sezione tributaria; sentenza 4 febbraio 2004, n. 2087; Pres. Papa, Est. Ferrara, P.M. Matera(concl. diff.); Soc. Caffaro (Avv. Lorenzoni) c. Min. economia e finanze (Avv. dello Stato). CassaApp. Trieste 15 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 3457/3458-3461/3462Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201492 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sione, sulla quale è impostato il sistema del citato art. 5 bis, tra
aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non
classificabili come edificatorie), appare evidente la necessità, al
fine di stabilire se tale danno vada commisurato all'uno piutto sto che all'altro criterio, di procedere al relativo accertamento
sulla base della classificazione urbanistica dell'area, senza che
siffatti criteri legali possano essere obliterati per dare la preva lenza a criteri di effettualità (Cass. 1° febbraio 2000, n. 1090, Foro it., Rep. 2000, voce Espropriazione per p.i., n. 463; 14
aprile 2000, n. 4838, ibid., nn. 422, 469; 24 luglio 2000, n. 9683, ibid., n. 468; 12 dicembre 2002, n. 17713, id, Rep. 2002, voce cit., n. 289).
Peraltro, è da notare come, per i comuni «sprovvisti di stru
menti urbanistici generali», la disposizione contenuta nell'art. 4,
ultimo comma, 1. n. 10 del 1977, sostanzialmente riprodotta da
quella, analoga e che viene in considerazione nel caso di specie, di cui all'art. 4 1. reg. Campania n. 17 del 1982, stabilisca tra
l'altro, quanto alle aree situate fuori del perimetro dei centri
abitati, che «l'edificazione a scopo residenziale non può supera re l'indice di me 0,03 per mq di area edificabilc» (pari a 0,07 mc/mq, in seno alla disciplina regionale sopra richiamata, «per le opere strettamente accessorie all'attività agricola»).
A tali previsioni normative, tuttavia, non può attribuirsi ca
rattere di regolamentazione urbanistica, ovvero carattere con
formativo idoneo a realizzare l'assetto complessivo del territo
rio attraverso l'articolata previsione delle destinazioni nelle va
rie zone in rapporto alle interrelazioni fra di esse ed ai bisogni della comunità, alla stregua dell'attività di pianificazione pro
pria degli strumenti urbanistici alla quale soltanto appartiene il
compito di caratterizzare l'area ai fini della determinazione del
l'indennità dovuta in materia di esproprio, trattandosi di una di
sciplina interinale con finalità meramente cautelari di salva
guardia, volta a consentire un riesame, in attesa della definitiva
destinazione del territorio, da parte della pubblica amministra
zione cui incombe l'obbligo di provvedere contemperando gli interessi pubblici e quelli privati, onde tale regime, vuoi a causa
della sua provvisorietà (in vista, cioè, dell'approvazione di un
valido strumento urbanistico), vuoi a causa delle stesse incer
tezze legate al futuro contenuto di quest'ultimo, non rappresenta una condizione normale dell'area e, costituendo piuttosto una
situazione eccezionale e transeunte, non può essere assimilato
alle limitazioni dello ius aedificandi introdotte dalla legge o
dallo strumento urbanistico, quali elementi conformativi ap
punto della proprietà (Cass. 30 dicembre 1998, n. 12880, id.,
2000, I, 59; 11 gennaio 1999, n. 181, id., Rep. 1999, voce cit., nn. 159, 188; 16 marzo 2001, n. 3834, id., Rep. 2001, voce cit., n. 131; 20 settembre 2001, n. 11866, ibid., n. 130; 22 febbraio 2002, n. 2563, id., Rep. 2002, voce cit., nn. 152, 204).
