sezione tributaria; sentenza 26 marzo 2002, n. 4335; Pres. Papa, Est. Falcone, P.M. DeAugustinis (concl. conf.); Di Lucia e altra (Avv. Noschese, Cesaro) c. Min. finanze. ConfermaComm. trib. reg. Campania 16 novembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1231/1232-1235/1236Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198282 .
Accessed: 28/06/2014 18:29
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 141.101.201.172 on Sat, 28 Jun 2014 18:29:45 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
qui sostenuto, la questione di legittimità costituzionale della
detta disposizione per contrasto con gli art. 24 e 111 Cost., per ché il termine di trenta giorni per notificare il ricorso e deposita re il ricorso notificato sarebbe troppo breve per l'esercizio del
diritto di difesa, considerato che per l'ordinario ricorso per cas
sazione il ricorrente dispone di ottanta giorni (sessanta giorni
per la notifica del ricorso più venti giorni per il deposito). La questione di legittimità costituzionale prospettata dal ri
corrente è manifestamente infondata.
Se è vero che i termini processuali, per rispettare la tutela co
stituzionale dei diritti di azione e di difesa, devono, secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale, essere congrui e
quindi non possono essere eccessivamente brevi, il termine di
trenta giorni per la proposizione di un'impugnazione su una
materia del contendere che è stata già delimitata dai precedenti
gradi del giudizio non può ritenersi in assoluto inidoneo a con
sentire l'esercizio di quei diritti, rientrando piuttosto nell'am
bito affidato alla discrezionale valutazione del legislatore. La riduzione del termine in esame rispetto a quello ordina
riamente previsto per la stessa attività è giustificata dal già rile
vato regime della prescrizione dell'illecito disciplinare dei no
tai, in cui l'inesistenza radicale di atti interruttivi rappresenta un'assoluta anomalia dell'ordinamento che impone, come si è
detto in precedenza, tempi particolarmente celeri al giudizio. Al
riguardo va tenuto presente che il termine di trenta giorni fissato
dalla 1. n. 89 del 1913 era ancora più ridotto se paragonato a
quello previsto per il ricorso per cassazione dal codice di rito
del 1865, vigente alla data di approvazione della legge speciale: novanta giorni per la notifica del ricorso (art. 518) più trenta
giorni per il successivo deposito (art. 526).
Spetta al legislatore di ricondurre nell'ambito delle regole or
dinarie la disciplina sia della prescrizione dell'illecito discipli nare dei notai che del procedimento applicativo delle conse
guenti sanzioni, disciplina oggi dettata da una legge di antica
data che a quelle regole apporta vistose e numerose deroghe. D'altro canto, l'interpretazione qui data alla disciplina nor
mativa è conforme alla prassi applicativa tradizionalmente se
guita da questa corte, che, come si è detto, ha richiesto, per la
regolare instaurazione del giudizio di legittimità, il deposito del
ricorso notificato entro il detto termine di trenta giorni. Non è inutile, infine, precisare che il rispetto del termine di
trenta giorni fissato per la proposizione del ricorso per cassazio
ne non impedisce l'applicazione, per i ricorsi notificati a mezzo
posta, dell'art. 5, ultimo comma, 1. 20 novembre 1982 n. 890, secondo cui, in questi casi, il deposito del ricorso può essere li
mitato all'originale dell'atto restituito dall'ufficiale giudiziario, mentre l'avviso di ricevimento potrà essere depositato anche
oltre il detto termine.
10. - Applicandosi i principi in precedenza esposti (v. retro,
par. 8) al caso qui giudicato, va rilevato che il presente ricorso,
proposto dal notaio Grassi avverso la sentenza del tribunale no
tificata il 12 marzo 1999, è stato notificato dal ricorrente al
pubblico ministero presso il Tribunale di Catania ed al consiglio notarile di Catania il 10 aprile 1999. Il 12 aprile 1999 il ricorso
non notificato è stato depositato nella cancelleria di questa cor
te. «con espressa riserva di depositare nei termini secondo ori
ginale del ricorso notificato, sentenza impugnata, fascicoli fasi
di merito ed istanza ex art. 369 c.p.c.». Il deposito di tutti i detti
atti è avvenuto il 20 aprile 1999.
