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sezione tributaria; sentenza 3 aprile 2000, n. 3979; Pres. Cantillo, Est. Graziadei, P.M. Nardi...

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sezione tributaria; sentenza 3 aprile 2000, n. 3979; Pres. Cantillo, Est. Graziadei, P.M. Nardi (concl. diff.); Soc. Eptaconsors (Avv. Gallo, Salvini) c. Min. finanze. Cassa Comm. trib. reg. Lombardia 30 maggio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 5 (MAGGIO 2000), pp. 1459/1460-1463/1464 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194745 . Accessed: 25/06/2014 06:58 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.37 on Wed, 25 Jun 2014 06:58:33 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione tributaria; sentenza 3 aprile 2000, n. 3979; Pres. Cantillo, Est. Graziadei, P.M. Nardi(concl. diff.); Soc. Eptaconsors (Avv. Gallo, Salvini) c. Min. finanze. Cassa Comm. trib. reg.Lombardia 30 maggio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 5 (MAGGIO 2000), pp. 1459/1460-1463/1464Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194745 .

Accessed: 25/06/2014 06:58

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1459 PARTE PRIMA 1460

cazione dei centri di spesa; moltiplicazione connessa, tra l'altro,

allo sviluppo del decentramento ed all'istituzione delle regioni. Nel modificare la configurazione tradizionale delle competenze della Corte dei conti, precipuamente caratterizzate dal riscontro

preventivo di legittimità sugli atti delle amministrazioni dello

Stato, la legge sopra menzionata ha avuto il duplice fine di ri

durre l'area di detto controllo e di conferire primario rilievo, con riguardo a tutte le amministrazioni, al controllo sulla ge

stione, avente per oggetto non già i singoli atti, ma l'attività

amministrativa considerata nel suo concreto e complessivo svol

gimento. 6. - Nell'ambito di tale nuovo ordinamento si colloca anche

l'art. 3, 5° comma, 1. n. 20 del 1994, che contempla «nei con

fronti delle amministrazioni regionali», un controllo inteso a

rilevare «il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di

principio e di programma», in vista del conclusivo adempimen

to, indicato nel 6° comma del medesimo articolo, di riferire,

almeno annualmente, ai consigli regionali sull'esito del control

lo stesso.

Chiamata a pronunziarsi sulla costituzionalità delle disposi zioni testé ricordate, questa corte ha avuto cura di definire pun tualmente i limiti della competenza assegnata alla Corte dei conti,

precisando che, al fine di escludere la lesione dell'autonomia

politico-legislativa costituzionalmente garantita alle regioni, la

norma di cui al 5° comma dell'art. 3 della legge deve essere

interpretata nel senso che, ai fini del controllo successivo sulla

gestione delle amministrazioni regionali, il raffronto fra obietti

vi e risultati debba operarsi essenzialmente alla luce delle leggi emanate dalla regione stessa (sentenza n. 29 del 1995 già citata).

7. - Nel caso all'esame la ricorrente, muovendo dal rilievo

che la censurata deliberazione del collegio regionale n. 1 del

1998 pone a fondamento del controllo da effettuare il rendicon

to della regione, ne trae la conclusione che la Corte dei conti

intenda procedere ad una verifica del documento contabile in

sé, tale da alterare — sia a ritenere che il riscontro si svolga

prima sia a ritenere che avvenga dopo l'approvazione del con

suntivo da parte del consiglio regionale — un procedimento,

quale quello legislativo, rientrante (dall'inizio alla fine) nell'e

sclusiva competenza della regione stessa.

Tale tesi non può essere, tuttavia, condivisa, non emergendo dall'esame di detta deliberazione, come pure degli altri atti im

pugnati, elementi idonei a dimostrare l'eventuale intendimento

della Corte dei conti di esorbitare dalle competenze ad essa as

segnate dalla 1. n. 20 del 1994. Invero la circostanza che il con

trollo prenda avvio dal rendiconto 1997 e si estenda alle serie

storiche degli anni precedenti non risulta elemento indicativo

di tale scopo, in quanto i consuntivi, nello svolgimento dei ri

scontri, vengono, in realtà, assunti semplicemente come stru

menti di analisi e comparazione rispetto alle leggi di principio e di programma. Depone, invero, in tal senso la stessa delibera

