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sezione tributaria; sentenza 4 maggio 2001, n. 6257; Pres. Olla, Est. Papa, P.M. Apice (concl....

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sezione tributaria; sentenza 4 maggio 2001, n. 6257; Pres. Olla, Est. Papa, P.M. Apice (concl. diff.); Soc. Tecnocommi (Avv. Mezzetti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). Conferma Comm. trib. reg. Veneto 27 aprile 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 4 (APRILE 2002), pp. 1143/1144-1147/1148 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196257 . Accessed: 25/06/2014 00:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.40 on Wed, 25 Jun 2014 00:24:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione tributaria; sentenza 4 maggio 2001, n. 6257; Pres. Olla, Est. Papa, P.M. Apice (concl.diff.); Soc. Tecnocommi (Avv. Mezzetti) c. Min. finanze (Avv. dello Stato La Porta). ConfermaComm. trib. reg. Veneto 27 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 4 (APRILE 2002), pp. 1143/1144-1147/1148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196257 .

Accessed: 25/06/2014 00:24

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PARTE PRIMA

vigente che, nell'interpretazione accoltane dalla giurisprudenza, attribuiva rilievo ostativo, anche ad una lite meramente poten ziale (cfr. 7457/90, id., 1991, I, 1674; 4724/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 145; 5216/92, ibid., n. 144; 10421/92, id., Rep. 1993, voce cit., n. 112), non radicata in un processo e non ver

tente tra soggetti che ne fossero parti. Ciò anche al fine di superare gli ostacoli alla rimovibilità

della situazione d'incompatibilità — ed alla piena esplicazione

del diritto di elettorato passivo — altrimenti sussistenti nelle

ipotesi di immanente, ed ineliminabile, interesse all'esito della

lite da parte dell'eletto che pur abbia rinunziato al giudizio, co

me nel caso di sua rinunzia, ad esempio ad un ricorso collettivo

proposto innanzi al giudice amministrativo avverso un provve dimento inscindibile (il cui eventuale annullamento, in accogli mento dell'impugnazione degli altri ricorrenti, non potrebbe, in

fatti, non giovare anche al rinunziante: cfr. Cass. 7457/90, cit.). Obiettivi questi, perseguiti dal legislatore del 1981, che ri

sulterebbero evidentemente vanificati dall'interpretazione so

stanzialistica del concetto di «parte» auspicata dalla corte di me

rito (che segnerebbe, di fatto, il ritorno alla pregressa configura zione della lite come conflitto di interessi). Con l'ulteriore in

conveniente di far dipendere il giudizio sulla controversia elet

torale da una valutazione, del giudice per tal profilo adito, in or

dine al rapporto oggetto del diverso processo cui avesse, in tesi,

interesse, pur non essendone formalmente parte, l'eletto.

3.3. - In ogni caso, una tale interpretazione sostanzialistica

dell'incompatibilità ex art. 3, n. 4, 1. n. 154 cit. — ove pur, in

ipotesi, non respinta radicalmente dalla lettera e dallo spirito della norma — dovrebbe comunque cedere all'opposta inter

pretazione, che fa perno sulla nozione di parte in senso proces suale, ispirata ad una più penetrante valorizzazione del diritto di

elettorato (riconducibile al novero dei diritti inviolabili della

persona: cfr. Corte cost. 141/96, id., 1996, I, 2307; 571/89, id., 1990, I, 1447).

E ciò per il canone, appunto, dell'interpretazione adeguatrice che impone di privilegiare tra più interpretazioni egualmente, in

tesi, possibili, della medesima disposizione di legge, quella, tra

esse, che risulti compatibile o più compatibile con superiori pre cetti e valori di rango costituzionale (cfr. Corte cost. 244/97, id., 1997, I, 3490; 419/99, id., 2000, I, 1770; 1/00, ibid., 1412; Cass. 13149/95, id., Rep. 1996, voce Fallimento, n. 438; 6374/99, id., Rep. 1999, voce Straniero, n. 90, ex plurimis).