Il ricorso va giudicato inammissibile perché esso è stato de
positato oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sen
tenza impugnata, non potendosi considerare rituale il deposito
dell'originale del ricorso privo della prova della tempestiva no
tifica e della sentenza impugnata. Tali atti sono stati, infatti, depositati soltanto il 20 aprile 1999
e quindi oltre il detto termine decorrente dal 12 marzo 1999. Ed
infatti il procuratore generale presso questa corte, nelle prime conclusioni scritte, ha chiesto che venisse dichiarata l'inammis
sibilità del ricorso depositato «per mancata instaurazione del
contraddittorio» non risultando l'impugnazione «notificata ad
alcuno».
11. - L'inammissibilità del ricorso per cassazione, rendendo
l'atto inidoneo ad introdurre il nuovo grado del giudizio, impe disce di dichiarare la prescrizione dell'illecito disciplinare e
della conseguente azione, secondo la richiesta che il ricorrente
ha formulato nella terza memoria (in tal senso, v. Cass. 20 aprile 1998, n. 4000, id., Rep. 1998, voce cit., n. 117).
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 26
marzo 2002, n. 4335; Pres. Papa, Est. Falcone, P.M. De Au
gustine (conci, conf.); Di Lucia e altra (Avv. Noschese, Ce
saro) c. Min. finanze. Conferma Comm. trib. reg. Campania 16 novembre 1998.
Tributi in genere — Commissioni tributarie — Appello —
Domanda nuova — Divieto — Nuove eccezioni — Propo nibilità — Disciplina transitoria (Cod. proc. civ., art. 345; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, disposizioni sul processo tri
butario in attuazione della delega al governo contenuta nel
l'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art. 57, 79).
In tema di contenzioso tributario, si ha domanda nuova, impro
ponibile nel giudizio d'appello ex art. 57, 1° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, quando il contribuente, nell'atto di
appello, introduce una causa petendi diversa, fondata su si
tuazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicché ri
sulti inserito nel processo un nuovo tema di indagine; al di
vieto di proposizione di domande nuove, già esistente anche
nel vigore del d.p.r. n. 636 del 1972 in base al generale di
sposto dell'art. 345 c.p.c., non si applica la norma dettata
dall'art. 79 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, atteso che que st'ultimo dispone l'inapplicabilità in via transitoria del solo
art. 57, 2° comma, medesimo d.leg., il quale ha introdotto il
divieto di proposizione in appello di nuove «eccezioni», che
non siano rilevabili d'ufficio, e non riguarda il divieto di
proporre nuove «domande». (1)
(1) Relativamente alla portata del combinato disposto degli art. 57 e 79 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, la decisione in epigrafe si muove in un contesto assolutamente uniforme: cfr. Cass. 30 gennaio 2002, n.
1189, Foro it., Mass., 100 («il divieto di proporre in appello nuove ec cezioni in senso tecnico, introdotto con l'art. 57, 2° comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, non si applica, in virtù della norma transitoria dettata nel successivo art. 79, ai giudizi già pendenti in grado di appello davanti alle commissioni tributarie di secondo grado e a quelli già ini ziati davanti alla commissione tributaria regionale se il primo grado si è svolto sotto la disciplina della legge anteriore, che stabiliva il divieto delle sole 'domande nuove' e non anche delle eccezioni nuove»; nello stesso senso, v. Cass. 5 giugno 1999, n. 5543, id.. Rep. 2000, voce Tri buti in genere, n. 1706; 3 febbraio 1999, n. 902, id., Rep. 1999, voce
cit., n. 1619; 7 gennaio 1999, n. 36, ibid., n. 1618; 5 settembre 1998, n.
