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sezione tributaria; sentenza 9 aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Maccarone...

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sezione tributaria; sentenza 9 aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Maccarone (concl. diff.); Soc. Palazzo Aguselli (Avv. Berliri, Cogliati Dezza) c. Min. finanze e Ufficio delle entrate di Forlì. Conferma Comm. trib. reg. Emilia-Romagna 18 novembre 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 3039/3040-3045/3046 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197876 . Accessed: 28/06/2014 09:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.163 on Sat, 28 Jun 2014 09:14:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione tributaria; sentenza 9 aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Maccarone(concl. diff.); Soc. Palazzo Aguselli (Avv. Berliri, Cogliati Dezza) c. Min. finanze e Ufficio delleentrate di Forlì. Conferma Comm. trib. reg. Emilia-Romagna 18 novembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 3039/3040-3045/3046Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197876 .

Accessed: 28/06/2014 09:14

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3039 PARTE PRIMA 3040

Nel quadro di queste assonanze si colloca anche la decorrenza

del diritto: il primo giorno del mese successivo a quello di pre sentazione della domanda (art. 2, 4° comma, del decreto in esa

me; cui corrispondono, ad esempio, gli art. 12, 1° comma, e 13

1. 30 marzo 1971 n. 118, per pensioni ed assegni degli invalidi

civili, e l'art. 3, 4° comma, 1. 11 febbraio 1980 n. 18 per l'in

dennità di accompagnamento). Come per altre prestazioni, la domanda è solo un presupposto

necessario al riconoscimento del diritto (un'eccezione a questa necessità è il diritto alla prestazione per infortunio sul lavoro, che trae meccanica origine dalla denuncia, cui il datore è obbli

gato ex art. 53 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124).

L'ancoraggio della decorrenza alla domanda è stato normati

vamente ipotizzato in relazione alla fisiologica (ragionevole) situazione della sussistenza (contestualmente alla domanda) di

tutti i presupposti del diritto (ritenendosi che, ove si presenti la

domanda per il riconoscimento d'un diritto, siano presenti tutti i

presupposti previsti dalla legge per la nascita del diritto stesso). Ed invero, in materia previdenziale ed assistenziale il diritto è

spesso subordinato alla sussistenza di alcuni presupposti: e per tanto, anche se è previsto che il diritto decorra dal primo giorno del mese successivo alla domanda, il perfezionarsi, nel corso del

procedimento amministrativo o giudiziale, di alcuni presupposti (inizialmente insussistenti) determina, pur nell'anteriorità della

domanda, il differimento della decorrenza, con effetti ex nunc, all'attuarsi di questi presupposti. Ciò, ad esempio, per la pen sione d'inabilità prevista dalla 1. 12 giugno 1984 n. 222: nel

corso del procedimento amministrativo e giudiziale possono

perfezionarsi il requisito di contribuzione previsto dall'art. 4

(Corte cost. n. 335 del 1989, Foro it., Rep. 1990, voce Previ

denza sociale, n. 817; Cass. 16 ottobre 2001, n. 12629, id., Rep. 2002, voce cit., n. 541), la cancellazione da elenchi ed albi pro fessionali (art. 2, 2° comma, seconda parte dell'indicata legge), e lo stesso requisito sanitario (art. 149 disp. att. c.p.c.), con il

conseguente differimento della decorrenza della prestazione alla

data di tale perfezionamento.

Egualmente è a dirsi per il diritto all'assegno degli invalidi

civili: i presupposti dello stato di invalidità, del limite di reddito

e dello stato di incollocazione possono sorgere anche nel corso

del giudizio, determinando il differimento della decorrenza del diritto stesso (Cass. 16 luglio 2002, n. 10313, ibid., voce Invali di civili e di guerra, n. 31).

Ciò, anche per il diritto in esame. La lettera della legge (in cui

la cancellazione è prevista come espressa condizione), la natura del diritto (quale pensione anticipata), il relativo fondamento

(compenso per la cessazione dell'attività commerciale), e l'esi

genza d'un oggettivo permanente riscontro del suo presupposto (l'indicata cessazione), consentono di ritenere che la decorrenza

del diritto dalla domanda sia connessa alla normale preesistenza della cancellazione dai registri, e che ove la cancellazione si per fezioni nel corso del procedimento amministrativo o giudiziale, a

questo perfezionamento sia differita la nascita del diritto. Né è fondata la costruzione dell'impugnata sentenza, secondo

cui le condizioni previste dall'art. 2, 2° comma, che vengano ad esistenza dopo la presentazione della domanda, retroagirebbero dando efficacia al diritto dal tempo della domanda.

Ed invero, da un canto, il requisito previsto dall'art. 4, costi tuito dalla cessazione dell'attività lavorativa, si identifica (pur per una sua parte: attività commerciale, come parte dell'attività

lavorativa) con una delle condizioni previste dall'art. 2, 2°

comma; come la cessazione dell'attività commerciale (prevista dall'art. 4), anche gli altri fatti (previsti dall'art. 2, 2° comma) sono necessari per il sorgere del diritto.