3.4. - Né è, infine, sostenibile che la delineata accezione pro cessuale della qualità di parte in lite con il comune (che fa scat tare l'incompatibilità alla carica di sindaco ai sensi della norma di riferimento) risulti contraddetta dalla più recente giurispru denza di questa corte, che impone al giudice del contenzioso elettorale di «non fermarsi al dato formale attinente alla pen denza della lite». Poiché l'accertamento ulteriore che questa giurisprudenza prescrive non è, ben vero, finalizzato alla ricerca di un conflitto sostanziale, che prescinda dall'esistenza di un

processo, bensì alla verifica, di segno opposto (pur sempre, co

munque, ispirata da un favor verso l'eletto), della corrisponden za della situazione di formale pendenza della lite ad un conten zioso «effettivo», attraverso la «valutazione di quegli elementi», di palmare evidenza, che potrebbero evidenziare che la vertenza si è sostanzialmente esaurita (per intervenuta transazione, rinunzia ...) ovvero che è assolutamente pretestuosa (per essere stato investito, ad esempio, un giudice privo di giurisdizione nel caso in esame) (cfr. 4533/99, ibid., voce Elezioni, n. 51; 4724/92, cit.; 9789/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 58).

4. - Ha effettivamente, quindi, errato, la corte di Catania nel ravvisare la causa d'incompatibilità per lite pendente nei con fronti del Trovato in relazione a processi nei quali egli non era — o (per intervenuta rinunzia e disposta sua estromissione) non era più

— parte, in relazione ai possibili vantaggi che dall'esito

di quei giudizi avrebbero potuto a lui conseguire (attraverso un riesame critico, per di più, delle risultanze di processi rimessi all'autonomia di valutazione di altro giudice).

Il ricorso va, pertanto, accolto nel suo primo mezzo, con as sorbimento di quelli residui; e la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

5. - Decidendo la causa nel merito, questa corte rigetta quindi la domanda di declaratoria d'incompatibilità dell'eletto per lite

pendente; restando, per l'effetto, confermato il Trovato nella ca rica di sindaco del comune di San Giovanni La Punta.

Il Foro [talìano — 2002.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 4

maggio 2001, n. 6257; Pres. Olla, Est. Papa, P.M. Apice

(conci, diff.); Soc. Tecnocommi (Avv. Mezzetti) c. Min. fi

nanze (Avv. dello Stato La Porta). Conferma Comm. trib.

reg. Veneto 27 aprile 1999.

Tributi in genere — Commissioni tributarie — Prova per

presunzioni — Ammissibilità (Cod. civ., art. 2729). Tributi in genere

— Ritenuta alla fonte — Redditi di capi tale — Interessi presunti —

Applicabilità (D.p.r. 29 set

tembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di accer

tamento delle imposte sui redditi, art. 26).

Nel giudizio innanzi alle commissioni tributarie non trova ap

plicazione l'art. 2729, 2° comma, c.c., a tenore del quale la

prova per presunzioni non può essere ammessa nei casi in cui

è esclusa la prova testimoniale. (1) La ritenuta alla fonte deve essere operata anche in relazione ai

redditi di capitale presunti. (2)

Svolgimento del processo. — A seguito di verifica della poli

zia tributaria nei confronti della A.P.L. s.r.L, l'ufficio delle im

poste dirette di Verona contestò allo studio professionale asso

ciato «Tecnocommi» di Marrone E. e Stocco P., l'omessa appli cazione e versamento —

quale sostituto d'imposta ex art. 26

d.p.r. 600/73 —, per gli anni 1987, 1988 e 1989, delle ritenute

di acconto (del quindici per cento) sugli interessi per finanzia

menti ricevuti, con assegni e bonifici bancari, dalla società veri

ficata, la quale non aveva esibito la documentazione relativa ai

mutui così concessi, presunti perciò a titolo oneroso. Le impu

gnative del contribuente furono, previa riunione, respinte dalla

(1) Giurisprudenza consolidata: v. Cass. 19 dicembre 1997, n.