8835, ibid., n. 1620; Comm. trib. reg. Molise 14 giugno 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1763; per una fattispecie particolare, v. Comm. trib.
reg. Friuli-Venezia Giulia 16 gennaio 1998, id.. Rep. 1998, voce cit.. n.
1895, a cui dire «le pregiudiziali non prodotte in primo grado, in virtù del principio del divieto di ius novorum, introdotto dall'art. 57 d.leg. 546/92, sono inammissibili e non possono, pertanto, essere accolte nel
giudizio di appello»). Unico precedente contrario risulta Cass. 22 gen naio 2001, n. 867, id., Rep. 2001, voce cit., n. 1848, e Riv. giur. trib., 2001, 381, con nota di Glendi, «Nova» in appello e disciplina «transi
toria», che ha escluso l'applicabilità della disciplina transitoria sulla scorta della considerazione del deposito della decisione di primo grado dopo l'entrata in vigore del d.leg. 546/92, senza verificare se il giudizio di primo grado fosse stato regolato dalle norme previgenti.
Peraltro, è interessante notare come, in talune delle decisioni, la stes sa corte di legittimità ha qualificato le deduzioni avanzate dai contri buenti appellanti come eccezioni, anziché quali domande, così rilevan done l'ammissibilità: v. Cass. 8835/98, cit.. in cui si è affermato che a fronte dell'impugnazione dell'avviso in rettifica dei redditi con il me todo sintetico (operato sulla valutazione di alcuni beni di proprietà, co stituiti dalla residenza principale, da un autoveicolo e da una quota di incremento patrimoniale) fondata sull'erronea valutazione dell'incre mento patrimoniale, la successiva deduzione in appello dell'erroneità dell'accertamento relativo alla valutazione dei redditi scaturenti dalla
disponibilità dell'autovettura e del reddito rappresentato dall'abitazione
principale costituiscono eccezioni e non domande nuove; 5 febbraio
1997, n. 1098, Foro it.. Rep. 1997, voce cit., n. 1785, ad avviso della
quale l'istanza del contribuente che, dopo aver dedotto in primo grado la nullità dell'accertamento in tema d'imposta di registro sul trasferi mento di un suolo edificatorio, per carenza di motivazione e ipervaluta zione del terreno, proponga in appello un'istanza di valutazione auto
matica, non integra una vera e propria «domanda» (in quanto essa «co stituiva solo lo strumento adottato dal contribuente per paralizzare ogni pretesa dell'amministrazione finanziaria che andasse a superare l'am montare dell'imposta calcolato in via automatica. Essa, cioè, era diretta solo a rafforzare la tesi difensiva, portata dal contribuente sin dal primo grado di giudizio al fine di porre nel nulla l'accertamento, consistente nel negare la natura edificatoria del terreno (affermata dall'amministra
zione) e sostenere quella agricola»). Sulla nozione di eccezione nel processo tributario, cfr. Cass. 11 lu
This content downloaded from 141.101.201.172 on Sat, 28 Jun 2014 18:29:45 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Di Lucia Angelo e Zinicola
Vincenza hanno impugnato gli avvisi di accertamento con i
quali l'ufficio ha rettificato il reddito d'impresa minore dichia
rato per il 1984 e per il 1985.
La commissione di primo grado ha respinto i ricorsi e la deci
sione è stata confermata dalla commissione regionale. Hanno proposto ricorso i contribuenti deducendo un unico
motivo.