Esclusa, quindi, la possibilità di fare riferimento, per le ra
gioni esposte, all'art. 4 1. n. 10 del 1977, ovvero all'art. 4 1.
reg. Campania n. 17 del 1982, la natura edificatoria od agricola del terreno non può che discendere dall'interpretazione del già citato art. 5 bis 1. n. 359 del 1992, il quale, secondo l'orienta
mento giurisprudenziale ormai consolidato, si caratterizza per la rigida dicotomia, con esclusione dell'ammissibilità di un
tertium genus, tra «aree edificabili» (indennizzabili in percen tuale del loro valore venale) ed «aree agricole» o «non classifi
cabili come edificabili» (tuttora indennizzabili in base a valori
agricoli tabellari, ai sensi della 1. n. 865 del 1971) e che, del re
sto, alla luce della previsione del 3° comma là dove quest'ulti
mo, ai fini della valutazione dell'edificabilità delle aree, impo ne di «considerare le possibilità legali ed effettive di edifica
zione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preor dinato all'esproprio», postula la sufficienza del requisito del
l'«edificabilità legale», senza che sia necessaria la compresen za dell'«edificabilità di fatto», con l'ulteriore corollario, però, che a tale secondo criterio può invece farsi riferimento in via
complementare ed integrativa, agli effetti della determinazione
del concreto valore di mercato dell'area espropriata, nell'ipote si in cui sussistano delle cause che riducano od escludano le
possibilità reali di edificazione, incidendo così sull'utilizzazio ne del suolo e, conseguentemente, sulla liquidazione dell'in
dennità di esproprio ma non già sulla natura dell'area che ri
mane edificabilc se tale è considerata dallo strumento urbani
stico, ovvero in via suppletiva, in assenza cioè di una classifi
II Foro Italiano — 2005.
cazione del suolo da parte della pianificazione urbanistica
(Cass. 23 aprile 2001, n. 172/SU, id., 2002, I, 151; 11866/01, cit.; 12 dicembre 2001, n. 15704, id., Rep. 2001, voce cit., n. 134).
Nella specie, essendo stata dedotta dalle odierne ricorrenti
proprio la mancanza dello strumento urbanistico, là dove le pre dette hanno fatto specifica menzione, riproducendóla testual
mente, dell'osservazione del consulente tecnico di ufficio se
condo cui, quanto al piano regolatore generale che designa l'a
rea come «agricola», trattasi in realtà di «piano solo adottato e
mai approvato, annullato con delibera della giunta regionale del
9 dicembre 1989», si palesa la necessità, per valutare la natura
dell'area stessa, di considerare il parametro subordinato dell'e
dificabilità di fatto, secondo i consueti indici elaborati dalla giu risprudenza e dalla tecnica edificatoria che tengono conto delle
caratteristiche della zona e della possibile utilizzazione del ter
reno, sempreché risulti comunque accertata una sua compatibi lità con le generali scelte urbanistiche ed entro i limiti in ogni caso posti dalla 1. n. 10 del 1977.
A tali principi non si è attenuta la corte territoriale (la quale ha attribuito valore decisivo, ai fini della quantificazione del l'indennizzo, alla «natura agricola del suolo» occupato, ritenen
done «pacifica» la corrispondente destinazione e ricavando
quindi la stima del danno sulla base del corrispondente valore di
mercato, agricolo appunto, senza considerazione delle potenzia lità edificatorie del suolo medesimo), onde una valutazione del
genere di quella sopra indicata dovrà essere compiuta, nell'uni
formarsi ai riferiti principi, dal giudice del rinvio, il quale, se il
corrispondente accertamento risulterà positivo, nell'ipotesi in
cui, cioè, si debba riconoscere la vocazione edificatoria (di fat
to) del terreno, farà legittima applicazione del criterio introdotto
dall'art. 3, comma 65,1. n. 662 del 1996 (semisomma del valore
venale con il reddito dominicale rivalutato, senza la decurtazio
ne del quaranta per cento e con l'incremento del dieci per cen
to), mentre, nel caso contrario, in mancanza, cioè, di una simile
vocazione edificatoria, potrà considerare il terreno stesso come
agricolo ai fini risarcitori, onde il danno dovrà essere commisu
rato al valore venale di questo al momento della scadenza del
l'occupazione legittima, con relativa possibilità, in tale seconda
ipotesi, di tenere conto, indicativamente, dei criteri di cui agli art. 15 e 16 1. n. 865 del 1971. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 4 feb
braio 2004, n. 2087; Pres. Papa, Est. Ferrara, P.M. Matéra
(conci, diff.); Soc. Caffaro (Avv. Lorenzoni) c. Min. econo
mia e finanze (Avv. dello Stato). Cassa App. Trieste 15 marzo
2000.