zione impugnata là dove, nel precisare che costituiranno ogget to di esame, oltre ai rendiconti, anche i corrispondenti bilanci

di previsione annuali e pluriennali, indica, quale fine dell'anali

si, quello di «verificare gli eventuali scostamenti rispetto ad essi

del conto finanziario e di raffrontare, con i programmi appro

vati, i risultati ottenuti». L'obiettivo finale si desume, poi, dal

la parte conclusiva della stessa deliberazione, là dove si precisa che dell'esito delle verifiche «il collegio riferirà al consiglio re

gionale della Puglia». Ad avvalorare ulteriormente le sopra espo ste conclusioni possono addursi i dati desumibili anche dagli altri atti impugnati, che concorrono a delineare, secondo le in

dicazioni dello stesso art. 3 1. n. 20 del 1994, il contesto orga nizzativo e procedimentale nel quale si colloca la funzione eser

citata, nel caso qui in esame, dalla Corte dei conti. Sotto questo

aspetto, a parte il richiamo che la già menzionata deliberazione

delle sezioni riunite 13 giugno 1997, n. 1 espressamente fa dei

«particolari limiti» previsti dall'art. 3, 4° e 5° comma, 1. n.

20 del 1994, in ordine al compimento demandato all'organo di controllo, assumono specifico significato gli elementi risul

tanti dalla deliberazione delle sezioni riunite 5 dicembre 1997, n. 1 (ibid., Ili, 179), ove si precisa (par. 2.3) che il compito di riscontro dei collegi sulle amministrazioni regionali è finaliz

zato alla redazione di un referto sull'esercizio 1997, «fondato»

sul rendiconto della regione e, quindi, come è lecito arguire, non tale da avere ad oggetto il rendiconto stesso.

8. - Così inteso, il programma di controllo sfugge a tutte

le censure formulate dalla ricorrente, giacché appare coerente

Il Foro Italiano — 2000.

con quella funzione di referto sull'amministrazione regionale che

la Corte dei conti è chiamata a svolgere verificando, così come

richiede l'art. 3, 5° comma, 1. n. 20 del 1994, «il perseguimento

degli obiettivi stabiliti» dalle leggi regionali di principio e di programma, in vista di relazioni che hanno per essenziale desti

natario il consiglio. E ciò tanto più ove si consideri che le con

notazioni collaborative, di cui la regione lamenta l'assenza, vanno

rinvenute, come già messo in evidenza dalla sentenza di questa corte n. 29 del 1995, nell'essenza stessa della funzione esercita

ta, che, lungi dall'atteggiarsi come «un potere statale che si con

trappone alle autonomie delle regioni», si risolve, invece, in un

compito «al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente

tutelate, e precisamente volto a garantire che ogni settore della

pubblica amministrazione risponda effettivamente al modello

ideale tracciato dall'art. 97 Cost.».

9. - D'altro canto, una volta definito l'ambito dei riscontri

che, nel caso di specie, sono da reputare di competenza della

Corte dei conti — ambito dal quale non v'è motivo di ritenere

che essa voglia discostarsi — non trova fondamento neppure

l'ipotesi che l'organo di controllo abbia voluto arbitrariamente

rifarsi ad un paradigma riconducibile a quello proprio dei giu dizi di parificazione, previsti, dagli art. 38-43 r.d. 12 luglio 1934

n. 1214, per il rendiconto generale dello Stato, e da altre dispo sizioni di legge, per il rendiconto di talune delle regioni a statu

to speciale. Detti giudizi, il cui oggetto è la verifica della legittimità e

regolarità della gestione finanziario-contabile, si svolgono, co

me è noto, nelle forme della giurisdizione contenziosa, sulla ba

se delle disposizioni processuali del r.d. n. 1214 del 1934 e del

r.d. n. 1038 del 1933, concludendosi con una vera e propria decisione. Tuttavia, le peculiarità formali e sostanziali di tali

giudizi non appaiono riscontrabili nel censurato procedimento di verifica predisposto dal collegio regionale di controllo, che,

nell'ambito di quanto previsto dall'art. 3, 5° e 6° comma, 1.

n. 20 del 1994, ha per oggetto le verifiche tipiche del c.d. con

trollo sulla gestione, con risultati destinati, infine, a confluire

nella relazione indirizzata all'organo consiliare regionale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara che spetta

allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, collegio di controllo

per la regione Puglia, procedere, secondo i criteri e per le finali

tà indicati in motivazione, all'esame del rendiconto della regio ne stessa, relativo all'esercizio finanziario 1997.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 3 apri le 2000, n. 3979; Pres. Cantillo, Est. Graziadei, P.M. Nar

di (conci, diff.); Soc. Eptaconsors (Avv. Gallo, Salvini) c.