Il ministero delle finanze non si è costituito in questa fase del
giudizio.
glio 2002, n. 10112, id., Mass., 726 («costituisce eccezione in senso tecnico lo strumento processuale con il quale il contribuente (convenuto in senso sostanziale) faccia valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa fiscale, con conseguente impro ponibilità, per la prima volta, nel giudizio d'appello dell'eccezione
stessa, che non sia rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 57, 2°
comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546»). Circa la pacifica inammissibilità delle domande nuove proposte in
grado di appello nell'ambito del processo tributario regolato dalle nor me introdotte dal d.leg. 546/92, cfr. Cass. 3 maggio 2002, n. 6347, ibid., 456. Analogo orientamento era invalso sotto il vigore del d.p.r. 636/72: cfr., per la giurisprudenza di legittimità, Cass. 15 dicembre
1995, n. 12827, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1609; 15 luglio 1995, n.
7739, ibid., n. 1363; 11 novembre 1993, n. 11154, id.. Rep. 1993, voce
cit., n. 931; 27 aprile 1993, n. 4957, ibid., n. 671; 27 marzo 1993, n.
3731, ibid., n. 842; 1° agosto 1990, n. 7664, id., Rep. 1991, voce cit., n.
1297; 5 marzo 1990, n. 1725, id., Rep. 1990, voce cit., n. 2525; 4 di cembre 1989, n. 5354, ibid., n. 2526; 27 maggio 1988, n. 3630, id..
Rep. 1988, voce cit., n. 1064; 13 marzo 1987, n. 2646, ibid., n. 1065; 14 luglio 1983, n. 4835, id.. Rep. 1983. voce cit., n. 715; 14 ottobre
1980, n. 5516, id., 1981, I. 1673, con nota di richiami. Nella giurispru denza tributaria, cfr., explurìmis, Comm. trib. centrale 24 ottobre 1997, n. 5153, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1579; 9 novembre 1994, n. 3766, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 1406; 14 giugno 1994, n. 2122, ibid., n.
1407; 29 settembre 1992, n. 4935, id., 1992, III, 570, con nota di ri chiami.
Sulla distinzione tra domande nuove (comportanti la vietata mutatio
libelli) e mere modificazioni delle domande originariamente proposte (ossia, la consentita emendatio libelli), v., sempre con riferimento al
processo tributario, Cass. 17 gennaio 2002, n. 464, id., Mass., 43, a cui dire si ha mutamento della domanda «nei soli casi in cui vengano alte rati l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia mediante la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche che, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisio
ne, pongano in essere una pretesa nuova e diversa, per la sua intrinseca
essenza, da quella fatta valere in primo grado» (nello stesso senso, cfr. Cass. 6347/02, cit.); Comm. trib. centrale 23 luglio 2001, n. 5741, id.,
Rep. 2001, voce cit., n. 1634, che ne deduce la possibilità per il giudice di appello di accogliere, in base ad una diversa norma giuridica, la do manda posta in base ad altra norma al giudice di primo grado; 15 set tembre 1998. n. 4376, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1568, ad avviso della
quale la modifica dell'impostazione della linea difensiva, lasciando immutato il petitum, non costituisce motivo nuovo; 10 settembre 1998, n. 4318, ibid., n. 1569, che esclude la sussistenza del motivo nuovo, inammissibile in appello, nella diversa interpretazione di una disposi zione posta a fondamento dell'originaria domanda della parte; 11 giu gno 1998, n. 3292, ibid., n. 1570, allo stesso modo nega che possa co stituire motivo nuovo in appello la specificazione dei motivi già propo sti in primo grado mediante nuovi argomenti a sostegno di detta inter
pretazione; nello stesso senso, v. Comm. trib. centrale 8 gennaio 1998, n. 30, ibid., n. 1575; ove invece le ragioni svolte a sostegno della pro pria pretesa avanzata con l'atto introduttivo del giudizio risullino modi
