Sezione V; decisione 14 aprile 1962, n. 327; Pres. Gallo P., Est. Bruno; Opera pia poverivergognosi e Aziende riunite di Bologna (Avv. Coppola) c. Min. dell'interno (Avv. dello StatoFoligno)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 7 (1962), pp. 227/228-231/232Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150562 .
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227 PARTE TERZA 228
persona ehe, non disponendo di redditi propri o disponen done in mi sura insufficiente, vive a spese di altra persona e precisamente del eapo famiglia.
Peraltro, ai fini della interpretazione della nozione di
vivenza a carico, se fosse necessario ricorrere a una norma
o gruppo di norme particolari relative a casi simili o a
materie arialogho non v'o dubbio ehe debba rifarsi alia
legislazione degli assegai familiari, la quale, come e stato
sopra preoisato, fissa, tra l'altro per la vivenza a carico, 1'etä minima di anni 55 per la donna.
Attese le suesposte considerazioni, & evidente che la
gestione I.n.a.-Casa (Commissione prov. di Torino) ha
arbitrariamente fissato il minimo di 65 anni di eta, perche
gli affini entro il IY grado possano essere considerati a
carico del capo famiglia, non prevedendo 1'art. 12 del
decreto pres. 18 ottobre 1957 n. 1333 un siffatto requisite. Di conseguenza, ai ricorrente dovevano attribuirsi punti
tre essendo il suo nueleo familiare composto di n. sei persone,
compresa la suocera di anni 56, invalida ed a completo carico del ricorrente stesso, siccome e dimostrato dalla
situazione di famiglia, da certificato dell'Ufficio distret tuale imposte dirette di Mondovi, dall'atto di notorietä e
dal certificato sanitario esibiti in giudizio. II ricorso va pertanto aecolto.
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione V ; decisione 14 aprile 1962, n. 327 ; Pres. Gallo
P., Est. Bruno ; Opera pia poveri vergognosi e Aziende riunite di Bologna (Aw. Coppola) c. Min. dell'interno
(Aw. dello Stato Foligno).
Agricoltura — Mczzadria — Contributi unificati — Rivalsa del concedente (Costituzione della Eepub blica, art. 38 ; cod. civ., art. 2115, 2135, 2151, 2156 ; cod. pen., art. 61, n. 11 ; d. 1. 1. 2 aprile 1946 n. 142,
disciplina provvisoria del carico contributivo per le varie forme di previdenza e di assistenza sociale, art. 1).
II mezzadro non ha diritto alia temporanea esenzione dal carico dei contributi agricoli unificati, previsto nell'art. 1 del decreto legisl. luog. 2 aprile 1946 n. 142. (1)
La Sezione, ecc. — A base delle censure di violazione di legge, dedotte dalla ricorrente Opera pia, sta l'interpre tazione ('lie, secondo la ricorrente stessa, dovrebbe darsi all'art. 1 del decreto legisl. luog. 2 aprile 1946 n. 142, che detta una provvisoria disciplina del carico contributivo
per le varie forme di previdenza e di assistenza sociale. Tale articolo prescrive che, a decorrere dal primo periodo di paga, successivo all'entrata in vigore del decreto legisl. e in via provvisoria fino a quando non sara provveduto ad una organica disciplina della ripartizione degli oneri con tributivi fra datore di lavoro e lavoratori per le varie forme di previdenza e assistenza sociale indicate nel successivo
(1) La decisione del Consiglio di Stato si conforma ad un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato dopo la sentenza della Cass. 5 aprile 1952, n. 917 (in questa rivista, 1952, I, 555, con la requisitoria del Procuratore generale Ettla), che aveva innovato al precedente orientamento (sent. 22 dicembre 1950, n. 2809, id., 1951,1, 1, con nota di richiami). V., da ultimo, Cass. 21 lnglio 1958, n. 2658, id., Rep. 1958, voce Previdenza sociale, n. 266 ; 16 luglio 1957, n. 2916, id., Rep. 1957, voce cit., n. 117 ; 17 agosto 1953, n. 2760, id., Rep. 1953, voce eit., nn. 221, 222.