Min. finanze. Cassa Comm. trìb. reg. Lombardia 30 maggio 1997.

CORTE DI CASSAZIONE;

Redditi (imposte sui) — Acquisto e vendita di azioni — «Divi

dend washing» — Legittimità (Cod. civ., art. 1344; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di

accertamento delle imposte sui redditi, art. 37; d.p.r. 22 di

cembre 1986 n. 917, approvazione del testo unico delle impo ste sui redditi, art. 14).

L'acquirente di azioni da un fondo comune d'investimento, che,

successivamente all'incasso dei dividendi, rivende le azioni stes

se al medesimo fondo (c.d. dividend washing^, ha diritto a

far valere il credito d'imposta sugli stessi dividendi e le altre

detrazioni connesse all'operazione, a nulla rilevando il fatto

che, attraverso questa operazione, l'amministrazione finan ziaria ottenga un incasso inferiore a quello che le avrebbe

assicurato la persistenza dei titoli in capo all'originario inte

statario. (1)

(1) La Suprema corte si pronuncia, a quanto consta, per la prima volta sulla legittimità delle operazioni di dividend washing poste in esse

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — L'ufficio delle imposte dirette di Milano, con accertamento in rettifica della dichiarazione pre sentata ai fini dell'Irpeg e dell'IIor per l'esercizio 1990-1991 dal

la s.p.a. Eptaconsors, le ha contestato di aver stipulato acquisti e rivendite di titoli azionari del fondo comune d'investimento

Eptacapital, gestito dalla s.p.a. Eptafund (controllata dagli stessi

istituti di credito che controllavano la Eptaconsors), al solo sco

po di far figurare come propri i dividendi delle azioni, con eiu

sione del trattamento fiscale previsto quando i dividendi mede

simi siano percepiti da fondi d'investimento; su questa premes sa, e con riferimento all'art. 37, 3° comma, d.p.r. 29 settembre

1973 n. 600, ha escluso che la Eptaconsors potesse far valere

il credito d'imposta di cui all'art. 14, 1° comma, d.p.r. 22 di

cembre 1986 n. 917, portare in detrazione le ritenute d'acconto

effettuate dalle società emittenti, opporre come perdita la diffe

renza fra il maggior prezzo d'acquisto ed il minor prezzo di

rivendita dei titoli (rispettivamente al lordo ed al netto dei divi

dendi), ed ha reclamato il pagamento della somma di lire

694.266.000 per imposte evase e di lire 2.013.348.000 per san

zioni pecuniarie.

L'impugnazione del relativo avviso da parte della società è

stata respinta dalla Commissione tributaria di primo grado di

Milano.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha di

re prima del 10 novembre 1992. Con la 1. 5 novembre 1992 n. 429, entrata in vigore il 10 novembre dello stesso anno, è stato introdotto il comma 6 bis dell'art. 14 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, in base al quale ai soggetti che acquistano azioni o quote di partecipazione nel le società o enti indicati alle lett. a) e b) del 1° comma dell'art. 87

d.p.r. 917/86, da fondi comuni di investimento (1. 23 marzo 1983 n. 77 e successive modificazioni) o dalle società di investimento a capitale variabile (Sicav: d.leg. 25 gennaio 1992 n. 84), il credito d'imposta non

spetta limitatamente agli utili la cui distribuzione è stata deliberata an teriormente alla data della cessione. Anteriormente all'entrata in vigore della normativa citata, per beneficiare del credito d'imposta sui divi dendi che, altrimenti, si sarebbe perso, i fondi comuni d'investimento o le Sicav vendevano, prima della distribuzione degli stessi, i titoli azio nari ad un soggetto che avesse il diritto al relativo credito; dopo l'ac

quisizione del dividendo e del relativo credito, la cessionaria rivendeva allo stesso fondo o alla Sicav i titoli ad un prezzo più basso che teneva conto del dividendo incassato e dello stesso credito d'imposta.

