui si riferisce l'ottemperanza, risulterebbe violato il
vincolo derivante dal giudicato, ex art. 2909 c.c., secondo cui in
sede di opposizione all'esecuzione promossa in base a titolo
esecutivo giudiziale il debitore può invocare soltanto i fatti
estintivi o modificativi del diritto del creditore che si siano veri
ficati posteriormente alla formazione del titolo.
Con il terzo motivo il fallimento ha lamentato la «violazione
e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 1242 c.c., in
relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.», atteso che, poiché l'uf
ficio ha chiesto che fosse dichiarata la legittimità della sospen sione del rimborso per la presenza di carichi pendenti e non la
compensazione dei crediti, la commissione, disponendo la com
pensazione, avrebbe violato l'art. 112 c.p.c. Con il quarto motivo la ricorrente ha lamentato la «violazione
dell'art. 56 1. fall, e dell'art. 1241 c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.», atteso che la commissione avrebbe erronea
mente applicato l'art. 56 1. fall., a norma del quale il creditore
del fallito può opporre il proprio credito (sorto prima del falli
mento) con debiti verso il fallimento, giacché non avrebbe con
siderato che le norme di diritto comune in tema di compensa zione non possono, a suo avviso, essere applicate in materia tri
butaria.
Con il quinto motivo il fallimento ha lamentato la «ulteriore
violazione e falsa applicazione dell'art. 70 d.leg. 546/92, del
l'art. 2909 c.c. e dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, nn.
3 e 4, c.p.c., in tema di modalità di calcolo degli interessi», atte
so che il giudice avrebbe emesso una pronuncia che esulerebbe
dall'ambito del giudizio di ottemperanza e contrasterebbe con
quanto statuito dalla sentenza, passata in giudicato, violando co
sì il suddetto art. 70.
I motivi sub 1, 2 e 5 possono essere oggetto di trattazione
congiunta, atteso che investono, sotto differenti profili, questio ni attinenti alla natura, ai limiti e agli effetti del giudizio di ot temperanza previsto dall'art. 70 d.leg. 546/92.
I motivi vanno accolti per quanto di ragione. II giudizio di ottemperanza risponde alla medesima esigenza
del corrispondente istituto del processo amministrativo di salva
guardia della sfera di autonomia del potere esecutivo dal potere
giudiziario, secondo il tradizionale principio della separazione dei poteri, pur se nella più moderna visione di affermazione di
un rapporto di alterità tra il momento delle scelte e il momento
della risoluzione delle controversie alla stregua delle scelte già effettuate.
Va considerato come un procedimento sui generis, che si
proietta nella fase di realizzazione concreta della sentenza da
eseguire, col compito di realizzare sul piano dell'effettività un
giudicato che ha già regolato i rapporti controversi tra le parti. Suo oggetto, pertanto, è non solo l'individuazione dei presuppo sti formali per la sua instaurazione, ma anche l'indagine di tutti
gli effetti legalmente inclusi nel giudicato che risultano indi
spensabili per il ripristino dell'integrità della posizione del ri
corrente.
In sede di giudizio di ottemperanza il potere del giudice sul
comando definitivo inevaso va, comunque, esercitato entro i
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PARTE PRIMA 792
confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita
col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il con
tenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudi cato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attri
buito un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto
con la sentenza da eseguire (Cass. 22188/04, Foro it., Rep. 2004, voce Tributi in genere, n. 1460).
La commissione deve attenersi agli obblighi risultanti
espressamente dal dispositivo della sentenza, tenuto conto
della relativa motivazione e senza modificarne il contenuto
(Cass. 3555/05, id.. Mass., 233). L'ottemperanza al giudicato tributario ha pieno ambito di ap
plicazione con riferimento al rapporto relazionale definitiva
mente fissato dal giudicato, come è quello che discende da una
sentenza di accertamento di un indebito d'imposta. L'attività di esecuzione che consegue in questi casi, sia ad
opera dell'amministrazione che, in caso di inerzia, del giudice di ottemperanza, sarà sola attuazione dell'obbligo fissato giudi zialmente.
Trattasi non dì un'attività meramente esecutiva, senza che si
rinvengano aspetti cognitivi. Infatti detti aspetti possono essere
riscontrati tutte le volte in cui la volontà espressa dal giudicato viene compiutamente interpretata.
A tal riguardo deve ritenersi che il ricorso per ottemperanza è
ammissibile ogni qual volta debba farsi valere l'inerzia della
pubblica amministrazione rispetto al giudicato, ovvero la dif
formità specifica dell'atto da essa posto in essere rispetto al
l'obbligo processuale di attenersi all'accertamento contenuto
nella sentenza da eseguire, di rendere effettivo il comando con
tenuto nel giudicato, con la conseguenza che il rimedio è am
missibile anche — e tanto più —
quando la decisione contenga un comando privo dei caratteri della puntualità e precisione tipi ci del titolo esecutivo (rientrando nella discrezionalità del giudi ce dell'ottemperanza l'individuazione dei mezzi idonei ad assi
curare l'esecuzione del giudicato) (Cass. 4126/04, id.. Rep. 2004, voce cit., n. 1461).