12854, Foro it., Rep. 1998, voce Tributi in genere, n. 1659; 22 agosto 1997, n. 7867, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1509; 3 dicembre 1983, n. 7240, id., Rep. 1984, voce cit., n. 728.

(2) Con sentenza 29 dicembre 1995, n. 13153, Foro it., 1996, I, 895

(e Bollettino trib., 1996, 480, con nota di Corda, Una sentenza chiara sulla pretesa di assoggettare a ritenuta gli interessi presunti; Rass. trib., 1996, 1227, con nota di Marini, Sull'illegittimità della presun zione di distribuzione degli interessi presunti) e con le coeve sentenze n. 13151 (Foro it., Rep. 1998, voce Redditi (imposte), n. 562) e n. 13152 (id., Rep. 1995, voce Tributi in genere, n. 1096), la Suprema corte aveva affermato che i sostituti d'imposta sono obbligati ad opera re la ritenuta d'acconto sugli interessi di capitali dati a mutuo solo

quando il relativo importo sia stato effettivamente corrisposto al mu tuante e non anche nell'ipotesi in cui il diritto agli interessi sia solo

presunto secondo il disposto dell'art. 43 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597.

Successivamente, con sentenza 29 marzo 1996, n. 2947, id., 1996, I, 2042, con nota critica di Annecchino, la Cassazione aveva mutato orientamento, asserendo che la ritenuta alla fonte di cui all'ultimo comma dell'art. 26 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 deve essere operata anche in relazione ai redditi di capitale presunti ai sensi dell'art. 43

d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597.

L'originario indirizzo veniva però pressoché contestualmente riba dito da Cass. 4 aprile 1996, n. 3155, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1161, e Rass. trib., 1996, 1208, con nota di Mìccinesi, La Cassazione ed i rap porti di finanziamento fra società e soci, e quindi, qualche tempo dopo, da Cass. 8 aprile 1998, n. 3661, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 1219.

Nel senso più favorevole agli interessi dell'erario si pronuncia ora, nuovamente, la Suprema corte.

Nella giurisprudenza tributaria, v., nel senso che non sussiste l'ob

bligo della ritenuta d'acconto sugli interessi ove non sia accertato l'ef fettivo versamento di essi, non potendo valere anche a tale effetto la

presunzione di fruttuosità del mutuo, Comm. trib. centrale 8 giugno 1998, n. 3174, ibid., n. 1220; 22 aprile 1998, n. 2085, ibid., n. 1221, e Giur. piemontese, 1998, 471, con nota di Pennella, Sulla fruttuosità dei capitali dati a mutuo dai soci alla propria società e sull'obbligo in

capo a quest'ultima di operare la relativa ritenuta; 10 novembre 1997, n. 5425, Foro it.. Rep. 1998, voce cit., n. 1188; 6 marzo 1997, n. 823, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 1174; 30 maggio 1996, n. 2867, ibid., n. 1175; Comm. trib. prov. Cagliari 9 dicembre 1996, ibid., n. 1176.

Contra, e cioè nel senso, ora ribadito dalla Suprema corte, che la pre sunzione di fruttuosità dei finanziamenti effettuati dai soci fa scaturire l'ulteriore presunzione di distribuzione degli interessi, con il conse

guente obbligo di operare e versare le ritenute, v. Comm. trib. centrale 25 luglio 1996, n. 4019, ibid, n. 1177.

In dottrina, oltre agli a. cit. supra, v. Anello-Buonvino, Esiste l'ob

bligo dì operare la ritenuta sugli interessi presunti?, in Corriere trib., 1996,3733.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Commissione tributaria provinciale di Verona, con sentenza n.

18/10/97, e la Commissione tributaria regionale del Veneto, con

sentenza del 13 aprile 1999, depositata il 27 successivo col n.

100/02/99, ne ha rigettato il gravame. Ha ritenuto infatti che la

rilevanza delle somme provenienti dall'A.P.L., escludendo la ri

conducibilità a compensi per prestazioni di servizi, rendesse

fondata la presunzione di finanziamenti in favore dello studio

Tecnocommi, cui andavano collegati gli interessi gravati da im

posta, a loro volta determinati al tasso legale. Per la cassazione ricorre lo studio Tecnocommi, in liquida

zione, con atto notificato il 27 ottobre 1999, articolando due

motivi, illustrati da memoria.

