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Sezione V; decisione 1° luglio 1961, n. 351; Pres. Gallo P., Est. Laschena; Tanzi (Avv. Becca) c....

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Sezione V; decisione 1° luglio 1961, n. 351; Pres. Gallo P., Est. Laschena; Tanzi (Avv. Becca) c. Comune di Sumirago (Avv. Riva-Crugnola) Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 235/236-237/238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151595 . Accessed: 25/06/2014 05:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.47 on Wed, 25 Jun 2014 05:25:34 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione V; decisione 1° luglio 1961, n. 351; Pres. Gallo P., Est. Laschena; Tanzi (Avv. Becca) c. Comune di Sumirago (Avv. Riva-Crugnola)

Sezione V; decisione 1° luglio 1961, n. 351; Pres. Gallo P., Est. Laschena; Tanzi (Avv. Becca) c.Comune di Sumirago (Avv. Riva-Crugnola)Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 11 (1961), pp. 235/236-237/238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151595 .

Accessed: 25/06/2014 05:25

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PARTE TERZA

ed agli art. 10 e 17 r. decreto legge 28 dicembre 1938 n. 2000, se riferito al criterio di determinazione della indennità di

esproprio è inammissibile per difetto di giurisdizione, essendo

pacifico che tali questioni sono di competenza dell'autorità

giudiziaria. È d'altra parte censura infondata, se intesa

a sostenere che la futura sottoposizione del terreno a

contributo di miglioria costituisce un impedimento all'at

tuale occupazione (o espropriazione) : non si può infatti

ammettere che la pendenza di un procedimento d'accerta

mento tributario possa costituire ostacolo alla realizza

zione d'altro interesse pubblico. Ed anche l'art. 41 è citato fuor di luogo. Questo con

cerne la detrazione dall'indennità di espropriazione, del

l'aumento di valore derivato, a causa della esecuzione

dell'opera pubblica, alla parte del fondo non espropriata. Ma nel caso, come quello in esame, di concorrenza di due

diverse procedure, nessuna lesione può verificarsi per l'interesse del proprietario. Infatti, ammesso che dalla

indennità dovuta per la prima espropriazione sia detratta

una quota, ritenuta rispondente ad un aumento di valore della parte di fondo non espropriata, tale aumento di valore dovrà essere tenuto presente, quando si voglia addivenire

all'espropriazione del rimanente. La eventuale diminu

zione operata sulla prima indennità deve necessariamente

comportare un correlativo incremento della seconda, e cioè una compensazione, in virtù della quale la detrazione

operata la prima volta si risolve in un maggior valore indennizzabile la seconda volta : dimodoché, in definitiva, il valore dell'intero fondo verrà a ricostituirsi nella sua

integrità. Non si può quindi ravvisare, nella successione di due procedure espropriative incidenti ciascuna pro parte su un medesimo fondo, un eccesso di potere, in base alla

supposizione che per tal via si vorrebbe defraudare il

proprietario di una quota del valore effettivo del terreno.

(Omissis) Per questi motivi, respinge, ecc.

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione V ; decisione 1° luglio 1961, n. 351 ; Pres. Gallo

P., Est. Laschena ; Tanzi (Avv. Becca) c. Comune di

Sumirago (Avv. Eiva-Cetjgnola).

Giustizia amministrativa — Giudicato civile — Esecu zione in forma specifica — Poteri del Consiglio di Stato — Fattispecie (R. d. 26 giugno 1924 n. 1054, t. a. sul Consiglio di Stato, art. 27, n. 4).

La procedura di dichiarazione dell'obbligo della pubblica Am ministrazione di uniformarsi al giudicato, di cui all'art.

27, n. 4, t. u. 26 giugno 1924 n. 1054, è inapplicabile al caso in cui il giudice ordinario abbia condannato la

pubblica Amministrazione ad eseguire in forma specifica obblighi di natura privatistica (nella specie, adempimento delVonere apposto ad una donazione). (1)

(1) Vedi le decisioni (menzionate nel testo) Sez. V 1(5 novembre 1937, n. 1281, Foro it., Rep. 1938, voce Giustizia amministrativa, nn. 173, 174 ; 16 dicembre 1950, n. 1281, id., Rep. 1951, voce Impiegato gov. e pubbl., n. 135 ; 30 dicembre 1952, n. 1413, id., Rep. 1952, voce Giustizia amministrativa, n. 406 ; 21 dicembre 1957, n. 1226, id., Rep. 1957, voce cit., n. 352 ; Sez. IV 27 settembre 1957, n. 784, ibid., n. 353. In par ticolare, Sez. IV 7 febbraio 1958, n. 156, id., 1959, III, 216, con nota di richiami.