Hanno ritenuto legittime le operazioni di dividend washing, sul rilie vo dell'inapplicabilità dell'art. 37 d.p.r. 600/73, ovvero dell'inapplica bilità dell'art. 6, 2° comma, d.p.r. 917/86: Comm. trib. prov. Milano 20 luglio 1999, Fisco, 1999, 12335, con nota di V. De Luca, e Bolletti no trib., 1999, 1395, con nota di C. Vecchio; 9 aprile 1999, Rass.

trib., 1999, 1465; 30 marzo 1998, Foro it., Rep. 1998, voce Tributi in genere, n. 803; Comm. trib. prov. Firenze 28 marzo 1998, Toscana

giur., 1998, 641; Comm. trib. prov. Bologna 27 marzo 1998, Foro it.,

Rep. 1998, voce cit., n. 804; Comm. trib. prov. Torino 29 gennaio 1998, ibid., n. 805.

Contra: Comm. trib. reg. Piemonte 25 gennaio 1999, Rass. trib., 1999, 853, per la quale «il dividend washing è contratto esclusivamente motivato al fine di elusione fiscale», che quindi «viola i principi del buon costume»; il che ne «implica la nullità», da cui «consegue il dirit to a chiunque di disconoscerne gli effetti»; Comm. trib. prov. Roma 16 ottobre 1998, Banca dati Corriere trib., 1999, 1212, per la quale l'ufficio può privare di efficacia ai sensi dell'art. 1417 c.c., in quanto simulata, l'operazione de qua, e a tale fine può avvalersi della prova presuntiva; Comm. trib. prov. Parma 20 luglio 1998, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 802, che ritiene configurata la fattispecie della simu lazione per interposizione personale e dell'illiceità della causa, e, sul

piano più specificamente proprio della normativa tributaria, la sua ri conducibilità al dettato degli art. 37, 3° comma, d.p.r. 600/73 (che riguarda appunto la simulazione per interposizione) e 6, 2° comma,

d.p.r. 917/86; Comm. trib. prov. Cuneo 3 novembre 1997, ibid., n.

806, in cui si qualifica come fittizia la cessione di titoli in funzione

del recupero del credito d'imposta. Il Secit (servizio centrale degli ispettori tributari) con delibera n. 49

del 1993, in Notiziario fiscale, 1993, fase. 4, 64, dopo avere definito

il dividend washing come un negozio atipico «di scambio di reddito

a scopo di guadagno fiscale» e, pure riconoscendone la liceità e l'effica

cia sotto il profilo civilistico, ritiene che l'interposizione e sostituzione

restano prive di rilievo fiscale e sono disconoscibili dall'amministrazio

ne finanziaria, sul rilievo che in tali casi trova applicazione l'art. 6, 2° comma, d.p.r. 917/86, che codifica il principio della «insostituibilità del reddito» e l'art. 37, 3° comma, d.p.r. 600/73, che consente di im

putare ad un soggetto diverso i «redditi di cui appaiono titolari altri

soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi,

precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta

persona».

Il Foro Italiano — 2000.

satteso il gravame della contribuente, ritenendo corretta l'appli cazione del citato art. 37, e rilevando che le compravendite co stituivano negozi collegati rivolti a conseguire un risparmio fi

scale, erano prive di causa diversa dall'elusione degli obblighi tributari, implicavano una fittizia imputazione alla Eptaconsors di redditi altrui (cioè del fondo d'investimento).

La Eptaconsors, con ricorso notificato il 15 ottobre 1997, articolato in tre motivi connessi, ha chiesto la cassazione della sentenza della commissione regionale, addebitandole:

— di aver erroneamente applicato il predetto art. 37, 3° com

ma, riguardante il caso dell'interposizione fittizia nel possesso di redditi, in una fattispecie diversa, in cui vi erano stati effetti

vi trasferimenti e ritrasferimenti di azioni, e dunque poteva even

tualmente ipotizzarsi solo un'interposizione reale (primo motivo); — di aver violato gli art. 27, 1° comma, d.p.r. 29 settembre

1973 n. 600, 14, 1° comma, e 52 d.p.r. 22 dicembre 1986 n.

917, per aver ritenuto tassabili nei suoi confronti i dividendi

azionari in contraddizione con l'assunto del carattere fittizio delle

operazioni e con arbitraria applicazione del regime fiscale che

i dividendi medesimi avrebbero avuto soltanto se percepiti da

un fondo d'investimento (secondo motivo); — di aver violato l'art. 1344 c.c., con il ritenere la nullità

dei contratti per devianza della causa, vale a dire per causa di

retta ad aggirare norme imperative, trascurando che la frode

Sulla irrilevanza penale delle operazioni di dividend washing, v. Trib. Roma 25 marzo 1999, in questo fascicolo, II, 313.

La dottrina è concorde nel ritenere fiscalmente lecite le operazioni di dividend washing. In tal senso, v. P. Monarca, Operazioni di scam bio ed usufrutto su azioni, in Corriere trib., 1999, 3073, il quale rileva che «nel campo delle imposte dirette non vi è alcuna traccia di disposi zioni di legge che consentono all'amministrazione finanziaria di richia mare a tassazione redditi a seguito di una (ri)qualificazione di contratti

posti in essere dal contribuente»; G. Porcaro, Ancora in tema di «di vidend washing»: la nullità civilistica del contratto è sinonimo di inter

posizione?, in Riv. giur. trib., 1998, 1096, secondo il quale, in linea

generale, ove l'operazione posta in essere dal contribuente «sfrutti una

generica ed indeterminata imperfezione del sistema tributario, diventa

per contro tecnicamente difficile utilizzare l'art. 1344 c.c., venendo a mancare proprio una delle condizioni da tale articolo previste ai fini della declaratoria della nullità del contratto. Ebbene, nel caso di divi dend washing, appare tutt'altro che agevole individuare la norma impe rativa specificamente elusa; il primo cessionario (o l'usufruttuario), in

quanto titolari del diritto reale sull'azione e quindi 'legittimi' percettori dei dividendi, hanno diritto a vedersi attribuito il credito d'imposta. Più propriamente è il 'sistema' che risulterebbe aggirato, non la singola disposizione»; D. Stevanato, «.Dividend washing» e usufrutto su azio ni: riflessioni «a caldo» su sostituzione di redditi, simulazione ed elu sione tributaria, in Rass. trib., 1999, 1496; Id., «Dividend washing», nullità de! contratto per contrarietà al buon costume e «giustizialismo fiscale», ibid., 863, che, con riferimento alla tesi della nullità del con tratto stipulato a fini di elusione fiscale, ritiene che si tratta «di un'opi nione a dir poco stravagante e comunque storicamente confutabile, vi sto il dibattito che nell'ultimo decennio ha accompagnato l'introduzio

ne, nell'ordinamento tributario italiano, di una norma antielusiva

semi-generale (il previgente art. 10 1. 408/90 e l'attuale art. 37 bis d.p.r. 600/73). La tesi propugnata dalla commissione piemontese, nel postula re una valenza pregiuridica dell'elusione tributaria, come regola di con dotta antisociale (al di fuori quindi di ogni assetto di diritto positivo), comporta anche — a rigore — la perfetta superfluità di ogni clausola

espressa antielusiva, generale o specifica, giacché la materia sarebbe a

questo punto appannaggio della 'morale' sociale, esternata dalla collet

tività per bocca del giudice chiamato a dichiarare la nullità dei contratti a causa 'elusiva' e perciò contrari al buon costume»; D. D'Agostino G. D'Agostino, Brevi note in materia di operazioni di «dividend wa

shing», in Fisco, 1998, 10750, secondo i quali, «posto che l'art. 37

si applica ai soli casi di interposizione fittizia e non ha portata antielusi

va nell'operazione di acquisto e successiva rivendita di titoli azionari

posta in essere dal cessionario è agevole dimostrare come non sussista

no minimamente le condizioni per applicarlo, partendo dal presupposto che tale operazione costituisce, al limite ed a tutto concedere (e, ovvia

mente, previa adeguata dimostrazione da parte del fisco), una forma

di interposizione reale, dal momento che la cessione e la successiva re

trocessione dei titoli sono realmente volute dalle parti e non fittizie»

e che «l'art. 6, 2° comma, riguarda esclusivamente il soggetto cedente

(il fondo comune di investimento mobiliare), limitandosi a disporre che

il reddito da questo ricevuto in contropartita prende (nell'imponibile del cedente) il posto del reddito ceduto (. . .) potrebbe quindi essere

richiamato solo per ricondurre a tassazione in capo al fondo, quale utile da partecipazione, la plusvalenza da negoziazione realizzata in se

de di vendita dei titoli azionari in discorso».