In questo fascicolo, v., a proposito della parziale incostitu zionalitä, della normativa disciplinatrice dei contributi unificati, Corte cost. 26 giugno 1962, n. 65 (I, 1234) ; a proposito dell'isti gazione a delinquere, perpetrata dal mezzadro «in sciopero », App. Firenze 8 settembre 1961 (II, 205).
In dottrina, v. Chilanti, Prev. soe. e contributi unificati nell'agricoltura, Milano, 1951, pag. 270 e segg. ; Cannella, L'ass. contro le malattie in generale e conlro la tubercolosi, in Trat tato di dir. del lav. di Bobsi e Pebgolesi, Bologna, 1959, pag. 249.
art. 2, la quota dei oontributi dovuta dai lavoratori, ai
sensi delle disposizioni vigenti, per le forme di previdenza e assistenza predette, õ corrisposta, senza diritto a rivalsa, dai datori di lavoro in luogo dei lavoratori stessi. Questa
disposizione e stata interpretata dalla Corte di cassazione
a Sezioni unite, con sentenza 5 aprile 1952, n. 917 (Foro
it., 1952, I, 555), nel senso clie essa non trova applicazione nei eonfronti del contratto di mezzadria, cioe nei rapporti tra concedente e mezzadro, e ciõ perche il riferimento, che il citato art. 1 contiene ad elementi propri del rap
porto di lavoro subordinate, non consente di comprendere i concedenti fra i « datori di lavoro ». Contro questa inter
pretazione la ricorrente Opera pia punta le sue criticlie, ricordando che la stessa Corte suprema aveva, nella sen
tenza 22 dicembre 1950, n. 2809 (id., 1951, I, 1), ritenuto
clie l'annullamento del diritto di rivalsa, disposto dai
detto art. 1 concerne an clie il rapporto di mezzadria, ed
adducendo varie considerazioni intese a sostenere l'erro
neitä del principio affermato nella sentenza n. 917 del 1952.
Le argomentazioni addotte dalla ricorrente Opera
appaiono al Collegio in parte inconferenti o estranee alia
sostanza della controversia e comunque, tutte, non idonee
ad indurlo a convincimento diverso da quello espresso dalla Suprema corte nella sentenza 5 aprile 1952, n. 917, alia quale si sono uniformate le successive pronunce della autorita giudiziaria in tutti i casi nei quali la questione e stata riproposta. Non puõ invero ad avviso del Collegio non porsi a base della disamina la considerazione che, come risulta dai testo letterale della disposizione del 1°
comma dell'art. 1, abolitivo del diritto di rivalsa di che
trattasi, del decreto legisl. 2 aprile 1946 n. 142, la dispo sizione stessa abolisce tale diritto nell'ambito di un rap
porto di lavoro e incide sui soggetti di tal rapporto. Desti
natari della disposizione sono, formalmente, il « datore di
lavoro » e i lavoratori, e per il suo carattere impositivo di
onere, sostanzialmente, il solo datore di lavoro.
Consegue che condizione inderogabile per poter confi
gurare l'applicabilita della detta disposizione nei eonfronti
dei rapporti tra le parti, concedente e mezzadro, del con
tratto di mezzadria e che nella mezzadria possa ravvisarsi
un contratto di lavoro, cioe che col contratto di mezzadria
si ponga in essere un rapporto nel quale gli obblighi e i
diritti reciproci delle parti vertano esclusivamente sulla
prestazione del lavoro e sul corrispettivo della prestazione stessa, cioe le parti siano soggetti del rapporto esclusiva
mente quali datore di lavoro e prestatore di lavoro. Ora
la sussistenza di tale necessario e inderogabile presupposto e da escludere. Basta, all'uopo, il semplice richiamo alle
disposizioni del capo II (deH'impresa agricola) del titolo II, libro V del cod. civ. L'art. 2135 definisce l'imprenditore
agricolo, statuendo che e tale «chi esercita una attivita diretta alia coltivazione del fondo, alia olivicoltura, all'al levamento del bestiame e attivita, connesse » e che si re
putano attivita connesse quelle dirette alia trasformazione o alia alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano
nell'esercizio normale dell'agricoltura. L'art. 2141 enuncia
la nozione della mezzadria, statuendo che tale e quel
rapporto nel quale il concedente ed il mezzadro, in proprio e quale capo di una famiglia colonica, si associano per la coltivazione di un podere e per l'esercizio delle attivita
connesse al fine di dividerne a meta i prodotti e gli utili.