La distinzione formulata dal legislatore è, poi, fra requisiti (art. 2, 1° comma: qualità di cui il titolare «è in possesso»; e

che, essendo preesistente, attiene al rapporto stesso da cui il di ritto trae origine), condizioni (art. 2, 2° comma: atti riferibili al momento della nascita del diritto, e che il titolare deve porre in

essere), ed incompatibilità (art. 4: svolgimento del lavoro; atti vità che, assumendo rilevanza solo in quanto si differenzi dalle

condizioni, è posteriore alla nascita del diritto, e ne determina la

cessazione). E nel quadro di questa distinzione è da leggere l'iniziale inci

so dall'art. 3, 4° comma («salvo quanto disposto dall'art. 4, l'indennizzo spetta dal primo giorno del mese successivo alla domanda fino a tutto il mese in cui il beneficiario compie ...»): eccezione formulata non nei confronti della generale decorrenza del diritto (come la sentenza postula: eccezione che, in tal modo

Il Foro Italiano — 2003.

costruita, non comprenderebbe nel proprio ambito la mancanza

di cancellazione), bensì della complessiva durata del diritto (il diritto cessa di esistere con il verificarsi del fatto incompatibile).

La possibilità (prospettata dalla sentenza) d'un ritardo fra ri

chiesta di cancellazione ed atto di cancellazione, ritardo che poi

peserebbe sul richiedente, è fatto che (oltre ad essere, nella fi

siologica situazione presupposta dal legislatore, un'eventualità

inesistente) è comune ad altre parallele ipotesi (come l'art. 2, 2°

comma, seconda parte, 1. 12 giugno 1984 n. 222, ove è espres samente previsto il differimento della decorrenza del diritto), che consentono di leggere anche la disciplina in esame nel qua dro di un'unitaria esigenza normativa.

E pertanto da affermare che «anche se l'indennizzo per ces

sazione dell'attività commerciale, previsto dal d.leg. 28 marzo

1996 n. 207, spetta dal primo giorno del mese successivo alla

domanda, il diritto è condizionato alla cancellazione del titolare

dell'attività dal registro degli esercenti il commercio e dal regi stro delle imprese presso la camera di commercio, industria, ar

tigianato ed agricoltura; ed ove la cancellazione intervenga in

un momento successivo alla domanda, a questo momento è dif

ferita la decorrenza della prestazione». Il ricorso deve essere accolto, e la sentenza deve essere cas

sata. E, non essendo necessari (per l'incontroversa coincidenza

temporale fra cancellazione dai registri ed erogazione del dirit

to) ulteriori accertamenti di fatto, la causa, in applicazione del

l'art. 384 c.p.c., deve essere decisa nel merito, con la reiezione

della domanda con cui Benedetta Di Stefano aveva chiesto la

retrodatazione del diritto.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 9

aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Macca

rone (conci, diff.); Soc. Palazzo Aguselli (Avv. Berliri, Co

gliati Dezza) c. Min. finanze e Ufficio delle entrate di Forlì.

Conferma Comm. trib. reg. Emilia-Romagna 18 novembre

1998.

Valore aggiunto (imposta sul) — Detrazione — Società

commerciale — Acquisti — Presunzione di inerenza —

Esclusione (D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disci

plina dell'imposta sul valore aggiunto, art. 4, 19).

Ai fini della detrazione dell'imposta sul valore aggiunto, l'ine

renza all' esercizio dell'impresa dell'acquisto di beni e servi

zi non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di

imprenditore societario dell'acquirente. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 5 lu

glio 2002, n. 9806; Pres. Delli Priscoli, Est. Paolini, P.M.

Maccarone (conci, conf.); Min. finanze (Avv. dello Stato

Criscuoli) c. Soc. International factors Italia (Avv. Russo).

Conferma Comm. trib. reg. Toscana 22 settembre 1997.

Valore aggiunto (imposta sul) — Detrazione — Società

commerciale — Acquisti — Presunzione di inerenza

(D.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 4, 19).

Ai fini della detrazione dell'imposta sul valore aggiunto, sussi

ste una presunzione iuris et de iure di inerenza all'esercizio

dell'impresa degli acquisti di beni e servizi compiuti da una

società commerciale. (2)

(1-2) Prevalente, nella giurisprudenza della Suprema corte, sembra l'orientamento che esclude che l'art. 4 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633

possa fondare una presunzione di inerenza all'esercizio dell'impresa delle operazioni passive (i.e. degli acquisti di beni e servizi) poste in essere da una società commerciale: così, Cass. 24 febbraio 2001, n. 2729, Foro it., Rep. 2001, voce Valore aggiunto (imposta), n. 305, e

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1

Svolgimento del processo. — La società Palazzo Aguselli s.r.l., con sede in Cesena, esercente attività immobiliare, van

tando un credito Iva, per l'anno 1992, di lire 168.000.000, ne

chiese il rimborso all'ufficio Iva di Forlì che, in un primo tem

po, lo sospese, quindi lo negò con avviso in data 11 luglio 1994,

per mancanza di un effettivo esercizio d'impresa da parte della

società richiedente.