ficate, ricorre l'ipotesi della «domanda nuova»; Comm. trib. centrale 29 maggio 1998, n. 2986, ibid., n. 1571; sulla scorta di un tale princi pio, si è affermato che costituisce domanda nuova, nell'ambito del pro cesso tributario:
— la deduzione del contribuente con la quale si affermi la decadenza dell'amministrazione finanziaria dal potere di liquidare le imposte do vute in base alla dichiarazione, ai sensi dell'art. 36 bis d.p.r. n. 600 del
1973, atteso che tale deduzione costituisce motivo d'impugnazione del
l'atto impositivo, ormai precluso, quando non sia stato allegato nel giu dizio di primo grado, ai sensi dell'art. 24 d.leg. n. 546 (Cass. 12 giugno 2002, n. 8352, id., Mass., 603);
— la richiesta dell'ufficio di accoglimento dell'appello basato su una
circostanza di fatto — ristrutturazione di un fabbricato — diversa da
quella — demolizione e ricostruzione — posta a fondamento dell'ori
ginario avviso di rettifica, avente ad oggetto la determinazione dell'im
ponibile ai fini dell'Invim decennale (Cass. 22 marzo 2002, n. 4125,
ibid., 306); — la deduzione relativa alla minor spesa per incremento patrimo
niale rilevante ai fini dell'accertamento sintetico (Cass. 22 gennaio 2001, n. 867, cit.);
Il Foro Italiano — 2003.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo i ricorrenti
hanno dedotto violazione di legge relativa agli art. 14 e 19 1.
154/89, 39 e 42 d.p.r. 600/73, 79, 1° comma, d.leg. 546/92, nonché error in iudicando e omessa e insufficiente motivazione
su un punto decisivo della controversia sul presupposto che:
a) gli avvisi di accertamento sono affetti da nullità perché non
contengono le aliquote minime e massime relative alla liquida zione dell'imposta, con la conseguenza che al contribuente è
stato impedito di avere l'esatta cognizione dell'an e del quan tum della pretesa fiscale;
— la domanda volta a contestare l'obbligo del pagamento dell'impo sta di consumo e Ige per carenza del potere impositivo del comune ri
spetto all'imposta generale sull'entrata, rispetto alla domanda princi pale, diretta a contestare la debenza dei tributi per mancanza di presup posti dell'obbligazione tributaria (Cass. 29 novembre 1994, n. 10178, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1169);
— la deduzione, per la prima volta davanti alla commissione di se condo grado od alla commissione centrale, della riferibilità dell'accer tamento in rettifica del valore dichiarato ai fini dell'imposta di succes sione a beni in tutto od in parte diversi da quelli caduti in successione,
quando sia stato proposto ricorso alla commissione di primo grado contro l'avviso di accertamento, contestandone la congruità della stima
(Cass. 5354/89, cit.); — la deduzione per la prima volta in appello della nullità dell'atto di
accertamento dell'ufficio del registro, avendo contestato in primo grado solo l'estimo effettuato dall'ufficio medesimo (nella specie, proposto ricorso per chiedere la rettifica del valore accertato dall'ufficio in ap plicazione dell'Invim, solo con memoria in fase di appello innanzi alla commissione di secondo grado veniva sollevata la nullità dell'accerta
mento, sostenendo che la vendita non era soggetta ad Invim, bensì ad Iva: Cass. 13 giugno 1984, n. 3540, id., 1985,1, 522, con ampia nota di
richiami); — la richiesta nel giudizio di appello della riduzione dell'aliquota
applicata dall'ufficio, dopo aver dedotto, nel giudizio di primo grado, esclusivamente la nullità dell'iscrizione a ruolo per omessa precedente notifica dell'accertamento (Comm. trib. centrale 3 luglio 1990, n. 4947, id.. Rep. 1990, voce cit., n. 2530);
— la domanda del contribuente di usufruire dell'esonero fiscale, per ché terremotato, nell'appello proposto avverso la decisione della com missione tributaria di primo grado, che aveva pronunciato in tema di accertamento di valore di un immobile trasferito (Comm. trib. centrale 19 dicembre 1989, n. 7860, ibid., n. 2531);