Tributi in genere — Rimborso di imposta — Interessi — Di
sciplina speciale — Maggior danno — Risarcimento (Cod.
civ., art. 1224; 1. 26 gennaio 1961 n. 29, norme per la disci
plina della riscossione dei carichi in materia di tasse e di im
poste indirette sugli affari, art. 1, 5).
In tema di rimborso di imposte indirette indebitamente pagate, la disciplina degli interessi moratori contenuta nella l. 26
gennaio 1961 n. 29 non esclude il risarcimento del maggior danno ex art. 1224, 2° comma, c.c. (1)
(1) Conf., seppure in obiter dictum, Cass. 22 gennaio 1999, n. 552, Foro it., 1999,1, 1217; 19 aprile 2001, n. 5790, id., 2002,1, 1147.
Contra, Cass. 12 maggio 2003, n. 7236, id., Rep. 2003, voce Conces
sioni governative (tassa sulle), n. 22, cit. in sentenza, per la quale la di
sciplina dettata dagli art. 1 e 5 1. 26 gennaio 1961 n. 29 (e successive
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3459 PARTE PRIMA 3460
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
in data 21 settembre 1994 la soc. Chimica del Friuli s.p.a., ora Caffaro s.p.a. premesso di gestire uno stabilimento per la pro duzione di cloro e di soda mediante processo elettrochimico di
decomposizione del cloruro di sodio in idonee celle elettroliti
che, e di impiegare pertanto elevatissime quantità di energia elettrica quale fattore indispensabile del processo produttivo, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste l'ammini strazione finanziaria dello Stato per sentir accertare il proprio diritto a non pagare le addizionali istituite con l'art. 4 d.l. 30
settembre 1989 n. 332 relativamente all'energia elettrica utiliz
zata, e condannare la convenuta alla restituzione della somma
di lire 3.616.849.536 pagata a tale titolo, oltre interessi e risar cimento del maggior danno da svalutazione monetaria.
11 tribunale adito accoglieva integralmente la domanda con
sentenza n. 1066 del 27 giugno - 14 agosto 1997, ma l'ufficio impugnava là decisione dinanzi alla Corte d'appello di Trieste, che con sentenza n. 116 del 28 gennaio
- 15 marzo 2000, notifi
cata il 27 ottobre 2000, riformava parzialmente la sentenza im
pugnata, escludendo il diritto della creditrice al risarcimento an
che del maggior danno da svalutazione monetaria, sul presuppo sto dell'inapplicabilità dell'art. 1224, 2° comma, c.c. per avere
il legislatore già assoggettato i rimborsi di imposte indirette alla
corresponsione di particolari interessi a carico dell'amministra
zione finanziaria. Per la cassazione di questa sentenza proponeva ricorso notifi
cato il 27 ottobre 2000 la Caffaro s.p.a. articolando un unico
motivo di censura, al quale replicava l'amministrazione finan
ziaria con controricorso notificato il 6 dicembre 2000.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo articolato la
società ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applica zione di legge, con riferimento alle previsioni di cui agli art. 1224, 1284 e 2033 c.c.; art. 5 1. 26 gennaio 1961 n. 29; art. 16 d.l. 26 maggio 1978 n. 216 e art. 86 e 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, relativamente al capo della sentenza impugnata con il
quale si è esclusa l'applicabilità al caso di specie (avente ad og
getto rimborso di somme indebitamente riscosse a titolo di im
posta addizionale di consumo) della norma di cui all'art. 1224, 2° comma, c.c. ritenendola incompatibile con la previsione legis lativa di particolari interessi a carico dell'amministrazione fi
nanziaria.