Questa propose ricorso davanti alla competente commissione

tributaria, che lo accolse con sentenza 312/96, appellata dall'uf

ficio, il quale dedusse l'inammissibilità del ricorso introduttivo — assumendo che la contribuente avrebbe dovuto impugnare il

provvedimento di sospensione del rimborso anziché la comuni

cazione di diniego, meramente esplicativa del primo — ed insi

stette perché fosse riconosciuta dal giudice del gravame la le

gittimità del diniego di rimborso. Con sentenza depositata il 18 novembre 1998, la Commissio

ne tributaria regionale dell'Emilia-Romagna, rigettate per in

fondatezza le rispettive eccezioni d'inammissibilità proposte, dall'ufficio, per asserita non impugnabilità della lettera di di

niego, e, dall'appellata, per pretesa tardività del gravame, accol

se la doglianza dell'amministrazione e riformò, conseguente mente, la decisione di primo grado, dichiarando legittimo il di

niego di rimborso, sul presupposto che la s.r.l. Palazzo Aguselli, non esercitando effettivamente, stabilmente e professionalmente l'attività immobiliare dichiarata, non aveva, per il solo fatto di

essere strutturata in società di capitali, la qualità d'imprenditore commerciale e, quindi, non aveva diritto al chiesto rimborso, dovendo considerarsi l'unica vendita di una modesta unità im

mobiliare ad uno dei soci preordinata al fine d'indurre l'ufficio

Iva ad effettuare il rimborso.

Per la cassazione di tale sentenza la s.r.l. (ora s.a.s.) Palazzo

Aguselli propone ricorso articolato in due motivi, illustrato an

che con memoria, cui resiste con controricorso l'amministrazio

ne delle finanze.

Motivi della decisione. — L'eccezione d'inammissibilità del

ricorso introduttivo del giudizio di merito, per essere stato lo

stesso rivolto contro l'atto formale di diniego del rimborso an

ziché contro il provvedimento di sospensione, già motivata

mente rigettata dalla commissione tributaria regionale e richia

mata in limine dall'amministrazione controricorrente, deve esse

re pregiudizialmente disattesa per l'assorbente ragione che,

Riv. dir. trib., 2001, II, 538, con nota di Sala, Il diritto di detrazione in

ragione dell'oggettivo impiego del bene-, 10 aprile 2000, n. 4517, Foro

it.. Rep. 2000, voce cit., n. 271, e Riv. giur. trib., 2000, 990, con nota di

Comelli, Sull'onere della prova ai fini della detrazione dell'Iva. Al pari del Supremo collegio, anche la giurisprudenza di merito ap

pare divisa: nel senso di Cass. 5599/03, v. Comm. trib. I grado Salerno 3 giugno 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 269; 13 marzo 1995, ibid., n. 268 (entrambe annotate da Borri, in Fisco, 1996, 2014); 8 ot tobre 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 283, e Fisco, 1995, 3657, con nota di Borri; 1° marzo 1994, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 270, e Fisco, 1995, 2386, con nota di Mottura; Riv. dir. trib., 1995, II, 223, con nota di Zizzo, Società «senza impresa» e detrazione dell'Iva sugli acquisti; Rass. trib., 1995, 733, con nota di Stevanato, Atti di organiz zazione, società senza impresa e detrazione dell'Iva', Riv. giur. trib., 1995, 925, con nota di Comelli, Effettivo esercizio di attività impren ditoriale e, detrazione Iva sugli acquisti; Giur. it., 1995, III, 2, 74, con nota di Turchi, Società senza impresa e detraibilità dell'Iva; Comm. trib. centrale 24 maggio 1993, n. 1983, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n.

218, e Rass. trib., 1994, 917, con nota di Lupi, Per la detrazione Iva la

forma societaria non basta: l'acquisto deve essere utilizzabile nell'im

presa. La posizione di Cass. 9806/02 è invece condivisa da Comm. trib.

reg. Toscana 22 settembre 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 240; Comm. trib. prov. Brescia 1° febbraio 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n.

373, e Riv. giur. trib., 1997, 874, con nota di Comelli, La «società sen

za impresa» nella disciplina dell'Iva; Comm. trib. II grado Torino 28

marzo 1995, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 264, e Corriere trib., 1995, 1475, con nota di Centore; Comm. trib. I grado Milano 30 di

cembre 1992, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 266, e Fisco, 1993, 7154, con nota di Veroi; Comm. trib. I grado Aosta 7 novembre 1987, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 99, e Dir. e pratica trib., 1988, II, 704, con nota di Savini, Attività d'impresa radiotelevisiva privata e disci

plina normativa dell'Iva. L'orientamento fatto proprio dalla prevalente giurisprudenza di le

gittimità (ed ora ribadito da Cass. 5599/03) è condiviso anche dall'am

ministrazione finanziaria: v. min. fin., circ. 17 dicembre 1991, n*

57/501499, Fisco, 1992, 335.