— la diversa qualificazione del reddito derivante dall'esercizio di un laboratorio di analisi, prospettata per la prima volta dall'ufficio come reddito d'impresa anziché come reddito di natura professionale, mai contestata al contribuente nella pregressa fase del procedimento (Comm. trib. centrale 19 novembre 1987, n. 8400, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 862). Va invece escluso il mutamento della domanda: — nell'ipotesi in cui. originariamente dedotta, da parte dell'ammini
strazione finanziaria, l'omessa autofatturazione di operazioni imponi bili per fondare il petitum della domanda, sia stata successivamente po sta a sostegno della pretesa la tardiva autofatturazione delle medesime
operazioni (Cass. 464/02, cit.); — quando inizialmente il reddito di un agente di assicurazione sia
stato inquadrato fra quelli occasionali di cui all'art. 77 d.p.r. 29 settem bre 1973 n. 597 e nel ricorso alla commissione centrale tra quelli d'im
presa ai sensi dell'art. 51 stesso d.p.r. (Comm. trib. centrale 28 maggio 1997, n. 2701, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1410);
— nel caso in cui venga proposta in appello una domanda riduttiva della richiesta originaria di rimborso, trattandosi di riconoscimento di un minor debito tributario (Comm. trib. centrale 25 febbraio 1993, n.
1085, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 1171). Sul regime delle eccezioni nel giudizio d'appello, vigente il d.p.r.
636/72, v. Cass. 10 gennaio 2001, n. 272, id., Rep. 2001, voce cit., n.
1633, che ammetteva la possibilità di proporre in appello nuove ecce zioni (intendendosi per tali, oltre alle mere difese, rappresentate dalle contestazioni dell'altrui diritto e dalle deduzioni di fatti con esso gene ricamente incompatibili, anche le eccezioni in senso stretto, cioè quelle aventi natura di impugnazione del diritto dell'attore), non annoverando
quella normativa disposizioni preclusive al riguardo; nello stesso senso, v. Cass. 11 dicembre 1998, n. 12498, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 1442; 5 febbraio 1997, n. 1098, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1785; 18 giugno 1990, n. 6129, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1296 (costituisce eccezione ammissibile in appello, e non domanda nuova, quella relativa all'insus sistenza dell'obbligazione tributaria afferente l'imposta di registro, sollevata dal contribuente che abbia impugnato con esito positivo l'av
viso di accertamento davanti alla commissione di primo grado conte
stando la legittimità del credito di valutazione); App. Catania 9 gennaio 1991, ibid., n. 1308; App. Roma 7 maggio 1990, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 2527; Comm. trib. centrale 15 luglio 1992, n. 4580, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 1099; 13 dicembre 1990, n. 8347, id., Rep. 1991, vo
ce cit., n. 935.
This content downloaded from 141.101.201.172 on Sat, 28 Jun 2014 18:29:45 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
b) l'ufficio ha violato l'art. 39 d.p.r. 600/73 per i motivi de
dotti per la prima volta in una memoria presentata dopo la pro
posizione dell'appello, e la commissione regionale ha errato a
dichiarare inammissibile questa doglianza relativa al metodo di
accertamento, posto che il divieto delle nuove eccezioni in ap
pello, previsto dall'art. 57, 2° comma, d.leg. 546/92 è inappli cabile ai sensi dell'art. 79, 1° comma, stesso decreto ai giudizi
pendenti in appello (come quello attuale) alla data di entrata in
vigore del nuovo contenzioso tributario, e cioè al 1 °
aprile 1996;
c) nel merito, l'ufficio ha errato ad applicare l'art. 39 d.p.r. 600/73.