V., inoltre, sull'inammissibilità di domande, dirette alla condanna della pubblica Amministrazione ad obblighi di fare o di eseguire obblighi derivanti da contratto preliminare, Cass. 9 dicembre 1960, n. 3214, e 3 marzo 1961, n. 456, in questo vo lume, I, 951, con nota critica di Montesano.

In dottrina, cons. M. S. Giannini, Contenuto e limiti del giudizio di ottemperanza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, 442 ; Montesano, Sui limiti di applicazione dell'art. 27, n. 4, t. u. sul Consiglio di Stato, in materia di obbedienza al giudicato civile, in Foro it., 1960, IV, 156 ; Gessa, L'esecuzione del giudicato nei confronti della pubblica Amministrazione, in Ardi, ricerche ginr., 1960, 501,

La Sezione, ecc. — Va riconosciuta la legittimazione del Tanzi Giulio alla proposizione del presente ricorso.

La legittimazione del medesimo ad ottenere l'adempimento dell'onere, previsto dalla donazione 30 marzo 1951, è stata

già riconosciuta, con l'autorità del giudicato, dalla sentenza,

1-25 luglio 1955 del Tribunale di Busto Arsizio, in ordine

alla quale appunto si chiede ora che il Consiglio di Stato

dichiari l'obbligo di esecuzione a carico del Commie, ai

sensi dell'art. 27, n. 4, t. u. 26 giugno 1924 n. 1054.

Le altre questioni di rito e di merito, sollevate sulla

validità della donazione stessa e sull'eseguibilità dell'onere,

pure sono precluse dal giudicato. Esse, comunque, sono

inammissibili in questa sede, in quanto la speciale compe tenza attribuita al Consiglio di Stato dal citato art. 27, n. 4, t. u. n. 1054 del 1924 è limitata alla pronuncia dei

provvedimenti necessari all'esecuzione del giudicato, e

non può essere estesa alla cognizione della controversia da

questo definita.

Il ricorso è peraltro inammissibile, dovendo le soprain dicate sentenze essere eseguite nelle forme normali previste dal codice di procedura civile, per il processo di esecuzione.

Il rimedio di cui all'art. 27, n. 4, t. u. 1054 del 1924 è complemento giurisdizionale dei poteri riconosciuti alla

autorità giudiziaria ordinaria, ma la sua applicabilità si verifica là dove questi poteri si arrestano per il limite sta

bilito dall'art. 4 legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E, sulla

abolizione del contenzioso amministrativo.

La Sezione ha ripetutamente osservato (16 novembre

1937, n. 1281, Foro it., Eep. 1938, voce Giustizia amm., nn. 173, 174; 16 dicembre 1950, n. 1281, id., Eep., 1950, voce Impiegato gov. e pubbl., n. 135 ; 30 dicembre 1952, n. 1413, id., Rep., 1952, voce Giustizia amm., n. 406; 21 dicembre 1957, n. 1226, id., Eep. 1957, voce cit., n. 352) che tale ricorso si ricollega al suddetto principio fondamen tale del nostro ordinamento di giustizia amministrativa, il

quale prescrive che, « quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità am

ministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso, in relazione all'oggetto dedotto in

giudizio » e che « l'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sopra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giu dicato dei tribunali, in quanto riguarda il caso deciso ».

L'esperimento del ricorso stesso presuppone pertanto che dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria si sia svolta una lite circa diritti, che siano stati lesi da un atto della

pubblica Amministrazione e che tale atto sia stato dichia rato illegittimo dal giudice ordinario, senza però che il medesimo abbia potuto annullarlo o revocarlo, considerati i ben noti limiti del suo potere, che gli inibiscono ogni concreta ingerenza nel campo dell'azione amministrativa.

Consegue che, qualora si tratti dell'adempimento di una pronuncia del giudice ordinario, l'art. 27, n. 4, t. u. 1054 del 1924 attribuisce a questo Consiglio l'esercizio di una funzione che è sostitutiva di quella dell'autorità am

ministrativa, ma non anche di quella dell'organo proces suale di esecuzione.

E nel caso in esame non si tratta di rimuovere un atto dell'autorità amministrativa, dichiarato illegittimo dal giu dice ordinario, ma soltanto di ottenere dall'Amministrazione

l'adempimento dell'onere gravante sul Comune, dal mede simo assunto in un rapporto che, con l'autorità del giudicato, è stato qualificato di diritto privato. Le relative sentenze di condanna emesse dal Giudice ordinario potevano essere, quindi, eseguite nelle normali forme del processo di ese cuzione.

Trattandosi appunto di un rapporto privatistico, nep pure può opporsi il divieto di esecuzione in forma spe cifica, nascente dallo stesso art. 4 legge 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E. L'estensione di tale disposizione trova un limite nel suo fondamento : per quanto ampia possa essere la sua interpretazione, essa non può giungere ad eccedere l'attività pubblica dello Stato e delle altre pubbliche Am ministrazioni. L'attività privata, secondo la dottrina e la

giurisprudenza, ne è esclusa, in quanto, anche se è preor dinata indirettamente ai fini di tali enti, non vi è immediata

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

mente connessa. I limiti interni della competenza della

autorità giudiziaria ordinaria, segnati dal cit. art. 4, ri

guardano cioè soltanto l'attività pubblica e non anche

l'attività privata della pubblica Amministrazione.

Per questi motivi, ecc.

CONSIGLIO DI STATO.

Sezione IV ; decisione 3 maggio 1961, n. 290 ; Pres. C. Bozzi

P., Est. Trotta ; Clara (Avv. Barra Caracciolo) c.

Ministero della difesa-marina (Avv. dello Stato Ca

samassima).

Impiegato dello Stato — Stipendi e assegni — Pre

scrizione -— Sospensione — Fattispecie (D. 1. 19

gennaio 1939 n. 295, norme per il recupero dei ere

diti verso impiegati e pensionati, ecc., art. 2; cod. civ., art. 1219).

Impiegato dello Stato — Stipendi e assegni — Pre scrizione — Presentazione di ricorso gerarchico —

Interruzione ■— Sospensione (D. 1. 19 gennaio 1939 n. 295, art. 2 ; cod. civ., art. 2945).

L'invito, fatto dalla ■pubblica Amministrazione al privato, di astenersi da ulteriori sollecitazioni non interrompe il corso della prescrizione estintiva delle rate di stipendio e as

segni equivalenti degli impiegati dello Stato. (1) La prescrizione estintiva delle rate di stipendio e assegni equi

valenti degli impiegati dello Stato, interrotta dal ricorso

gerarchico, non corre sino alla definizione di questo ultimo. (2).

La Sezione, ecc. — Il ricorso è fondato. Risulta da quanto esposto in narrativa che, nei confronti

del tenente di vascello Clara Giovanni, avviato il 1° ottobre 1955 all'Accademia navale per seguire un corso di specializ zazione in telecomunicazioni della durata di un anno, venne dall'Amministrazione liquidato il trattamento economico

previsto dal r. decreto 31 gennaio 1926 n. 604, anziché il trattamento di missione regolato dalla legge 29 giugno 1951 n. 489.

Con circolare del 26 febbraio 1959 n. 150989 il Mini stero della difesa-marina ha riconosciuto, in via di prin cipio, l'applicabilità di queste ultime norme a favore dei

partecipanti a tali corsi, ma nei confronti del Clara ha ne

gato il diritto al conguaglio, opponendo che nel frattempo si era per lui verificata la prescrizione del credito ai sensi dell'art. 2 r. decreto 19 gennaio 1939 n. 295. Sta di fatto che l'ufficiale fin dal 1° giugno 1956 ebbe a reclamare il riconoscimento del proprio diritto, a tal fine invocando l'intervento del Ministero difesa, il quale si limitò a dare due risposte in via interlocutoria, una prima volta, con di

spaccio del 4 agosto 1956 n. 154672 per comunicare che, data la complessità e generalità della questione sollevata, la richiesta era ancora all'esame, e una seconda volta, con nota del 22 dicembre 1956, con la quale ebbe a far presente all'ufficiale l'inopportunità di nuovi solleciti, con espresso invito a restare in attesa di ulteriori comunicazioni.

Da ciò il ricorrente trae motivo, col secondo mezzo di

(1-2) Sulle due massime non risultano specifici precedenti. Nel senso che non è interrotta la prescrizione per il fatto

che la pubblica Amministrazione abbia dapprima negato il cre dito e lo abbia successivamente riconosciuto, v. Cons. Stato, Sez. Ili, 22 ottobre 1958, Foro it., Rep. 1959, voce Impiegato dello Stato, n. 310.

Nel senso che un'istanza interrompe il termine di prescri zione che incomincia immediatamente poi a decorrere : Cons. Stato, Sez. IV, 13 ottobre 1960, n. 856, id., Rep. 1960, voce cit., n. 361. V. inoltre Sez. IV 6 marzo 1959, n. 341, id., Rep. 1959, voce cit., n. 312.

In dottrina, v. Zotta, Nuovo corso della prescrizione dopo la causa interruttiva, in Riv. dir. pubbl., 1941, II, 106 ; Roncassaglia, Prescrizione di diritti ed indennità dell'impiegato, in Foro amm., 1959, I, 1073.

gravame, per dedurre che l'impugnato provvedimento è

viziato da eccesso di potere, giacché l'Amministrazione, oltre ad avere assunto in precedenza un comportamento assolutamente incompatibile con la volontà, ora manife

stata, di avvalersi dell'eccezione di prescrizione, ha posto in essere una inammissibile lesione dei principi di giustizia e di equità nei confronti di un dipendente, al quale non può farsi carico di essere rimasto inerte e del quale doveva, se

mai, premiarsi il senso di disciplina, avendo egli atteso le determinazioni di cui senza limiti di tempo era stata fatta riserva. È dubbio però se nel comportamento dell'Ammi

nistrazione possa individuarsi eccesso di potere sotto il

profilo denunziato, potendo innanzitutto opporsi che, pur nei confronti di un dipendente soggetto a rigorosa disci

plina militare, l'invito ad astenersi da inopportuni solleciti non può significare ordine o divieto, del resto illegittimo, di porre in essere quegli atti che sono necessari alla tutela dei propri diritti. La comunicazione dell'Amministrazione

potrebbe, se mai, equipararsi a dichiarazione scritta del debitore di non volere per il momento eseguire l'obbliga zione anche se ulteriormente, il che, se dispensa il titolare dal procedere alla costituzione in mora ai sensi dell'art. 1219 cod. civ., non è sufficiente ad impedire l'inizio di nuovo

periodo prescrizionale, esonerando l'avente diritto dall'onere di rendersi attivo per la tutela del suo creditore.

L'invito ad astenersi da ulteriori solleciti non può co

munque equivalere ad implicita rinunzia all'eccezione di

prescrizione, tenuto presente che, oltre ad essere nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina di tale istituto

(art. 2936 cod. civ.), non è data alcuna legale possibilità di rinuncia, prima che la prescrizione sia compiuta (art. 2937 cod. civ.). Data la speciale disciplina contenuta nel r. de creto 19 gennaio 1939 n. 295, deve anzi escludersi che l'Am ministrazione abbia tale legale possibilità, dovendo te nersi conto che l'art. 3 del citato decreto legge del 1939 n. 295, in netto contrasto con l'art. 2940 cod. civ., fa

obbligo di procedere al ricupero delle somme delle quali,

malgrado l'intervenuta prescrizione sia stato effettuato il pagamento.

Fondato, tuttavia, appare invece il primo motivo di

gravame, col quale il ricorrente denunzia violazione e falsa

applicazione dell'art. 2 decreto legge 19 gennaio 1939 n. 295,

negando che in relazione agli atti posti in essere dall'inte ressato sia nel caso intervenuta prescrizione.

Si è più sopra rilevato che il Clara, avverso la liquidazione

operata ai sensi del r. decreto 31 gennaio 1926 n. 604, ebbe in data 1 giugno 1956 a proporre reclamo al Ministero della difesa-marina, invocandone l'intervento per il ricono scimento del suo diritto. A tale atto, impropriamente qua lificato istanza, deve invece attribuirsi sostanziale valore di ricorso in via gerarchica, essendo stato con esso impugnato l'operato di organo periferico inferiore (l'Accademia mi litare avente un proprio Ufficio speciale di commissariato), il quale, anche se attenendosi ad istruzioni di carattere

generale superiormente emanate, aveva in definitiva ope rato una liquidazione, che dal richiedente era ritenuta con traria a quella per legge spettantegli.

Ora il diritto, fatto valere dal ricorrente nei modi suin dicati non può ritenersi caduto in prescrizione, sembrando al Collegio che, nel caso di ricorso in via amministrativa, il nuovo periodo prescrizionale abbia inizio solo quando sia intervenuta pronuncia con relativa comunicazione.

Invero l'art. 3 decreto legge 19 gennaio 1939 n. 295 indica gli atti ai quali deve attribuirsi efficacia interruttiva, ma, diversamente da quanto stabilito dall'art. 2945 cod. civ. per i giudizi civili, non detta alcuna norma specifica per il caso che l'interruzione sia dovuta a ricorsi in via am ministrativa o contenziosa. Ciò non significa che per tutti

gli atti validi ad interrompere la prescrizione debbano valere gli stessi principi, essendo evidente che, in ogni caso, occorre tener conto della natura giuridica di tali atti e delle norme generali e particolari, che li disciplinano.

Se può farsi questione di prescrizione unicamente in tema di diritti patrimoniali, è da escludere im anzi tutto che il

principio, accolto per i giudizi civili dal citato art. 2945 cod. civ., non possa trovare applicazione anche per il ri

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