Sezione V; decisione 25 marzo 1983, n. 112; Pres. Laschena, Est. Cossu; Regione Toscana (Avv.Barile, Cheli, Clarizia), c. Soc. LAB e Breschi (Avv. F. Satta) e altri; interv. Sindacato nazionalebiologi liberi professionisti (Avv. Abbamonte), Becchetti e altri (Avv. Mariani Marini), Ordinenazionale dei biologi (Avv. G. Barone, Scoca), Unione sindacale biologi societari (Avv. DellaMorte), Associazione nazionale patologi ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 323/324-345/346Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175261 .
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PARTE TERZA
come parzialmente riformata dalla decisione di questa adunanza
plenaria n. 5/82, e tenendo conto di quanto statuito nella
presente pronuncia. In relazione al numero delle posizioni da esaminare e dei
conteggi da eseguire stimasi congruo fissare il termine di giorni 120 (centoventi) dalla comunicazione in via amministrativa della
presente decisione o, se precedente, dalla notificazione eventual
mente eseguita a cura dei dipendenti interessati. (Omissis)
I
CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; decisione 25 marzo 1983,
n. 112; Pres. Laschena, Est. Cossu; Regione Toscana (Avv.
Barile, Cheli, Clarizia), c. Soc. LAB e Breschi (Avv. F.
Satta) e altri; interv. Sindacato nazionale biologi liberi pro
fessionisti (Avv. Abbasmonte), Becchetti e altri (Avv. Maria
ni Marini), Ordine nazionale dei biologi (Avv. G. Barone,
Scoca), Unione sindacale biologi societari (Avv. Della Mor
te), Associazione nazionale patologi clinici ed altri (Avv.
Barcellona); Regione Umbria (Avv. D'Onofrio) c. Soc. LAB
e altri; U.S.L. Associazione dei comuni della media valle del
Tevere (Avv. Centofanti), Pres. cons, ministri e. Soc. LAB
e altri; interv. Regione Liguria (Avv. Pericu, G. Romanel
li). Conferma T.A.R. Umbria 9 marzo 1981, n. 80.
Sanità pubblica — Prestazioni ambulatoriali — Convenziona
mento esterno — Accordo nazionale — Decreto presidenziale
di esecuzione — Ricorso — Notificazione alle regioni »— Esclu
sione (L. 23 dicembre 1978 n. 833, istituzione del servizio
sanitario nazionale, art. 48; d.p.r. 16 maggio 1980, accordo
collettivo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambula
toriali in regime di convenzionamento esterno).
Giustizia amministrativa — Tribunale amministrativo regionale — Incompetenza territoriale — Rilevabilità solo per regola
mento di competenza — Questione di costituzionalità mani
festamente infondata (Cost., art. 3, 24, 25, 97, 125; 1. 6 dicem
bre 1971 n. 1034, istituzione dei tribunali amministrativi re
gionali, art. 3, 31).
Sanità pubblica — Prestazioni ambulatoriali — Strutture con
venzionate — Utilizzabilità solo in difetto di tempestiva pre
stazione da parte della struttura pubblica — Ricorso da par
te di presidi convenzionati — Ammissibilità.
Sanità pubblica — Prestazioni ambulatoriali — Strutture con
venzionate — Utilizzabilità solo in difetto di tempestiva pre stazione da parte della struttura pubblica — Illegittimità (L.
23 dicembre 1978 n. 833, art. 25; d.l. 26 novembre 1981
n. 678, blocco degli organici delle unità sanitarie locali, art.
3; 1. 26 gennaio 1982 n. 12, conversione in legge, con mo
dificazioni, del d.l. 26 novembre 1981 n. 678, art. 1; d.p.r. 16
maggio 1980, punto 3).
Il ricorso contro il decreto presidenziale di esecuzione dell'accor
do nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in
regime di convenzionamento esterno non deve essere notificato anche alle regioni che hanno preso parte alle trattative, né
amministrazioni emananti né controinteressati (in applicazione di questo principio, la sezione ha anche affermato la inammis
sibilità dell'appello proposto da regioni non partecipanti al
giudizio di primo grado, peraltro considerandolo come un
ammissibile intervento). (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale, in riferimento agli art. 3, 24, 25, 97 e 125 Cost., degli art.
3 e 31 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, in quanto prevedono che la
incompetenza territoriale del tribunale amministrativo regionale adito sia rilevabile solo in seguito a tempestiva e rituale
proposizione del regolamento di competenza. (2)
(1) T.A.R. Lazio, sez. Ili, 11 luglio 1977, n. 410, Foro it., 1978, III, 678, con nota di richiami, ha affermato l'ammissibilità del ricorso contro il decreto presidenziale di ricezione degli accordi collettivi per la disciplina di un settore del pubblico impiego (nella specie, peraltro, del parastato, in base agli art. 26 e 28 1. 20 marzo 1975 n. 70), anche se esso non sia stato notificato alle associazioni sindacali firmatarie di tali accordi; però la sentenza richiamata aveva concluso per il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per il preteso carattere di decreto legislativo delegato del decreto presidenziale suddetto.
Comunque, la massima appare perfettamente coerente con l'accen tuazione della natura normativa, ed anzi regolamentare del decreto presidenziale stesso, sulla quale v. le note alle massime seguenti.
(2) La questione sorge in seguito al consolidamento nella giurispru denza amministrativa, tanto del Consiglio di Stato come dei tribunali
È ammissibile il ricorso proposto da titolari di laboratori conven
zionati di analisi, contro la norma del decreto presidenziale di
esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamento esterno, che pre vede l'utilizzabilità di professionisti e presidi convenzionati in
seguito ad autorizzazione, dovuta solo quando la struttura
pubblica non sia in grado di soddisfare la richiesta entro tre
giorni. (3) È illegittima la norma del decreto presidenziale di esecuzione
dell'accordo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulato riali in regime di convenzionamento esterno, che prevede l'uti lizzabilità di professionisti e di presidi convenzionati in seguito ad autorizzazione, dovuta solo quando la struttura pubblica non sia in grado di soddisfare la richiesta entro tre giorni. (4)
amministrativi regionali, dell'orientamento secondo il quale la compe tenza del T.A.R. Lazio non è funzionale, quindi inderogabile, ma territoriale, e quindi rilevabile solo mediante la rituale e tempestiva pro posizione del regolamento di competenza: per il Consiglio di Stato, v. sez. VI 6 luglio 1976, n. 286, Foro it., 1977, III, 184, con nota di richiami, che dà conto di una giurisprudenza ancora non pacifica, nonché successivamente, sez. IV 24 novembre 1981, n. 909, id., Rep. 1982, voce Giustizia amministrativa, n. 131; per i tribunali ammini strativi regionali, v. T.A.R. Umbria 31 marzo 1978, n. 119, id., 1979, III, 562, con nota di richiami, che dà conto di una giurisprudenza ormai consolidata, nonché T.A.R. Liguria 8 giugno 1978, n. 267, id., Rep. 1979, voce cit., n. 127; T.A.R. Toscana 20 dicembre 1978, n. 718, ibid., n. 136; T.A.R. Emilia-Romagna 25 marzo 1982, n. 147, id., Rep. 1982, voce cit., n. 108.
È indubbio, peraltro, che l'affermarsi di tale principio può portare all'inconveniente che sia un tribunale amministrativo regionale periferi co a decidere, eventualmente annullandolo erga omnes, su un atto ad efficacia ultra-regionale; v., per es., la richiamata sentenza del T.A.R. Umbria, che, appunto, ha giudicato, sia pure respingendo il ricorso nel merito, del d.p.r. 26 maggio 1976 n. 411, emanato in base alla 1. n.
70/75; e anche T.A.R. Veneto 11 gennaio 1977, n. 129, id., 1978, III, 55, con nota di richiami, relativamente al medesimo decreto presiden ziale, che peraltro ha dichiarato inammissibile la censura proposta nei suoi confronti, perché non era stato specificamente impugnato.
Comunque, mentre la giurisprudenza si è cosi stabilizzata, la dottrina appare ben più divisa. A tale orientamento giurisprudenziale aderiscono, tra gli altri, M. Nigro, Giustizia amministrativa3, 1983, 360 e Lugo, La competenza e la connessione delle cause nel processo amministrativo, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, III, 1738, che però riferisce degli autorevoli orientamenti contrari, in particolare quello di A. M. Sandulli, citando il Manuale di diritto amministrativo, 12a ed., 1974, 966 (però nella 13a ed. del 1982, pag. 1248, l'autore si limita a riferire l'orientamento giurispru denziale che ha prevalso). Nello stesso senso della inderogabilità della competenza del T.A.R. Lazio, v., anche, Andreani, La competenza per territorio dei tribunali amministrativi regionali, che però aggiunge questo caso ad un ragionamento tutto incentrato sul carattere funzio nale della competenza dei tribunali amministrativi regionali sugli atti degli enti locali aventi sede nella rispettiva circoscrizione; sul collega mento tra singolo tribunale amministrativo e relativi enti locali, in particolare regione, v. l'intervento di A. Romano, in Riflessioni sulle regioni, in Atti del convegno in memoria di Franco Levi, 1983.
(3) La massima è conforme al principio quanto meno presupposto pacificamente in giurisprudenza: tutto il contenzioso in materia, ri chiamato anche nella nota alla massima che segue, è stato promosso, tranne casi sporadici, non da singoli pazienti che vedevano limitata la propria possibilità di scelta del professionista o del gabinetto di analisi, ma da simili strutture private, che vedevano limitate le possibilità di afflusso della clientela.
Sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa sulle controversie in materia, v. oltre alla sentenza appellata T.A.R. Umbria 9 marzo 1981, n. 80, Foro it., Rep. 1981, voce Sanità pubblica, n. 84, Cass. 9 giugno 1982, n. 3474, id., 1982, I, 2474, con nota di richiami, ai quali adde Cass. 16 novembre 1982, nn. 6107 a 6118, e 6121, id., Rep. 1982, voce Giurisdizione civ., nn. 82-94, anche in relazione alle norme primarie sopravvenute, richiamate nella nota alla massima che segue. Nel senso che nel sistema del servizio sanitario nazionale non è configurabile un diritto soggettivo all'avviamento presso strutture priva te, anziché pubbliche, per ottenere prestazioni medico-specialistiche, Pret. Alatri 30 maggio 1981, id., Rep. 1981, voce Sanità pubblica, n. 71 (annotata da Lotito, in Nuovo diritto, 1981, 480); e Cass. 16 novembre 1982, n. 6120, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 78, ha affermato la giurisdizione amministrativa sul ricorso che un singolo aveva proposto contro la mancata accettazione da parte della regione della designazione del proprio medico di fiducia, scelto al di fuori dell'elenco dei medici convenzionati.
Per riferimenti, sull'altra norma del d. pres. 16 maggio 1980, che subordina ad autorizzazione regionale l'instaurazione di nuovi rapporti convenzionali con lavoratori privati di analisi da parte delle unità sanitarie locali, T.A.R. Lazio 12 marzo 1982, n. 121, ibid., n. 75.
(4) La questione è adesso superata: la norma che subordina l'acces so da parte dell'utente a professionisti e presidi convenzionati ad autorizzazione da parte dell'ente erogatore della prestazione, che deve rilasciarla quando non sia in grado di soddisfare la richiesta entro tre giorni, prevista nell'accordo collettivo del 22 febbraio 1980, e nel
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
II
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 1° ottobre 1982, n. 890; Pres.
Tozzi, Est. Bianchi; Ramacci (Avv. Bellini) c. Regione Lazio (Avv. Dall'Aglio) e altri.
Sanitario — Convenzionato — Accordi nazionali — Decreto
presidenziale di esecuzione — Difetto di notificazione al pre sidente del consiglio dei ministri — Errore scusabile (L. 23 di
cembre 1978 n. 833, art. 48). Sanitario — Convenzionato — Accordi nazionali — Incompati
bilità della contemporanea iscrizione negli elenchi dei medici
generici e specialisti — Legittimità (L. 23 dicembre 1978 n.
833, art. 48).
Non è inammissibile il ricorso contro il decreto presidenziale di
esecuzione degli accordi nazionali relativi alla disciplina del
rapporto convenzionale col personale sanitario, che solo tardi
vamente sia stato notìficato alla presidenza del consiglio dei
ministri, perché per la novità della normativa applicata può concedersi il beneficio dell'errore scusabile. (5)
conseguente decreto presidenziale 16 maggio 1980 (che curiosamente
accoglie in un testo destinato a regolare il rapporto convenzionale con strutture private una disposizione che incide cosi pesantemente sulle
possibilità di scelta dei singoli utenti del servizio sanitario nazionale), è stata poi recepita dall'art. 3 d.l. 26 novembre 1981 n. 678 (che sostituisce il 6° e il 7° comma dell'art. 25 1. 23 dicembre 1978 n. 833), nel testo risultante dall'art. 1 1. di conversione, con modificazioni, 26 gennaio 1982 n. 12.
Contro la norma, tendente a comprimere i costi di funziona mento del servizio sanitario nazionale mediante un maggiore sfruttamento delle strutture pubbliche esistenti, sono state sollevate
questioni di costituzionalità, sotto il profilo del diritto al lavoro di
lavoratori privati, dipendenti e autonomi, da Pret. Fermo 17 marzo
1982, Foro it., 1983, I, 1196, e da Pret. Iseo 3 maggio 1982, ibid., 262, entrambe con note di richiami, nonché, sotto il profilo della esi
genza di tutela della libera scelta del medico da parte del paziente, da Pret. Ceglie Messapico 26 settembre 1981 (nei confronti della analoga norma contenuta nel precedente e non convertito d.l. 29 marzo 1981 n. 252, art. 1). id., Rep. 1982, voce Sanità pubblica, n. 80. Nel senso della manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, in riferimento agli art. 3, 32, 41, 43 e 97 Cost., viceversa, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 30 giugno 1982, n. 135, Trib. amm. reg., 1982, I, 2489, che affronta anche i problemi interpretativi della norma, che sono stati analizzati dalla decisione riportata.
(5, 9) Queste massime, insieme con quella n. 1 e quella n.
8, accentuano il carattere normativo del decreto presidenziale in
questione, anche nei confronti dei sottostanti accordi collettivi. Per l'inquadramento del decreto presidenziale di esecuzione degli
accordi nazionali relativi alla disciplina del rapporto con i medici
convenzionati, occorre ricordare che la contrattazione collettiva nel
pubblico impiego, già largamente diffusa in linea di fatto, aveva trovato un primo riconoscimento nella legislazione proprio nel settore
ospedaliero: l'art. 40 1. 12 febbraio 1968 n. 132, e l'art. 33 del con
seguente d.l. delegato 27 marzo 1969 n. 130, avevano previsto accordi nazionali tra i sindacati e le associazioni rappresentan ti gli enti ospedalieri. Già questa prima normativa di ricono scimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego ave va mantenuto il principio, comunemente considerato come caratte rizzante il rapporto di pubblico impiego (v., per tutti, A. Romano, Pubblico impiego e contrattazione collettiva: aspetti pubblicistici, in Atti del XXV Convegno di studi di scienza dell'amministrazione su pubblico impiego e contrattazione collettiva, 1980, 189), secondo il
quale tale rapporto deve essere disciplinato non direttamente dagli accordi collettivi, ma da un atto unilaterale dell'amministrazione che in varia misura e con un variabile grado di vincolo li recepisse: infatti, il trattamento economico dei dipendenti ospedalieri doveva essere stabilito con un atto delle singole amministrazioni.