Il Foro Italiano — 2003.

trattandosi dell'asserita mancanza di un presupposto proces suale, su tale questione, pur rilevabile d'ufficio, si è formato il

giudicato, per essersi il giudice della fase precedente espressa mente pronunciato su di essa con decisione sul punto non impu

gnata (cfr. Cass. 6844/95, Foro it., Rep. 1996, voce Tributi in

genere, n. 1369; 9834/90, id., Rep. 1991, voce Redditi (impo ste), n. 707; 8917/90, ibid., voce Tributi in genere, n. 973).

La contribuente lamenta, col primo motivo di ricorso, viola

zione e falsa applicazione degli art. 4, 19, 30 e 38 bis d.p.r. 26

ottobre 1972 n. 633 (istituzione e disciplina dell'imposta sul

valore aggiunto) e carenza di motivazione, sotto i seguenti pro fili:

— essendo essa contribuente (all'epoca della richiesta di

rimborso e del ricorso avverso il diniego) una società a respon sabilità limitata, la decisione impugnata appare assunta in viola

zione dell'art. 4 d.p.r. 633/72, a mente del quale le cessioni di

beni fatte da tali società debbono essere considerate «in ogni ca

so», quindi con presunzione assoluta, effettuate nell'esercizio

d'impresa; —

analoga conclusione devesi, quindi, riconoscere valida in

ordine alla detraibilità dell'imposta dovuta per l'acquisto di be

ni nell'esercizio dell'impresa, nei termini stabiliti dall'art. 19

stesso d.p.r.; — non può dubitarsi che l'effettuato acquisto di beni immo

bili è inerente all'attività propria della società ricorrente, trat

tandosi di atto previsto espressamente nell'oggetto sociale; — la motivazione della sentenza impugnata è carente, con

riguardo alla valutazione delle circostanze di fatto da cui è pos sibile desumere che la società ha svolto attività d'impresa.

Il motivo è infondato e deve essere rigettato. Gli ultimi due profili sopra elencati —

riguardanti l'inerenza

dell'effettuato acquisto d'immobili all'attività propria dell'im

presa commerciale e l'effettiva sussistenza di un'attività d'im

presa — sollecitano un inammissibile riesame in fatto delle

conclusioni raggiunte dal giudice di merito su tali argomenti; conclusioni motivate in modo esauriente e logico, ragion per cui

non meritano censura.

Pur essendo evidente, infatti, che l'acquisto e la ristruttura

zione di immobili sono contemplati nell'oggetto sociale della

ricorrente, ciò che il giudice a quo motivatamente esclude, in

base all'esame degli atti, è che la contribuente abbia dato prova sufficiente di aver esercitato, stabilmente e professionalmente, l'attività economica d'impresa giacché, dopo l'acquisizione e la

ristrutturazione del bene, l'unica operazione attiva consistette

nella vendita ad uno dei soci di una modesta unità immobiliare

(scantinato), per modico prezzo. Da questa e da altre circostanze

di fatto e documentali, il giudice di merito trae il convincimen

to, correttamente motivato e quindi insindacabile in questa sede, che tali operazioni, pur astrattamente collegabili agli esibiti sco

pi sociali, in realtà non soddisfano il requisito dell'effettivo

esercizio d'impresa commerciale.

Gli altri due profili, sotto l'aspetto della violazione di legge, riflettono un unico fondamentale rilievo critico, riassumibile

come segue: se, in virtù delle espressioni letterali contenute nel

l'art. 4, 2° comma, n. 1, d.p.r. 633/72, le cessioni di beni da

parte di società commerciali sono da considerare «in ogni caso», cioè senza eccezioni, effettuate nell'esercizio d'impresa, tali

debbono pure considerarsi gli acquisti di beni da parte delle

stesse società.

Questo argomento, già ripetutamente confutato dalla giuris

prudenza prevalente, pienamente condivisa dal collegio, di que sta Suprema corte (Cass. 2729/01, id., Rep. 2001, voce Valore

aggiunto (imposta), n. 305; 4517/00, id., Rep. 2000, voce cit., n.

271; 236/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 283; contra, da ultimo, Cass. 9806/02, id., Rep. 2002, voce cit., n. 294) non può essere

accolto.