Resiste l'amministrazione finanziaria, con controricorso noti

ficato il 6 dicembre 1999. Motivi della decisione. — Col primo mezzo il ricorrente de

nunzia violazione e falsa applicazione degli art. 2729, 2721, 1813 e 1815 c.c. e coordinato vizio di motivazione. Premesso

che le presunzioni, oltre a dover essere munite dei requisiti di

gravità, precisione e concordanza, richiedono un procedimento

logico diretto, non consentito quando la legge esclude la prova

per testimoni, rileva che dalla documentazione bancaria (assegni e bonifici) si è desunta l'esistenza di un mutuo, da cui è stata

ulteriormente desunta la corresponsione di interessi al tasso le

gale (in violazione dell'art. 1815 c.c.), con la contestazione

della mancata ritenuta alla fonte, pure in assenza di prova sia

del mutuo che della corresponsione degli interessi. Lamenta

quindi, da un lato, il ricorso alle presunzioni in materia sottratta

alla prova per testimoni e, ulteriormente, l'impiego di una pre sunzione di secondo grado

— dal mutuo alla corresponsione de

gli interessi —. Deduce, col secondo mezzo, così approfondendo tale ultimo

aspetto, la violazione dell'art. 26 d.p.r. 600/73: rileva che l'ob

bligo della ritenuta sussiste soltanto in caso di «effettiva corre

sponsione» degli interessi medesimi e richiama, a tale riguardo,

precedenti giurisprudenziali, anche di legittimità. L'amministrazione finanziaria oppone l'infondatezza del

primo motivo, in particolare osservando che, presunta — so

prattutto per la «rimarcata entità delle erogazioni di denaro» —

l'esistenza dei mutui, l'onerosità di essi non costituisce ulteriore

«passaggio» di tipo deduttivo, per essere, la corrispondente pre

sunzione, posta dalla legge. Rileva l'infondatezza, altresì, del

secondo, negando valore all'interpretazione ex adverso proposta e puntualizzando che l'art. 26 cit. va letto in relazione all'art.

42, 2° comma, d.p.r. 917/86, applicabile ratione temporis. Il ricorso è infondato.

Deve procedersi all'esame congiunto dei due motivi, per ap

parire, il secondo, necessaria prosecuzione del primo, sul rap

porto tra presunzione di onerosità e prova del pagamento degli

interessi, costituenti l'imponibile da assoggettare a ritenuta. Il

primo — in relazione al quale non assume autonomo rilievo il

dedotto vizio di motivazione — non coglie nel segno, in via ge

nerale, là dove richiama la disciplina del processo civile che

estende i limiti — nella specie, di valore — della prova per testi

a quella per presunzioni (art. 2729, 2° comma, in relazione al

2721 c.c.). Nel processo tributario, infatti, il sistema delle pre sunzioni — peraltro materia di previsione espressa

— necessa

riamente prescinde dalle limitazioni alla prova per testimoni,

mezzo ad esso totalmente estraneo (art. 7, 4° comma, d.leg. 546/92 e, anteriormente, art. 35, 5° comma, d.p.r. 636/72). Le

gittimamente, pertanto, il giudice a quo ha desunto l'esistenza

di finanziamenti (mutui), dalla società A.P.L. allo studio Tecno

commi, dalla rilevanza delle somme erogate dalla prima e dal

l'impossibilità di ricondurre le erogazioni a prestazioni rese dal

secondo. E quest'ultimo, lungi dall'avere addotto un diverso

titolo delle dazioni, ancora in questa sede non formula censure

specifiche sotto il profilo della motivazione, limitandosi ad af

fermare che non sarebbe dato desumere un rapporto di mutuo

dai soli assegni o bonifici bancari ricevuti, così finendo per

contrapporre ad una valutazione di merito — correttamente ope

rata, sulla base dell'esclusione di una causa corrispettiva ricol

legabile a prestazioni di servizi del preteso sostituto d'imposta — una mera asserzione di segno contrario alla configurabilità del mutuo in contestazione. Né, su tale premessa, è configura bile una presunzione di secondo grado, giacché presumere il

mutuo e presumere l'onerosità delle dazioni si rivela, in realtà,

come risultato di un unico procedimento deduttivo, per costitui

re l'onerosità un naturale negotii (art. 1815 c.c., sia sotto il pro

II Foro Italiano — 2002.