Cosi, di fronte alla centralizzazione del momento della contrattazio
ne, rimaneva decentrato il momento della determinazione unilaterale della disciplina del rapporto. Il sistema, che pur imponeva che gli accordi collettivi precedessero le determinazioni unilaterali dell'ammi
nistrazione, lasciava a questa notevoli margini di discrezionalità, almeno fino all'entrata in vigore del d.l. 8 luglio 1974 n. 264, norme
per l'estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, il finanziamento della speda ospedaliera e l'avvio della riforma sanitaria, art. 7, nel testo risultante dalla relativa 1. di conversione 17 agosto 1974 n. 386, che limitava nel massimo la discrezionalità degli enti, ai tetti fissati negli accordi collettivi (per la situazione della giurisprudenza relativa a questa fase dello sviluppo legislativo, Cons. Stato, sez. V, 16 dicembre 1977, n. 1134, Foro it., 1978, III, 468, con nota di richiami, che annullò T.A.R. Liguria 1°
aprile 1976, n. 112, ibid., 140, con nota di richiami). Queste norme sono state dichiarate incostituzionali da Corte cost. 29 luglio 1982, n.
161, id., 1982, I, 2995, con nota di M. De Luca (per le conseguenze di questa sentenza sulla responsabilità degli amministratori degli enti
ospedalieri che avevano disposto trattamenti economici superiori ai tetti negli accordi, C. conti, sez. I, 18 dicembre 1982, n. 155, in
questo fascicolo, III, 353, con nota di richiami di Verrienti).
Sono legittime le norme dei decreti presidenziali di esecuzione
degli accordi nazionali relativi alla disciplina del rapporto convenzionale con i medici di medicina generale e con i
medici specialisti ambulatoriali, che prevedono, rispettivamente,
l'incompatibilità con l'iscrizione nell'elenco dei medici gene rici convenzionati, dell'iscrizione nell'elenco dei medici specialisti ambulatoriali convenzionati, e viceversa, anche sotto i profili della conseguente limitazione della scelta del medico curante
da parte del cittadino, e dell'introduzione di una disciplina meno favorevole di quella precedente, del rapporto convenzio
nale. (6)
Nel frattempo, il modulo della contrattazione collettiva nel pubblico impiego si estendeva a macchia d'olio: nel c.d. parastato, con gli art. 26 e 28 1. 20 marzo 1975 n. 70, disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente; nell'impiego statale, con l'art. 9 1. 22 luglio 1975 n. 382, norme sull'ordinamento regionale e sulla organizzazione della p.a. (del resto in sostituzione del mai attuato art. 24 1. 28 ottobre 1970 n. 775); nell'impiego con gli enti locali, con l'art. 6 d.l. 29 di cembre 1977 n. 946, provvedimenti urgenti per la finanza locale, nel testo risultante dalla 1. di conversione, con modificazioni, 27 febbraio 1978 n. 43. Queste norme centralizzavano anche il momento
della disciplina unilaterale del rapporto di impiego, prevedendo, invece e prima delle deliberazioni delle singole amministrazioni, un decreto
presidenziale unico per ogni settore. A questa evoluzione della legislazione non si è sottratto il settore
sanitario: la 1. 23 dicembre 1978 n. 833, all'art. 47, delegando il go verno all'emanazione di un decreto legislativo disciplinante lo stato giu ridico del personale delle neonate unità sanitarie locali (eredi, tra l'altro, degli enti ospedalieri), ha delineato direttamente un procedimento di de terminazione del trattamento economico di essi culminante ugualmente in decreti presidenziali unitari per tutto il territorio nazionale. Ciò
nonostante, la disciplina del comparto, rispetto ai moduli largamente più omogenei previsti per lo Stato, il parastato e gli enti locali,
presenta almeno due particolarità. In primo luogo, la centralizzazione dell'attuazione degli accordi è più debole, perché manca la previa deliberazione del consiglio dei ministri, richiesta negli altri settori; ciò si traduce in un ruolo più sbiadito del decreto presidenziale rispetto agli accordi che lo precedono, tanto che esso viene qualificato di (semplice) esecuzione di questi. Inoltre, il procedimento, all'art. 48, viene esteso anche alla disciplina del rapporto con i sanitari conven zionati, e cioè al di fuori del pubblico impiego in senso proprio.
È nei confronti di questa tappa della evoluzione legislativa che sono state pronunciate le decisioni che ora si riportano. Ma tale evoluzione nel frattempo è proseguita con l'emanazione della legge quadro sul
pubblico impiego del 29 marzo 1983 n. 93. Questa legge ha previsto una normativa omogenea per tutti i settori prima regolati dalle richiamate normative peculiari, anche se volta a volta articolata con alcune particolarità, specie per quel che riguarda la composizione delle
delegazioni contrattanti; e, anzi, l'ha estesa anche al settore dei
dipendenti delle regioni e degli enti regionali, in precedenza non considerato dalla legislazione statale. Il modulo procedimentale sostan zialmente unitario che ne risulta si basa sempre sui due momenti ugualmente centralizzati degli accordi e delle determinazioni unilaterali amministrative racchiuse in un decreto presidenziale, ma con un indubbio rafforzamento del rilievo di queste, soprattutto per la previ sione del maggior ruolo svolto dal consiglio dei ministri in quanto non solo l'intervento di questo è ugualmente richiesto in ogni settore, ma è anche più continuo: deve essere tenuto al corrente delle trattative; gli deve essere sottoposta l'ipotesi d'accordo, perché dia l'autorizzazione alla sottoscrizione che, per previsione esplicita, può anche rifiutare, malgrado il consenso già dato dalla delegazione della parte pubblica: segno indubbio che il ruolo del consiglio stesso è tutt'altro che formale; infine, esso, dopo l'autorizzata sottoscrizione dell'accordo, deve ancora adottare la deliberazione previa al conclusivo decreto
presidenziale. L'art. 9 della legge quadro prevede esplicitamente l'applicabilità del
procedimento descritto al settore dei dipendenti delle unità sanitarie
locali, in sostituzione e con l'abrogazione della disciplina precedente mente vigente in materia: evidentemente, dell'art. 47 1. 833/78. Nulla è detto per la disciplina del rapporto con i medici convenzio
nati; ma anche se si dovesse ritenere che per questi sia rimasto in vigore l'art. 48 1. 833/78, con la previsione di un decreto
presidenziale non preceduto dalla deliberazione del consiglio dei
ministri, e formalmente qualificato come di (semplice) esecuzione degli accordi collettivi, non parrebbe dubbio che esso vada inquadrato nello
sviluppo generale di quella che si conviene chiamare la contrattazione collettiva del pubblico impiego, e conseguentemente ne risulti caratte
rizzato: prima della legge quadro, tale decreto doveva essere configu rato con tratti omogenei rispetto a quelli dei decreti presidenziali previsti dalle allora distinte normative di settore; dopo la legge quadro, quel medesimo decreto deve essere configurato con tratti
omogenei rispetto a quelli dei decreti presidenziali della ora unitaria normativa su tutto il pubblico impiego. Il che parrebbe giustificare che la valutazione delle decisioni ora riportate, pronunciate nei confronti dell'art. 48 1. 833/78 nel quadro legislativo anteriore alla emanazione della legge quadro, sia condotta tenendo conto degli orientamenti della giurisprudenza e dei dibattiti della dottrina che in
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PARTE TERZA
Ill
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 7 luglio 1982, n. 698; Pres. Tozzi,
Est. Ferrari; Nicastro e altri (Avv. Ferrari) c. Min. sanità
(Avv. dello Stato Cosentino) e altri.
Sanitario — Convenzionato — Medici condotti — Massimale
di scelte superiore a quello concesso ai medici pubblici impie
gati — Illegittimità.
È illegittima la norma, anche se transitoria, del decreto presiden ziale di esecuzione dell'accordo nazionale relativo alla discipli na del rapporto convenzionale con i medici di medicina gene
rale, che consente ai medici condotti, anche se già inseriti nei
ruoli sanitari regionali, di mantenere il massimale di millecin
quecento scelte da parte di cittadini, con la sola riduzione del
cinque per cento, malgrado che i medici pubblici dipendenti a
tempo definito non possano accettare più di cinquecento scelte
(nella specie, peraltro, il tribunale amministrativo regionale non
è arrivato all'annullamento della norma suddetta, perché il
ricorso proposto da altri sanitari pubblici dipendenti mirava ad
ottenere per essi un trattamento ugualmente favorevole). (7)
modo indifferenziato, almeno per l'essenziale, hanno considerato tutti
quei decreti presidenziali. La questione centrale in materia concerne il rapporto nel quale
questi decreti presidenziali si pongono con gli accordi che li precedo no. È scontato che gli accordi, sia pure entro limiti discutibili, vincolino il contenuto dei decreti; ma è l'accentuazione degli uni
rispetto agli altri, o viceversa, che è in discussione: quale sia la forza normativa dei rapporti di pubblico impiego che deve essere riconosciu ta ai decreti; e, prima ancora, se la disciplina di tale rapporto debba necessariamente derivare direttamente da questi, e solo mediatamente
dagli accordi, anche al di là delle previsioni legislative, che pure sono
esplicite in questo senso.
La giurisprudenza, che, naturalmente, è soprattutto dei giudici amministrativi, è nel senso dell'accentuazione del carattere normativo dei decreti presidenziali; ed è rispetto ad essa che le massime 1, 5, 8 e 9 sembrano accostarsi. In una prima fase, il T.A.R. Lazio aveva addirittura sostenuto il carattere legislativo delegato di tali decreti (sez. III 11 luglio 1977, n. 410, Foro it., 1978, III, 678, con nota di richiami). Ma dopo che la stessa Corte costituzionale ebbe respinto questa tesi (27 febbraio 1980, n. 21, id., 1980, I, 898, e 25 giugno 1980, n. 100, ibid., 2383, con note di richiami), la giurisprudenza amministrativa si è consolidata nel senso, del resto già prevalente, del carattere di normazione secondaria dei decreti presidenziali (di qui la ricorrente affermazione della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo al riguardo), con frequenti indicazioni della loro natura regolamentare: tra le tante, T.A.R. Umbria 31 marzo 1978, n. 119, id., 1979, III, 562, con nota di richiami; Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 1982, n. 116, id., Rep. 1982, voce Impiegato dello Stato, n. 67; T.A.R. Lazio, sez. I, 27 gennaio 1982, n. 108, ibid., voce Impiegato degli enti locali, n. 27; T.A.R. Piemonte 23 settembre 1982, n. 552, Trib. amm. reg., 1982, I, 3056; T.A.R. Veneto 25 ottobre 1982, n. 788, ibid., 3417; Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 1983, n. 63, Foro it., 1983, III, 248, con nota di G. Pezzano. D'altra parte, sez. VI, ord. 10 giugno 1980, n. 660, id., 1981, III, 7, con nota di richiami, aveva rimes so all'adunanza plenaria la questione se nell'interpretazione di tali de creti presidenziali debbano applicarsi le norme per l'interpretazione del la legge oppure quelle per l'interpretazione dei contratti, e in particola re il principio del c.d. affidamento; ma la conseguente decisione del l'adunanza plenaria 7 aprile 1981, n. 2, ibid., 427, con nota di richiami, ha esplicitamente ritenuto di non dover risolvere il problema postole, perché ha dato alla controversia una diversa impostazione.
In conclusione, la giurisprudenza amministrativa sembra orientata in questo senso: anche dopo che gli accordi sindacali sono stati legislati vamente configurati come un momento necessario del procedimento di emanazione dei decreti presidenziali, condizionandone quindi il conte
nuto, sono questi decreti che comunque rimangono come la fonte unilaterale di disciplina dei singoli raporti di impiego, con carattere di
normazione secondaria, e cioè eventualmente delegificata. Che la
giurisprudenza amministrativa consideri essenziale questo ruolo di essi, può dedursi da un passo del parere del Cons. Stato, sez. I, 31 luglio
1981, n. 1258/81, id., 1982, III, 95, con nota di richiami: tale parere ha considerato l'art. 30 d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761, legge delegata concernente lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali, emanata in base alla delegazione disposta dall'art. 47 1. 833/78, che
pure stabiliva che il trattamento economico di detto personale fosse
determinato attraverso un decreto presidenziale emesso dopo la contrat
tazione; ora, questo art. 30, riprendendo il tema della determinazione del trattamento economico di tale personale, si è riferito solo all'ac cordo nazionale, non menzionando il successivo decreto presidenziale; e la sezione I ha adombrato il dubbio di costituzionalità della norma che prevedeva un procedimento cosi monco.
Ben più contrastato è il ricchissimo panorama dottrinale. In larga approssimazione (e i già citati Atti del XXV Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, dedicato al Pubblico impiego e contratta zione collettiva, 1980, sono significativi di questo), si può dire che gli
IV
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 16 giugno 1982, n. 629; Pres. Toz
zi, Est. Ferrari; Trecate (Avv. Pennasilico, Lanzetta) c.
Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Cosentino), Regione
Toscana (Avv. Barile, Clarizia).
Legge, decreto e regolamento — Difformità dal testo pubblicato sulla « Gazzetta ufficiale » — Limitazione della prova (R. d.
24 settembre 1931 n. 1256, t.u. delle disposizioni legislative
riguardanti la promulgazione e la pubblicazione delle leggi e dei regi decreti, art. 11; 1. 23 dicembre 1978 n. 833, art. 48).
Sanitario — Convenzionato — Accordi nazionali — Decreto
presidenziale di esecuzione — Ricezione anche di protocolli
aggiuntivi — Legittimità (L. 23 dicembre 1978 n. 833, art. 48).
Sanitario — Convenzionato — Accordi nazionali — Determina
zione di incompatibilità e di massimali di scelte — Legitti mità.
Sanitario — Convenzionato — Accordi nazionali — Rimborso
spese — Determinazione ridotta per l'utilizzazione di struttu
re e servizi pubblici — Legittimità.