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1463 PARTE PRIMA 1464

fiscale postula l'inosservanza di specifiche norme «antielusive», e non può discendere dal mero rilievo che un atto negoziale abbia evitato il verificarsi dei presupposti di una determinata

imposta o comportato un trattamento meno oneroso (terzo

motivo). L'amministrazione finanziaria ha replicato con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato, sulla scorta

e nei limiti delle considerazioni che seguono. La commissione regionale ha ricostruito la complessiva vicen

da negoziale ravvisando una pluralità di contratti collegati, po sti in essere per ottenere un risparmio fiscale; non ha quindi messo in dubbio l'effettività della cessione e della retrocessione

delle azioni, né il fatto che la Eptaconsors avesse realmente per

cepito gli utili distribuiti dalle società emittenti delle azioni, ed

ha prestato sostanziale adesione alla tesi dell'ufficio, secondo

cui quei contratti erano inefficaci e comunque non opponibili all'amministrazione finanziaria perché rispondevano alla comu

ne intenzione delle parti di godere di un regime di tassazione

dei redditi globalmente più favorevole (tenendo conto della rife

ribilità degli esborsi della Eptaconsors e della Eptafund all'uni

co «gruppo» che controllava entrambe). Contro queste premesse e questi rilievi di effettività dei tra

sferimenti, ancorché finalizzati all'indicato obiettivo, non può essere valorizzata la qualificazione come «fittizia» dell'imputa zione dei dividendi alla Eptaconsors, per inferirne che la com

missione regionale avrebbe ravvisato, se non altro in alternativa

al collegamento di compravendite reali, una simulazione delle

stesse, nel senso che i trasferimenti ed i ritrasferimenti sarebbe

ro stati mera veste esteriore, per la presenza di una controdi

chiarazione idonea ad escludere ogni effettivo passaggio; nella

radicale carenza di specificazioni sul punto, ed anzi a fronte

della esplicita affermazione di presupposti di segno opposto,

quella qualificazione, del resto riferita ai redditi e non agli atti

traslativi, resta sul piano dell'uso improprio del termine «fitti

zio», per corroborare un convincimento di predisposizione e con

nessione di contratti «veri» allo scopo di evadere in tutto od

in parte l'imposta sui dividendi.

Tale consistenza della sentenza impugnata e della ratio deci

dendi comporta l'erroneità dell'applicazione dell'art. 37, 3° com

ma, d.p.r. n. 600 del 1973 (aggiunto dall'art. 30 d.l. 2 marzo

1989 n. 69, convertito, con modificazioni, in 1. 27 aprile 1989

n. 154). Questa norma, stabilendo l'imputabilità al possessore effetti

vo dei redditi di cui «appaia» titolare altro soggetto in base

ad interposizione di persona, inequivocamente si occupa del ca

so dell'interposizione fittizia in senso proprio (non nel significa to adottato dalla commissione regionale), caratterizzata dalla

divaricazione fra situazione esteriore e situazione sostanziale,

rispettivamente riferibili all'interposto ed all'interponente, non

anche del caso dell'interposizione cosiddetta reale, quale quella accertata dalla sentenza impugnata, ove la forma e la sostanza

coincidono, e si può porre soltanto un problema di validità ed

efficacia dell'atto negoziale determinativo della variazione sog

gettiva nella titolarità del bene.