In ordine all'oggetto della presente controversia questa corte
ha precisato che la speciale compensazione tra crediti e debiti
del fallito prevista dall'art. 56 1. fall, costituisce una particolare
ipotesi di compensazione legale, soggetta come tale alla disci
plina propria di questa, ma con esclusione, in aderenza ai prin
cipi del diritto fallimentare (art. 55) e del diritto delle obbliga zioni (art. 1186 c.c.), del requisito della esigibilità del credito, relativamente ai soli crediti nei confronti del fallito (che si con
siderano scaduti alla data del fallimento), con la conseguenza che tali ultimi crediti possono essere fatti valere in compensa zione, ai sensi dell'art. 56, purché abbiano gli ulteriori requisiti richiesti dall'art. 1243 c.c. della certezza e liquidità (Cass.
4079/88, id.. Rep. 1988, voce Amministrazione controllata, n.
18). L'eccezione di compensazione giudiziale implica, pertanto,
un accertamento del credito del creditore in bonis ed il predetto accertamento si connota necessariamente di aspetti cognitivi che
travalicano i limiti di competenza del giudizio di ottemperanza. In relazione, poi, alle condizioni per la compensazione, è ne
cessario il requisito della reciprocità delle obbligazioni e cioè
che i rapporti di debito-credito corrano tra i medesimi soggetti. Non è possibile la compensazione dei crediti verso il fallito con i debiti verso la massa, perché la compensazione è consentita
soltanto tra debiti e crediti verso il fallito.
Al riguardo questa corte da tempo ha precisato che il criterio
che regge, secondo l'art. 56 1. fall. (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), la disciplina della speciale compensazione in sede fallimentare
risponde alla finalità di una giusta tutela della posizione in cui
viene a trovarsi, di fronte al fallimento, il debitore-creditore, che
sarebbe altrimenti esposto, da un lato, a dover soddisfare per intero il proprio debito, e dall'altro, a subire la tacitazione del
suo credito in moneta fallimentare. Detta compensazione, men
tre prescinde dal normale requisito della contemporanea liqui dità ed esigibilità dei crediti rispettivi, esige pur sempre, per l'essenziale carattere della reciprocità, che si tratti di debiti e
crediti intercorrenti «verso il fallito». A tal fine il presupposto che, nella dizione e nella ragione del citato art. 56, essenzial
mente discrimina il debito verso il fallito dal debito verso la
massa (che realizza cioè il concetto della reciprocità) non è l'in
sorgenza meramente nominale del debito prima della procedura fallimentare, ma è l'anteriorità della sua radice causale; per cui
Il Foro Italiano — 2006.
occorre verificare se il debito, ancorché successivamente sca
duto o prodotto, scaturisca da un'attività negoziale posta in es
sere dal fallito, o nei riguardi del fallito, prima del fallimento, o
se, viceversa, il debito abbia titolo in un'attività spiegata dopo e
durante il fallimento (Cass. 2039/72, id., Rep. 1972, voce Fal
limento, n. 315).
E, in relazione alla controversia che ne occupa, la corte ha
statuito che, a seguito della presentazione della dichiarazione
finale dei redditi da parte del curatore, il credito vantato dal
l'amministrazione finanziaria nei confronti di un imprenditore fallito, che con la chiusura della procedura ritorna in bonis,
non può essere opposto in compensazione con un debito della
stessa amministrazione verso la «massa dei creditori», sia per ché diversi sono i soggetti delle opposte ragioni di dare ed
avere, in quanto il credito opposto dall'erario ha come sog
getto passivo l'imprenditore fallito mentre quello fatto valere
dal fallimento con la dichiarazione finale è un credito della
massa, sia perché —
compensando tali opposte ragioni di dare
e avere — verrebbero pregiudicati illegittimamente i creditori
concorsuali, per violazione del principio di parità di tratta
mento (Cass. 10349/03, id., Rep. 2004, voce cit., n. 365). Il necessario accertamento della natura del credito costituisce
pertanto procedimento cognitivo che travalica l'ambito di com
petenza del giudice di ottemperanza. Si deve evidenziare, inoltre, la specificità che assume in ma
teria l'istituto della compensazione, attesa la particolare natura
dell'obbligazione d'imposta che non è inquadrabile rout court
nei moduli tipici dell'obbligazione civilistica. La pretesa erariale, per il carattere pubblicistico della funzio
ne che ne determina la nascita, non è liquidabile, infatti, che se
condo le specifiche, differenziate modalità previste dalla legge. Anche per questo ordine di valutazioni, quindi, la possibilità
di applicare al giudizio di ottemperanza l'istituto civilistico
della compensazione deve ritenersi esclusa in quanto la dichia
razione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del giudice che travalica i limiti fissati dal
contenuto del giudicato ed è sottratto alla sua competenza.
Appare opportuno ricordare che è stato già precisato da que sta corte che la compensazione è possibile esclusivamente a
condizione dell'avvenuta accettazione, espressa o tacita, della
stessa da parte dell'ufficio.
Qualora infatti il contribuente proponga domanda di compen sazione del credito da giudicato con debiti fiscali sopravvenuti,
l'adempimento dell'obbligo derivante dalla sentenza si perfe ziona con l'adozione, da parte dell'ufficio tributario, del prov vedimento di accettazione — esplicita o implicita
— della sud
detta domanda, che è produttivo dell'effetto giuridico della
compensazione (Cass. 22761/04, ibid., voce Tributi in genere, n. 1465).
La sentenza impugnata si appalesa quindi meritevole di cen
sura nella parte in cui si appropria di poteri cognitivi che tra
scendono i limiti del giudizio di ottemperanza. Il ricorso, pertanto, merita accoglimento, con la conseguente
cassazione della sentenza impugnata e il rinvio, anche per le
spese del grado di giudizio, ad altra sezione della Commissione
tributaria regionale della Lombardia.
Rimangono necessariamente assorbiti gli altri motivi di cen
sura.
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