Infatti, l'imposta è dovuta dai soggetti che effettuano cessioni

di beni e prestazioni di servizi (art. 17, 1° comma, d.p.r. 26 ot

tobre 1972 n. 633); ma, per la determinazione dell'ammontare

di essa, l'art. 19, 1° comma, stesso d.p.r. (anche nel testo vi

gente nel periodo che interessa), prevede che dall'ammontare

così dovuto sia detratto il tributo pagato, dovuto o addebitato a

titolo di rivalsa, per l'acquisto di beni o di servizi effettuato nel

l'esercizio d'impresa. Lo stretto collegamento, operato dalle due norme citate, fra

operazioni attive ed operazioni passive, ai fini della determina

zione in concreto del tributo, ed il testuale riferimento, conte

nuto nell'art. 19, 1° comma, all'esercizio d'impresa, configura

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3043 PARTE PRIMA 3044

no un sistema normativo, per cui l'Iva è dovuta (all'erario) in

relazione a tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi im

ponibili (operazioni attive); ma è detraibile soltanto il tributo

dipendente da operazioni passive (acquisti) effettuate «nel

l'esercizio dell'impresa, arte o professione» (art. 19). La ratio di tale sistema consiste nel «neutralizzare» l'Iva af

ferente ai trasferimenti intermedi di beni o servizi, effettuati

nell'esercizio dell'impresa, arte o professione, fino al consu

matore finale, sul quale grava, in definitiva, l'onere della tassa

zione. Essa esige, quindi, che l'Iva dovuta sulle operazioni atti

ve (art. 17) sia detraibile esclusivamente dall'imposta relativa

all'acquisto di beni necessari per l'esercizio vero e proprio del

l'impresa, effettivamente destinati dall'imprenditore alla realiz

zazione degli scopi produttivi programmati (fra le molte, Cass.

5555/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 278; 10919/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 223; 5981/92, ibid., n. 218).

Questo requisito della «inerenza» dell'acquisto all'esercizio

d'impresa, è identificato, di regola, mediante il raffronto fra tale

operazione passiva e quelle attive, dovendo la prima essere

strumentale rispetto alle seconde, già compiute o soltanto pro

grammate; pertanto, non può ritenersi assente, in teoria, per il

solo fatto che, allo stato, manchino tali operazioni attive o che

ne siano state effettuate poche o una sola, anche assolutamente

modesta: diversamente opinando, si eluderebbe l'indicata ratio

del sistema, determinando un irragionevole incremento di tassa

zione in danno dell'imprenditore oggettivamente non in grado, tenuto conto dei tempi occorrenti allo scopo, di compiere dette

operazioni in rapida successione, come appunto si verifica nel

caso dell'impresa che acquisti immobili per la successiva ri

strutturazione e vendita.

D'altra parte, in caso di operazioni attive mancanti o sporadi che e valutate dal giudice di merito, con ineccepibile motivazio

ne, come assolutamente insignificanti, l'inerenza dell'acquisto d'immobile all'esercizio dell'impresa non può essere ritenuta in

virtù della semplice qualità d'imprenditore societario dell'ac

quirente, essendo testualmente presunta dalla legge («in ogni caso»; art. 4, 2° comma, n. 1, d.p.r. 633/72) tale inerenza solo in

relazione alle cessioni di beni e prestazioni di servizi, non anche

agli acquisti. La logica del sistema di «neutralizzazione» dell'Iva richiede,

infatti, che le operazioni attive soggette ad imposta (art. 1 e 17

d.p.r. cit.), se compiute da una società commerciale, siano con

siderate, in ogni caso, effettuate nell'esercizio d'impresa (art. 4

cit.), con relativa e sicura insorgenza dell'obbligo nei confronti

dell'erario; ciò corrisponde anche, peraltro, a criteri di affidabi

lità a favore dell'acquirente. Non altrettanto automatica, invece,

può essere la valutazione delle operazioni passive, in ordine alla

detraibilità del tributo, dovendosi in questo caso accertare che

esse siano state effettuate «nell'esercizio dell'impresa» (art.

19), ossia in stretta connessione con le finalità imprenditoriali: in caso contrario — oltre a risultarne vanificata la disposizione del 1° comma dell'art. 4 cit., laddove l'esercizio d'impresa è

positivamente qualificato come «esercizio per professione abi

tuale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agri cole ...», e quella del 2° comma, che attribuisce alle società la

presunzione di esercizio d'impresa solo con riferimento alle

operazioni attive —, la detrazione sarebbe concessa in relazione ad un acquisto che si pone fuori dal tipico circuito di applica zione-detrazione dell'Iva.

Si ritiene, in definitiva, che il sistema degli art. 1, 4, 17, 19

d.p.r. 633/72, non sia inteso a qualificare come inerente al

l'esercizio dell'impresa qualsiasi operazione, attiva o passiva,

compiuta dalle società commerciali (in tal senso, invece, Cass.