Deve considerarsi legittimo il decreto presidenziale di esecuzione
dell'accordo nazionale relativo alla disciplina del rapporto con
venzionale con i medici di medicina generale, se tale accordo
risulta dal testo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale firmato dai
sei rappresentanti dell'ANCI richiesti dalla legge, ove non
sia stato esibito l'atto autentico rilasciato da! ministro guarda
sigilli che provi che uno di essi non abbia viceversa firma to. (8)
scritti di matrice amministrativa sono tendenzialmente orientati in
larga misura nel senso della giurisprudenza, di accentuazione del ruolo dei decreti presidenziali come fonte normativa della materia (in questo senso, v. oltre la relazione generale di A. Romano, la relazione
sull'impiego ospedaliero di Merusi) mentre di segno opposto sono
generalmente i numerosissimi scritti di matrice giuslavoristica (v. il
quadro bibliografico che emerge dalle già citate note di De Luca, Foro it., 1982, I, 2995 e di Pezzano, id., 1983, III, 248; però, nel senso di una accentuazione della rilevanza degli accordi, v„ anche, Coraggio, La ricomposizione in un sistema unitario del pubblico impiego: la legge quadro e gli accordi collettivi, in Studi per il
centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, I, 495, dove, a p. 529, vi è lo scritto di Guadalupi, La ricezione degli accordi collettivi e i riflessi sulla autonomia degli enti, tema trattato anche da
Baratti, I regolamenti « organici » nel quadro della contrattazione collettiva nell'impiego locale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, 1212; sulla accentuazione dei caratteri dell'ordinamento sindacale come ordinamento giuridico, e quindi sulla configurazione della vicenda analizzata come un momento di collegamento tra l'ordinamento statua le e questo, v. il libro di Orsi Battaglini, Gli accordi sindacali nel
pubblico impiego, 1982, e l'articolo di Perlini, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1982, 463). (6-7, 10-11) Sulle specifiche questioni decise, non risultano preceden
ti. Sulla configurazione generale del rapporto dei medici convenzionati,
la giurisprudenza della Cassazione è orientata nel senso che tale
rapporto ha carattere privatistico, con la conseguenza della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, e che l'attività esplicata è continuata e coordinata, anche se non subordinata, con la conseguenza della sussistenza della competenza del pretore come giudice del lavoro: tra le altre, sent. 7 aprile 1983, n. 2480, Foro it., iMass., 512; 17 febbraio 1983, nn. 1206 e 1207, ibid., 243; 16 febbraio 1983, nn.
1176-1179, ibid., 241; 5 gennaio 1983, n. 48, ibid., 10; 11 dicembre
1982, n. 6797, id., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 98.
'Però questa giurisprudenza si è sviluppata nel quadro della legisla zione previgente e, in particolare, sulla base dell'accordo nazionale 14
luglio 1973. Dopo l'entrata in vigore dell'art. 48 1. 833/78, e in base al d.p.r. 16 maggio 1980, considerato dalle decisioni ora riportate, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 1982, n. 213, Trib. amm. reg., 1982, I, 3423, ha affermato che ormai il rapporto di convenzionamento esterno di medici è ricondotto nell'area della concessione del pubblico servizio, con la conseguenza che in materia sussisterebbe la giurisdi zione del giudice amministrativo (nella specie si trattava di un ricorso contro il provvedimento di risoluzione del rapporto convenzionale). In
proposito, v. Acconcia, Considerazioni su rapporti di lavoro autonomo continuativo e pubblico impiego, in Dir. lav., 1979, I, 273.
Per altri riferimenti, in relazione alle norme transitorie, ed ora
superate, dettate sul convenzionamento di medici dalla 1. 29 giugno 1977 n. 349, sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'attribuzione di una generale efficacia obbligatoria della disciplina del convenzionamento dettata dagli accordi nazionali, T.A.R. Lazio, sez. III, 29 ottobre 1979, Foro it., 1980, III, 552, con nota di richiami.
Vedi anche C. conti, sez. giur. reg. sic., 7 luglio 1981, n. 1287, id., Rep. 1982, voce Responsabilità contabile, n. 26, che ha affermato la sussistenza della propria giurisdizione sulla responsabilità dei medici
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
È legittimo il decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo
nazionale relativo alla disciplina del rapporto convenzionale
con i medici di medicina generale, siglato il 30 gennaio 1981, che abbia tenuto conto anche del meno favorevole protocollo
aggiuntivo stipulato il successivo 5 agosto, dopo che il capo dello Stato si era rifiutato di dare esecuzione all'accordo
originario. (9) Sono legittime le norme del decreto presidenziale di esecuzione
dell'accordo nazionale relativo alla disciplina del rapporto con
venzionale con i medici di medicina generale, che stabiliscono
le incompatibilità per l'iscrizione nei corrispondenti elenchi,
prevedono il massimale di scelte individuali che il sanitario
può accettare, e fissano tale massimale in misura ridotta per il
sanitario ultrasettantenne, anche sotto i profili della limitazione
al diritto costituzionale al lavoro e all'esercizio della libera
professione, e della limitazione della scelta del medico curante
da parte del cittadino. (10)
Sono legittime le norme del decreto presidenziale di esecuzione
dell'accordo nazionale relativo alla disciplina del rapporto con
venzionale con i medici di medicina generale, che prevedono che il contributo forfettario a titolo di rimborso delle spese sostenute per la produzione del reddito non compete, o compe
te in misura proporzionalmente ridotta, al medico che preferi sca avvalersi, per l'espletamento degli obblighi convenzionali,
di strutture e di servizi direttamente forniti dalla unità sanita
ria locale. (Il)
V
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LA
ZIO; Sezione I; sentenza 16 giugno 1982, n. 591; Pres. Tozzi, Est. Ferrari; Trecate (Avv. Pennasilico) c. Presidente della
repubblica e altri.
Giustizia amministrativa — Sanitario convenzionato — Accordi
nazionali — Decreto presidenziale di esecuzione — Rifiuto
di emanazione — Ricorso — Inammissibilità.
È inammissibile il ricorso proposto da sanitari interessati alla
attuazione dell'accordo nazionale relativo alla disciplina del
rapporto convenzionale con i medici di medicina generale, contro la mancata emanazione da parte del presidente della
repubblica del decreto di esecuzione dell'accordo stesso, resa
formale mediante il procedimento dì formazione del c.d. silen
zio-rifiuto. (12)
convenzionati per l'attività amministrativa da essi prestata consistente nell'accertamento della identità dell'assistibile e dell'esistenza del dirit to di esso alle prestazioni sanitarie.
(8) Sempre nel quadro della accentuazione del carattere normativo del decreto presidenziale in questione, il tribunale amministrativo ha
applicato ad esso l'art. 11 r.d. 24 settembre 1931 n. 1256, che prevede che l'inesattezza del testo delle leggi e dei decreti inseriti nella raccolta pubblicati nella Gazzetta ufficiale, possa farsi risultare solo con atto autentico del ministro guardasigilli; e ciò anche se si trattava di far risultare la verità emergente dal testo originale del sottostante accordo.
Sulla disposizione citata, Pizzorusso, La pubblicazione degli atti nor
mativi, 1983, 175. Per riferimenti, Cons. Stato, sez. IV, ord. 26 gennaio 1979, Foro it., 1980, III, 228, con nota di richiami, che ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 11 d.p.r. 28 dicembre 1970 n. 1079, nella parte il cui testo, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale era stato rettificato senza l'intervento ministe riale.
(12) Da questa massima con maggiore evidenza emerge la so stanza di una vicenda largamente resa nota a suo tempo anche dalla stampa quotidiana e periodica: il rifiuto del capo dello Stato di firmare il decreto di esecuzione dell'accordo del 30 gennaio 1981, per la disciplina del rapporto convenzionale con i medici di medicina
generale, considerato troppo favorevole per questi, soprattutto nei suoi
aspetti economici e nei confronti del trattamento retributivo dei medici
ospedalieri; tale decreto di esecuzione fu firmato solo dopo che in data 5 agosto 1981 fu concluso un protocollo integrativo di detto
accordo, che avrebbe dovuto attenuarne i benefìci per i medici convenzionati (al riguardo v., anche, la massima n. 9).
La motivazione delia sentenza è incentrata sul ruolo che avrebbe il
capo dello Stato nella emanazione di atti pur governativi in senso
stretto, come il decreto presidenziale previsto dall'art. 48 1. 833/78. In
proposito, nel senso che il capo dello Stato può richiedere al governo un riesame, tra l'altro per l'emanazione di ogni decreto presidenziale contenente norme giuridiche, sia primarie che secondarie, secondo lo schema che la Costituzione ha previsto esplicitamente solo per la
promulgazione della legge nel rapporto tra presidente della repubblica e parlamento, ma di più generale applicazione, Mortati, Istituzioni di diritto pubblico', 1976, II, 653, che però rileva che, proprio in forza di tale modello, il capo dello Stato non può seguitare ad opporsi alla insistita volontà del competente organo governativo (cfr., anche, Cic
I
Diritto. — (Omissis). 2) Deve poi essere affrontata la questione relativa alla regolarità del contraddittorio in primo grado.
Ed a tal fine si deve stabilire se, essendo impugnati un atto di
una unità sanitaria locale ed il d.p.r. 16 maggio 1980, emanato ai
sensi dell'art. 48 1. 23 dicembre 1978 n. 833, dovessero essere
evocate in giudizio, in quanto controinteressate, le odierne appel lanti regione Umbria e regione Toscana. La questione è rilevante
sotto un duplice aspetto, in quanto, in caso affermativo, le
regioni arebbero legittimate ad appellare, pur non essendo state
parti nel giudizio di primo grado, ed al tempo stesso — salva, in
ipotesi, l'eventuale scusabilità dell'errore — il ricorso di primo
grado dovrebbe essere dichiarato inammissibile perché notificato
solo alle « autorità emananti » (nella specie: U.S.L. e presidenza del consiglio dei ministri); nel caso contrario, negandosi alle
regioni appellanti la qualità di controinteressate, i loro appelli sarebbero inammissibili, mentre il contraddittorio in primo grado risulterebbe regolare.
Reputa la sezione che alle regioni appellanti non possa rico
noscersi la qualità di controinteressate quanto alla impugnazione del cennato d.p.r. 16 maggio 1980, con il quale si rende esecuti
vo, ex art. 48 1. n. 833/78, cit., l'accordo nazionale, concluso tra
le delegazioni delle parti pubbliche (governo, regioni, associazione
nazionale dei comuni italiani) e delle organizzazioni sindacali di
categoria, relativo alle prestazioni specialistiche ambulatoriali in
regime di convenzionamento esterno. Non vi è dubbio che il
decreto presidenziale impugnato rientri nel novero, ormai ab
bastanza ampio, di provvedimenti amministrativi che derivano il
loro contenuto dalla collaborazione e dal consenso di rappresen tanze di soggetti nei cui confronti l'atto dovrà spiegare i suoi
effetti, cosi perseguendo una preventiva armonizzazione tra inte
ressi di categorie contrapposte e conciliando il valore formale
dell'atto, che è e rimane autoritativo in quanto espressione di
pubblica potestà, e la sua portata sostanziale, che è frutto della partecipazione e del consenso delle categorie interessate.
Ne deriva, però, pur nella novità del fenomeno che mette a dura prova categorie e concetti elaborati in ordine a tipologie di
atti meno sofisticati sotto il profilo genetico e funzionale, che la
posizione dei soggetti partecipanti (direttamente o mediante rap
presentanze formate sulla base di criteri predeterminati) e dalla
cui dialettica collaborazione deriva, attraverso necessari e reci
proci componimenti dei rispettivi punti di vista, il contenuto
sostanziale del provvedimento, sarebbe, semmai, assimilabile a
quella dell'autorità emanante (e ciò è tanto piti vero quanto, come nel caso di specie, il contenuto dell'atto deve essere
conforme all'accordo), e non a quella del controinteressato: il
quale, almeno secondo le ipotesi sinora note, è un soggetto estraneo alla formazione dell'atto e che vanta un interesse qua lificato alla conservazione dell'atto stesso. Ma neppure può par larsi di assimilazione alla autorità emanante, la quale è soltanto
quella cui l'atto va formalmente imputato.
Se, dunque, alle parti dell'accordo deve disconoscersi la qua lifica di controinteressato, non si può di certo disconoscere un
loro interesse ad interloquire in controversie sui provvedimenti che hanno reso « esecutivo » l'accordo raggiunto.
E lo strumento a ciò più idoneo sembra l'intervento, in quanto non costringe i soggetti partecipanti ad una posizione di naturali
fiancheggiatori dell'autorità emanante, ma consente di assumere nella singola controversia gli atteggiamenti più conformi agli interessi che nell'accordo trovarono, si, composizione, ma che, nella realtà delle cose, restano pur sempre contrapposti, come la
presente lite sta eloquentemente a dimostrare. Da quanto detto deriva che gli appelli delle regioni Toscana
ed Umbria sono — come tali — inammissibili, ma che si possa al
tempo stesso considerarli come atti di intervento (ammissibili anche in appello) in favore delle tesi sostenute negli altri appelli riuniti e cioè dalla presidenza del consiglio dei ministri e dalla U.S.L.
Media Valle del Tevere, cosi come risultano ammissibili gli
conetti, Decreti-legge e poteri del presidente della repubblica, in Dir. e società, 1980, 559). Per la tesi secondo la quale i poteri di controllo del capo dello Stato in sede di emanazione di norme deliberate dall'esecutivo siano nettamente meno incisivi quando tali norme siano solo secondarie (come è il caso deciso), rispetto all'ipotesi nella quale esse siano primarie, P. Barile, I poteri del presidente della repubbli ca, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, 323 (con citazioni di dottrina
contraria), e in Presidente della repubblica, voce del Novissimo digesto, XIII, 723, cui aderisce Valentini, Gli atti del presidente della
repubblica, 1965, 78. Su questi temi, v., anche, Pizzetti, Corte costituzionale e presidente della repubblica, in Giur. costit., 1970, 1460.
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PARTE TERZA
interventi spiegati, in senso opposto, da sindacati ed associazioni
di categoria che pur furono parte dell'accordo.
Deriva altresì' che vanno respinte tutte le censure volte a
sostenere che la sentenza appellata andrebbe annullata senza
rinvio, poiché il ricorso originario non fu notificato ad almeno
un controinteressato: controinteressati in senso tecnico non vi
erano e correttamente il contraddittorio fu istituito nei confronti
delle sole autorità emananti i provvedimenti impugnati.
3) Passando all'esame di ulteriori questioni preliminari, vanno
disattesi i motivi denuncianti l'incompetenza del T.A.R. del
l'Umbria: la questione avrebbe potuto porsi, in ipotesi, ove alle
regioni Umbria e Toscana si fosse riconosciuta la qualità di
controinteressato, onde sarebbe rimasto aperto il problema se il
controinteressato pretermesso (ed al quale non fu perciò consenti
to di sollevare il regolamento di competenza) sia legittimato a
proporre in appello la relativa questione. Ma il problema resta privo di base, una volta negata alle
predette regioni la qualità di controinteressate.
Quanto all'appello sul punto dell'U.S.L. Media Valle del
Tevere, anche a voler ammettere che la competenza territoriale
del T.A.R. del Lazio sia inderogabile, non ne potrebbe derivare
la legittimazione a sollevare il problema in appello, quanto meno
da parte di chi — come l'U.S.L. appellante — fu parte nel
giudizio di primo grado. L'art. 31 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 prevede, infatti, un tipico
ed esclusivo rimedio per far valere l'incompetenza del giudice adito, e cioè il regolamento di competenza, da proporsi entro termini rigorosi, al fine di risolvere rapidamente e definitivamente
ogni questione al riguardo. E chi nel giudizio di primo grado,
pur ritualmente intimato, non si sia costituito (e, pur costituito, non abbia ritenuto di sollevare la questione), non può sollevarla
in appello, restando altrimenti compromesse quelle esigenze di
speditezza che la legge processuale amministrativa ha voluto
realizzare.
L'appellante U.S.L. solleva in subordine questione di legittimità costituzionale degli art. 3 e 34 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, per contrasto rispetto agli art. 3, 24, 25, 97 e 125 Cost. Ma la
questione appare manifestamente infondata, sol che si consideri
come la legge appresti uno specifico rimedio che, se opportuna mente utilizzato, consente di ricondurre rapidamente il processo al giudice competente, cosi eliminando gli inconvenienti prospet tati e le ipotizzate violazioni di norme costituzionali: gli uni e le
altre, infatti, non sarebbero conseguenza delle norme in discorso, ma del fatto che le parti non si siano avvalse del rimedio che la
legge loro fornisce.
Ove, poi, la questione sia da intendersi sollevata sotto diverso
profilo, e cioè ci si dolga che le questioni relative alla competen za territoriale (anche nelle eventuali ipotesi di competenza inde
rogabile) non siano rilevabili d'ufficio né in primo grado né in
appello, restando dunque rimesse alla disponibilità delle parti, si
può osservare che una differenziata disciplina della materia ri
spetto al processo civile è pienamente ammissibile.
Ed infatti, anche a tacere che pur nel processo civile i profili relativi alla competenza per territorio non danno luogo ad ipotesi di inderogabilità fuori dei casi previsti dall'art. 28 c.p.c., resta il
decisivo rilievo che il processo amministrativo presenta non lievi
né secondarie differenze di struttura e funzione rispetto al pro cesso civile, onde ben si giustifica una differenziata disciplina di
istituti che pur compaiono in entrambi i tipi di processo. (Omis sis)
5) Ulteriori questioni pregiudiziali attengono alla contestata idoneità degli atti impugnati a ledere situazioni soggettive pro prie dei ricorrenti in primo grado, prospettandosi la tesi che
costoro, in realtà, farebbero valere la violazione di un preteso diritto alla libera scelta del laboratorio di analisi e dunque di
una situazione soggettiva che, ove mai esista, sarebbe propria dei
singoli assistiti. Ma è agevole replicare che uno stesso precetto
può produrre diversi tipi di lesione a categorie diverse di
soggetti: e non sembra dubitabile che soggetti convenzionati con
il servizio sanitario nazionale, e perciò tenuti a far fronte a
determinate richieste di prestazioni da parte dell'utenza, ove
reagiscono contro atti che incidono sulle modalità di accesso
degli utenti, tutelino non già l'interesse di costoro, ma quello
proprio a non vedere lese, in una con le modalità della loro
partecipazione alla gestione del servizio, le loro aspettative ad un
giusto profitto.
6) Può a questo punto passarsi all'esame del merito, in rela
zione al quale, peraltro, deve il collegio darsi carico di una
vicenda sopravvenuta in corso di lite, al fine di valutare quali ne
siano le possibili conseguenze.
Infatti, con l'art. 3 d.l. 26 novembre 1981 n. 678 (convertito con modificazioni dalla 1. 26 gennaio 1982 n. 12) e riproducendo
norme analoghe contenute in precedenti decreti-legge non conver
titi (d.l. 29 maggio 1981 n. 252 e 29 luglio 1981 n. 398), sono
stati sostituiti il 7° e l'8° comma dell'art. 25 1. 23 dicembre 1978
n. 833 disponendosi, tra l'altro, che l'utente può accedere agli
ambulatori e le strutture convenzionati per le prestazioni di
diagnostica strumentale e di laboratorio per le quali, nel termine
di tre giorni, le strutture pubbliche non siano in grado di
soddisfare le richieste di accesso alle prestazioni stesse.
È però da escludere che tale norma abbia una portata tale da
essere decisiva circa la conclusione della presente lite. In questa si controverte, infatti, di atti ad essa antecedenti, la legittimità dei quali non può essere valutata — nei limiti delle censure
dedotte — alla stregua delle norme vigenti all'epoca in cui gli atti
furono emanati: nel caso specifico, le norme della 1. 23 dicembre
1978 n. 833 nel loro testo originario. A conclusione diversa
potrebbe giungersi solo se le ricordate norme di modifica potesse ro considerarsi retroattive: il che peraltro è sicuramente da
escludere già sul piano meramente testuale, poiché l'operata sostituzione di taluni comma del ricordato art. 25 non indica una
decorrenza specifica, onde deve applicarsi la regola generale secondo la quale le leggi dispongono per l'avvenire.
Né la retroattività potrebbe affermarsi sotto altro profilo, e cioè come intrinseca caratteristica delle norme interpretative, poiché tale non è quella in discorso né per dichiarazione espres sa, né sul piano del contenuto, in quanto pone precetti diversi ed
ulteriori rispetto al testo originario, che ne risulta dunque non
interpretato, ma innovato ed accresciuto.
Lo ius superveniens dunque non incide sulla soluzione della
presente controversia: dal che deriva un duplice ordine di
conseguenze. In primo luogo divengono irrilevanti in questa lite le sollevate
questioni di legittimità costituzionale, proprio perchè si appunto no contro le nuove norme, e dunque contro precetti diversi da
quelli che il collegio deve applicare nella decisione della contro
versia. La questione, in particolare, resta irrilevante anche sotto il profilo denunciante violazione degli art. 70 e 101 Cost., in
quanto si sarebbe voluto decidere una controversia concreta
sostituendosi ai giudici. Quali che fossero gli intenti del legislato
re, certo è che la presente controversia viene risolta da questo
consiglio non sulla base delle norme sopravvenute, onde la
questione di costituzionalità resta priva di fondamento anche
sotto tale particolare e più delicato profilo.
In secondo luogo resta privo di base il conflitto di attribuzioni
prospettato dalla difesa di taluni intervenienti sul rilievo che le
norme sopravvenute usurperebbero i poteri del giudice, sostituen
dosi ad esso il legislatore nel decidere una controversia concreta.
Anche in tal caso deve riaffermarsi che il paventato evento non
si verifica, poiché la presente causa viene decisa da questo
consiglio totalmente prescindendo dalle nuove norme, che sulla
pronuncia non influiscono né in via diretta né in via indiretta.
Ciò posto, si può ricordare che la sentenza appellata ha
accolto il ricorso di primo grado definendo, in un primo luogo,
la portata normativa del ricordato punto 3 dell'accordo reso
esecutivo col già citato d.p.r. 16 maggio 1980; e successivamente
osservando che la scelta degli assistiti può trovare limite soltanto
nella struttura del servizio oggettivamente intesa, e cioè nell'am
bito dei soggetti che in una parte del territorio erogano le
prestazioni richieste, risultando dunque impossibile porre ulteriori
limiti all'accesso ai presidi sanitari di una certa categoria (nella
specie, quelli convenzionati) e ciò in presenza di un affermato
diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura, ed in
assenza di norme che pongano una preferenza per le strutture
pubbliche. Fermo restando quanto detto in precedenza circa la scarsa
chiarezza del punto 3 e le conseguenze che se ne sono tratte
nella soluzione dei profili relativi alla tempestività del ricorso di
primo grado ed alla denunciata acquiescenza agli atti impugnati,
si deve osservare che il modo di intendere tale punto, proposto
dal primo giudice, va condiviso. Non avrebbe senso, infatti,
concepire una autorizzazione, i cui presupposti restino indetermi
nati, onde la norma acquista un senso compiuto (salvo a ve
rificarne la legittimità) se intesa nel senso che all'autorizzazione
può giungersi solo se la struttura pubblica non possa far fronte
alla richiesta entro i tre giorni.
Al riguardo la difesa della regione Umbria lamenta una pretesa contraddittorietà della sentenza appellata, poiché, una volta rite
nuta inscindibile la norma, non si poteva annullarla solo in
parte. Tale situazione è abnorme solo in apparenza poiché, pur
potendo una disposizione unitaria derivare da distinte proposizio ni precettive, non è escluso in astratto che la prima risulti solo
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
in parte viziata; ma in concreto quella statuizione era l'unica
possibile alla stegua del principio della domanda, in quanto le
censure dei ricorrenti in primo grado investivano solo la seconda
parte del punto 3, dolendosi essi non già e non tanto della
necessità di una autorizzazione, ma del fatto che tale autoriz zazione veniva configurata in maniera tale da essere sistematica
mente negata quando le strutture pubbliche fossere esse stesse in
grado di esaudire la richiesta nei tre giorni successivi.
Ciò chiarito, si deve ricordare che gli appelli si fondano su
due distinti ordini argomentativi, volti a dimostrare, da un lato, l'inesistenza di ogni titolo alla libera scelta nel campo della
diagnostica strumentale e della analisi di laboratorio, e, dall'altro, la prevalenza delle strutture pubbliche su quelle private conven
zionate.
Sulla prima proposizione può convenirsi, poiché la 1. 23 di
cembre 1978 n. 833 impone non pochi limiti al principio di
libera scelta affermato all'art. 19, circoscrivendolo (art. 25), quan to al medico, a quello generico ed al pediatra, da scegliersi,
inoltre, tra i sanitari convenzionati operanti nel comune di
residenza dell'interessato; e, quanto al luogo di cura, da inten
dersi come presidio nel quale si presta l'assistenza ospedaliera,
agli stabilimenti esistenti nella regione di residenza, s^lve ipotesi eccezionali di ricoveri fuori di detta regione.
Sotto questo primo profilo la sentenza appellata non può
condividersi, avendo essa dato al principio di libera scelta una
estensione maggiore di quella che risulta dalla normazione positi va.
Non per questo tuttavia la sentenza appellata merita riforma,
essendo esatte (e sufficienti a sostenere la statuizione adottata) le
considerazioni svolte (e, per converso, risultando infondati gli
argomenti degli appellanti) a proposito del rapporto esistente,
nell'ambito del servizio sanitario nazionale, cosi come originaria mente concepito dalla legge istitutiva, tra strutture pubbliche e
strutture convenzionate.
Non sembra contestabile che le disposizioni impugnate, subor
dinando l'accesso al convenzionamento esterno all'impossibilità delle strutture pubbliche di farvi fronte, e ciò al chiaro fine di
utilizzare al massimo la potenzialità di queste, può trovare
giustificazione e legittimità solo in un sistema che assegni alle
strutture convenzionate un ruolo marginale e residuale.
Ma ciò non può affermarsi alla stregua della 1. n. 833 del
1978, almeno nella sua formulazione originaria, poiché nulla
autorizza ad affermare la prevalenza ipotizzata dagli appellanti. Una posizione di preminenza certamente spetta ai pubblici
poteri in sede di programmazione sanitaria, essendo ad essi
rimessa ogni unilaterale decisione sul se, ed in quali limiti, fare
ricorso al convenzionamento esterno, includendo cosi nuovi sog
getti nella struttura del servizio sanitario nazionale. Ed è in tale
fase che vanno compiute la valutazioni circa la convenienza, i
costi, ed i limiti entro i quali si intenda ricorrere al convenzio
namento esterno.
Ma, una volta ciò fatto, nulla autorizza a porre i laboratori
convenzionati esterni in una posizione deteriore e subordinata
quale deriva dalle disposizioni impugnate: le strutture private infatti — una volta ammesse al convenzionamento — concorrono
a costituire il servizio sanitario nazionale, e nell'ambito di questo rientrano anche esse a pieno titolo tra i presidi indicati all'art.
25, 7° comma (nella sua formulazione originaria), e che possono rendere le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio.
È vero che, nell'elencazione che figura in tale precetto, le
strutture delle unità sanitarie locali precedono le strutture con
venzionate. Ma a tale ordine espositivo non può darsi un
significato di sotto e sovraordinazione, poiché, se ciò fosse vero,
si dovrebbe giungere alla inaccettabile conclusione che i presidi
convenzionati, precedendo nella cennata elencazione gli ospedali
pubblici, sarebbero in posizione poziore rispetto a questi, da
annoverarsi pur sempre tra le strutture pubbliche titolari della a
torto ipotizzata situazione di preminenza.
La posizione dei vari presidi che risulta dalla elencazione in
discorso, dunque, non crea rapporto di preminenza e di subordi
nazione tra le varie categorie elencate; ed alla conclusione
contraria non induce la locuzione « di norma » che figura all'ini
zio del contesto, questa volendo individuare il novero delle
strutture pubbliche e private esistenti nella zona di residenza
dell'assistito ed alla quale in via di principio (« di norma ») egli
deve rivolgersi, salvo motivate eccezioni.
7) Dalle precedenti considerazioni deriva che gli appelli delle
regioni Toscana ed Umbria devono essere dichiarati inammissibi
li, mentre quelli della U.S.L. Media Valle del Tevere e della
presidenza del consiglio dei ministri vanno respinti; e la soluzio
ne accolta rende superflua la pronuncia sulle domande di sospen
sione dell'esecuzione della sentenza appellata proposte dalla
U.S.L. e dalla presidenza del consiglio e la cui trattazione fu
rinviata alla decisione di merito. (Omissis)
II
Diritto. — Sono oggetto dell'impugnativa i seguenti atti: il
provvedimento dell'assessore alla sanità della regione Lazio (n. 19615 dell'8 settembre 1981) con il quale è stata disposta, nei confronti del ricorrente, l'incompatibilità tra la posizione di « medico generico convenzionato » e quella di « medico speciali sta convenzionato ambulatoriale », con contestuale invito ad op tare per una delle due convenzioni, pena la cancellazione d'ufficio dalla convenzione medico generica; gli accordi collettivi nazionali per la regolamentazione dei rapporti con i medici convenzionati generici e specialisti, di cui, rispettivamente, ai decreti del presidente della repubblica 13 agosto 1981 e 22 ottobre 1981.
Vanno dapprima esaminate le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla regione Lazio.
Con la prima si sostiene l'inammissibilità del ricorso per omessa notificazione alla presidenza del consiglio dei ministri, la
quale, si sostiene, con la proposta e la controfirma, ha assunto la
responsabilità dei citati decreti presidenziali. L'eccezione va disattesa. L'impugnativa di cui trattasi è stata
notificata a talune amministrazioni e, successivamente, si è prov veduto alla integrazione del contraddittorio anche nei confronti
della presidenza del consiglio dei ministri.
Ritiene il collegio che sussistano, nella specie, i presupposti per la concessione dell'errore scusabile, data la particolare natura ed
efficacia degli atti impugnati (i citati decreti presidenziali) e la
assoluta novità del relativo provvedimento di emanazione previ sto dall'art. 48 1. n. 833 del 1978, cosi come è stato interpretato
per la prima volta, in una recente pronuncia di questa sezione
(dee. 16 giugno 1982, n. 591).
Rispetto ad altre similari fonti di normazione secondaria pre viste nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego, la novità del
modulo procedimentale di emanazione dei citati decreti presiden ziali è rappresentata essenzialmente dalla molteplicità delle parti
(pubbliche e private) che hanno direttamente partecipato alla
formazione del c.d. accordo collettivo nazionale, del cui contenu
to si è, poi, appropriato il governo, assumendone la responsabilità
politica e proponendo al capo dello Stato di dargli la veste
giuridica, ai fini dell'immissione nell'ordinamento come fonte —
suò-primaria — di disciplina dei rapporti, con efficacia autorita
tiva erga omnes.
In tale modulo normativo, la difesa del ricorrente ha, vicever
sa, ritenuto rilevante la presenza delle parti pubbliche (ministeri
e regioni) nella formazione della normativa contrattuale, ad
alcune delle quali ha notificato, infatti, nei termini il ricorso. Ciò
non risponde, invero, alla ricostruzione del predetto modulo
normativo effettuato da questa sezione, per la prima volta con la
decisione (n. 591 del 1982, cit.) cionondimeno nell'assenza di un
preciso indirizzo giurisprudenziale in materia, la (avvenuta) suc
cessiva notifica del ricorso anche nei confronti della presidenza del consiglio dei ministri — che, peraltro, non si è costituita in
giudizio — deve ritenersi sufficiente — stante la concessione, che
il collegio ritiene di dovere fare dell'errore scusabile — ai fini
della rituale instaurazione del contraddittorio nella presente con
troversia, senza che sia necessario ordinare la rinnovazione della
notifica stessa. (Omissis) Ciò posto, può scendersi all'esame del merito della controver
sia.
La contestuale impugnazione delle convenzioni uniche naziona
li per la regolamentazione della medicina generica e della medi
cina specialistica (di cui, rispettivamente, ai d.p.r. 13 agosto 1981
e 22 ottobre 1981) e del provvedimento della regione Lazio con
cui sono state applicate, nei confronti del ricorrente, le norme
relative alla comminata incompatibilità, rende logicamente preli
minare l'esame delle censure avverso la citata normativa, della
quale occorre subito acclarare la esatta portata ed efficacia.
I predetti decreti presidenziali, con i quali sono stati resi
esecutivi gii accordi collettivi nazionali per la regolamentazione dei rapporti - con i medici convenzionati generici e specialisti,
assumono, nel modulo prefigurato dal legislatore con l'art. 48, 1°
e 2° comma, 1. 23 dicembre 1978 n. 833, natura di atti normativi,
caratterizzati dal fatto che la determinazione del contenuto della
disciplina è sostanzialmente affidata alle parti contraenti, ma è
anche istituzionalizzato il successivo intervento attivo del potere
pubblico per imprimere carattere di cogenza erga omnes alla
suddetta disciplina e soprattutto per valutare la compatibilità con
gli interessi più generali facenti capo all'intero ordinamento.
Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-24.
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PARTE TERZA
Nella evoluzione della contrattazione pubblica collettiva, quale fase prodromica e strumentale nella produzione di fonti normati
ve suè-primarie, il modulo prefigurato dal legislatore con l'art. 48
cit. costituisce una tipica forma di produzione sub-legislativa, da
emanarsi con decreto del presidente della repubblica, su proposta del presidente del consiglio dei ministri, previa stipula di accordi
nazionali fra le parti (pubbliche e private) espressamente indicate
dallo stesso legislatore. Essa è diretta a disciplinare, nel rispetto ed in attuazione dei principi fìssati dal legislatore, i rapporti di
convenzionamento del personale medico, che costituiscono un
particolare aspetto organizzativo della assistenza sanitaria in Ita
lia. Rispetto ad altre similari fonti di normazione secondaria, pre
viste nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego (quello del
parastato, per esempio, in cui l'autorità di governo si trova a
valutare ed a decidere in ordine ad una disciplina di settore
autonomamente elaborata dalle sole forze sociali e sostanzial
mente espressiva dei soli interessi di parte facenti capo a queste
ultime) il modulo procedimentale previsto dall'art. 48 1. 23
dicembre 1978 n. 833 si caratterizza per una più marcata inci
denza del potere pubblico, che partecipa direttamente al processo di formazione del c.d. accordo collettivo nazionale, attraverso
l'intervento del governo che siede, con i suoi tre rappresentanti, al tavolo delle trattative accanto alle parti sociali interessate (i sindacati da un lato, le regioni e l'ANCI dall'altro) ed impone ad esse di confrontare immediatamente i loro interessi particolari con quello generale di cui esso è portatore.
Segue, poi, la proposta del presidente del consiglio, che rappre senta il momento in cui il governo, in persona del suo massimo
rappresentante, si appropria del contenuto dell'accordo, ne assu me la responsabilità politica e, di conseguenza, chiede al capo dello Stato di dargli la veste autoritativa necessaria perché possa immettersi nell'ordinamento come fonte disciplinatrice di rapporti. In concreto, nei confronti della normativa in esame, l'intervento
del capo dello Stato — che conclude la procedura — è lo stesso
che egli esercita istituzionalmente nei riguardi degli atti governa tivi in senso stretto, ai quali è chiamato a dare forma ed
efficacia autoritativa (T.A.R. Lazio, sez. I, n. 591/82, cit.). La normativa di cui trattasi costituisce, perciò, l'espressione
della tipica potestà di normazione secondaria, propria del gover no, attivabile secondo la procedura fissata dal legislatore ed
idonea, ex se, ad incidere unilateralmente ed autoritativamente
nei rapporti di cui trattasi, in virtù di preminenti considerazioni
di interesse pubblico. È dunque evidente come di fronte all'esercizio di detto potere
normativo, i soggetti destinatari vantano una situazione giuridica di mero interesse legittimo, quale interesse al corretto esercizio del potere stesso.
Si esaminano, ora, nell'ordine logico i singoli motivi.
Nel terzo motivo di ricorso, l'istante sostiene la tesi secondo
cui l'art. 48 1. n. 833 del 1978 (istitutiva del servizio sanitario
nazionale) che fissa ai nn. 3, 4, 5 e 6, 3° comma, le direttive e i
principi generali cui avrebbero dovuto attenersi le emanande
convenzioni nazionali sul trattamento economico normativo del
personale sanitario a rapporto convenzionale, consentirebbe sol
tanto di limitare il massimale degli assistiti in proporzione alle
ore settimanali di impegno nelle altre attività mediche. Da qui l'asserita illegittimità, per violazione dell'art. 48 1. n. 833 del
1978, delle disposizioni contenute nelle impugnate convenzioni
(art. 2, lett. d, della convenzione per la medicina generale e l'art.
3, lett. b, della convenzione per la medicina specialistica) le quali
prevedono, per converso, la reciproca incompatibilità tra l'iscri
zione negli elenchi dei medici generici e quella relativa agli elenchi dei medici specialisti.
La censura è destituita di fondamento. Il ricorrente fonda la
sua tesi difensiva su una lettura dell'art. 48 1. n. 833 del 1978
palesemente contraria alla sua reale portata precettiva. Tale norma, nel demandare agli accordi collettivi nazionali la
regolamentazione — uniforme su tutto il territorio nazionale —
del trattamento economico e normativo del personale sanitario a
rapporto convenzionale, ne ha determinato il contenuto essenziale
attraverso l'enunciazione di principi, criteri e direttive, in ordine
ai diversi profili del rapporto da disciplinare. In particolare il n. 4 del 3" comma dell'art. 48 cit. stabilisce
che i predetti accordi nazionali devono prevedere « la disciplina delle incompatibilità e delle limitazioni del rapporto convenzionale
rispetto ad altre attività mediche al fine di favorire la migliore distribuzione del lavoro medico e la qualificazione delle presta zioni ».
Tale disposizione non presenta davvero dubbi di lettura e di
interpretazione, chiara com'è l'intenzione del legislatore di aver
voluto riservare alla normativa da emanarsi secondo il procedi
mento previsto dall'art. 48 cit. — la disciplina delle incompatibi lità tra le varie attività mediche e delle limitazioni del rapporto
convenzionale, finalizzandole entrambe ad ottenere una migliore distribuzione del lavoro tra i medici, per i fini occupazionali, ed
una migliore qualificazione delle prestazioni, per fini sanitari.
Le impugnate disposizioni sulle incompatibilità fondano, quin
di, la loro derivazione sull'art. 48 1. n. 833 cit., che non ha
tassativamente indicato le ipotesi di incompatibilità ai fini del
l'iscrizione negli elenchi di cui trattasi, ne ha anzi rimesso la
disciplina alla emananda normativa.
Nessun rilievo di illogicità e contraddittorietà interna meritano
le censurate disposizioni sulla comminata incompatibilità, ché
anzi il divieto del duplice convenzionamento ivi previsto appare astrattamente consono alla necessità — prefissata dal legislatore — di favorire la migliore distribuzione del lavoro medico e la
qualificazione delle prestazioni. D'altro canto, le disposizioni di cui trattasi, di contenuto
discrezionale, non presentano altri vizi logici di evidente rilevan
za gli unici per i quali potrebbero essere censurate nella presente sede di esame della legittimità, ove si consideri quanto segue: a)
quanto al medico generico convenzionato (al quale, è vero, l'art.
35 della convenzione per la medicina generale consente di
affidare, sulla base di un rapporto orario, compiti connessi ad
attività previste dalle unità sanitarie locali), è facile osservare che
questo eventuale, ulteriore incarico non può comunque riguardare
compiti di diagnosi e cura, e ciò è per di sé sufficiente a
differenziare l'ipotesi in argomento rispetto a quella del divieto
del duplice convenzionamento di cui alla controversia; b) per
quanto riguarda i medici a tempo definito, i quali possono
accedere alla convenzione per la medicina generale (art. 2, lett. a,
della convenzione per la generica) è sufficiente osservare che
trattasi di situazione che non contraddice il principio generale del divieto del duplice convenzionamento (per la generica e la
specialistica) che vige evidentemente anche nei confronti di
questi ultimi.
Con il quarto motivo l'istante deduce che la nuova disciplina
sulle incompatibilità, contenuta nei predetti accordi nazionali
violerebbe il principio fondamentale che caratterizza l'intera ri
forma sanitaria, vale a dire il diritto di libera scelta del medico
da parte di ogni cittadino.
Anche tale doglianza è infondala. Non possono essere condivi
se le argomentazioni con le quali l'istante ha tentato di dimostra
re l'illegittimità delle impugnate statuizioni in rapporto al princi
pio della libera scelta del medico, principio questo affermato
dall'art. 19 1. n. 833 del 1978, che opera, peraltro, non illimita
tamente, ma entro i limiti oggettivi della equiparazione dei
servizi sanitari, per cui la scelta del medico da parte dell'assistito
non può non essere condizionata — per la preminente esigenza
di assicurare il miglior perseguimento dell'interesse pubblico —
alle soluzioni prescelte dalla p.a. nella organizzazione e nella
erogazione dei servizi sanitari. (Omissis)
III
Diritto. — 1. - La norma transitoria n. 1 dell'accordo collettivo
nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di
medicina generale (30 gennaio e 5 agosto 1981) stabilisce che, in
attesa della regolamentazione del trattamento economico del per sonale dipendente dalle U.S.L., i medici condotti (con o senza il
contestuale espletamento di compiti di ufficiali sanitari) possono
acquisire lo stesso massimale individuale di scelte (1.500) rico
nosciuto agli altri medici generici iscritti negli elenchi e non
legati da alcun rapporto di lavoro subordinato, con il solo
correttivo rappresentato dalla riduzione del 5 %.
La stessa possibilità è riconosciuta a coloro che, a seguito della
soppressione della condotta medica di cui erano titolari, per effetto della istituzione delle U.S.L., risultano già trasferiti nei
ruoli del personale sanitario dipendente da queste ultime (d.p.r. 20 dicembre 1979 n. 761).
Nell'ambito di una normativa, che esplicitamente assume di
voler elevare la qualità dell'assistenza sanitaria che la struttura
pubblica deve poter offrire ai propri utenti, la disposizione in
questione appare di non facile comprensione. È noto infatti che, proprio in ragione dell'obiettivo di fondo
perseguito (la qualità dell'atto medico), l'accordo non si è limi
tato a prevedere una serie di incompatibilità rispetto alla iscri
zione negli elenchi dei medici convenzionati e di limitazioni
rispetto al numero massimo di scelte che questi ultimi possono acquisire, ma ha anche imposto ai sanitari, chiamati ad operare nell'ambito della struttura pubblica, specifici adempimenti.
Per quanto attiene al primo profilo (incompatibilità e limita
zioni) è sufficiente ricordare il divieto generale di iscrizione negli
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
elenchi dei medici convenzionati per quei sanitari che già abbia
no un rapporto di lavoro subordinato o convenzionale, che li
impegna per 40 ore settimanali (art. 2); la previsione di un
massimale individuale di scelte non valicabile (1.500) e la co
dificazione del principio generale per il quale detto massimale
deve intendersi ridotto in misura proporzionale al numero delle
ore settimanali che il medico convenzionato dedica ad altre
attività ritenute compatibili con la iscrizione negli elenchi (art. 7, 1° e 3° comma); la predeterminazione di massimali ridotti (500)
per i medici a rapporto di impiego pubblico a tempo definito ai
sensi dell'art. 35 d.p.r. n. 761 del 1979, cit., e per i medici
ultrasettantenni (art. 7, 5° e 12° comma). Definendo altri ricorsi,
portati alla stessa udienza di discussione, il collegio ha dimostra to l'assoluta legittimità e coerenza di questo regime che precosti tuendo le condizioni obiettive perché il medico possa svolgere in modo adeguato la propria professione in favore dell'assistito,
risponde all'interesse generale a disporre di un servizio sanitario funzionale ed efficiente.
Per quanto attiene al secondo profilo (gli adempimenti spe cificamente imposti dall'accordo al medico convenzionato) è sufficiente richiamare le norme dell'accordo che impongono al sanitario: a) un orario di apertura del proprio ambulatorio
congruo rispetto al numero delle scelte acquisite e adeguato
rispetto all'esigenza di assicurare una prestazione medica corretta ed efficace (art. 21); b) visite domiciliari da eseguirsi non ad
libitum del medico, ma nel corso della stessa giornata nella quale è avvenuta la chiamata e, ove si tratti di chiamate urgenti, « entro il più breve tempo possibile » (art. 24); c) la partecipa zione ai turni di guardia medica, notturna e festiva (art. 33).
È evidente che rispetto a tale disciplina generale, interamente rivolta ad assicurare la qualità dell'atto medico, la possibilità riconosciuta (sia pure in via soltanto provvisoria) al medico
condotto di acquisire un massimale individuale di scelte sostan
zialmente eguale a quello di altri medici non legati da alcun
rapporto di lavoro subordinato, appare illogica e contraddittoria.
Ciò è a dirsi innanzitutto rispetto alla ratio, che è alla base
del regime delle incompatibilità e delle limitazioni. Se giustamen te si ritiene che il medico impegnato per 40 ore settimanali
presso altre strutture non è in condizione di garantire al servizio
sanitario nazionale quella qualità di prestazione professionale che
questi ha il potere-dovere di pretendere per i propri assistiti; se
con analoga coerenza si afferma che il medico dipendente a
tempo definito o ultrasettantenne può essere utilizzato dal servi
zio solo nella misura ridotta consentita dagli altri impegni profes sionali assunti o dall'età, sicché si è ritenuto di dover predeter minare per essi massimali sensibilmente ridotti, non si comprende la ragione per la quale queste conclusioni non debbano imporsi con pari evidenza per chi, in qualità di medico condotto o di ex
medico condotto, è legato da un rapporto di pubblico impiego, che lo impegna in misura non certo inferiore di altri medici
funzionari.