filo dell'aK che sotto quello del quantum; e, con formulazione in

tutto corrispondente, art. 42, 2° comma, d.p.r. 917/86, e, ante

riormente, art. 43, 2° comma, prima parte, d.p.r. 597/73), senza

possibilità di distinguere quindi due successivi momenti logici per risalire al fatto ignorato (esistenza di interessi imponibili), non essendo ipotizzabile, in assenza di diversa volontà delle

parti — non emersa in sede di merito —, un mutuo non oneroso.

Più penetrante è la questione, proposta nella parte conclusiva

dello stesso motivo ed illustrata — precipuamente attraverso ri

chiami giurisprudenziali — nel successivo, secondo cui la stessa

presunzione di onerosità costituirebbe vicenda distinta dall'ef

fettiva corresponsione degli interessi al mutuante.

Sul punto, le richiamate Cass. 13153/95 (Foro it., 1996, I,

895) e 3155/96 (id., Rep. 1996, voce Tributi in genere, n. 1161)

(entrambe in materia di versamenti in conto capitale dai soci

alla società) hanno realmente concluso nel senso di tener sepa rata la disciplina d'ordine sostanziale — intesa ad evitare possi bili elusioni —, sull'onerosità dei capitali dati a mutuo, da

quella sull'obbligo della ritenuta, limitando quest'ultimo agli interessi «effettivamente» corrisposti al mutuante, con onere

probatorio a carico dell'ufficio impositore. Ritiene tuttavia il

collegio di dover dare continuità alla diversa conclusione cui

(nella stessa materia) è, più o meno coevamente, pervenuta Cass. 2947/96 (id., 1996,1, 2042).

Non pare, infatti, idonea a giustificare la prima soluzione la

diversità delle posizioni sostanziali — sotto il profilo tributario — delle parti del rapporto di mutuo, accompagnata dalla diffe

renza di oggetto e di ratio delle disposizioni dell'art. 43 d.p.r. 597/73 (relativo all'imposizione diretta sul reddito) e dell'art.

26 d.p.r. 600/73 (riguardante le modalità di accertamento e di ri

scossione), così come non sembra offrire supporto alla tesi (fa

vorevole al mutuatario-sostituto) l'argomento di carattere siste

matico, in particolare approfondito da Cass. 13153/95, cit.

Muovendo da quest'ultimo, si è osservato che l'art. 3, 2° com

ma, d.p.r. 602/73 (riecheggiato dal successivo art. 8) distingue alcune ritenute, indicate nelle lett. d), e), g), da effettuarsi su

redditi «a corché non corrisposti», dalle altre — fra cui, ap

punto, qu.lle sui redditi da capitali dati a mutuo ai sensi del 5°

comma dell'art. 26 d.p.r. n. 600 cit.: lett. f) —, per le quali «l'effettuazione del prelievo postula la corresponsione effettiva

della somma all'avente diritto». Il rilievo, certamente puntuale in ragione della stessa tecnica di riscossione (ritenuta alla fon

te), non vale tuttavia a fondare la contrapposizione fra reddito

«corrisposto» e reddito «presunto», nei termini espressamente

approfondito nella memoria.