9806/02, cit.); bensì ad attribuire in ogni caso, a dette società, l'onere dell'imposta sulle operazioni attive, riservando la de

traibilità del tributo solo alle operazioni passive compiute nel

l'effettivo esercizio dell'impresa. In questa prospettiva, conforme al testuale dettato normativo

e confacente alla logica dell'imposta sul valore aggiunto, la

qualità d'imprenditore societario (bastevole solo per rendere as

soggettabili all'Iva le operazioni attive) e l'inserimento nell'og getto sociale delle voci relative alla compravendita e ristruttura zione d'immobili costituiscono, rispetto alla detraibilità del tri

buto assolto sulle operazioni passive, elementi puramente indi

ziari dell'inerenza di tali operazioni passive all'effettivo eserci

zio dell'impresa; indizi valutabili dal giudice di merito insieme con altre circostanze della concreta vicenda, idonee a fondarne il convincimento — insuscettibile di riesame in sede di legitti

II Foro Italiano — 2003.

mità, se adeguatamente motivato — circa l'effettiva inerenza

dell'acquisto (immobiliare, nella fattispecie) all'espletamento della progettata attività imprenditoriale. L'onere della prova di

tali circostanze restando a carico di chi invochi la detrazione (v. Cass. 4517/00, cit.).

La sentenza impugnata, incentrata sul rilievo della radicale

carenza di prove atte a ricollegare l'acquisto d'immobile effet

tuato dalla ricorrente, ed i successivi lavori di ristrutturazione,

allo scopo statutario di utilizzarlo per l'attività lucrativa d'in

termediazione immobiliare, risulta correttamente motivata, in

conformità ai principi suespressi. Questo motivo di ricorso va

quindi rigettato. Il secondo motivo di ricorso, con cui la contribuente, subor

dinatamente all'accoglimento del primo, chiede la liquidazione

degli interessi legali e di quelli anatocistici sulle somme pretese

quale rimborso, è assorbito.

II

Svolgimento del processo. — L'ufficio Iva di Firenze, con

avviso 605865/93, rettificò la dichiarazione presentata per il

1990 dalla Lago Brasimone s.r.l., accertando la debenza di una

maggiore imposta di lire 17.000 ed un minor credito di lire

8.550.000.000 ed intimando il versamento della somma correla

tivamente riscontrata indebitamente rimborsata, nonché degli interessi sulla stessa maturati (in lire 130.710.000 ed in lire

1.237.001.000): ancorò l'atto impositivo così emesso al rilievo

che la menzionata società, «controllata dal gruppo Fondiaria»,

gestita da un amministratore unico dirigente della Fondiaria

s.p.a., priva di personale e di sede propri, aveva realizzato ac

quisti per lire 45.000.193.000, a fronte dei quali risultavano

operazioni imponibili per lire 193.110; che, non costituendo

esercizio d'impresa il godimento dì immobili, ancorché locati a

terzi, tenuto conto dei rapporti intercorrenti fra la ridetta Lago Brasimone s.r.l. e la sunnominata società capogruppo, doveva

presumersi che la contribuente rettificata venisse utilizzata dalla

sua controllante «quale strumento di comodo per dislocare il

patrimonio immobiliare presso un soggetto non inciso da un

pro rata molto elevato quale è quello delle imprese di assicura

zioni», che la medesima non esercitasse un'attività imprendito riale, e che le operazioni da lei poste in essere non integrassero esercizio d'impresa; che difettavano, quindi, le condizioni di cui

all'art. 30, 3° comma, lett. c), d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 per

l'insorgenza del diritto al rimborso dell'Iva in questione «atteso

che gli immobili di proprietà (di società) immobiliari e da que ste locati a terzi non possono essere considerati beni strumentali

(ammortizzabili), rappresentando essi l'oggetto e non lo stru

mento dell'attività del locatore».

La International factors Italia s.p.a., incorporante della Lago Brasimone s.r.l., cui era stato notificato l'avviso di rettifica

suindicato, impugnò dinanzi alla Commissione tributaria di

primo grado di Firenze, all'epoca operante, l'atto impositivo considerato, da un lato, contestando la fondatezza della pretesa erariale ad esso sottesa, dall'altro, deducendo l'intervenuta pre sentazione per l'anno 1990 di dichiarazione integrativa con de

finizione automatica della pendenza tributaria in discussione ai

sensi dell'art. 49 1. 30 dicembre 1991 n. 413.

La commissione adita, con decisione 37/10/95, accolse l'im

pugnativa.

Sull'appello dell'ufficio Iva di Firenze, la Commissione tri

butaria regionale della Toscana, cui la vertenza era stata attri

buita a mente dell'art. 72 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, con

sentenza del 27 settembre 1997, disatteso il gravame, confermò

la pronuncia del primo giudice. La commissione tributaria regionale, per quanto ancora rile

va, motivò la così resa statuizione evidenziando avere la Lago Brasimone s.r.l. presentato dichiarazione integrativa con defini

zione automatica dell'Iva in controversia a norma dell'art. 49 1.

n. 413 del 1991, cit.; osservando, quindi, non poter essere con

diviso l'assunto della, pubblica amministrazione appellante inte

so ad addurre che «il condono non può ritenersi applicabile alla

fattispecie in quanto trattasi non di attività d'impresa ma di me

ro godimento (di immobili)», e che «per lo stesso motivo non

può essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell'imposta», ed altresì che «il rimborso non compete in quanto i beni immo

bili non sono lo strumento ma l'oggetto dell'attività»; conside

rando doversi affermare, invece, che «l'art. 4 d.p.r. 633/72 ab

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Page 5: sezione tributaria; sentenza 9 aprile 2003, n. 5599; Pres. Riggio, Est. Magno, P.M. Maccarone (concl. diff.); Soc. Palazzo Aguselli (Avv. Berliri, Cogliati Dezza) c. Min. finanze e