Inconferente sarebbe qualsiasi tentativo di ricercare nelle fun
zioni già proprie del medico condotto una giustificazione del
trattamento particolare ad esso riservato nella qualità di medico
convenzionato, dovendosi considerare le mansioni che oggi gli sono richieste nella sua nuova qualità di dipendente dalle U.S.L.
Ma la normativa dettata per i medici condotti appare illogica e
contraddittoria anche rispetto a comuni principi di buona ammi
nistrazione.
Ed invero, a prescindere dalla singolarità di una fattispecie che
vede un soggetto autorizzato ad operare nella stessa struttura e
nei confronti degli stessi utenti nella duplice veste di lavoratore
subordinato e di lavoratore autonomo, e dalla difficoltà di conci
liare in questo schema interessi cosi' diversi, quali sono quelli facenti capo alle due figure, è assorbente la considerazione che non
si riesce a comprendere come si possa pretendere dal medico
funzionario l'adempimento scrupoloso degli obblighi (anche di
orario e di presenza) connessi all'ufficio coperto quando contem
poraneamente gli si impongono, nella diversa qualità di medico
convenzionato, obblighi sovente confliggenti con i primi e, sopra
tutto, in questa seconda qualità gli si precostituisce la possibilità di acquisire un compenso almeno quattro volte superiore a
quello che percepisce nella qualità di medico-funzionario.
In questa situazione non appare azzardata la conclusione che il
medico condotto tenderà a valorizzare la seconda attività, molto
più lucrativa, a scapito della prima.
2. - Non varrebbe opporre che si tratta di disciplina solo
transitoria, destinata a cessare non appena si verificherà il fatto
obiettivo previsto dalla norma transitoria n. 1 (cioè la stipula dell'accordo nazionale di cui all'art. 47 della 1. n. 833 del
1978), il quale avrà l'effetto automatico di ricondurre la posizione
del medico condotto, per quanto attiene ai .massimali individuali
di scelte, nell'ambito della generale previsione dettata dall'art. 7, 5° comma, dell'accordo per i medici a rapporto di impiego
pubblico a tempo definito di cui all'art. 355 d.p.r. n. 761/79. La durata provvisoria non è infatti in grado di dare legittimità
ad una disciplina, che appare l'immagine speculare delle diverse
posizioni di forza con le quali le categorie interessate intervengo no nella stipula degli accordi collettivi, sovente per la difesa di
interessi corporativi non compatibili con quello generale o con
quello di altre categorie più deboli.
Ma si tratta di posizioni di forza che, se nel momento di
formazione della normazione secondaria possono imporre un
certo assetto agli interessi in gioco, lasciano indifferente il giudice
amministrativo, il quale interviene con il suo potere di annulla
mento ogni qual volta, a suo giudizio, ravvisa incompatibilità o
mancanza di coerenza fra le soluzioni particolari codificate e le
finalità a carattere generale perseguite dall'atto sottoposto al suo
sindacato.
3. - Peraltro, nel processo amministrativo il potere di annulla
mento del giudice è condizionato dall'interesse fatto valere dai
ricorrenti.
Nella specie questi ultimi non denunciano il trattamento prefe renziale riservato ai medici condotti ma si dolgono, essenzialmen
te sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento, che
analogo trattamento non sia stato esteso a chi, come loro, si
trova in posizione lavorativa assolutamente identica. In que sta prospettazione il ricorso è infondato, giacché 'l'illegitti ma situazione di privilegio accordata ad una categoria vizia la
normativa che la codifica, ma non è in grado di influire negati vamente sulla normativa dettata per altre categorie, ove quest'ul tima (come il collegio ha già dimostrato: v. T.A R. Lazio, sez. I, nn. 591 e 629 del 16 giugno 1982) sia espressione corretta dei
principi imposti alla normazione secondaria dalla legge istitutiva
del servizio sanitario nazionale.
4. - Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere rigettato.
(Omissis)
IV
Diritto. — 1. - Sostiene il ricorrente (primo motivo) che
l'accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale, siglato in data 30 gennaio 1981, sarebbe illegittimo giacché alla sua stipula sarebbero in
tervenuti solo cinque dei sei rappresentati dell'ANCI previsti dali'art. 48 1. 23 dicembre 1978 n. 833. Da una fotocopia del
documento originale, depositato in atti, risulterebbe infatti la
mancanza della firma del sesto rappresentante. La censura è infondata. Ed invero, a prescindere dalla singolarità
di una vicenda che vede il ricorrente insorgere con altro ricorso
(portato e definito nella stessa udienza di discussione: n. 1105/81) contro la mancata esecuzione da parte del capo dello Stato dell'ac
cordo ora denunciato come illegittimo, coltivando quindi interessi
opposti (nel primo caso l'esecuzione dell'accordo, nel secondo il suo
annullamento), è assorbente la considerazione che la stampa delle
leggi e dei decreti nella Gazzetta ufficiale si presume conforme
all'originale e costituisce testo legale fino a quando ne viene
provata la inesattezza mediante esibizione di atto autentico rila
sciato dal ministro guardasigilli o dall'archivio di Stato (art. 11
r.d. 24 settembre 1931 n. 1256).
Nella specie il testo dell'accordo del 30 gennaio 1981, pubblica
to per esteso sulla Gazzetta ufficiale (suppl. ord., n. 246 dell'8
settembre 1981), porta in calce la firma di tutti e sei i rappresen tanti dell'ANCI previsti dall'art. 48 1. cit.
2. - Sostiene ancora il ricorrente (secondo motivo) che il c.d.
protocollo integrativo del 5 agosto 1981, stipulato dopo il rifiuto
da parte del capo dello Stato di dare esecuzione all'accordo del
30 gennaio e contenente disposizioni peggiorative per medici
convenzionati, sarebbe illegittimo perchè adottato al di fuori di
una espressa previsione di legge e, in ogni caso, dopo che le
parti, con l'accordo originario, avevano esaurito i loro poteri contrattuali.
Anche questa censura è infondata, giacché il potere contrattua
le delle parti legittimate a stipulare gli accordi collettivi nazionali
di cui all'art. 48 1. cit. non si esurisce fino a quando non sia
stato emanato il decreto del presidente della repubblica, che
rende esecutivi gli accordi stessi.
Questa conclusione emerge con evidenza dall'analisi fatta dal
collegio (T.A.R. Lazio, sez. I, 16 giugno 1982, n. 591) in ordine
sia alla natura giuridica dell'atto a contenuto normativo, al quale
il succitato art. 48 affida la regolamentazione del rapporto di
lavoro dei medici convenzionati, che alle relazioni intercorrenti
fra i diversi centri di potere che intervengono nel corso della
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PARTE TERZA
procedura. Una procedura caratterizzata dal fatto che la determi
nazione del contenuto della disciplina è sostanzialmente affidata alle parti contraenti, ma è anche istituzionalizzato il successivo intervento attivo del potere pubblico non soltanto per imprimere carattere di cogenza erga omnes alla suddetta disciplina ma
anche, e soprattutto, per valutarne la compatibilità con gli interes si più generali facenti capo all'intero ordinamento.
Di conseguenza, fin quando il potere pubblico non si appropria dell'accordo e non gli dà la veste autoritativa necessaria per potersi immettere nell'ordinamento come fonte disciplinatrice di
rapporti, l'accordo stesso resta nella disponibilità delle parti contraenti, che legittimamente possono modificarne il contenuto.
3. - La definizione delle censure che seguono impone un
preliminare chiarimento in ordine alla posizione del medico che volontariamente chiede di operare nell'ambito di una struttura
pubblica, pur conservando la veste di lavoratore autonomo, posizione che non può certo essere assimilata a quella del
privato professionista che raccoglie e seleziona la propria cliente la secondo calcoli di personale convenienza.
Il medico convenzionato è strumento operativo del servizio sanitario nazionale, alla pari del medico-funzionario, ed è quindi utilizzato dalla struttura pubblica in funzione dell'obiettivo che questa si prefigge, e cioè garantire all'utente la più elevata assistenza sanitaria possibile. In ragione di questo obiettivo è
legittima la predeterminazione di condizioni alla cui ricorrenza è
possibile l'utilizzo del medico esterno, condizioni che quest'ultimo può sindacare innanzi al giudice amministrativo non in quanto si traducano in limitazioni alle proprie aspirazioni di guadagno, ma solo in quanto si pongano in contraddizione palese o con la pro pria coscienza professionale o con la tutela dell'utente.
Ed infatti la posizione del medico convenzionato, che insorge contro la normativa che disciplina il suo rapporto di lavoro con
l'U.S.L., non è quella del titolare di un patrimonio che si ribella alle misure che illegittimamente ne limitino l'autonomia gestionale, ma è quella del titolare dell'interesse legittimo, al quale è dato solo di verificare se la normativa secondaria impugnata è confor me alle direttive dettate in materia dalla legge ordinaria e coerente con i risultati che questa si è proposta di raggiungere.
In questa prospettiva deve ritenersi non pertinente e, quindi, inammissibile qualsiasi censura che miri a sovrapporre l'interesse
privato a quello pubblico, sulla base di calcoli di personale convenienza che devono ritenersi già effettuati nel momento in cui il singolo medico chiede di convenzionarsi.
Non contraddice a questa conclusione la circostanza che la
legge, nel momento in cui prefigura lo strumento normativo per la regolamentazione del rapporto di lavoro, assicuri spazio e tutela all'interesse privato dell'operatore sanitario, il quale attra
verso le organizzazioni sindacali che partecipano alla stesura
dell'accordo può far valere le sue pretese e combinarle in un
comune programma con l'interesse pubblico. La partecipazione delle parti sociali alla elaborazione della normativa non è infatti in grado di influire sulla posizione processuale del medico, che resta quella del titolare dell'interesse legittimo.
4. - Ciò premesso, va dichiarata la manifesta infondatezza del terzo motivo, con il quale il ricorrente contesta in radice la
possibilità per la normativa impugnata di introdurre un regime di
incompatibilità con la iscrizione negli elenchi dei medici conven
zionati, ravvisando in tale regime (e a prescindere dalle sue concrete specificazioni) una violazione del diritto costituzionale al lavoro e all'esercizio della libera professione, nonché del princi pio per il quale l'utente del servizio sanitario nazionale ha il diritto di scegliere liberamente il proprio medico.
Per quanto attiene al primo profilo di censura è sufficiente ricordare che la portata del diritto al lavoro, sancito dall'art. 4
Cost., va intesa nel senso di un obbligo da parte dello Stato di
garantire l'accesso ai posti di lavoro disponibili a chi possiede i
requisiti legittimamente prefissati (T.A.R. Lazio, sez. I, 26 agosto 1981, n. 600, Foro it., Rep. 1982, voce Società, n. 323). Non
esiste, quindi, contrasto fra il diritto costituzionale al lavoro e la
possibilità per la normazione secondaria di porre limitazioni a
quest'ultimo nell'interesse generale. Il problema riguarda semmai la ragionevolezza delle limitazioni imposte, e sarà definito allor ché saranno esaminate le doglianze proposte contro ciascuna di
queste. È peraltro possibile affermare sin da ora l'assoluta legittimità
di una norma che, ravvisando in altre attività lavorative svolte dal medico un ostacolo ad un adeguato utilizzo di questi nel l'ambito della struttura pubblica, offre in pratica all'interessato la possibilità di scelta fra le prime e il convenzionamento. Può anche aggiungersi che il medico, che abbia consapevolezza del l'impegno connesso alla sua professione e del ruolo che gli si chiede di svolgere nell'ambito del servizio sanitario, avverte
l'esistenza di incompatibilità e di limitazioni anche in mancanza
di una norma che le codifichi.
5. - Per quanto attiene al secondo profilo di censura (le
ingiuste limitazioni che il regime delle incompatibilità comporte rebbe per l'esercizio della libera professione) è sufficiente rinviare
a quanto si è già detto sub 3, e cioè alla palese differenza che
intercorre fra il libero professionista, che ha il diritto di opporsi a qualsiasi limitazione al rapporto con il suo cliente privato, e il
medico che chiede di operare nell'ambito della struttura pubblica e che viene da questa utilizzato per i suoi fini, soggiacendo di
conseguenza alle limitazioni rese necessarie per la migliore realiz
zazione di questi.
6. - Infine, per quanto attiene al terzo profilo di censura, va
ricordato che il diritto dell'utente alla scelta del medico « è assicurato... nei limiti oggettivi dell'organizzazione dei servizi sanitari» (art. 19, 2° comma, 1. 23 dicembre 1978 n. 833).
Ciò autorizza due conclusioni: la prima è che la legge istituti va del servizio nazionale si è preoccupata innanzitutto di
garantire al cittadino la possibilità di trovare, nell'ambito della struttura pubblica, il medico, e cioè un professionista al quale la
normativa regolatrice del rapporto di lavoro assicuri le condizioni
obiettive per poter svolgere in modo adeguato la propria profes sione in favore dell'utente. Devono pertanto considerarsi piena mente legittime le limitazioni e le incompatibilità rispetto alla posi zione di medico convenzionato, che siano finalizzate ad una più elevata tutela della salute, che è obbligo primario dello Stato.
Esse fra l'altro codificano norme di comportamento usuali nel
medico che avverte il valore e la dignità della propria professio ne e che non è attento a coglierne solo gli aspetti economici; la
seconda è che la possibilità per l'utente di scegliere liberamente, fra i medici convenzionati, quello di propria fiducia trova un
limite obiettivo proprio nel fatto che il medico opera nell'ambito
di un pubblico servizio, cioè di un servizio tendenzialmente teso
a conciliare l'interesse del singolo utente con quello generale.
L'interesse generale alla funzionalità e alla efficienza del servizio
sanitario nazionale impone la fissazione di un rapporto numerico
ottimale fra sanitario e pazienti, oltre il quale non è possibile andare se non a scapito della qualità del servizio. Impone,
inoltre, la determinazione di precise limitazioni all'attività del
medico, in modo da renderla compatibile con le esigenze della
struttura pubblica e con i fini che questa persegue.
7. - Sulla base di questa premessa, che definisce i rapporti fra
servizio nazionale, medico convenzionato ed utente, è possibile
concludere che tutte le altre censure, che assumono come deno
minatore comune la pretesa violazione del diritto alla libera
scelta del medico, sono prive di fondamento.
Ciò è a dirsi innanzitutto per quelle volte a contestare la
legittimità delle norme dell'accordo, che stabiliscono il rapporto
ottimale e il massimale di scelte individuali (motivi quarto e
quinto), e che trovano invece una piena ed appagante giustifica
zione nella necessità di garantire la qualità del servizio, nell'inte
resse sia del singolo utente che della intera collettività.
Ma tale conclusione si impone anche per la censura (sesto
motivo), con la quale si denuncia il trattamento deteriore che
sarebbe stato riservato ai medici ultrasettantenni attraverso la
previsione di un massimale individuale ridotto e l'obbligo di
rientrare in tale limite attraverso ricusazioni volontarie.
A questo proposito va innanzitutto evidenziata una circostan
za di fatto, che non è in contestazione fra le parti, e cioè che la
precedente convenzione del 1978 (art. 9, punto 3) considerava il
compimento del 70° anno di età come causa di decadenza dalla
iscrizione nell'elenco dei medici generici. Risultava in tal modo recepito un principio a carattere genera
le che, pur essendo codificato nel solo settore del lavoro subor
dinato, appariva suscettivo di essere legittimamente esteso anche
al caso in cui un lavoratore autonomo fosse utilizzato nell'ambito
di una struttura pubblica, identica essendone la giustificazione, e
cioè la presunzione iuris et de iure che ad una certa età esistono
limiti di ordine fisiologico che si oppongono ad un adeguato utilizzo del soggetto per la realizzazione delle finalità perseguite dalla struttura pubblica.
Sotto questo profilo, pertanto, la possibilità ora riconosciuta al medico ultrasettantenne di continuare ad essere iscritto negli elenchi, sia pure con il correttivo di un massimale di scelte
ridotto, costituisce un progresso rispetto alla normativa preceden te, anche se l'amministrazione nella sua difesa giustifica questa inversione di tendenza non come un meditato ripensamento sulla effettiva utilità per il pubblico servizio di continuare a servirsi del medico anziano, ma con motivazioni di ordine sociale (la necessità di evitare il fenomeno della emarginazione della c.d. terza età) e, ancora più realisticamente, con la sua incapacità a
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
resistere alle pressioni esercitate dai diretti interessati nella fase
di predisposizione della nuova normativa.
Il che, fra l'altro, costituisce una conferma illuminante del
ruolo che compete all'amministrazione nella formazione di queste nuove fonti di normazione secondaria e che il collegio ha
individuato (T.A.R. Lazio, sez. I, cit.) nella necessità di comporre e mediare fra interessi diversi.
In ogni caso nei confronti della nuova normativa di favore
non ricorre alcuno dei vizi denunciati dal ricorrente.
La circostanza che l'art. 48, n. 4, 1. n. 833 del 1978 imponga alla normazione secondaria di introdurre un regime di incompa tibilità e di limitazioni del rapporto convenzionale « rispetto ad
altre attività mediche », non toglie a detta normazione la possibi lità di introdurre ulteriori limitazioni, quando queste siano giu stificate da dati obiettivi di esperienza (l'impossibilità per l'an
ziano di sostenere il ritmo lavorativo dell'uomo maturo) e,
soprattutto, siano finalizzate alla realizzazione dell'obiettivo di
fondo che il succitato art. 48, n. 4, pone a fondamento della
disciplina in fieri affidata in materia alla normazione secondaria, e cioè « la qualificazione delle prestazioni ».
Suggestiva, ma non pertinente, è l'affermazione del ricorrente
secondo cui non esisterebbe per il medico miglior giudice del
proprio cliente.
Ciò vale nei singoli rapporti, ma quando si tratta di dettare
una disciplina a carattere generale, la valutazione sulle condizioni
che devono ricorrere perché siano garantite al pubblico servizio
funzionalità ed efficienza spetta a chi, dovendolo gestire, se ne
assume la responsabilità. L'implicito giudizio di non idoneità o
di parziale non idoneità, connesso al raggiungimento di una certa
età, può apparire illogico ed ingiusto se verificato con riferimento
a singoli casi di specie, ma è indubbio che su un piano generale esso ha una sua giustificazione, e ciò basta a rendere legittima la
norma che, sul piano lavorativo, distingue la posizione dell'anzia
no da quella dell'uomo maturo.
Ciò, naturalmente, può anche determinare un costo, e cioè la
dispersione di quel patrimonio di esperienze che il medico ha
raccolto durante la sua professione e che, in taluni casi, potrebbe ancora validamente mettere a disposizione dell'utente. Ma si
tratta di una questione che richiederebbe, per chi gestisce la
struttura pubblica, riscontri di specie che sono incompatibili con
le dimensioni del servizio, pericolosi per le distorsioni che posso
no comportare, infine non funzionali rispetto all'esigenza di
certezza all'affidamento generale che la struttura pubblica deve
offrire ai propri utenti.
Non è neppure pertinente il richiamo all'art. 3 Cost., che
postula condizioni identiche, contraddette nella specie dall'obiet
tiva diversità di rendimento e di affidamento che, su un piano
generale, è in grado di offrire l'uomo maturo rispetto all'anziano.
Inacettabile, e non solo da un punto di vista strettamente
giuridico, è il richiamo alla convenienza economica per il servizio
pubblico di affidare ad un solo medico la possibilità di acquisire
il massimale massimo, anziché a due o più medici massimali
ridotti. Si tratta di ragionamenti giustificabili solo in un clima di
« caccia al cliente », tanto caro a certa letteratura e a certa
cinematografia, ma che sono incompatibili con la qualità dell'atto
medico, che è l'obiettivo al quale tende il servizio sanitario e che
ne giustifica i pesantissimi oneri per la collettività.
Infondato è, infine, il timore dei danni che potrà arrecare
all'utente la mancata predeterminazione di criteri obiettivi, ai
quali il medico debba attenersi nell'eflettuare le ricusazioni per
rientrare nei limiti del massimale assegnatogli.
Contraddittorio appare a questo riguardo l'atteggiamento del
ricorrente il quale da un lato imposta la sua difesa su una
strenua tutela del rapporto fiduciario fra medico e utente e si
ribella di conseguenza ad ogni possibile forma di limitazione e,
dall'altro lato, si duole della mancanza di dati prefissati, appel
landosi ai quali egli possa motivare le sue scelte di ricusazione,
laddove nella sua qualità di medico dovrebbe rallegrarsi e difen
dere una scelta normativa che lascia alla sua coscienza professio
nale e alla sua libertà di giudizio il compito di scegliere, fra gli
utenti, chi ha più bisogno della sua opera.
L'impostazione del ricorso risente, anche in questo caso, di una
insufficiente comprensione del ruolo che si richiede al medico
impegnato in una struttura pubblica, ruolo che egli può accettare
o no attraverso una propria valutazione di convenienza, ma che
è in ogni caso incompatibile con la figura di sanitario che
emerge dal ricorso, e cioè quella di un medico che si affretta a
ricusare « quei cittadini che danno maggior lavoro, maggiori
preoccupazioni, maggiori responsabilità, e cioè i malati gravi, i
malati cronici, i malati di tumori, che richiedono nei periodi
finali della loro malattia un'assistenza giornaliera, le persone
anziane. In una parola, se il medico ha 1000 assistiti, dei quali
vede e cura con maggiore frequenza 300 persone, saranno queste che verrano revocate e il medico, quindi, sarà quindi pagato per
quei cittadini più fortunati e più sani, che di solito neppure vede ».
A parte l'ingiusta pretesa di attribuire ad una intera categoria
professionale regole di comportamento che devono ritenersi esclu
siva di pochi (che peraltro il servizio pubblico ha gli strumenti
giuridici per espellere dalle sue strutture, contando anche sulla
collaborazione degli ordini professionali), non si capisce come
possa pretendere di mantenere il rapporto fiduciario con i clienti
residui il singolo medico che elegga a proprio metodo il sistema
di scelta che il ricorrente prefigura. Che se poi invece il professionista, come lo stesso ricorrente
opina, si lascerà guidare nelle ricusazioni « da superiori principi
deontologici », troverà in detti principi la soluzione più appagan te per la sua coscienza e per la collettività.
8. - Infondato è anche il settimo motivo, prima parte, doven dosi ritenere pienamente legittima la istituzione, da parte della
normazione secondaria, di organi ausiliari per lo svolgimento di funzioni specificamente previste dalla legge ordinaria.
Il comitato consultivo di U.S.L. svolge attività agevolmente riconducibili in quelle forme di controllo imposte dall'art. 48, 3°
comma, n. 8, 1. n. 833 del 1978; il comitato consultivo regionale, a sua volta, è chiamato ad adempimenti espressamente previsti dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (art. 48, 3°
comma, punti 2, 8 e 11). Non è pertinente il richiamo all'art. 23 Cost., in ordine alla
norma dell'accordo (art. 36, 6° comma) che pone a carico dei medici le spese per le elezioni dei propri rappresentanti in seno
agli organi succitati (settimo motivo, seconda parte). Non può infatti parlarsi di prestazione imposta, cioè stabilita
come obbligatoria a carico di una determinata categoria, senza
che la volontà di questa vi abbia concorso quando, come nella
specie, essa è stata espressamente voluta dai rappresentanti sin
dacali della suddetta categoria partecipanti alla stipula dell'accor
do ed è correlata ad esigenze e ad interessi di partecipazione e
di controllo immediatamente ed esclusivamente riferibili alla ca
tegoria stessa.
Il problema sollevato dal ricorrente si risolve avendo riguardo alla natura sostanzialmente consensuale dello strumento al quale la legge affida la regolamentazione del rapporto di lavoro del medico convenzionato. Se, come nella specie, la legittimità del
suddetto strumento non viene contestata ma, al contrario, difesa, ravvisando in esso un momento essenziale di partecipazione del
medico alla gestione del servizio pubblico; se si arriva a sostene re (ma erroneamente) che il raggiungimento dell'accordo fra le
parti sociali interessate esaurisce il procedimento di formazione della norma secondaria e si attribuisce al potere pubblico (il
capo dello Stato) il solo compito di esternare la volontà dei
contraenti, al punto di pretenderne la esecuzione (v. ricorso n.
1105/81, già citato), si deve concludere (questa volta correttamen
te) che la natura sostanzialmente consensuale dello strumento normativo viene condivisa anche dalle singole disposizioni che esso reca, con la conseguenza che non può parlarsi di imposizio ne rispetto ad una prestazione espressamente voluta dalle parti sociali ed espressione precisa di un disegno dalle stesse coltivato
(la partecipazione diretta alla gestione della struttura pubblica). 9. - L'ottavo motivo è infondato perché si basa su una inesatta
interpretazione dell'art. 10 dell'accordo, al quale si attribuisce la
illegittima previsione di un potere per le parti contraenti di
modificare la normativa vigente ovvero di dettarne la interpreta zione autentica al di fuori del modulo procedimentale imposto dalla 1. n. 833 del 1978.
Deve invece ritenersi che il succitato art. 10 esaurisce la sua
portata ed il suo contenuto nella sola imposizione alle parti contraenti di incontri periodici allo scopo di effettuare un esame
congiunto sullo stato di attuazione della normativa, restando
peraltro fermo e indiscutibile il principio per il quale qualsiasi
proposta di interpretazione autentica o di modifica della suddetta
normativa non può rappresentare che il punto di partenza della
procedura fissata tassativamente dall' art. 48 1. cit., e articolantesi
nelle tre distinte fasi dell'accordo, della proposta del capo del
governo e della decretazione presidenziale. 10. - Palesemente infondata è la censura di illegittimità (nono
motivo, prima parte) dedotta nei confronti delle norme dell'ac
cordo e del protocollo integrativo, per le quali il « contributo
forfettario a titolo di rimborso spese per la produzione del
reddito » non compete, o compete in misura proporzionalmente
ridotta, al medico che chieda di avvalersi, per l'espletamento degli
obblighi convenzionali, di strutture e di servizi direttamente
forniti dalla U.S.L.
Ed infatti l'accordo, nell'istituire il suddetto contributo, gli ha
espressamente attribuito la funzione di « rimborso per le spese
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343 PARTE TERZA
sostenute in relazione alle attività professionali, e, in particolare,
per la disponibilità dello stadio medico con locale di attesa e
servizi, per la disponibilità del telefono, per i mezzi di trasporto necessari e per ogni altro strumento utile allo svolgimento dell'at
tività a favore degli assistiti ».
Deve ritenersi pertanto pienamente ragionevole la norma che
preclude la possibilità di percepire in tutto o in parte il suddetto
contributo al medico che, seguendo un calcolo di personale
convenienza, anziché affrontare in proprio le spese per l'allesti
mento del proprio ambulatorio, chiede ed ottiene di servirsi delle
strutture e del personale infermieristico della U.S.L.
Incollerente è pertanto il richiamo all'art. 48 1. n. 833 del
1978, che ancora la determinazione del trattamento economico
spettante al medico alla quantità e qualità del lavoro prestato, dal momento che la norma succitata intende chiaramente riferirsi
al compenso forfettario annuo o onorario professionale. Priva di pregio è anche l'accusa di illegittimità rivolta nei
confronti della norma dell'accordo che attribuisce alla U.S.L. il
compito di valutare la richiesta del medico convenzionato di
avvalersi di servizi e personale forniti dalla struttura pubblica e
di accertare, conseguentemente, in caso di accoglimento se sussi
stano i presupposti per la corresponsione del contributo, sia pure in misura ridotta.
Appare infatti del tutto logico che sia l'unità sanitaria locale a
decidere sulla domanda del medico e a calcolare l'onere econo
mico delle strutture e dei servizi che, assecondando la sua
richiesta, gli mette a disposizione. 11. - Parimenti infondate sono le censure (nono motivo, parte
seconda e terza) dedotte nei confronti delle norme dell'accordo e
del protocollo integrativo relative alla « indennità forfettaria a
copertura del rischio e di avviamento professionale » e al « com
penso di variazione degli indici del costo della vita ».
Non esiste infatti una giustificazione plausibile alla correspon
sione della indennità quando la U.S.L., mettendo a disposizione
del medico le sue strutture e i suoi servizi, non solo lo libera dai
rischi connessi, ma soprattutto gli consente la facile acquisizione
nell'ambito del suo massimale individuale di utenti tradizional
mente abituati a servirsi dell'ambulatorio pubblico.
Infine, per quanto concerne la incompatibilità (peraltro solo
parziale) fra indennità integrativa speciale o altro trattamento di
adeguamento al costo della vita, eventualmente già percepiti dal
medico convenzionato nella sua qualità di lavoratore dipendente, e il compenso di variazione degli indici al costo della vita, essa
costituisce espressione di un principio generale per il quale, ove
concorrano più rapporti di lavoro in capo ad uno stesso soggetto,
l'adeguamento spetta sul compenso corrisposto per uno solo di
essi.
12. - Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere
rigettato. (Omissis)
V
Diritto. — 1. - Il collegio ritiene di doversi porre d'ufficio il
problema dell'ammissibilità del ricorso proposto contro il silenzio
serbato dal presidente della repubblica a seguito dell'atto di
diffida notificatogli dal ricorrente ed inteso ad ottenere l'emana
zione del decreto previsto dall'art. 48, 2" comma, 1. 23 dicembre
1978 n. 833. La norma in questione affida infatti al capo dello
Stato il compito di rendere esecutivo l'accordo collettivo naziona
le che garantisce, per la durata di un triennio, la uniformità del
trattamento economico e normativo del personale sanitario a rap
porto convenzionale con le U.S.L.
La peculiarità della fattispecie legislativa e la mancanza di
sicuri riferimenti giurisprudenziali sui problemi di natura proces
suale, che il ricorso sollevava, impongono al collegio di verificare
innanzitutto la natura giuridica dell'atto a contenuto normativo,
al quale il succitato art. 48 affida la regolamentazione del
rapporto di lavoro dei medici convenzionati, come condizione per
poter poi definire il contenuto e le finalità dell'intervento imposto al capo dello Stato.
2. - Tale indagine non può prescindere da due considerazioni
preliminari: la prima concerne la possibilità, riconosciuta dal
legislatore ordinario, di prevedere nuove -fonti di normazione
secondaria, alle quali affidare la regolamentazione di materie nei
cui confronti non opera la riserva assoluta di legge; la seconda
riguarda la crescente penetrazione dell'elemento consensuale nel
l'ambito del diritto pubblico, che si traduce nella previsione
legislativa, sempre piti frequente, di figure procedimentali nelle
quali l'accordo delle parti sociali interessate è imposto nel mo
mento in cui si determina il contenuto dell'atto normativo, anche
se quest'ultimo continua formalmente ad essere emesso come atto
autori tativo.
3. - Per quanto riguarda il primo dato sembra sufficiente, in
questa sede, la mera segnalazione di un fenomeno che si esprime in forme di difficile decifrazione per chi è portato ad interpretare la realtà giuridica presente secondo schemi e costruzioni elaborati
su dati normativi risalenti ad epoche pregresse.
Compito del giudice, infatti, non è quello di tentare nuove
classificazioni, ma solo di verificare la compatibilità di queste nuove fonti di normazione secondaria con i principi fondamentali dell'ordinamento. Pertanto, una volta accertato che esse sono
espressamente previste dalla legge ordinaria e che operano secon do le direttive che questa traccia, che non invadono il campo di
operatività costituzionalmente riservato alla legge e che è indivi duabile l'organo costituzionale al quale far risalire la responsabi lità della normativa che esse dettano, il giudice non può che
prendere atto che il sistema delle fonti si è arricchito di una nuova figura, che sarebbe quanto meno improprio pretendere di ricondurre in una di quelle tradizionali (regolamento, ad es.).
4. - Il secondo dato invece, impegna di più l'indagine del
giudice amministrativo, perché impinge direttamente sul processo, di cui egli è il dominus.
In questo caso, infatti, non è sufficiente la mera descrizione di un fenomeno fino a qualche tempo fa poco appariscente, e cioè l'esistenza di ordinamenti di fatto capaci di imporre, almeno in parte, la loro volontà agli organi pubblici istituzionali e il tentativo da parte di questi ultimi quanto meno di legittimarli, attribuendo forma provvedimentale ad atti che sostanzialmente sono di natura consensuale.
Il giudice dell'atto amministrativo, ogni volta che viene chia mato in causa, deve infatti verificare innanzitutto l'esistenza della propria giurisdizione e la ricorrenza delle condizioni per l'ammissibilità del ricorso. Dal momento che queste regole fon damentali non sono mutate, spetta al giudice amministrativo verificare in quale misura il momento consensuale, indubbiamente rilevante dentro il procedimento di formazione dell'atto normati
vo e, quindi, elemento essenziale della fattispecie costitutiva di
quest'ultimo, è in grado di influenzarne gli effetti; egli dovrà,
pertanto, valutare non solo gli interessi coinvolti nel procedimen to, ma anche i rapporti e i reciproci condizionamenti fra i
diversi centri di potere (di fatto e istituzionali), che intervengono in esso.
5. - In questa prospettiva è da evitare la tentazione di rifarsi all'art. 39 Cost., per trovare in esso la chiave di lettura di un fenomeno che è indubbiamente diverso da quello ivi previsto e che nella mancata attuazione del disposto costituzionale può trovare solo una marginale giustificazione.
La previsione di una nuova fonte normativa, sostanzialmente
dovuta al congiunto apporto di due distinti centri di potere (quello sociale e quello pubblico), non è l'espediente inventato
per rimediare alla mancata adozione dei meccanismi richiesti dalla Costituzione perché l'accordo possa inserirsi nel sistema
come fonte autonoma, dotata di una propria forza cogente nei
confronti di tutti gli appartenenti alle categorie interessate, ma
rappresenta — ad avviso del collegio — una più matura consa
pevolezza da parte del legislatore ordinario dell'esistenza di una
pluralità di interessi, qualitativamente diversi, ma sempre interdi
pendenti, facenti capo a centri diversi e della necessità di
tentare un raccordo fra di essi, evitando di affidarne la regola mentazione e l'assetto a chi, statutariamente, rappresenta solo
interessi di parte. Il congegno normativo previsto dall'art. 48 1. cit. è, quindi,
espressione di una scelta legislativa meditata e consapevole, che
parte dalla constatazione del dato obiettivo rappresentato dall'e
sistenza di una pluralità di centri di potere, oltre quelli codificati, e che cerca di incanalarli nel sistema, attraverso l'imposizione di
forme di raccordo necessarie per una relizzazione equilibrata dei
vari interessi, che è il pressuposto indispensabile per conservare
unità all'ordinamento.
Siffatta scelta legislativa ne presuppone naturalmente un'altra,
parimenti responsabile e consapevole e cioè la rinuncia tempora nea all'utilizzo di un altro strumento normativo (quello prefigura to dall'art. 39 Cost.), giudicato inopportuno in un momento
storico nel quale la crisi delle istituzioni è aggravata dalle forti
spinte e dagli egoismi di settore.
Di qui la previsione, nelle leggi più recenti, di moduli proce dimentali di tipo diverso, ma che presentano un connotato
comune, e cioè che la determinazione del contenuto della disci
plina è sostanzialmente affidata alle forze sociali, ma è anche istituzionalizzato l'intervento attivo del pubblico potere non sol tanto per imprimere carattere di cogenza erga omnes alla suddet ta disciplina ma anche, e soprattutto, per valutarne la compati bilità con gli interessi più generali facenti capo all'intero ordi namento.
Nella decifrazione di questa realtà complessa, nella quale il
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
nuovo cerca di imporsi al vecchio che resiste, si addicono al
giudice non solo la forma mentis del giurista, ma anche la curiosità e la sensibilità dello storico.
Memore di grandi fenomeni similari del passato, che fanno
parte del suo patrimonio culturale, egli deve saper cogliere con attenzione a valutare con rispetto lo sforzo del legislatore volto a comporre e a meditare fra esigenze diverse. Soprattutto deve
evitare, come raccomandò a suo tempo una illustre dottrina, di lasciarsi sopraffare dallo « scandalo » del nuovo e di cedere alla facile tentazione di affidare al giudice delle leggi il compito di verificare la compatibilità di queste nuove fonti di normazione con i principi fondamentali che informano l'ordinamento, rinun ciando in tal modo ad una sua funzione specifica.
6. - È indubbio che il modulo procedimentale prefigurato dall'art. 48 1. 23 dicembre 1978 n. 833 si caratterizza, rispetto ad altri similari previsti dalla normativa disciplinante determinati settori del lavoro pubblico (quello del parastato, ad es.: art. 28 1. 20 marzo 1975 n. 70), per una più marcata incidenza del potere pubblico.
Nei primi, infatti, il modulo procedimentale (l'accordo stipulato fra le sole parti sociali, la deliberazione di recepimento del
consiglio dei ministri, la proposta del capo del governo, la decretazione presidenziale) tiene separati i processi di formazione
delle volontà dei due diversi centri di potere (il privato e il
pubblico), con la conseguenza che l'autorità di governo si trova a
valutare e a decidere in ordine ad una disciplina di settore
automaticamente elaborata dalle forze sociali e sostanzialmente
espressiva dei soli interessi di parte facenti capo a queste ultime, sia pure con gli aggiustamenti e le rinunce conseguenti al senso
di responsabilità delle organizzazioni che istituzionalmente le
rappresentano. Nella previsione dell'art. 48 1. cit., invece, il modulo procedi
mentale mira a costituire una unità decisionale sin nel processo di formazione del c.d. accordo collettivo nazionale, attraverso
l'intervento del governo che, con i suoi tre rappresentanti, siede
al tavolo delle trattative accanto alle parti sociali interessate (i
sindacati da un lato, le regioni e l'ANCI dall'altro) e impone ad
esse di confrontare immediatamente i loro interessi particolari
con quello generale, di cui esso è portatore. La presenza nel processo di formazione dell'accordo delle parti
sociali, che intervengono per la tutela di interessi propri, e del
potere pubblico, che interviene nell'esercizio di potestà pubbliche,
per valutare la compatibilità dell'interesse generale, dedotto come
tale, con l'assetto che si intende dare agli interessi di parte, nel
tentativo di combinare gli uni e l'altro in un comune programma,
determina il sorgere di una fattispecie consensuale che non trova
collocazione nella figura della convenzione amministrativa, che è
strumento affidato solo a centri di potere pubblico per la tutela
del solo interesse pubblico, ma che è agevolmente inquadrabile
nella figura del contratto.
Rispetto alla struttura di quest'ultimo è infatti indifferente la
natura sia dei soggetti che degli interessi che si intendono
realizzare nel programma comune. Esso pertanto consente la
copresenza e la combinazione dell'interesse pubblico e di quello
privato, a condizione che il secondo non sia ridotto a mero
presupposto per la realizzazione del primo. 7. - La natura negoziale dell'accordo e la conseguente incapaci
tà di quest'ultimo di immettersi nell'ordinamento come fonte
autoritativa di regolamentazione dei rapporti da esso considerati, non solo induce a disattendere la tesi del ricorrente, secondo cui
il potere decisorio del governo si esaurirebbe nella fase delle
trattative, ma spiega e definisce le successive fasi del procedi
mento, che vedono l'intervento attivo del solo potere pubblico,
rappresentato dal presidente del consiglio dei ministri e dal capo dello Stato.
In uno schema che ignora la deliberazione del consiglio dei
ministri, presente invece in figure similari, sarebbe quanto meno
incongrua la pretesa di interpretare la proposta del presidente del
consiglio dei ministri secondo i canoni tradizionali, e cioè come
strumento finalizzato a provocare l'intervento conclusivo del capo dello Stato. La proposta del presidente del consiglio tiene luogo della delibera consiliare, rappresenta quindi il momento in cui il
governo, in persona del suo massimo rappresentante, si appropria del contenuto dell'accordo, ne assume la responsabilità politica e,
di conseguenza, chiede al capo dello Stato di dargli la veste
autoritativa necessaria perché possa immettersi nell'ordinamento
come fonte disciplinatrice di rapporti. Al capo dell'esecutivo spetta quindi la valutazione finale sul
« merito » dell'accordo e sulla sua compatibilità con gli indirizzi
generali di politica finanziaria e sociale perseguiti dal goveno. 8. - Resta ora da definire la portata dell'intervento del capo
dello Stato, che conclude la procedura. Nei confronti di una normativa sostanzialmente attribuibile a
due distinte volontà, ma formalmente riconducibile alla responsa bilità del solo esecutivo, l'intervento del capo dello Stato è lo
stesso che egli esercita nei confronti degli atti governativi in
senso stretto, ai quali è chiamato a dare forma ed efficacia
autoritative.
In questi casi, come ha insegnato una illustre dottrina, egli interviene non per sindacare il merito delle decisioni del governo, ma nella veste di supremo moderatore e di custode della Costitu
zione, che rappresentano la sua specifica funzione e la sua ragion d'essere.
In quanto supremo moderatore nulla vieta al capo dello Stato, su quel piano di rapporti politici non codificati che intercorrono fra i massimi organi dello Stato, di richiamare l'attenzione del
governo sugli atti adottati da quest'ultimo che, a suo avviso, non
rispondono ai supremi interessi del paese. Quella stessa facoltà
che il presidente della repubblica esercita nei confronti del
parlamento, con il diritto di messaggio (art. 74 Cost.), egli può anche esercitare, con minore solennità, nei confronti del governo, con il quale i suoi rapporti sono più stretti e meno formali.
In quanto custode della Costituzione il suo compito specifico è
di controllare la legittimità costituzionale dell'atto di governo a
contenuto normativo, con la conseguenza che se ritiene che un
atto sottoposto alla sua firma non sia conforme alla Costituzione, ha il potere-dovere di negargli l'esecuzione.
Questo è quanto è accaduto nella specie. Legittimamente il
capo dello Stato ha ritenuto di « soprassedere alla firma » avendo
ravvisato l'opportunità « che un provvedimento a contenuto nor
mativo e con rilevanti implicazioni finanziarie, oltreché economi
che e sociali » fosse quanto meno corredato da una relazione che
ne esplicitasse « le conseguenze finanziarie, dirette e indirette, da
collocare negli equilibri di bilancio dello Stato, nonché del
bilancio pubblico allargato di tutte le amministrazioni chiamate a
fronteggiarne gli oneri ».
In altri termini, il capo dello Stato ha chiesto al governo di
documentare se per la nuova normativa, in ragione dei pesanti oneri che introduceva, era stata prevista la necessaria copertura finanziaria (art. 81, ult. comma, Cost.).
9. - Stando cosi le cose deve concludersi che il ricorso è
inammissibile.
Ed invero nei confronti di una normativa ancora in formazio
ne, e non conclusasi per efletto del legittimo intervento del capo dello Stato, non esistono posizioni soggettive tutelate in capo al
singolo, che questi possa far valere nella via del ricorso al
giudice amministrativo. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; Sezione I; parere 28 maggio 1982, n. 526; Pres. Landi; Min. sanità.
Sanità pubblica — Strutture convenzionate con le unità sanitarie
locali per l'assistenza domiciliare e ambulatoriale — Società di
capitali — Ammissibilità (L. 23 dicembre 1978 n. 833, istitu
zione del servizio sanitario nazionale, art. 44, 48; d.p.r. 16
maggio 1980, accordo collettivo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamen
to esterno; d.p.r. 22 ottobre 1981, accordo collettivo nazionale
per la regolamentazione dei rapporti con i medici specialisti am
bulatoriali).
L'attività sanitaria sia pubblica che privata è esplicabile con
l'ausilio di organismi complessi, di distinta natura, che possono assumere anche la struttura di una società di capitali. (1)
La convenzione per l'ausilio delle unità sanitarie locali, iti vista
dell'erogazione dell'assistenza ambulatoriale, può essere stipula ta con il singolo professionista o con la società, se l'ambulato rio è gestito in forma di società. (2)
La possibilità di organizzare secondo i criteri dell'impresa collet
tiva i servizi sanitari non importa la riconducibilità dell'attività
sanitaria di tipo professionale a modo di essere dell'attività
imprenditoriale. (3) La rilevanza dell'attività professionale e la sua irriducibilità a
quella dell'organismo sanitario non esclude l'imputazione dei
risultati dell'attività professionale allo stesso organismo. (4)
(14) Sulle società tra professionisti v. la nota di richiami a App. Firenze 6 maggio 1983, App. Bari 18 febbraio 1982, Trib. Lucca 24 febbraio 1983 e Pret. Taranto 6 maggio 1983; in questo fascicolo, I, 2547, e quella a Trib. Roma 24 giugno 1981, Foro it., 1981, I, 2283.
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1. - Con il parere qui riportato il Consiglio di Stato ha riconosciuto l'ammissibilità del ricorso alla struttura delle società di capitali per la
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