Dalla connessione fra i due articoli e dalla identitä delle
espressioni, con le quali il legislatore ha individuato, ri
spettivamente, 1'attivitä. il cui esercizio pone in essere la
figura dell'imprenditore agricolo e l'attivita il cui eser
cizio costituisce lo scopo dell'associazione fra concedente e mezzadro, posta in essere col contratto di mezzadria, balza evidente che la mezzadria non e un rapporto di
locazione d'opera, ma una forma di impresa agricola, nella
quale la figura dell'imprenditore & da ravvisare nell'asso
ciazione costituitasi fra concedente e mezzadro. In altri termini 1'impresario agricolo, nella mezzadria, non e il
solo concedente, ma lo e l'associazione fra concedente e
mezzadro. Entrambi sono soci dell'impresa. Da ciõ l'im
possibilitä di ravvisare nel concedente la figura di datore
di lavoro, destinatario della disposizione del 1° comma
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
dell'art. 1 del decreto legisl. 2 aprile 1946 n. 142. Ed in
quanto manca, in uno dei soggetti del rapporto, la figura del « datore di lavoro », non puõ, nell'altro, sussistere quella esclusiva del prestatore d'opera subordinato. Che il mez
zadro sia un lavoratore agricolo & fuori discussion©, perche tra le prestazioni ehe egli apporta all'impresa, quale socio, e il lavoro, ma cio a nulla rileva, ai fini della controversia,
sull'applicabilitä o meno del citato art. 1 nei confronti
dei soggetti del rapporto di mezzadria, perch& tale pre stazione non e data all'altro soggetto del rapporto stesso
(e cioö al concedente) sibbene alia impresa agricola, quale
importantissimo e necessario, ma non esclusivo elemento
dell'apporto del mezzadro all'impresa stessa, della quale
egli e contitolare, insieme col concedente, cui egli si e
associato, per esercitarla al fine di dividerne a metä i
prodotti e gli utili.
Di fronte a queste considerazioni appaiono inconfe
renti ed estranee alia controversia le argomentazioni della
ricorrente Opera, relative all'uso dei termini agricoltori e lavoratori dell'agricoltura nella legge istitutiva dei con
tributi unificati e nel r. decreto 24 settembre 1940 n. 1949,
e all'appartenenza dei componenti la famiglia mezzadrile
alia categoria dei «dipendenti lavoratori» in agricoltura, noncbe quelle relative all'appartenenza dell'art. 2115
cod. civ. al capo I (impresa in generale) e non al capo II
(impresa agricola) del titolo II. Ne ba pregio la deduzione
della ricorrente secondo cui sarebbe irrilevante la non
pertinenza del termine « paga », usato nell'art. 1 del decreto
legisl. 2 aprile 1946 n. 142, al rapporto mezzadrile; la
pretesa della ricorrente di desumere, dall'art. 3 del r.
decreto 24 settembre 1940 n. 1954, che per « periodo di paga» debba intendersi, nei confronti del mezzadro, la fine della
annata agraria, cade di fronte alla elementare considera
zione dell'impossibilita di configurare, nello svolgimento del rapporto di mezzadria, la ricorrenza di un « periodo di
paga » in quanto il mezzadro non percepisce paga alcuna.