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

bia un'univoca interpretazione nel senso che ai fini Iva in ogni caso siamo di fronte allo svolgimento di attività industriali

quando a svolgere quell'attività siano società commerciali», es

sendo da tener conto del dato che «in tal senso sembra espri mersi ..anche la normativa comunitaria che consente sempre la detrazione di imposta assolta su acquisti e importazioni di be

ni impiegati nell'attività» (delle società cennate); chiosando es

sere corollario di ciò che «ha piena validità la domanda di con

dono automatico presentata». Il ministero delle finanze ricorre, con un articolato motivo,

per la cassazione della sentenza di secondo grado suindicata,

notificatagli il 2 marzo 1998.

L'International factors Italia s.p.a. resiste al ricorso, notifi

catole il 30 aprile 1998, con controricorso dell'8 giugno 1998.

Motivi della decisione. — Il ministero delle finanze, con il

mezzo articolato per suffragare il ricorso, sostiene che la pro nuncia nei sensi illustrati resa sulla fattispecie dalla Commis

sione tributaria regionale della Toscana dovrebbe essere ravvi

sata passibile di cassazione siccome inficiata da «violazione

dell'art. 112 c.p.c.; omesso esame su un punto decisivo della

controversia; difetto assoluto di motivazione su un punto decisi

vo della controversia; violazione e falsa applicazione dell'art.

49 1. 413/91 e successive modifiche; in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.».

La pubblica amministrazione ricorrente, più specificamente,

accampa che la commissione anzidetta avrebbe definito la ver

tenza «limitandosi a fornire un'erronea interpretazione dell'art.

4 d.p.r. 633/72, dalla quale ha fatto discendere l'applicabilità nella presente fattispecie della normativa sul condono, e non af

frontando il punto centrale» degli assunti prospettati da essa de

ducente «costituito dalla negazione che nella specie potesse tro

vare applicazione il condono automatico previsto dall'art. 49 1.

413/91, posto che» la Lago Brasimone s.r.l. «non era altro che

un soggetto in tutto e per tutto equiparabile ad un consumatore

finale sui cui acquisti deve gravare in via definitiva l'Iva, sicché

alla stessa non poteva attribuirsi la qualità di soggetto esercente

attività d'impresa o commerciale» e una veste suscettibile di le

gittimarla a «presentare validamente domanda di definizione

agevolata della controversia»; denuncia, quindi, che «l'afferma

zione», contenuta nella sentenza impugnata, «per cui l'art. 4

d.p.r. 633/72 prevederebbe che in ogni caso siamo di fronte a

svolgimento di attività industriali quando a svolgere tale attività

sono società commerciali finisce con il costituire violazione

della norma interpretata», in quanto questa «prevede che ai fini

Iva deve intendersi per esercizio d'impresa l'esercizio per pro fessione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività com

merciali o agricole, e non anche l'esercizio di attività di mera

gestione di immobili», sicché «nulla autorizza l'interprete ad af

fermare che dalla norma si evince il principio o anche soltanto

la mera presunzione che costituisce esercizio di impresa qua

lunque attività posta in essere da una società commerciale», e

che dalla «circostanza che il soggetto è costituito in forma di

società di capitali... automaticamente si possa evincere che la

(sua) attività... sia identificabile come esercizio d'impre sa ...»; lamenta, conclusivamente, che il giudice del merito

avrebbe ignorato l'esistenza della prova del fatto che l'attività

espletata dalla Lago Brasimone s.r.l. era consistita nel mero go dimento di cespiti immobiliari e che a detta società, pertanto, «ai fini Iva», doveva essere attribuita veste di consumatore fi

nale, correlando la sua pronuncia unicamente alla surrichiamata

interpretazione, prospettata erronea, del ripetuto art. 4 d.p.r. 26

ottobre 1972 n. 633.

La censura è, sotto ogni profilo, immeritevole di ingresso.