Ritiene la corte che il ricorso è infondato, per cui deve essere
rigettato. È emerso dalla sentenza impugnata che:
1) con il ricorso introduttivo i contribuenti hanno proposto due motivi di doglianza, il primo relativo ad una dichiarazione
integrativa presentata ai sensi degli art. 14 e 19 1. 154/89 prima della notifica dell'accertamento, e il secondo relativo alla man
canza nell'avviso di accertamento dell'indicazione «dei versa
menti in autotassazione o per iscrizione a ruolo»;
2) con l'atto di appello i contribuenti hanno riaffermato di
avere rispettato, con la dichiarazione integrativa avente effetti
sananti, le previsioni della 1. 154/89, allegando i relativi calcoli;
3) successivamente alla proposizione dell'appello, con una
memoria, i contribuenti hanno sostenuto che «le indicazioni
delle quali avevano eccepito la mancanza nell'avviso di accer
tamento erano riferite all'aliquota minima e massima applicata e
alla relativa liquidazione dell'imposta in base all'imponibile ac
certato» e che il ricorso all'accertamento induttivo di cui all'art.
39 da parte dell'ufficio era illegittimo «per essere stati determi
nati i ricavi solo in base ad una percentuale di ricarico».
A parere della corte, entrambe le doglianze formulate con la
memoria aggiunta presentata in appello costituiscono «domande
nuove», la cui proposizione deve essere considerata vietata an
che sotto il vigore del d.p.r. 636/72, giusta il conforme orienta
mento espresso sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, che
hanno sempre fatto riferimento all'art. 345 c.p.c., la cui ratio è
quella di evitare la sottrazione, per le domande nuove in appel lo, ad un grado di giudizio.
In effetti, il problema delle domande nuove ha riguardato e
In dottrina, relativamente al contenuto della disciplina transitoria delle controversie tributarie in grado di appello, è pacifico che l'esclu sione indicata dall'art. 79 d.leg. 546/92 circa l'applicazione delle nuove norme ai giudizi pendenti vada riferita al solo divieto delle eccezioni nuove: cfr. Glendi, «Nova» in appello e disciplina «transitoria», cit., 383; Pistolesi, Il giudizio di appello, in II processo tributario a cura di
Tesauro, Torino. 1998, 685, 724: A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 994 s.; Baglione, in II nuovo processo tributario. Commentario a cura di Ba
glione-Menchini-Miccinesi, Milano, 1997, 665. Isolata la posizione di
Porcaro, Limiti al divieto di «ius novorum» tra vecchio e nuovo pro cesso tributario, in Corriere trib., 1998, 990, ad avviso del quale il di
sposto dell'art. 79 d.leg. 546/92 consente di ritenere non applicabile ai
giudizi pendenti dinanzi alla commissione tributaria di secondo grado, o comunque svoltisi in primo grado secondo le norme del previgente ordinamento processuale, tanto il divieto delle domande nuove quanto quello relativo alle eccezioni nuove.
Per un'accurata ricognizione delle tematiche connesse alla complessa ricostruzione dell'istituto dell'eccezione nell'ambito del processo tri
butario, cfr. Fransoni, La costituzione in giudizio, in II processo tribu
tario, cit., 419, 447 ss.
Ritengono che in grado di appello le eccezioni proponibili dal con tribuente costituiscono sostanzialmente i motivi che la parte deve ad durre a fondamento delle domande, sicché il divieto di proporre nuove eccezioni potrebbe essere già racchiuso nel divieto di proporre nuove
domande, Pistolesi, op. cit., 723; Tesauro, Processo tributario, voce del Digesto comm., Torino, 1994, XI, 336, 356; Consolo, Le impugna zioni in generale e l'appello nel nuovo processo tributario, in Fisco, 1994,3378,3381.
Sul divieto dello ius novorum in grado di appello, come disciplinato dal d.leg. 546/92, cfr. Russo, Appello (diritto tributario), voce dell'En
ciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1998, II, 5 ss., ove ulteriori rife rimenti bibliografici; v. altresì Santamaria, Il nuovo processo tributa rio - Le impugnazioni - Appello - Ricorso per cassazione, in Fisco, 1997, ali. al n. 13; Domini, Il nuovo processo tributario: il regime delle
impugnazioni ed in particolare il giudizio di appello, in Rass. imp., 1994, 338.