Ad avviso della ricorrente, infatti, l'applicabilità alla doman
da di rimborso in questione, di una norma speciale, che liquida
gli interessi moratori con periodicità e ad un saggio diverso da
quello previsto dall'art. 1284 c.c. per le obbligazioni in generale
modifiche), esclude — atteso il suo carattere di specialità — che possa applicarsi il disposto del 2° comma dell'art. 1224 c.c., con la conse
guenza che il contribuente non ha diritto al risarcimento dell'eventuale danno superiore a quello ristorato dalla misura del tasso semestrale de
gli interessi fissata dal citato art. 1 1. n. 29 del 1961. Problematica analoga a quella affrontata dalla sentenza in epigrafe si
era presentata in giurisprudenza con riguardo al rapporto tra il 2° com ma dell'art. 1224 c.c. e la disciplina speciale prevista in materia doga nale dall'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43: nel senso dell'applicabi lità della normativa codicistica, v. Cass. 7 aprile 1986, n. 2415, id., 1986, I, 2187, con nota di richiami (cui adde Cass. 4 marzo 1986, n. 1346, id., Rep. 1986, voce Dogana, n. 141; 30 gennaio 1986, n. 600, ibid., n. 142), secondo cui la previsione normativa che fissa nella misu ra del tre per cento semestrale il saggio d'interesse sulle somme dovute dall'amministrazione finanziaria in occasione del rimborso di diritti
doganali non preclude al creditore di provare il maggior danno da sva lutazione monetaria con le conseguenze di cui all'art. 1224 c.c.; nello stesso senso, v. Cass. 12 febbraio 1987, n. 1533, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 103, e 15 maggio 1989, n. 2216, id., 1989, I, 2474, per le quali in sede di condanna dell'amministrazione finanziaria al rimborso di somme indebitamente percepite sull'importazione di merci, il ricono scimento in favore dell'importatore del maggior danno, per effetto di svalutazione monetaria, resta regolato dai principi generali posti dal l'art. 1224, 2° comma, c.c., che non trovano deroga nella normativa
speciale di cui all'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, che riguarda soltanto il tasso degli interessi.
L'applicabilità dell'art. 1224, 2° comma, c.c. è affermata da Annec
chino, Il rimborso della tassa di concessione governativa dopo il colle
gato alla finanziaria 1999 (nota ad App. Firenze 3 marzo 1999 e Trib. Trento 4 marzo 1999), id., 1999, 1, 1331, nonché da Forni, La discipli na delta «mora debendi» nelle obbligazioni tributarie: anatocismo e ri valutazione nella recente giurisprudenza della Suprema corte, in Dir. e
pratica trib., 2004, II, 635.
Il Foro Italiano — 2005.
(norma, ad avviso della creditrice, erroneamente individuata
dall'amministrazione finanziaria nell'art. 5 1. 26 gennaio 1961
n. 29, e costituita invece dall'art. 16 d.l. 216/78, come modifi
cato dall'art. 13 d.l. 30 settembre 1982 n. 688), non varrebbe ad
escludere la risarcibilità del maggior danno ex art. 1224 c.c.
A tale censura l'amministrazione finanziaria replica deducen
done .l'inammissibilità, e comunque l'infondatezza, rilevando
che il parametro di commisurazione del maggior danno cui fa ri
ferimento l'art. 1224 c.c. è e resta il danno risarcito con gli inte
ressi legali, intendendosi per tali esclusivamente quelli liquidati dall'art. 1284 c.c. mentre allorquando il legislatore ha previsto un tasso di interessi maggiore e diverso rispetto agli «interessi
legali», lo ha fatto proprio perché ha inteso risarcire quel mag
gior danno che ha ritenuto naturalmente insito nel tardivo
adempimento di talune obbligazioni pecuniarie, onde l'inappli cabilità della disciplina generale di cui al citato art. 1224, 2°
comma, c.c.
Il ricorso è fondato.
La tesi dell'amministrazione resistente, seguita dalla corte
territoriale, si fonda invero su un evidente equivoco, allorché ri
serva l'espressione «interessi legali», ai soli interessi previsti dall'art. 1284 c.c. facendone inevitabilmente conseguire un ef
fetto limitativo della portata dell'art. 1224, 2° comma, c.c.
A questo riguardo questa corte, sia pure con riferimento ad
una diversa problematica, ha già avuto modo di affermare il
principio secondo il quale gli interessi stabiliti da norme speciali di legge
— in misura diversa da quella fissata in via generale dal codice civile — con riferimento a determinati crediti, sono
anch'essi «interessi legali», cosicché la richiesta di questi, an
corché senza l'indicazione della legge speciale che ne stabilisce
la misura, ne impone la liquidazione ad opera del giudice, che in
base al principio iura novit curia è tenuto a conoscere ed appli care la disciplina speciale che regoli la misura degli interessi le
gali, in determinate materie, in misura difforme da quella gene rale (v. Cass. 28 agosto 2000, n. 11225, Foro it., Rep. 2000, vo
ce Interessi, n. 5). Partendo da tale considerazione, e recuperando pertanto il più
ampio significato correttamente e letteralmente riferibile al
l'espressione in questione, se ne deduce invece la portata gene rale della norma codicistica in tema di interessi moratori, che
non vi è motivo per ritenere incompatibile con le disposizioni
speciali che prevedono, in determinati casi, l'applicazione di
tassi più elevati di interessi, comportando queste unicamente
l'utilizzo di un parametro diverso di riferimento, rispetto alle
determinazioni dell'art. 1284 c.c., ai fini dell'accertamento e
della liquidazione dell'eventuale maggior danno subito dal cre
ditore per il ritardo nell'adempimento. In tal senso, del resto questa corte ha già avuto modo espres
samente e ripetutamente di esprimersi in passato in fattispecie
analoga, relativa al rimborso di tributi doganali, affermando che
l'applicabilità dell'art. 93 d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, che sta
bilisce un tasso d'interessi superiore a quello legale, non pre clude al creditore di provare il maggior danno ex art. 1224, 2°
comma, c.c. in quanto la norma speciale non ha lo scopo di pre determinare la misura dell'intero danno da lui subito. Ha osser
vato in proposito la corte, con ampia e convincente motivazione
che senz'altro si condivide, che: «Invero, anche nella previsione dell'art. 1224 c.c. l'obbligo di corrispondere gli interessi rap
presenta — al pari di altre ipotesi in cui sia previsto un tasso di
interessi diverso — una valutazione legale tipica dell'esistenza
e della misura del danno, salva la prova del danno ulteriore. Il
limite posto dalla norma — come quello analogamente previsto da norme speciali che fissano in misura predeterminata gli inte
ressi — si sostanzia in ciò che entro quel limite il creditore è
esonerato dal fornire la prova del danno subito, ma non è pri vato del diritto di chiedere e dimostrare il maggior danno, ove
esistente. E poiché la finalità della predeterminazione del tasso
d'interessi è la stessa, qualunque sia il parametro cui altre nor
me ancorano il limite entro il quale il creditore non ha l'obbligo di provare il danno, ne consegue che la deroga operata dalla
norma speciale rispetto all'art. 1224 c.c. riguarda soltanto il tas
so d'interessi, poiché nulla induce a ritenere che quelle norme
abbiano inteso incidere tanto profondamente sul regime vigente in materia, da sacrificare (ingiustificatamente) la tutela giudizia ria del maggior danno a favore del creditore» (v. Cass. 7 aprile
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1986, n. 2415, id., 1986,1, 2187; cfr. Cass. nn. 1345 e 1346 del 1986, id., Rep. 1986, voce Danni civili, nn. 172 e 173; 1533/87, id., Rep. 1987, voce Dogana, n. 103).