In generale, infatti, non è dato distinguere, all'interno della

presunzione di onerosità, il momento genetico da quello del

l'adempimento, senza negare efficacia alla stessa regola legale: tanto che, mentre nel 2° comma dell'art. 43 la presunzione era

onnicomprensivamente riferita al «diritto agli interessi», più

perspicuamente il 2° comma dell'art. 42 t.u.i.r. (d.p.r. 917/86) afferma che «gli interessi si presumono percepiti nell'ammonta

re maturato nel periodo d'imposta». Onde si rivela erronea

l'equazione «presunto-ancorché non corrisposto», dovendosi ad

essa sostituire quella «presunto-percepito».

Né, più in particolare, l'impostazione risulta validamente

contrastata dal ricordato argomento di ordine sistematico. La

diversificazione fra redditi di capitale individuati nell'art. 3, 2°

comma, lett. d), e), g), d.p.r. 602/73, e quello per interessi su

somme date in mutuo — lett. f), in relazione alla corrispondente ritenuta del 5° comma dell'art. 26 d.p.r. 600/73 —

comporterà unicamente che nell'ultimo caso, fermo l'obbligo della ritenuta,

sarà possibile chiedere il rimborso dimostrando la mancata cor

responsione degli interessi, facoltà esclusa invece in ordine ai

redditi (per interessi e premi su titoli obbligazionari ed assimi

lati, per interessi e premi riconosciuti ai depositanti dall'ammi

nistrazione postale e dagli istituti di credito, ovvero per premi di

carattere non aleatorio da corrispondersi dallo Stato) assogget tati a ritenuta «ancorché non corrisposti».

Deve in conseguenza osservarsi come, quale sia per essere la

costruzione offerta in ordine alla posizione del sostituto d'impo

sta, non appaia giustificata la prospettata diversificazione con

riguardo alle posizioni sostanziali nell'ambito del rapporto di

mutuo. Pure prestando totale adesione all'impostazione (seguita da Cass. 13153/95, cit., sulle orme di Cass. 9606/91, id., 1992, I, 749, richiamata in motivazione) secondo cui la «scelta» dei

sostituti, essendo finalizzata all'«ottimizzazione dell'esazione

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PARTE PRIMA

tributaria», consente di «dedurre con certezza se e quali eroga zioni siano state fatte», non per questo risulta infatti dimostrato

che la presunzione di onerosità, posta a carico del mutuante per cettore del reddito imponibile, non debba essere estesa al mu

tuatario. Una conclusione diversa, oltre ad indebolire il rilevato

intento di ottimizzazione, giungerebbe al risultato di far discen

dere dall'inversione dell'onere probatorio conseguenze fiscali

diverse per il soggetto titolare del reddito (sostituito) e per il so

stituto d'imposta, così da affermare la debenza dell'imposta ed

al tempo stesso negare gli obblighi derivanti dalla sostituzione.

Deve quindi —

per evidenti ragioni di unitarietà sistematica —, sul rilievo che la prova presuntiva consegue sul piano effettuale

la medesima certezza di ogni altro tipo di prova, affermarsi che

essa è chiamata ad operare nei confronti sia del mutuan

te/sostituito che del sostituto/mutuatario, poiché non è consen

tito affidare alle parti del rapporto negoziale la «gestione» del

rapporto impositivo, e non è dato vanificare la presunzione di

fruttuosità delle somme date a mutuo col richiedere, nei con

fronti del (solo) sostituto, la dimostrazione d'effettiva corre

sponsione degli interessi, «di difficile accertamento sia nell'aw

che nel quando» (Cass. 2947/96, cit., in motivazione). Il ricorso va, in definitiva, respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 19

aprile 2001, n. 5790; Pres. Cantillo, Est. Marziale, P.M.

Apice (conci, conf.); Min. finanze c. Soc. Faber (Avv. Berli

Ri). Conferma Comm. trib. reg. Lombardia 2 luglio 1998.

Valore aggiunto (imposta sul) — Credito per rimborso —

Interessi anatocistici — Applicabilità (Cod. civ., art. 1283;

d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina dell'im

posta sul valore aggiunto, art. 38 bis).

Il credito spettante al contribuente, per il rimborso di somme

versate a titolo di imposta sul valore aggiunto in misura su

periore a quella dovuta, è soggetto alla disciplina generale delle obbligazioni e, pertanto, ove ne ricorrano i presupposti, su tale credito devono essere computati gli interessi anatoci

stici. (1)

(1) La decisione in epigrafe si riaggancia al dictum di Cass. 22 gen naio 1999, n. 552 (pres. Cantillo, est. Marziale), Foro it., 1999,1, 1217, con nota di richiami, riprendendo quasi testualmente le enunciazioni di

quella sentenza e rafforzando la trama interpretativa che sorregge l'o rientamento oramai costante della Cassazione sul punto (nello stesso senso di Cass. 552/99, che si poneva in contrasto con le precedenti sta tuizioni dei giudici di legittimità — Cass. 10 luglio 1996, n. 6310, id.,

Rep. 1996, voce Tributi in genere, n. 1681, e 23 settembre 1998, n.

9497, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1662 —, si sono successivamente

espresse Cass. 3 settembre 1999, n. 9273, ibid., voce Valore aggiunto (imposta), n. 360; 23 febbraio 2000, n. 2079, id., Rep. 2000, voce cit., n. 328; 11 agosto 2000, n. 10628, ibid., n. 327). La sentenza che si ri

porta offre una completa lettura del disposto dell'art. 38 bis d.p.r. 633/72, norma invocata per sostenere l'inapplicabilità dell'istituto del l'anatocismo alle obbligazioni tributarie relative al rimborso dell'impo sta, per essere presenti in detta norma indici da cui dovrebbe escludersi la possibilità, per il credito al rimborso dell'imposta, di far maturare interessi sulle somme a restituirsi; in particolare, i giudici di legittimità hanno rilevato come la disposizione che individua i fondi da cui l'am ministrazione deve attingere per dare luogo ai rimborsi non consenta in alcun modo di ritenere legittimo un eventuale ritardo nella correspon sione delle somme dovute (nel senso che il diritto al rimborso dell'Iva ex art. 30 e 38 bis d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 deve aver luogo nei

tempi e con gli accessori ivi stabiliti, per cui, a fronte di chiare e tassa tive disposizioni normative, l'ufficio non può opporre sue esigenze di accertamenti e difficoltà tecnico contabili in ordine al reperimento dei

Il Foro Italiano — 2002.

Svolgimento del processo. — 1. - Con tempestivo ricorso la

s.r.l. Data alimentari (successivamente s.r.l. Faber) ricorreva

alla Commissione tributaria provinciale di Milano, impugnando il silenzio serbato dal locale ufficio Iva avverso la richiesta di

rimborso della somma di lire 153.000.000 versata in eccesso in

pagamento di quanto dovuto per l'anno 1985 con i relativi inte

ressi, anche anatocistici.

La commissione accoglieva il ricorso in ogni sua parte. La

decisione era appellata dall'amministrazione, ma il gravame era

respinto dalla commissione tributaria regionale. L'amministrazione ricorre, chiedendo la cassazione di tale

sentenza con un unico motivo di ricorso. La società intimata re

siste.

Motivi della decisione. — 2. - L'amministrazione finanziaria — denunciando violazione e falsa applicazione di principi gene rali e delle norme di legge che disciplinano le impugnazioni nel

processo tributario, dell'art. 38 bis d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, dell'art. 1283 c.c., dei principi generali in tema di rimborso dei

tributi; nonché vizio di motivazione — censura la sentenza im

pugnata per aver riconosciuto il diritto del contribuente agli in

teressi anatocistici, senza dar conto in modo adeguato delle ra

gioni poste a fondamento della decisione adottata e senza consi

derare che l'autonomia e la completezza della disciplina dei

rimborsi d'imposta, che si configura in termini di impugnazione di un provvedimento adottato dall'amministrazione finanziaria, non consentono il ricorso, in tale materia, al principio posto dal

l'art. 1283 c.c.

3. - La censura è infondata sotto entrambi i profili. Deve rilevarsi, in primo luogo, che le prospettate carenze

motivazionali attengono al giudizio di diritto e non al giudizio di fatto e, come tali, non possono assumere rilievo in questa se

de, essendo ormai acquisito che l'espressione normativa, di cui

all'art. 360, n. 5, c.p.c. «punto decisivo della controversia, pro

fondi con i quali effettuare il rimborso, v. Comm. trib. centrale 27 no vembre 1998, n. 6092, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 364); così come il dettato normativo che stabilisce l'obbligo di restituzione da parte del contribuente di quanto ricevuto a titolo di rimborso, ove intervenga successivamente avviso di rettifica o di accertamento, non fa discende re dalla natura, per così dire, provvisoria del credito l'impossibilità che maturino interessi prima del definitivo accertamento della misura del credito stesso, non essendo tale requisito richiesto dalla disciplina ge nerale delle obbligazioni che indica esclusivamente i caratteri della li

quidità ed esigibilità quali condizioni necessarie perché l'obbligazione divenga produttiva di interessi (in questo senso, v., tra le più recenti, Cass. 23 febbraio 2000, n. 2071, id., Rep. 2000, voce Obbligazioni in

genere, n. 60; 21 aprile 1999, n. 3944, id., Rep. 1999, voce Interessi, n.

15, citata in motivazione; sul ruolo svolto dalla disciplina codicistica delle obbligazioni, «destinata a fornire il 'modello' di struttura e disci

plina anche a rapporti contemplati fuori di quella sede», cfr. Rescigno,

Obbligazioni (diritto privato - nozioni generali), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1979, XXIX, 133, 147).

Nello stesso senso della decisione in epigrafe, v., altresì, Cass. 30

maggio 2001, n. 7408, Foro it., Mass., 646; App. Perugia 25 marzo

1999, id., Rep. 2000, voce Valore aggiunto (imposta), n. 329; 28 giu gno 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 574; Comm. trib. centrale 3 no vembre 1999, n. 6611, id., Rep. 2000, voce cit., n. 330; 17 dicembre

1998, n. 6509, id., Rep. 1999, voce cit., n. 361; 27 ottobre 1998, n. 5125, ibid., voce Tributi in genere, n. 1661; Comm. trib. reg. Veneto 7 settembre 1999, id.. Rep. 2000, voce Valore aggiunto (imposta), n. 331; Comm. trib. prov. Milano 10 dicembre 1999, ibid., n. 332; Comm. trib.

reg. Lombardia 18 settembre 1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 362. In senso contrario, isolatamente, Comm. trib. centrale 16 dicembre

1998, n. 6475, ibid., n. 363; 24 febbraio 1998, n. 988, id., Rep. 1998, voce Tributi in genere, n. 1967.

In dottrina, sull'argomento, cfr. Ferri, Interpretazione ed integrazio ne della norma tributaria: il «caso» degli interessi anatocistici, in Riv. dir. fin., 2000, II, 47; Di Meglio, La condanna dell'amministrazione fi nanziaria al pagamento degli interessi anatocistici per il ritardato rim borso di un credito Iva, in Temi romana, 2000, 1252; Costanza, Sui crediti Iva si producono interessi anatocistici, in Riv. giur. trib., 2000, 240; Id., Si capitalizzano gli interessi sili rimborsi dei crediti Iva?, id., 1999, 54; Fossa, Ancora in tema di interessi anatocistici sui rimborsi dei crediti Iva, in Dir. e pratica trib., 2000, II, 382; Id., Interessi ana tocistici sui rimborsi dei crediti Iva, id., 1999, II, 1068; Astolh, Il rim borso dei crediti Iva e gli interessi anatocistici, in Giur. imp., 1999, 239; Mencarelli, Rimborsi tardivi di imposte e interessi anatocistici, in Rass. giur. umbra, 1999, 679; Id„ Rimborso d'imposte e anatocismo, in Riv. dir. trib., 1999, II, 442; Grimaldi, Anatocismo tributario in ba lia della giurisprudenza, in Corriere trib., 1999, 2192; Mionosi, L'a natocismo è inapplicabile in materia tributaria, in Tributi, 1995, 19.

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