A) Innanzi tutto, va detto che appare inconsistente la dedu

zione secondo la quale il giudice del merito, in violazione del

dettato dell'art. 112 del codice di rito, avrebbe omesso di pro nunciare sugli assunti, prospettatigli dalla pubblica amministra

zione odierna ricorrente, relativi alla non attribuibilità alla con

troparte della veste di soggetto esercente attività d'impresa commerciale ed alla qualificabilità della stessa, con riferimento

alla disciplina dell'Iva, come consumatore finale, non legitti mato ad avvalersi sia delle norme in materia di detrazione del

tributo assolto o dovuto o addebitatogli con riguardo ai beni ed

ai servizi acquistati nell'espletamento della sua attività, sia a de

finire le pendenze relative all'imposta considerata a mente della

1. 30 dicembre 1991 n. 413. La lettura della sentenza impugnata, difatti, rende palese che

la commissione tributaria regionale ha espressamente esaminato

Il Foro Italiano — 2003.

gli assunti cennati, e, avendoli ravvisati destituiti di fondamen

to, li ha disattesi sulla base del rilievo che alla società sunnomi

nata dovesse riconoscersi la qualità di soggetto esercente attività

d'impresa, essendo da ritenere che «l'art. 4 d.p.r. 633/72 abbia

un'univoca interpretazione nel senso che ai fini Iva in ogni caso

siamo di fronte a svolgimento di attività industriali quando a

svolgere tale attività sono società commerciali».

In tali termini statuendo, infatti, la commissione anzidetta ha

evidentemente dichiarato che, in contrasto con quanto sostenuto

dall'amministrazione finanziaria, alla Lago Brasimone s.r.l. non

poteva non essere riconosciuta la qualità di soggetto esercente

attività imprenditoriale, e, quindi, di contribuente ai fini dell'I

va.

B) È da escludere, d'altronde, la riscontrabilità nella sentenza

impugnata della denunciata violazione degli art. 4 d.p.r. 26 ot

tobre 1972 n. 633 e 49 1. 30 dicembre 1991 n. 413.

In proposito, soccorrono le seguenti osservazioni.

a) L'art. 4, 2° comma, d.p.r. n. 633 del 1972, cit., recita, te

stualmente — al n. 1 —, che «si considerano in ogni caso ef

fettuate nell'esercizio d'impresa le cessioni di beni e le presta zioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in acco

mandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per

azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società co

operative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società

estere di cui all'art. 2507 c.c., e dalle società di fatto».

b) L'inequivoco tenore della disposizione legislativa ripor tata consente di avere per fermo che le cessioni di beni e le pre stazioni di servizi poste in essere dalle società suindicate, quale che possa essere la natura dell'attività di queste, costituiscono,

ad ogni effetto, per presunzione iuris et de iure, operazioni ef

fettuate nell'esercizio d'impresa, a prescindere dal tipo e dalla

natura relativi, e che, pertanto, a dette società, al novero delle

quali l'odierna controricorrente incontestatamente appartiene,

compete ex lege la qualifica d'impresa ai fini dell'applicazione dell'Iva sulle compiute operazioni attive.

c) Dall'indiscutibilità del dato in questione, però, non può non conseguire la qualificabilità come impresa delle società

medesime anche con riguardo alle realizzate operazioni passive,

posto che non avrebbe senso qualificare un soggetto imprendito re per le operazioni a valle e come non imprenditore per quelle a

monte, quando non può non risaltare all'evidenza che, ai fini

della disciplina dell'Iva, uno stesso soggetto o è imprenditore, o

non lo è, ma, se lo è, agisce necessariamente come tale con ri

guardo all'intera sua attività.

d) Ed è appena il caso di rilevare come l'enunciazione di

principio considerata sia stata condivisa anche dall'amministra

zione finanziaria con la circolare del dipartimento delle entrate -

direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tri

butario n. 128/E/III - 7-353 dell'8 maggio 1997, nella quale, ap

punto si è precisato che «l'art. 4 (d.p.r. n. 633 del 1972) deve

essere interpretato nel senso che, salvo i casi di situazioni frau

dolente o abusive, lo stesso soggetto non può essere considerato

imprenditore per le operazioni attive e consumatore finale per le

operazioni passive», con aprioristica esclusione del suo diritto

alla detrazione dell'Iva a queste ultime inerente: e ciò con speci fico riferimento al trattamento tributario spettante alle società

dedite, come la Lago Brasimone s.r.l., alla gestione di immobili.

e) Corollario dei fin qui esposti rilievi è che si appalesa inac

cettabile la tesi, prospettata dalla pubblica amministrazione ri

corrente, secondo la quale, nel quadro della disciplina dell'Iva,

la Lago Brasimone s.r.l., in ragione esclusivamente della sua

natura di società di gestione immobiliare, dovrebbe essere con

siderata, in relazione alle compiute operazioni passive, un con

sumatore finale, e, perciò, un soggetto astrattamente non legit timato ad avvalersi del meccanismo di definizione agevolata delle pendenze fiscali concernenti l'Iva previsto dall'art. 49 ri

petuta 1. n. 413 del 1991.

f) Vale la pena di puntualizzare che il dedotto vizio di moti

vazione in ordine alle tematiche di cui alle lettere precedenti non rileva, afferendo tale, asserito, vizio a soluzione di questio ne esclusivamente giuridica, in relazione alla quale la ratio de

cidendi della sentenza impugnata è integrabile e/o sostituibile da

questa Suprema corte ex art. 384, 2° comma, c.p.c.

g) In conclusione, le doglianze sollevate dalla pubblica am

ministrazione ricorrente vanno tutte disattese, e, di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato.

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