Vero è che recentemente* come dedotto dal procuratore gene rale in udienza, la stessa corte è andata in contrario avviso ri
spetto all'orientamento di cui sopra, e in fattispecie relativa al
rimborso di tassa di concessione governativa per l'iscrizione di
società nel registro delle imprese, premesso spettare al creditore
gli interessi ex art. 5 1. 26 gennaio 1961 n. 29, ha escluso l'ap
plicabilità dell'art. 1224, 2° comma, c.c. osservando che: «Gli
esposti elementi di difformità (semestralità degli interessi non
ché diversità ed autonomia del tasso de quo rispetto a quello ci
vilistico previsto dall'art. 1284 c.c. correlate alla peculiare natu
ra del debito tributario) mostrano appieno la specialità della di
sciplina dettata dagli art. 1 e 5 1. n. 29 del 1961 e da tale specia lità discende l'inapplicabilità, al rimborso di tasse indirette in debitamente pagate, della norma (art. 1224, 2° comma, c.c.)
prevedente il risarcimento dell'eventuale 'maggior danno' ri
spetto a quello ristorato dal tasso specifico degli interessi indi
cato nell'art. 1284 c.c. in quanto il risarcimento del maggior danno non è previsto, né in favore dell'erario né del contri
buente, dalla 1. n. 29 del 1961 ed il suo riconoscimento, con il
concorso di tutte le altre condizioni, potrebbe discendere solo
dall'indebito raffronto tra dati non omogenei, ovverosia sosti
tuendo al raffronto voluto dall'art. 1224 c.c. con il tasso annuale
indicato nell'art. 1284 c.c. il raffronto con il tasso semestrale
previsto dall'art. 1 1. n. 29 del 1961» (v. Cass. 12 maggio 2003, n. 7236, id., Rep. 2003, voce Concessioni governative (tassa
sulle), n. 22). E però la pronuncia in questione non appare convincente e
tale da superare le argomentazioni poste a fondamento del pre cedente, consolidato orientamento, così come innanzi ricordato.
Essa, tra l'altro, per un verso ripropone e si regge su quella in
terpretazione restrittiva dell'espressione «interessi legali», rife
rita solo ed esclusivamente all'art. 1284 c.c. che innanzi si è
già avuto modo di criticare e che risulta anch'essa in contrasto
con la giurisprudenza di questa corte; mentre per altro verso, in
maniera assolutamente non condivisibile, pretende desumere
dalla specialità della disciplina dettata dall'art. 5 1. 29/61, la non applicabilità della regola prevista dall'art. 1224, 2° com
ma, c.c. confortando questa tesi con l'assenza di previsione nella legge speciale del risarcimento del maggior danno, anzi
ché, come sembra più corretto, contenere quella specialità nei
limiti espressamente indicati dalla norma (tasso e periodicità
degli interessi), discendendo poi la risarcibilità del maggior danno, in assenza di espressa esclusione, dalla regola generale
posta dalla norma codicistica.
Se regola generale in materia di obbligazioni è il diritto del
creditore al pagamento degli interessi moratori, nonché al risar
cimento dell'eventuale maggior danno, così come inequivoca bilmente risulta dall'art. 1224 c.c. è l'eccezione, e cioè l'even
tuale non risarcibilità del danno ulteriore, che deve essere
eventualmente ed espressamente prevista dal legislatore, e non
il contrario. E del resto che così sia è dimostrato dal fatto che
quando il legislatore, dopo aver previsto il pagamento di inte
ressi moratori ad un tasso maggiore di quello determinato dal
l'art. 1284 c.c. ha ritenuto di contenere in quel limite il risarci
mento del danno da ritardato pagamento, escludendo l'applica bilità dell'art. 1224, 2° comma, c.c. ciò ha disposto espressa mente, come nel caso di cui all'art. 35, 3° comma, d.p.r. 16 lu
glio 1962 n. 1063 (capitolato generale d'appalto per le opere di
competenza del ministero dei lavori pubblici). D'altronde, anche sotto un profilo più rigorosamente razio
nale, considerato il sacrificio del diritto del creditore all'inte
grale risarcimento del danno subito in concreto dal ritardo nel
l'adempimento, che inevitabilmente discenderebbe dalla incom
patibilità tra le norme speciali in materia di interessi moratori e
l'art. 1224, 2° comma, c.c., è evidente l'estremo rigore con il
quale si deve procedere caso per caso alla verifica di quella
compatibilità, che deve necessariamente riconoscersi laddove
non ricorrano serie ragioni che giustifichino una diversa conclu
sione. E tali ragioni non sembra possano essere convincente
mente ravvisate nella necessità di assoggettare alla medesima
disciplina i crediti dell'erario nei confronti del contribuente, e
quelli del contribuente nei confronti dell'erario, rientrando anzi
nella logica del nostro sistema far discendere dalla diversa qua
li. Foro Italiano — 2005.
lità del creditore, conseguenze niente affatto secondarie in ordi
ne al contenuto dell'obbligazione accessoria prevista dall'art.