Sotto quest'ultimo profilo va ricordato che la nullità del con

tratto per devianza della causa, come quella ritenuta dalla com

missione regionale, in relazione al risultato conseguito in con

creto per il tramite dell'adozione di uno schema negoziale tipi

co, esige, ai sensi dell'art. 1344 c.c., la configurabilità in tale

risultato di violazione di norma imperativa. Detta evenienza, rispetto ai riflessi fiscali del rapporto con

trattuale, non è dunque identificabile nel mero «risparmio» (cui ha fatto riferimento la pronuncia impugnata), né può discende

re dal semplice rilievo che, senza la costituzione di quel rappor to, l'erario avrebbe ottenuto un maggiore incasso, ma presup

pone un quid pluris, cioè una disposizione di legge che vieti

il contratto quando esso (in sé lecito) implichi in concreto una

riduzione del prelievo impositivo.

Pertanto, a fronte di divergenti trattamenti fiscali, a seconda

del soggetto cui faccia capo un certo reddito, la frode alla legge ex art. 1344 c.c. non è ravvisabile per il solo fatto che un atto

negoziale (reale e non simulato) abbia spostato la titolarità del

bene al contribuente «favorito», occorrendo una norma che di

rettamente od indirettamente neghi la facoltà di trasmigrare con

Il Foro Italiano — 2000.

l'atto stesso dall'uno all'altro regime di tassazione; in difetto, si rimane nell'ambito della mera lacuna della disciplina tributa

ria, per non aver prefigurato la possibilità dei contribuenti di

optare per assetti privatistici fiscalmente proficui. Nella fattispecie in esame, quella del cosiddetto dividend wa

shing, caratterizzato dalla temporanea cessione di titoli azionari

dal gestore di un fondo d'investimento ad un terzo, per consen

tire a quest'ultimo di percepire i dividendi avvalendosi delle de

duzioni e dei crediti spettanti ai soggetti diversi dai fondi d'in

vestimento, non è individuabile nella normativa tributaria un

divieto del tipo sopra specificato; di tale carenza la difesa del

l'amministrazione dà sostanzialmente atto con il controricorso,

quando allega a conforto della legittimità della rettifica a carico

della Eptaconsors la simulazione delle compravendite delle azioni, e dunque, come si è detto, una situazione in fatto difforme

da quella acclarata in sede di merito (e del resto non dedotta

con l'avviso in contestazione). L'ammissibilità e la liceità di detta operazione, in assenza di

contraria previsione di legge, trovano sicura conferma nell'evo

luzione normativa successiva ai rapporti in discussione.

Il comma 6 bis dell'art. 14 d.p.r. n. 917 del 1986, aggiunto con effetto ex nunc dall'art. 7 bis d.l. 9 settembre 1992 n. 372

(convertito, con modificazioni, in 1. 5 novembre 1992 n. 429),

nega il credito d'imposta correlato alla distribuzione di utili azio

nari a chi acquisti i titoli da un fondo comune d'investimento

(dopo la delibera di distribuzione degli utili stessi).

Questa innovazione pone rimedio ai riflessi sfavorevoli per l'erario del diffondersi della prassi del dividend washing, e prov vede a colmare la menzionata lacuna, coordinando i due diversi

regimi impositivi con l'esclusione di uno dei vantaggi fiscali del

l'operazione (quello più consistente) e con la conseguenziale ac

centuazione del prelievo sui dividendi ove ineriscano ad azioni

in precedenza cedute da un fondo d'investimento ad altro

soggetto. La scelta del legislatore di elidere od attenuare la convenienza

fiscale dell'operazione riposa sull'evidente presupposto della li

ceità della medesima.

In conclusione, si deve affermare che, nella disciplina ante

riore alla citata integrazione dell'art. 14 d.p.r. n. 917 del 1986,

l'acquirente di azioni da un fondo comune d'investimento, il

quale effettivamente percepisca i dividendi e poi rivenda i titoli

al fondo stesso, può far valere il credito accordato da detta

norma in percentuale degli utili e le altre detrazioni connesse

all'operazione, indipendentemente dall'eventualità che l'opera zione medesima, in relazione al distinto trattamento fiscale cui

sono sottoposti i fondi d'investimento, si traduca in un incasso

per l'amministrazione finanziaria inferiore a quello che le avrebbe

assicurato la persistenza dei titoli in capo all'originario inte

statario.

Il principio esige, con l'accoglimento del ricorso e la cassa

zione della decisione della commissione regionale, la prosecu zione della causa in fase di rinvio, per il riscontro delle conse

guenze del principio stesso rispetto all'avviso impugnato.

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