Egli, socio del concedente nell'impresa, riceve la metä, dei
prodotti e degli utili dell'impresa, ma queste sue spettanze non costituiscono la retribuzione, cioe il corrispettivo della
prestazione di lavoro, sibbene la divisione in parti eguali, con l'altro socio, del profitto dell'impresa. Decisiva, al
riguardo, 6 la considerazione cbe, nell'impresa mezza
drile, l'apporto del mezzadro non e limitato al solo lavoro,
ma, dei tre fattori della produzione (terra, lavoro, capitale, secondo la classica definizione), il mezzadro, oltre a for
nire il lavoro, concorre al conferimento del capitale (scorte vive e morte, noncbe ogni spesa, diversa da quella per la
mano d'opera, occorrente per la coltivazione del podere o per 1'esercizio delle attivitä connesse) in misura pari
(salvo diverso patto o uso locale) a quella al cui conferi
mento e tenuto il concedente. Va altresi considerato, in
ordine all'invocazione, fatta dalla ricorrente, della legge istitutiva dei contributi unificati e dell'art. 3 del r. decreto
24 settembre 1940 n. 1954, che dal raffronto fra il dispo sto del 1° comma dell'art. unico del r. decreto legge 28
novembre 1938 n. 2138, convertito in legge con la legge 2 giugno 1939 n. 739 (e questo l'atto legislativo istitutivo
dei contributi unificati in agricoltura) e quelli dell'art. 3
del citato decreto e dell'art. 1 del r. decreto 24 settembre
1940 n. 1954, da una parte e il disposto dell'art. 1 del
decreto legisl. 2 aprile 1946 n. 142, dall'altra, appare un
ulteriore elemento contrario alia tesi della ricorrente Opera
pia. Invero, col r. decreto 28 novembre 1938 n. 2138 si
dispone l'unificazione dei contributi che gli « agricoltori» e i «lavoratori dell'agricoltura » sono tenuti a corrispon
dere per le forme di previdenza e assistenza sociale ivi
indicate, con l'art. 1 del r. decreto 24 settembre 1940
n. 1949 si dispone che i contributi dovuti dagli «agri coltori » o dai «lavoratori dell'agricoltura » (per le stesse
forme di previdenza e assistenza sociale) sono accertati
in confronto di ciascun « agricoltore », sia per ciõ che con
cerne i contributi dovuti in proprio, sia per quanto ri
guarda i contributi per conto dei « dipendenti lavoratori »
salvo rivalsa (per questi ultimi contributi). Con queste
disposizioni, adunque, viene imposto all'agricoltore (cioe
all'imprenditore agricolo) 1'obbligo di anticipare alle sea
denze di legge (clie, eome sancito da altre norme a vent i
forza di legge, sono quelle stesse per il pagamento delle
imposte dirette) 1'importo dei contributi dovuti dai «di
pendenti lavoratori». Anche le disposizioni dell'art. 3
del r. decreto 24 settembre 1940 n. 1954, concernenti la
ritenuta dei contributi a carico dei lavoratori (e cioe le
modalitä per l'esercizio del diritto di rivalsa, di oui all'art.
1 del r. decreto 24 settembre 1940 n. 1949) contemplano
«l'agricoltore » (cioe l'imprenditore agricolo) e i «dipen denti lavoratori» con l'art. 1 del decreto legisl. 2 aprile 1946 n. 142, il diritto di rivalsa viene abolito non nei con
fronti di tutta la categoria « agricoltori », tenuta, in forza
delle eitate preesistenti disposizioni, ad anticipare i con
tributi dovuti per i lavoratori, sibbene nei confronti dei
«datori di lavoro », con ehe 1'obbligo di «anticipare » b
trasformato per «i datori di lavoro », in imposizione di
carico tributario «in proprio ». Dalla difformitä, delle pa role usate nei testi legislativi per indicare i soggetti tenuti
ad anticipare (agricoltori) il pagamento dei contributi per conto dei lavoratori o i soggetti (datori di lavoro) a carico
dei qua Ii viene, dall'art. 1 decreto legisl. 2 aprile 1946
n. 142, trasferito 1'onere dei contributi stessi, appare chia
ramente la volontä del legislatore di limitare 1'abolizione
del diritto di rivalsa in danno di quelli soltanto, fra gli
imprenditori agricoli, ehe sono «datori di lavoro », con
servando taie diritto a quegli imprenditori agricoli ehe
datori di lavoro non sono. E la ratio legis, dalla quale sca
turisce taie volontä, risiede neile caratteristiche proprie del rapporto di mezzadria, costituenti 1'essenza del con
tratto. In relazione alla natura di taie rapporto il r. decreto
24 settembre 1940 n. 1954 stabilisce, all'art. 3, capov., lett. 6), ehe la ritenuta dei contributi a carico dei lavoratori
e effettuata, nei confronti dei mezzadri, in occasione della
chiusura dei conti colonici, norma dal cui raffronto con
quella dettata dalla lett. a) dello stesso capov. per la rite
nuta nei confronti dei prestatori d'opera, legati ai « datore »
da un rapporto di lavoro, nei quale il eorrispettivo della
loro prestazione e la «retribuzione », appare chiaramente
ehe, nei rapporto di mezzadria, 1'importo dei contributi,
per le varie forme di previdenza e assistenza sociale ai
mezzadro e una «spesa» della impresa. Consegue ehe, in quanto « spesa », 1'importo stesso va detratto dai ricavi, ai fini dell'accertamento degli utili dell'impresa, da ri
partire ai sensi degli art. 2141 e 2151, nonche del 2° comma
dell'art. 2156 cod. civile.
Priva di giuridica rilevanza appare anche la dedu
zione della ricorrente Opera, secondo cui la controversia
sull'applicabilita o meno, nei confronti della mezzadria, dell'art. 1 del decreto legisl. 2 aprile 1946 n. 142, va risolta
sulla base delle norme assicurative e delle qualifiche indi
vidual! e non in base ai rapporti contrattuali. La dedu
zione cade di fronte alia facile constatazione che la inter -
pretazione, che la ricorrente vuole dare alle norme assi
curative e assistenziali delle quali trattasi, incide proprio sui rapporti contrattuali e precisamente sul principio della
ripartizione delle spese (e si e visto innanzi che la correspon sione dei contributi unificati dovuti per il mezzadro ö una
spesa dell'impresa) e degli utili dell'impresa fra concedente
e mezzadro, mentre il suddetto decreto legislativo non ha
certo inteso modificare le, norme del contratto collettivo
sulla mezzadria.
Non puõ avere miglior sorte l'osservazione della ricor
rente, secondo cui la Suprema corte, obbligando il mez
zadro a soggiacere al diritto di rivalsa di cui al 2° comma
dell'art. 2115 cit.,applica una norma che non fa parte del
capo II (impresa agricola), sibbene del capo I (impresa in
generale). A parte invero che non e dato scorgere quale vizio di legittimitä negli impugnati provvedimenti abbia
la ricorrente inteso profilare formulando la suddetta os
servazione, basti rilevare che, appunto perche concernenti
l'impresa in generale, senza discriminazioni, le norme del
capo I hanno carattere di norme generali e trovano appli cazione anche nei confronti dell'impresa agricola, in quanto nessuna deroga, esplicita od implicita, risulti dalle norme
speciali dettate per l'impresa agricola nei capo II. Nella
specie, nessuna deroga alia norma generale dell'art. 2115
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231 PARTE TERZA 23Ž
appare in quelle speciali del detto capo II e, in particolare, in quelle della Sez. II (mezzadria) del capo stesso. Puõ
anche soggiungersi che il diritto di rivalsa per i contributi
unificati dovuti per conto dei lavoratori agricoli non e
stato istituito con l'art. 2115 cod. civ., ma con una norma
anteriore all'approvazione (r. decreto 16 marzo 1942 n.
262) e all'entrata in vigore del contratto collettivo e pre cisamente con l'art. 1 r. decreto 24 settembre 1940 n. 1949.
Conforto alia propria tesi la ricorrente Opera cerca di
trarre dall'art. 61, n. 11, cod. pen. per avere la Suprema
corte, in sede penale, ritenuto la sussistenza dell'aggra
vante, in tale norma prevista, nei reati di appropriazione indebita commessi dai mezzadri; nel che la ricorrente
vuole ravvisare il riconoscimento, da parte della Suprema corte, di un rapporto di dipendenza fra mezzadro e conce
dente. Tale invocazione appare peraltro inconferente, solo
che si consideri che la circostanza aggravante, prevista nella eitata norma penale, õ la commissione del fatto
(costituente reato) con « abuso di. . . relazioni domestiche, ovvero con abuso di . . . prestazione d'opera, di coabita
zione o ospitalitä », cioe con abuso della fiducia insita nelle
relazioni domestiche, ecc. Che tra le prestazioni del mez
zadro ci sia anche quella del lavoro, e, come innanzi rilevato, fuori discussione, ma da ciõ non puõ inferirsi che tale carat
tere di circostanza aggravante di reato, ravvisabile nel
l'abuso commesso in occasione della prestazione stessa
e da quest a facilitato, trasformi la fisionomia giuridica
propria del rapporto di mezzadria, quale innanzi esami
nata, in un contratto di lavoro e la figura giuridica del
concedente da contitolare, insieme col mezzadro, della
impresa agricola, in quella di datore di lavoro.
Quanto alia pretesa abrogazione, ad opera dell'art. 38, 2° comma, della Costituzione, del 2° comma dell'art. 2115
cod. civ., nella parte riguardante il diritto di rivalsa dello
imprenditore agricolo verso il prestatore di lavoro, la tesi
della ricorrente Opera pia appare estranea alia contro
versia e comunque, per le considerazioni innanzi svolte, infondata. Estranea alia controversia, dal lato formale,
perche il suddetto diritto trae origine, come innanzi ri
cordato, non da disposizioni del vigente codice civ., ma da
disposizioni anteriori e dal lato sostanziale, per tutte le
considerazioni innanzi esposte in ordine alia natura giu ridica del rapporto di mezzadria. Infondata, sia per il
manifesto carattere programmatico del citato 2° comma
dell'art. 38 Cost., sia per il carattere « di spesa dell'impresa », che, nel rapporto di mezzadria, riveste la corresponsione dei contributi unificati per le varie forme di previdenza e di assistenza sociale a favore del mezzadro. Per le stesse
ragioni va disattesa la subordinata richiesta della ricorrente
Opera pia per la rimessione degli atti alia Corte costitu
zionale ai fini dell'instaurazione del giudizio di legittimitä costituzionale della eitata norma dell'art. 2115 cod. civile.
Ritiene rimanere da esaminare la censura di carenza del potere che il Prefetto ha inteso di esercitare annullando la deliberazione 8 novembre 1955, n. 229 dell'Amministra zione della ricorrente Opera. Tale censura era stata de dotta col ricorso gerarchico. Rilevato che l'impugnato decreto min. respinse il ricorso gerarchico senza esaminare l'esatta doglianza, la ricorrente Opera, pur non deducendo, relativamente a tale omissione, un vizio proprio del decreto min. per cui non e luogo all'esame del provvedimento sotto
questo profilo, ha riprodotto in questa sede la censura
anzidetta, richiamandosi all'art. 52 della legge 17 luglio 1890 n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza, il cui 3° comma il decreto pres. 5 dicembre
1955 n. 74192, avrebbe violato, in quanto la deliberazione
dell'Amministrazione, con tale decreto annullata, non con terrebbe alcuna violazione di legge o di regolamento o di
statuti specifici, ma tutt'al piü secondo la ricorrente, in quanto basata šu una controversa interpretazione, sarebbe incorsa in « una violazione di una data sentenza ». Da quanto esposto in sede di disamina delle precedenti censure appare manifesta 1'infondatezza anche di quest'ul tima, perche sia il decreto pres. sia quello ministeriale, in
quanto motivati sull'inapplicabilita del decreto legisl. luog. 2 aprile 1946 n. 142, nei confronti del rapporto di mez
zadria, hanno chiaramente individuato nella violazione di
legge il vizio inficiante la deliberazione amministrativa, ehe era invece basata sull'applicabilita dello stesso de
ereto legisl. luog. nei confronti dei rapporti fra concedente
e mezzadro. II rieorso risulta pertanto infondato e va re
spinto. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO.
Sezione IV; decisione 20 marzo 1962, n. 263 ; Pres. C.
Božzi P., Est. Meregazzi ; Sanguinetti (Avv. De
Gregori, Lucifredi) c. Ministeri industria, finanze, marina mercantile, Prefetto di Genova (Avv. dello
Stato Chiarotti) e Ditta Garrone raffineria petroli
(Avv. Dedin, Zignoni, Loritsso Caputi).
Olii mineral! e idrocarburi — Iinpianto di stabili
menli — Oecupazione di suolo — lJichiarazione
di pubblica utilita — Question»' di costituzionalitii
infondata (Costituzione della Repubblica, art. 3, 24,
41, 42 ; r. d. 1. 2 novembre 1933 n. 1741, disciplina
dell'importazione, della lavorazione, del deposito e
della distribuzione degli olii minerali e dei carburanti, art. 19).
Olii minerali e idrocarburi — Ampliamento di sta
bilimenti — Oecupazione di suolo ehe deliniti
vamente ne immula l'attuale destinazione — II
legittimitä (L. 25 giugno 1865 n. 2359, espropriazione per pubblica utilita, art. 64 ; r. d. 1. 2 novembre 1933 n. 1741, art. 19).
Difetta il contrasto tra Vart. 19 r. decreto legge 2 novembre
1933 n. 1741, il quale dichiara di pubblica utilita Voc
cupazione del suolo pubblico o privato necessario per
I'impianto di stabilimenti di lavorazione di olii minerali, e gli art. 3, 24, 41 e 42 della Costituzione, ed e, quindi, infondata la questione d'incostituzionalita dell'art. 19, se questa norma e interpretata in guisa tale da limitarne V applicazione alVoccupazione del suolo necessaria per sta bilirvi in via provvisoria manufatti accessori dello stabili mento ed in particolare depositi di combustibili liquidi, che non abbiano il carattere della permanenza e della inamo
vibilitä, in modo che alio scadere della concessione il pro prietario põssa essere reintegrato nel possesso del terreno senza che di questo siano irrimediabilmente mutate la na
tura e la destinazione. (1)
(1) ft da notare che il Consiglio di Stato, per respingere l'eccezione d'incostituzionalita d -ll'art. 19 sollevata dai ricorrenti, ha compiuto la valutazione d'infondatezza della questione che ne era sorta, e non ha, come invece dispone l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, esaminato se la questione d'incostituzio nalitä, fosse manifestamente infondata ; e, altresi, da notare che il Consiglio di Stato segue la Corte costituzionale nell'indirizzo inteso a definire infondata la questione d'incostituzionalita di una norma, sol se la s'interpreti in un certo senso (v., da ultimo, Corte cost. 28 novembre 1961, n. 63, Foro it., 1961, I, 1782). II quale orientamento, se forma oggetto di dubbi non lievi ove sia riferito alia Corte costituzionale, non sembra accettabile
quando lo si riferisca a giudici ordinari o speciali, e tanto piil rapport unit ii ne e da escludersi per il giudice, le cui decisioni, in virtu dell'art. Ill della Costituzione, sfuggono al controllo di legittimitä, della Corte di cassazione, che esercita su di esse il solo potere di giudice dei conflitti.
L'art. 23, come mi sono permesso di rilevare altrove (Mo tivasione e dispositivo nelle sentenzc della Corte costituzionale, n. 3, in Studi in onore di A. C. Jemolo), detta per il giudice a quo una vera e propria regola di giudizio, la quale impone di sciogliere il dubbio sulla incostituzionalitä della norma nel senso della rimessione alia Corte costituzionale. D'accordo che in nessuna legge e in alcun manuale di diritto costituzionale sono delineati i limiti della manifesta infondatezza, ma proprio l'approfon dita indagine, cui la Sezione ha dovuto assoggettare l'art. 19
per negare il contrasto con non pochi articoli della Costituzione, prospettato dai ricorrenti, denuncia all'evidenza che i limiti
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