1224 c.c.
Concludendo, in accoglimento del ricorso la sentenza impu
gnata va dunque cassata, con conseguente rinvio, anche per la
liquidazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione
della Corte d'appello di Trieste che, nel decidere la controver
sia, si atterrà al principio di diritto secondo il quale, in assenza
di espressa previsione in senso contrario da parte del legislatore, la disciplina degli interessi moratori contenuta in leggi speciali non è di per sé astrattamente incompatibile con il risarcimento
del maggior danno ex art. 1224, 2° comma, c.c. comportando soltanto il mutamento del parametro di riferimento, alla stregua del quale operare l'accertamento e la conseguente liquidazione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 23
gennaio 2004, n. 1198; Pres. Saccucci, Est. Amari, P.M. De
Augustinis (conci, diff.); Min. economia e finanze (Avv. dello Stato) c. Monzeglio (Avv. Giannella). Conferma Comm. trib. reg. Liguria 3 maggio 1999.
Tributi in genere — Violazioni e sanzioni — Responsabilità del contribuente — Elemento soggettivo — Fattispecie
(D.leg. 18 dicembre 1997 n. 472, disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme
tributarie, a norma dell'art. 3, comma 133, 1. 23 dicembre
1996 n. 662, art. 5, 25).
Ai sensi dell'art. 5, 1° comma, primo periodo, d.leg. 18 dicem
bre 1997 n. 472, applicabile ai procedimenti in corso ex art.
25 medesimo decreto, la responsabilità per le violazioni tri
butarie punite con sanzioni amministrative esige che l'azione
od omissione siano, oltre che coscienti e volontarie, colpevo li, e cioè che si possa rimproverare all'agente di aver tenuto
un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente: non è pertanto perseguibile il contribuente
nell'ipotesi in cui gli illeciti sono stati posti in essere dal
commercialista (nella specie, l'amministrazione finanziaria non ha indicato in che cosa sarebbe consistita la colpa del
contribuente e cioè quale condotta lo stesso avrebbe dovuto
tenere per evitare il rimprovero di negligenza o di leggerez
za). (1)
(1) Non perfettamente fedele al testo della sentenza e foriera di
qualche equivoco appare la massima ufficiale — «in tema di sanzioni
tributarie, ai fini dell'affermazione della responsabilità del contri buente (nella specie, per violazioni formali e sostanziali e per il man cato pagamento del tributo), ai sensi dell'art. 5 d.leg. n. 472 del 1997, occorre che l'azione o l'omissione causativa della violazione sia vo
lontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia
compiuta con dolo o con negligenza (in applicazione di tale principio, la corte ha respinto l'impugnazione, proposta dall'amministrazione fi
nanziaria, contro la sentenza di merito che aveva mandato esente il
contribuente dalle pene pecuniarie, in ragione del fatto che il suo
commercialista, incaricato della tenuta della contabilità e dei connessi
adempimenti fiscali, non aveva mai presentato le dichiarazioni ai fini
dell'Iva e delle imposte dirette, benché avesse sottoposto i modelli alla firma del contribuente, e aveva trattenuto il denaro ricevuto per i pa gamenti, appropriandosene a proprio personale vantaggio)» — nella
parte in cui lascia intendere che la Suprema corte si sia pronunciata anche sulla fattispecie del mancato pagamento dell'imposta dovuto al
commercialista ed abbia ritenuto, pure in questo caso, la non punibilità del contribuente per difetto dell'elemento soggettivo di cui all'art. 5
d.leg. 472/97 (una tale fattispecie è l'oggetto di Comm. trib. prov. Fi renze 21 ottobre 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Tributi in genere, n.
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