Il Foro Italiano — 2003.
riguarda non tanto l'amministrazione (la cui posizione risultava
e risulta normalmente dall'atto impugnato), quanto il contri
buente che formulava e formula domande sia nel ricorso intro
duttivo che nell'eventuale atto di appello, domande intese evi
dentemente ad ottenere l'eliminazione dell'atto impugnato o la
riduzione delle sue conseguenze. In giurisprudenza il principio del divieto delle domande nuo
ve in appello in materia tributaria è stato affermato in passato in
più occasioni (cfr., per tutte, Cass., sez. un., 5354/89, Foro it..
Rep. 1990, voce Tributi in genere, n. 2526; 6358/87, id., Rep.
1987, voce Appello civile, n. 45, secondo cui è domanda nuova
quella che introduca una diversa causa petendi, fondata su si
tuazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in parti colare su un fatto giuridico costitutivo del diritto originaria mente vantato, radicalmente diverso, sicché risulti inserito nel
processo un nuovo tema di indagine).
Ora, la disciplina del divieto delle domande nuove è stata ri
badita espressamente dal 1° comma dell'art. 57 d.leg. 546/92,
pacificamente applicabile sia agli appelli pendenti al 1° aprile 1996 (data dell'effettiva entrata in vigore del nuovo contenzioso
tributario), sia agli appelli presentati in epoca successiva, pro
prio in virtù del fatto che questa disciplina non è affatto innova
tiva rispetto al passato (dato che la norma esplicita soltanto un
principio che era sicuramente enucleabile dal sistema prece
dente). Né ha pregio il richiamo fatto dai contribuenti nel ricorso in
Cassazione al 2° comma dell'art. 57 d.leg. 546/92, dichiarato
inapplicabile dall'art. 79. 1° comma, stesso decreto, ai processi in appello pendenti alla data del 1° aprile 1996, poiché nella
specie non si tratta di «eccezioni» nuove, ma di «domande»
nuove.
La norma malamente invocata dai contribuenti riguarda le
«eccezioni», la cui disciplina è stata modificata dal nuovo con
tenzioso, sulla scia della modifica subita dall'art. 345 c.p.c. ex
art. 52 1. 353/90, con effetto dal 30 aprile 1995. In verità, il legis latore della riforma del processo civile del 1990 ha ritenuto di
estendere il divieto dello ius novorum anche alle eccezioni non
rilevabili d'ufficio, e questa scelta è stata recepita anche dal le
gislatore del nuovo contenzioso tributario. Ed è proprio in virtù
del carattere innovativo dell'art. 57, 2° comma, che corretta
mente il legislatore del nuovo contenzioso ha previsto espres samente la sua inapplicabilità agli appelli pendenti al 1° aprile 1996.
Nella specie, questa nuova disciplina delle eccezioni è del
tutto irrilevante posto che i contribuenti hanno formulato, con la
memoria in appello, due domande nuove, prima mai avanzate, e
non due eccezioni. Con la prima è stata dedotta la nullità del
l'avviso di accertamento perché carente dell'aliquota da appli care, mentre con la seconda è stata dedotta l'illegittimità del ri
corso al metodo induttivo di cui all'art. 39 d.p.r. 600/73. Quindi, con esse è stata modificata l'originaria causa petendi del ricorso
introduttivo (che tendeva a dimostrare l'illegittimità dell'accer
tamento per una pretesa sanatoria ottenuta per effetto di una di
chiarazione integrativa presentata in base alla 1. 154/89). Infine, la doglianza relativa al merito, indicata sub c), non
può essere esaminata poiché riguarda lo stesso motivo ritenuto
inammissibile dal giudice di appello perché costituente doman
da nuova.
This content downloaded from 141.101.201.172 on Sat, 28 Jun 2014 18:29:45 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions