sezione tributaria; sentenza 9 aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Maccarone(concl. diff.); Soc. Palazzo Aguselli (Avv. Berliri, Cogliati Dezza) c. Min. finanze e Ufficio delleentrate di Forlì. Conferma Comm. trib. reg. Emilia-Romagna 18 novembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 3039/3040-3045/3046Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197876 .
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3039 PARTE PRIMA 3040
Nel quadro di queste assonanze si colloca anche la decorrenza
del diritto: il primo giorno del mese successivo a quello di pre sentazione della domanda (art. 2, 4° comma, del decreto in esa
me; cui corrispondono, ad esempio, gli art. 12, 1° comma, e 13
1. 30 marzo 1971 n. 118, per pensioni ed assegni degli invalidi
civili, e l'art. 3, 4° comma, 1. 11 febbraio 1980 n. 18 per l'in
dennità di accompagnamento). Come per altre prestazioni, la domanda è solo un presupposto
necessario al riconoscimento del diritto (un'eccezione a questa necessità è il diritto alla prestazione per infortunio sul lavoro, che trae meccanica origine dalla denuncia, cui il datore è obbli
gato ex art. 53 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124).
L'ancoraggio della decorrenza alla domanda è stato normati
vamente ipotizzato in relazione alla fisiologica (ragionevole) situazione della sussistenza (contestualmente alla domanda) di
tutti i presupposti del diritto (ritenendosi che, ove si presenti la
domanda per il riconoscimento d'un diritto, siano presenti tutti i
presupposti previsti dalla legge per la nascita del diritto stesso). Ed invero, in materia previdenziale ed assistenziale il diritto è
spesso subordinato alla sussistenza di alcuni presupposti: e per tanto, anche se è previsto che il diritto decorra dal primo giorno del mese successivo alla domanda, il perfezionarsi, nel corso del
procedimento amministrativo o giudiziale, di alcuni presupposti (inizialmente insussistenti) determina, pur nell'anteriorità della
domanda, il differimento della decorrenza, con effetti ex nunc, all'attuarsi di questi presupposti. Ciò, ad esempio, per la pen sione d'inabilità prevista dalla 1. 12 giugno 1984 n. 222: nel
corso del procedimento amministrativo e giudiziale possono
perfezionarsi il requisito di contribuzione previsto dall'art. 4
(Corte cost. n. 335 del 1989, Foro it., Rep. 1990, voce Previ
denza sociale, n. 817; Cass. 16 ottobre 2001, n. 12629, id., Rep. 2002, voce cit., n. 541), la cancellazione da elenchi ed albi pro fessionali (art. 2, 2° comma, seconda parte dell'indicata legge), e lo stesso requisito sanitario (art. 149 disp. att. c.p.c.), con il
conseguente differimento della decorrenza della prestazione alla
data di tale perfezionamento.
Egualmente è a dirsi per il diritto all'assegno degli invalidi
civili: i presupposti dello stato di invalidità, del limite di reddito
e dello stato di incollocazione possono sorgere anche nel corso
del giudizio, determinando il differimento della decorrenza del diritto stesso (Cass. 16 luglio 2002, n. 10313, ibid., voce Invali di civili e di guerra, n. 31).
Ciò, anche per il diritto in esame. La lettera della legge (in cui
la cancellazione è prevista come espressa condizione), la natura del diritto (quale pensione anticipata), il relativo fondamento
(compenso per la cessazione dell'attività commerciale), e l'esi
genza d'un oggettivo permanente riscontro del suo presupposto (l'indicata cessazione), consentono di ritenere che la decorrenza
del diritto dalla domanda sia connessa alla normale preesistenza della cancellazione dai registri, e che ove la cancellazione si per fezioni nel corso del procedimento amministrativo o giudiziale, a
questo perfezionamento sia differita la nascita del diritto. Né è fondata la costruzione dell'impugnata sentenza, secondo
cui le condizioni previste dall'art. 2, 2° comma, che vengano ad esistenza dopo la presentazione della domanda, retroagirebbero dando efficacia al diritto dal tempo della domanda.
Ed invero, da un canto, il requisito previsto dall'art. 4, costi tuito dalla cessazione dell'attività lavorativa, si identifica (pur per una sua parte: attività commerciale, come parte dell'attività
lavorativa) con una delle condizioni previste dall'art. 2, 2°
comma; come la cessazione dell'attività commerciale (prevista dall'art. 4), anche gli altri fatti (previsti dall'art. 2, 2° comma) sono necessari per il sorgere del diritto.
La distinzione formulata dal legislatore è, poi, fra requisiti (art. 2, 1° comma: qualità di cui il titolare «è in possesso»; e
che, essendo preesistente, attiene al rapporto stesso da cui il di ritto trae origine), condizioni (art. 2, 2° comma: atti riferibili al momento della nascita del diritto, e che il titolare deve porre in
essere), ed incompatibilità (art. 4: svolgimento del lavoro; atti vità che, assumendo rilevanza solo in quanto si differenzi dalle
condizioni, è posteriore alla nascita del diritto, e ne determina la
cessazione). E nel quadro di questa distinzione è da leggere l'iniziale inci
so dall'art. 3, 4° comma («salvo quanto disposto dall'art. 4, l'indennizzo spetta dal primo giorno del mese successivo alla domanda fino a tutto il mese in cui il beneficiario compie ...»): eccezione formulata non nei confronti della generale decorrenza del diritto (come la sentenza postula: eccezione che, in tal modo
Il Foro Italiano — 2003.
costruita, non comprenderebbe nel proprio ambito la mancanza
di cancellazione), bensì della complessiva durata del diritto (il diritto cessa di esistere con il verificarsi del fatto incompatibile).
La possibilità (prospettata dalla sentenza) d'un ritardo fra ri
chiesta di cancellazione ed atto di cancellazione, ritardo che poi
peserebbe sul richiedente, è fatto che (oltre ad essere, nella fi
siologica situazione presupposta dal legislatore, un'eventualità
inesistente) è comune ad altre parallele ipotesi (come l'art. 2, 2°
comma, seconda parte, 1. 12 giugno 1984 n. 222, ove è espres samente previsto il differimento della decorrenza del diritto), che consentono di leggere anche la disciplina in esame nel qua dro di un'unitaria esigenza normativa.
E pertanto da affermare che «anche se l'indennizzo per ces
sazione dell'attività commerciale, previsto dal d.leg. 28 marzo
1996 n. 207, spetta dal primo giorno del mese successivo alla
domanda, il diritto è condizionato alla cancellazione del titolare
dell'attività dal registro degli esercenti il commercio e dal regi stro delle imprese presso la camera di commercio, industria, ar
tigianato ed agricoltura; ed ove la cancellazione intervenga in
un momento successivo alla domanda, a questo momento è dif
ferita la decorrenza della prestazione». Il ricorso deve essere accolto, e la sentenza deve essere cas
sata. E, non essendo necessari (per l'incontroversa coincidenza
temporale fra cancellazione dai registri ed erogazione del dirit
to) ulteriori accertamenti di fatto, la causa, in applicazione del
l'art. 384 c.p.c., deve essere decisa nel merito, con la reiezione
della domanda con cui Benedetta Di Stefano aveva chiesto la
retrodatazione del diritto.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 9
aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Macca
rone (conci, diff.); Soc. Palazzo Aguselli (Avv. Berliri, Co
gliati Dezza) c. Min. finanze e Ufficio delle entrate di Forlì.
Conferma Comm. trib. reg. Emilia-Romagna 18 novembre
1998.
Valore aggiunto (imposta sul) — Detrazione — Società
commerciale — Acquisti — Presunzione di inerenza —
Esclusione (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disci
plina dell'imposta sul valore aggiunto, art. 4, 19).
Ai fini della detrazione dell'imposta sul valore aggiunto, l'ine
renza all' esercizio dell'impresa dell'acquisto di beni e servi
zi non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di
imprenditore societario dell'acquirente. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 5 lu
glio 2002, n. 9806; Pres. Delli Priscoli, Est. Paolini, P.M.
Maccarone (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato
Criscuoli) c. Soc. International factors Italia (Avv. Russo).
Conferma Comm. trib. reg. Toscana 22 settembre 1997.
Valore aggiunto (imposta sul) — Detrazione — Società
commerciale — Acquisti — Presunzione di inerenza
(D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 4, 19).
Ai fini della detrazione dell'imposta sul valore aggiunto, sussi
ste una presunzione iuris et de iure di inerenza all'esercizio
dell'impresa degli acquisti di beni e servizi compiuti da una
società commerciale. (2)
(1-2) Prevalente, nella giurisprudenza della Suprema corte, sembra l'orientamento che esclude che l'art. 4 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633
possa fondare una presunzione di inerenza all'esercizio dell'impresa delle operazioni passive (i.e. degli acquisti di beni e servizi) poste in essere da una società commerciale: così, Cass. 24 febbraio 2001, n. 2729, Foro it., Rep. 2001, voce Valore aggiunto (imposta), n. 305, e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1
Svolgimento del processo. — La società Palazzo Aguselli s.r.l., con sede in Cesena, esercente attività immobiliare, van
tando un credito Iva, per l'anno 1992, di lire 168.000.000, ne
chiese il rimborso all'ufficio Iva di Forlì che, in un primo tem
po, lo sospese, quindi lo negò con avviso in data 11 luglio 1994,
per mancanza di un effettivo esercizio d'impresa da parte della
società richiedente.
Questa propose ricorso davanti alla competente commissione
tributaria, che lo accolse con sentenza 312/96, appellata dall'uf
ficio, il quale dedusse l'inammissibilità del ricorso introduttivo — assumendo che la contribuente avrebbe dovuto impugnare il
provvedimento di sospensione del rimborso anziché la comuni
cazione di diniego, meramente esplicativa del primo — ed insi
stette perché fosse riconosciuta dal giudice del gravame la le
gittimità del diniego di rimborso. Con sentenza depositata il 18 novembre 1998, la Commissio
ne tributaria regionale dell'Emilia-Romagna, rigettate per in
fondatezza le rispettive eccezioni d'inammissibilità proposte, dall'ufficio, per asserita non impugnabilità della lettera di di
niego, e, dall'appellata, per pretesa tardività del gravame, accol
se la doglianza dell'amministrazione e riformò, conseguente mente, la decisione di primo grado, dichiarando legittimo il di
niego di rimborso, sul presupposto che la s.r.l. Palazzo Aguselli, non esercitando effettivamente, stabilmente e professionalmente l'attività immobiliare dichiarata, non aveva, per il solo fatto di
essere strutturata in società di capitali, la qualità d'imprenditore commerciale e, quindi, non aveva diritto al chiesto rimborso, dovendo considerarsi l'unica vendita di una modesta unità im
mobiliare ad uno dei soci preordinata al fine d'indurre l'ufficio
Iva ad effettuare il rimborso.
Per la cassazione di tale sentenza la s.r.l. (ora s.a.s.) Palazzo
Aguselli propone ricorso articolato in due motivi, illustrato an
che con memoria, cui resiste con controricorso l'amministrazio
ne delle finanze.
Motivi della decisione. — L'eccezione d'inammissibilità del
ricorso introduttivo del giudizio di merito, per essere stato lo
stesso rivolto contro l'atto formale di diniego del rimborso an
ziché contro il provvedimento di sospensione, già motivata
mente rigettata dalla commissione tributaria regionale e richia
mata in limine dall'amministrazione controricorrente, deve esse
re pregiudizialmente disattesa per l'assorbente ragione che,
Riv. dir. trib., 2001, II, 538, con nota di Sala, Il diritto di detrazione in
ragione dell'oggettivo impiego del bene-, 10 aprile 2000, n. 4517, Foro
it.. Rep. 2000, voce cit., n. 271, e Riv. giur. trib., 2000, 990, con nota di
Comelli, Sull'onere della prova ai fini della detrazione dell'Iva. Al pari del Supremo collegio, anche la giurisprudenza di merito ap
pare divisa: nel senso di Cass. 5599/03, v. Comm. trib. I grado Salerno 3 giugno 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 269; 13 marzo 1995, ibid., n. 268 (entrambe annotate da Borri, in Fisco, 1996, 2014); 8 ot tobre 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 283, e Fisco, 1995, 3657, con nota di Borri; 1° marzo 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 270, e Fisco, 1995, 2386, con nota di Mottura; Riv. dir. trib., 1995, II, 223, con nota di Zizzo, Società «senza impresa» e detrazione dell'Iva sugli acquisti; Rass. trib., 1995, 733, con nota di Stevanato, Atti di organiz zazione, società senza impresa e detrazione dell'Iva', Riv. giur. trib., 1995, 925, con nota di Comelli, Effettivo esercizio di attività impren ditoriale e, detrazione Iva sugli acquisti; Giur. it., 1995, III, 2, 74, con nota di Turchi, Società senza impresa e detraibilità dell'Iva; Comm. trib. centrale 24 maggio 1993, n. 1983, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n.
218, e Rass. trib., 1994, 917, con nota di Lupi, Per la detrazione Iva la
forma societaria non basta: l'acquisto deve essere utilizzabile nell'im
presa. La posizione di Cass. 9806/02 è invece condivisa da Comm. trib.
reg. Toscana 22 settembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 240; Comm. trib. prov. Brescia 1° febbraio 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n.
373, e Riv. giur. trib., 1997, 874, con nota di Comelli, La «società sen
za impresa» nella disciplina dell'Iva; Comm. trib. II grado Torino 28
marzo 1995, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 264, e Corriere trib., 1995, 1475, con nota di Centore; Comm. trib. I grado Milano 30 di
cembre 1992, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 266, e Fisco, 1993, 7154, con nota di Veroi; Comm. trib. I grado Aosta 7 novembre 1987, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 99, e Dir. e pratica trib., 1988, II, 704, con nota di Savini, Attività d'impresa radiotelevisiva privata e disci
plina normativa dell'Iva. L'orientamento fatto proprio dalla prevalente giurisprudenza di le
gittimità (ed ora ribadito da Cass. 5599/03) è condiviso anche dall'am
ministrazione finanziaria: v. min. fin., circ. 17 dicembre 1991, n*
57/501499, Fisco, 1992, 335.
Il Foro Italiano — 2003.
trattandosi dell'asserita mancanza di un presupposto proces suale, su tale questione, pur rilevabile d'ufficio, si è formato il
giudicato, per essersi il giudice della fase precedente espressa mente pronunciato su di essa con decisione sul punto non impu
gnata (cfr. Cass. 6844/95, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi in
genere, n. 1369; 9834/90, id., Rep. 1991, voce Redditi (impo ste), n. 707; 8917/90, ibid., voce Tributi in genere, n. 973).
La contribuente lamenta, col primo motivo di ricorso, viola
zione e falsa applicazione degli art. 4, 19, 30 e 38 bis d.p.r. 26
ottobre 1972 n. 633 (istituzione e disciplina dell'imposta sul
valore aggiunto) e carenza di motivazione, sotto i seguenti pro fili:
— essendo essa contribuente (all'epoca della richiesta di
rimborso e del ricorso avverso il diniego) una società a respon sabilità limitata, la decisione impugnata appare assunta in viola
zione dell'art. 4 d.p.r. 633/72, a mente del quale le cessioni di
beni fatte da tali società debbono essere considerate «in ogni ca
so», quindi con presunzione assoluta, effettuate nell'esercizio
d'impresa; —
analoga conclusione devesi, quindi, riconoscere valida in
ordine alla detraibilità dell'imposta dovuta per l'acquisto di be
ni nell'esercizio dell'impresa, nei termini stabiliti dall'art. 19
stesso d.p.r.; — non può dubitarsi che l'effettuato acquisto di beni immo
bili è inerente all'attività propria della società ricorrente, trat
tandosi di atto previsto espressamente nell'oggetto sociale; — la motivazione della sentenza impugnata è carente, con
riguardo alla valutazione delle circostanze di fatto da cui è pos sibile desumere che la società ha svolto attività d'impresa.
Il motivo è infondato e deve essere rigettato. Gli ultimi due profili sopra elencati —
riguardanti l'inerenza
dell'effettuato acquisto d'immobili all'attività propria dell'im
presa commerciale e l'effettiva sussistenza di un'attività d'im
presa — sollecitano un inammissibile riesame in fatto delle
conclusioni raggiunte dal giudice di merito su tali argomenti; conclusioni motivate in modo esauriente e logico, ragion per cui
non meritano censura.
Pur essendo evidente, infatti, che l'acquisto e la ristruttura
zione di immobili sono contemplati nell'oggetto sociale della
ricorrente, ciò che il giudice a quo motivatamente esclude, in
base all'esame degli atti, è che la contribuente abbia dato prova sufficiente di aver esercitato, stabilmente e professionalmente, l'attività economica d'impresa giacché, dopo l'acquisizione e la
ristrutturazione del bene, l'unica operazione attiva consistette
nella vendita ad uno dei soci di una modesta unità immobiliare
(scantinato), per modico prezzo. Da questa e da altre circostanze
di fatto e documentali, il giudice di merito trae il convincimen
to, correttamente motivato e quindi insindacabile in questa sede, che tali operazioni, pur astrattamente collegabili agli esibiti sco
pi sociali, in realtà non soddisfano il requisito dell'effettivo
esercizio d'impresa commerciale.
Gli altri due profili, sotto l'aspetto della violazione di legge, riflettono un unico fondamentale rilievo critico, riassumibile
come segue: se, in virtù delle espressioni letterali contenute nel
l'art. 4, 2° comma, n. 1, d.p.r. 633/72, le cessioni di beni da
parte di società commerciali sono da considerare «in ogni caso», cioè senza eccezioni, effettuate nell'esercizio d'impresa, tali
debbono pure considerarsi gli acquisti di beni da parte delle
stesse società.
Questo argomento, già ripetutamente confutato dalla giuris
prudenza prevalente, pienamente condivisa dal collegio, di que sta Suprema corte (Cass. 2729/01, id., Rep. 2001, voce Valore
aggiunto (imposta), n. 305; 4517/00, id., Rep. 2000, voce cit., n.
271; 236/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 283; contra, da ultimo, Cass. 9806/02, id., Rep. 2002, voce cit., n. 294) non può essere
accolto.
Infatti, l'imposta è dovuta dai soggetti che effettuano cessioni
di beni e prestazioni di servizi (art. 17, 1° comma, d.p.r. 26 ot
tobre 1972 n. 633); ma, per la determinazione dell'ammontare
di essa, l'art. 19, 1° comma, stesso d.p.r. (anche nel testo vi
gente nel periodo che interessa), prevede che dall'ammontare
così dovuto sia detratto il tributo pagato, dovuto o addebitato a
titolo di rivalsa, per l'acquisto di beni o di servizi effettuato nel
l'esercizio d'impresa. Lo stretto collegamento, operato dalle due norme citate, fra
operazioni attive ed operazioni passive, ai fini della determina
zione in concreto del tributo, ed il testuale riferimento, conte
nuto nell'art. 19, 1° comma, all'esercizio d'impresa, configura
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3043 PARTE PRIMA 3044
no un sistema normativo, per cui l'Iva è dovuta (all'erario) in
relazione a tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi im
ponibili (operazioni attive); ma è detraibile soltanto il tributo
dipendente da operazioni passive (acquisti) effettuate «nel
l'esercizio dell'impresa, arte o professione» (art. 19). La ratio di tale sistema consiste nel «neutralizzare» l'Iva af
ferente ai trasferimenti intermedi di beni o servizi, effettuati
nell'esercizio dell'impresa, arte o professione, fino al consu
matore finale, sul quale grava, in definitiva, l'onere della tassa
zione. Essa esige, quindi, che l'Iva dovuta sulle operazioni atti
ve (art. 17) sia detraibile esclusivamente dall'imposta relativa
all'acquisto di beni necessari per l'esercizio vero e proprio del
l'impresa, effettivamente destinati dall'imprenditore alla realiz
zazione degli scopi produttivi programmati (fra le molte, Cass.
5555/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 278; 10919/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 223; 5981/92, ibid., n. 218).
Questo requisito della «inerenza» dell'acquisto all'esercizio
d'impresa, è identificato, di regola, mediante il raffronto fra tale
operazione passiva e quelle attive, dovendo la prima essere
strumentale rispetto alle seconde, già compiute o soltanto pro
grammate; pertanto, non può ritenersi assente, in teoria, per il
solo fatto che, allo stato, manchino tali operazioni attive o che
ne siano state effettuate poche o una sola, anche assolutamente
modesta: diversamente opinando, si eluderebbe l'indicata ratio
del sistema, determinando un irragionevole incremento di tassa
zione in danno dell'imprenditore oggettivamente non in grado, tenuto conto dei tempi occorrenti allo scopo, di compiere dette
operazioni in rapida successione, come appunto si verifica nel
caso dell'impresa che acquisti immobili per la successiva ri
strutturazione e vendita.
D'altra parte, in caso di operazioni attive mancanti o sporadi che e valutate dal giudice di merito, con ineccepibile motivazio
ne, come assolutamente insignificanti, l'inerenza dell'acquisto d'immobile all'esercizio dell'impresa non può essere ritenuta in
virtù della semplice qualità d'imprenditore societario dell'ac
quirente, essendo testualmente presunta dalla legge («in ogni caso»; art. 4, 2° comma, n. 1, d.p.r. 633/72) tale inerenza solo in
relazione alle cessioni di beni e prestazioni di servizi, non anche
agli acquisti. La logica del sistema di «neutralizzazione» dell'Iva richiede,
infatti, che le operazioni attive soggette ad imposta (art. 1 e 17
d.p.r. cit.), se compiute da una società commerciale, siano con
siderate, in ogni caso, effettuate nell'esercizio d'impresa (art. 4
cit.), con relativa e sicura insorgenza dell'obbligo nei confronti
dell'erario; ciò corrisponde anche, peraltro, a criteri di affidabi
lità a favore dell'acquirente. Non altrettanto automatica, invece,
può essere la valutazione delle operazioni passive, in ordine alla
detraibilità del tributo, dovendosi in questo caso accertare che
esse siano state effettuate «nell'esercizio dell'impresa» (art.
19), ossia in stretta connessione con le finalità imprenditoriali: in caso contrario — oltre a risultarne vanificata la disposizione del 1° comma dell'art. 4 cit., laddove l'esercizio d'impresa è
positivamente qualificato come «esercizio per professione abi
tuale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agri cole ...», e quella del 2° comma, che attribuisce alle società la
presunzione di esercizio d'impresa solo con riferimento alle
operazioni attive —, la detrazione sarebbe concessa in relazione ad un acquisto che si pone fuori dal tipico circuito di applica zione-detrazione dell'Iva.
Si ritiene, in definitiva, che il sistema degli art. 1, 4, 17, 19
d.p.r. 633/72, non sia inteso a qualificare come inerente al
l'esercizio dell'impresa qualsiasi operazione, attiva o passiva,
compiuta dalle società commerciali (in tal senso, invece, Cass.
9806/02, cit.); bensì ad attribuire in ogni caso, a dette società, l'onere dell'imposta sulle operazioni attive, riservando la de
traibilità del tributo solo alle operazioni passive compiute nel
l'effettivo esercizio dell'impresa. In questa prospettiva, conforme al testuale dettato normativo
e confacente alla logica dell'imposta sul valore aggiunto, la
qualità d'imprenditore societario (bastevole solo per rendere as
soggettabili all'Iva le operazioni attive) e l'inserimento nell'og getto sociale delle voci relative alla compravendita e ristruttura zione d'immobili costituiscono, rispetto alla detraibilità del tri
buto assolto sulle operazioni passive, elementi puramente indi
ziari dell'inerenza di tali operazioni passive all'effettivo eserci
zio dell'impresa; indizi valutabili dal giudice di merito insieme con altre circostanze della concreta vicenda, idonee a fondarne il convincimento — insuscettibile di riesame in sede di legitti
II Foro Italiano — 2003.
mità, se adeguatamente motivato — circa l'effettiva inerenza
dell'acquisto (immobiliare, nella fattispecie) all'espletamento della progettata attività imprenditoriale. L'onere della prova di
tali circostanze restando a carico di chi invochi la detrazione (v. Cass. 4517/00, cit.).
La sentenza impugnata, incentrata sul rilievo della radicale
carenza di prove atte a ricollegare l'acquisto d'immobile effet
tuato dalla ricorrente, ed i successivi lavori di ristrutturazione,
allo scopo statutario di utilizzarlo per l'attività lucrativa d'in
termediazione immobiliare, risulta correttamente motivata, in
conformità ai principi suespressi. Questo motivo di ricorso va
quindi rigettato. Il secondo motivo di ricorso, con cui la contribuente, subor
dinatamente all'accoglimento del primo, chiede la liquidazione
degli interessi legali e di quelli anatocistici sulle somme pretese
quale rimborso, è assorbito.
II
Svolgimento del processo. — L'ufficio Iva di Firenze, con
avviso 605865/93, rettificò la dichiarazione presentata per il
1990 dalla Lago Brasimone s.r.l., accertando la debenza di una
maggiore imposta di lire 17.000 ed un minor credito di lire
8.550.000.000 ed intimando il versamento della somma correla
tivamente riscontrata indebitamente rimborsata, nonché degli interessi sulla stessa maturati (in lire 130.710.000 ed in lire
1.237.001.000): ancorò l'atto impositivo così emesso al rilievo
che la menzionata società, «controllata dal gruppo Fondiaria»,
gestita da un amministratore unico dirigente della Fondiaria
s.p.a., priva di personale e di sede propri, aveva realizzato ac
quisti per lire 45.000.193.000, a fronte dei quali risultavano
operazioni imponibili per lire 193.110; che, non costituendo
esercizio d'impresa il godimento dì immobili, ancorché locati a
terzi, tenuto conto dei rapporti intercorrenti fra la ridetta Lago Brasimone s.r.l. e la sunnominata società capogruppo, doveva
presumersi che la contribuente rettificata venisse utilizzata dalla
sua controllante «quale strumento di comodo per dislocare il
patrimonio immobiliare presso un soggetto non inciso da un
pro rata molto elevato quale è quello delle imprese di assicura
zioni», che la medesima non esercitasse un'attività imprendito riale, e che le operazioni da lei poste in essere non integrassero esercizio d'impresa; che difettavano, quindi, le condizioni di cui
all'art. 30, 3° comma, lett. c), d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 per
l'insorgenza del diritto al rimborso dell'Iva in questione «atteso
che gli immobili di proprietà (di società) immobiliari e da que ste locati a terzi non possono essere considerati beni strumentali
(ammortizzabili), rappresentando essi l'oggetto e non lo stru
mento dell'attività del locatore».
La International factors Italia s.p.a., incorporante della Lago Brasimone s.r.l., cui era stato notificato l'avviso di rettifica
suindicato, impugnò dinanzi alla Commissione tributaria di
primo grado di Firenze, all'epoca operante, l'atto impositivo considerato, da un lato, contestando la fondatezza della pretesa erariale ad esso sottesa, dall'altro, deducendo l'intervenuta pre sentazione per l'anno 1990 di dichiarazione integrativa con de
finizione automatica della pendenza tributaria in discussione ai
sensi dell'art. 49 1. 30 dicembre 1991 n. 413.
La commissione adita, con decisione 37/10/95, accolse l'im
pugnativa.
Sull'appello dell'ufficio Iva di Firenze, la Commissione tri
butaria regionale della Toscana, cui la vertenza era stata attri
buita a mente dell'art. 72 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, con
sentenza del 27 settembre 1997, disatteso il gravame, confermò
la pronuncia del primo giudice. La commissione tributaria regionale, per quanto ancora rile
va, motivò la così resa statuizione evidenziando avere la Lago Brasimone s.r.l. presentato dichiarazione integrativa con defini
zione automatica dell'Iva in controversia a norma dell'art. 49 1.
n. 413 del 1991, cit.; osservando, quindi, non poter essere con
diviso l'assunto della, pubblica amministrazione appellante inte
so ad addurre che «il condono non può ritenersi applicabile alla
fattispecie in quanto trattasi non di attività d'impresa ma di me
ro godimento (di immobili)», e che «per lo stesso motivo non
può essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell'imposta», ed altresì che «il rimborso non compete in quanto i beni immo
bili non sono lo strumento ma l'oggetto dell'attività»; conside
rando doversi affermare, invece, che «l'art. 4 d.p.r. 633/72 ab
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
bia un'univoca interpretazione nel senso che ai fini Iva in ogni caso siamo di fronte allo svolgimento di attività industriali
quando a svolgere quell'attività siano società commerciali», es
sendo da tener conto del dato che «in tal senso sembra espri mersi ..anche la normativa comunitaria che consente sempre la detrazione di imposta assolta su acquisti e importazioni di be
ni impiegati nell'attività» (delle società cennate); chiosando es
sere corollario di ciò che «ha piena validità la domanda di con
dono automatico presentata». Il ministero delle finanze ricorre, con un articolato motivo,
per la cassazione della sentenza di secondo grado suindicata,
notificatagli il 2 marzo 1998.
L'International factors Italia s.p.a. resiste al ricorso, notifi
catole il 30 aprile 1998, con controricorso dell'8 giugno 1998.
Motivi della decisione. — Il ministero delle finanze, con il
mezzo articolato per suffragare il ricorso, sostiene che la pro nuncia nei sensi illustrati resa sulla fattispecie dalla Commis
sione tributaria regionale della Toscana dovrebbe essere ravvi
sata passibile di cassazione siccome inficiata da «violazione
dell'art. 112 c.p.c.; omesso esame su un punto decisivo della
controversia; difetto assoluto di motivazione su un punto decisi
vo della controversia; violazione e falsa applicazione dell'art.
49 1. 413/91 e successive modifiche; in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.».
La pubblica amministrazione ricorrente, più specificamente,
accampa che la commissione anzidetta avrebbe definito la ver
tenza «limitandosi a fornire un'erronea interpretazione dell'art.
4 d.p.r. 633/72, dalla quale ha fatto discendere l'applicabilità nella presente fattispecie della normativa sul condono, e non af
frontando il punto centrale» degli assunti prospettati da essa de
ducente «costituito dalla negazione che nella specie potesse tro
vare applicazione il condono automatico previsto dall'art. 49 1.
413/91, posto che» la Lago Brasimone s.r.l. «non era altro che
un soggetto in tutto e per tutto equiparabile ad un consumatore
finale sui cui acquisti deve gravare in via definitiva l'Iva, sicché
alla stessa non poteva attribuirsi la qualità di soggetto esercente
attività d'impresa o commerciale» e una veste suscettibile di le
gittimarla a «presentare validamente domanda di definizione
agevolata della controversia»; denuncia, quindi, che «l'afferma
zione», contenuta nella sentenza impugnata, «per cui l'art. 4
d.p.r. 633/72 prevederebbe che in ogni caso siamo di fronte a
svolgimento di attività industriali quando a svolgere tale attività
sono società commerciali finisce con il costituire violazione
della norma interpretata», in quanto questa «prevede che ai fini
Iva deve intendersi per esercizio d'impresa l'esercizio per pro fessione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività com
merciali o agricole, e non anche l'esercizio di attività di mera
gestione di immobili», sicché «nulla autorizza l'interprete ad af
fermare che dalla norma si evince il principio o anche soltanto
la mera presunzione che costituisce esercizio di impresa qua
lunque attività posta in essere da una società commerciale», e
che dalla «circostanza che il soggetto è costituito in forma di
società di capitali... automaticamente si possa evincere che la
(sua) attività... sia identificabile come esercizio d'impre sa ...»; lamenta, conclusivamente, che il giudice del merito
avrebbe ignorato l'esistenza della prova del fatto che l'attività
espletata dalla Lago Brasimone s.r.l. era consistita nel mero go dimento di cespiti immobiliari e che a detta società, pertanto, «ai fini Iva», doveva essere attribuita veste di consumatore fi
nale, correlando la sua pronuncia unicamente alla surrichiamata
interpretazione, prospettata erronea, del ripetuto art. 4 d.p.r. 26
ottobre 1972 n. 633.
La censura è, sotto ogni profilo, immeritevole di ingresso.
A) Innanzi tutto, va detto che appare inconsistente la dedu
zione secondo la quale il giudice del merito, in violazione del
dettato dell'art. 112 del codice di rito, avrebbe omesso di pro nunciare sugli assunti, prospettatigli dalla pubblica amministra
zione odierna ricorrente, relativi alla non attribuibilità alla con
troparte della veste di soggetto esercente attività d'impresa commerciale ed alla qualificabilità della stessa, con riferimento
alla disciplina dell'Iva, come consumatore finale, non legitti mato ad avvalersi sia delle norme in materia di detrazione del
tributo assolto o dovuto o addebitatogli con riguardo ai beni ed
ai servizi acquistati nell'espletamento della sua attività, sia a de
finire le pendenze relative all'imposta considerata a mente della
1. 30 dicembre 1991 n. 413. La lettura della sentenza impugnata, difatti, rende palese che
la commissione tributaria regionale ha espressamente esaminato
Il Foro Italiano — 2003.
gli assunti cennati, e, avendoli ravvisati destituiti di fondamen
to, li ha disattesi sulla base del rilievo che alla società sunnomi
nata dovesse riconoscersi la qualità di soggetto esercente attività
d'impresa, essendo da ritenere che «l'art. 4 d.p.r. 633/72 abbia
un'univoca interpretazione nel senso che ai fini Iva in ogni caso
siamo di fronte a svolgimento di attività industriali quando a
svolgere tale attività sono società commerciali».
In tali termini statuendo, infatti, la commissione anzidetta ha
evidentemente dichiarato che, in contrasto con quanto sostenuto
dall'amministrazione finanziaria, alla Lago Brasimone s.r.l. non
poteva non essere riconosciuta la qualità di soggetto esercente
attività imprenditoriale, e, quindi, di contribuente ai fini dell'I
va.
B) È da escludere, d'altronde, la riscontrabilità nella sentenza
impugnata della denunciata violazione degli art. 4 d.p.r. 26 ot
tobre 1972 n. 633 e 49 1. 30 dicembre 1991 n. 413.
In proposito, soccorrono le seguenti osservazioni.
a) L'art. 4, 2° comma, d.p.r. n. 633 del 1972, cit., recita, te
stualmente — al n. 1 —, che «si considerano in ogni caso ef
fettuate nell'esercizio d'impresa le cessioni di beni e le presta zioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in acco
mandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per
azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società co
operative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società
estere di cui all'art. 2507 c.c., e dalle società di fatto».
b) L'inequivoco tenore della disposizione legislativa ripor tata consente di avere per fermo che le cessioni di beni e le pre stazioni di servizi poste in essere dalle società suindicate, quale che possa essere la natura dell'attività di queste, costituiscono,
ad ogni effetto, per presunzione iuris et de iure, operazioni ef
fettuate nell'esercizio d'impresa, a prescindere dal tipo e dalla
natura relativi, e che, pertanto, a dette società, al novero delle
quali l'odierna controricorrente incontestatamente appartiene,
compete ex lege la qualifica d'impresa ai fini dell'applicazione dell'Iva sulle compiute operazioni attive.
c) Dall'indiscutibilità del dato in questione, però, non può non conseguire la qualificabilità come impresa delle società
medesime anche con riguardo alle realizzate operazioni passive,
posto che non avrebbe senso qualificare un soggetto imprendito re per le operazioni a valle e come non imprenditore per quelle a
monte, quando non può non risaltare all'evidenza che, ai fini
della disciplina dell'Iva, uno stesso soggetto o è imprenditore, o
non lo è, ma, se lo è, agisce necessariamente come tale con ri
guardo all'intera sua attività.
d) Ed è appena il caso di rilevare come l'enunciazione di
principio considerata sia stata condivisa anche dall'amministra
zione finanziaria con la circolare del dipartimento delle entrate -
direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tri
butario n. 128/E/III - 7-353 dell'8 maggio 1997, nella quale, ap
punto si è precisato che «l'art. 4 (d.p.r. n. 633 del 1972) deve
essere interpretato nel senso che, salvo i casi di situazioni frau
dolente o abusive, lo stesso soggetto non può essere considerato
imprenditore per le operazioni attive e consumatore finale per le
operazioni passive», con aprioristica esclusione del suo diritto
alla detrazione dell'Iva a queste ultime inerente: e ciò con speci fico riferimento al trattamento tributario spettante alle società
dedite, come la Lago Brasimone s.r.l., alla gestione di immobili.
e) Corollario dei fin qui esposti rilievi è che si appalesa inac
cettabile la tesi, prospettata dalla pubblica amministrazione ri
corrente, secondo la quale, nel quadro della disciplina dell'Iva,
la Lago Brasimone s.r.l., in ragione esclusivamente della sua
natura di società di gestione immobiliare, dovrebbe essere con
siderata, in relazione alle compiute operazioni passive, un con
sumatore finale, e, perciò, un soggetto astrattamente non legit timato ad avvalersi del meccanismo di definizione agevolata delle pendenze fiscali concernenti l'Iva previsto dall'art. 49 ri
petuta 1. n. 413 del 1991.
f) Vale la pena di puntualizzare che il dedotto vizio di moti
vazione in ordine alle tematiche di cui alle lettere precedenti non rileva, afferendo tale, asserito, vizio a soluzione di questio ne esclusivamente giuridica, in relazione alla quale la ratio de
cidendi della sentenza impugnata è integrabile e/o sostituibile da
questa Suprema corte ex art. 384, 2° comma, c.p.c.
g) In conclusione, le doglianze sollevate dalla pubblica am
ministrazione ricorrente vanno tutte disattese, e, di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato.
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