Sezione V; decisione 31 luglio 1979, n. 566; Pres. Pescatore, Est. Chirico; De Pascalis (Avv. DePasquale) c. Comune di Gallipoli, Vinci (Avv. Pellegrino). Annulla T.A.R. Puglia 7 marzo 1978, n.133Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 6 (GIUGNO 1981), pp. 329/330-331/332Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23173206 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
che il rapporto di lavoro non fosse stato ancora costituito per la
mancata prestazione della promessa solenne. Pertanto, una volta
dimostrata l'inconsistenza di questa interpretazione, viene meno
anche la seconda argomentazione del T.A.R. per mancanza del
presupposto su cui era fondata.
Invero le osservazioni in ordine alla mancata prefissione del
termine non hanno valore autonomo quando 'si ammetta, come ha
riconosciuto questo collegio, che l'interessato si presentò sponta
neamente, nel primo giorno utile indicato nella citata comunica
zione-invito, presso l'ospedale di Ronciglione, assumendo immedia
tamente servizio.
Non può condividersi l'affermazione dell'ente appellante secon
do cui sarebbe provata la carenza di interesse dell'appellato a
insistere nel ricorso per il fatto che abbia continuato, dopo il 5
novembre 1975, a prestare servizio presso l'ospedale di Amatrice.
Ritiene infatti il collegio che di fronte alla prospettiva di rimane
re senza lavoro, siffatto comportamento dell'Urbanetti, che ha
peraltro intimato all'ospedale di Ronciglione di dare esecuzione
alla sentenza di primo grado, a lui favorevole, non possa dimo
strare la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso.
La relativa eccezione si palesa quindi priva di fondamento.
Le altre osservazioni e censure, hic et inde formulate, risultano
cosi' assorbite da quanto precede.
il ricorso dell'appellante è pertanto accolto e l'impugnata sen
tenza di primo grado va annullata con il conseguente rigetto del
ricorso proposto dal prof. Urbanetti dinanzi allo stesso T.A.R.
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO: Sezione VI; decisione 9 maggio 1980, n. 600; Pres. Daniele, Est. Vacirca; Bonfitto (Avv. De Mat
tia) c. Istituto autonomo case popolari di Foggia (Avv. La
Porta).
Impiegato dello Stato e pubblico — Ferie non godute — Retribu
zione del lavoro prestato — Giurisdizione amministrativa.
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, e non in
quella del giudice ordinario, la domanda con la quale il
pubblico dipendente che non abbia goduto le ferie chiede che
gli venga corrisposta l'ulteriore retribuzione per il lavoro presta to. (1)
Al pubblico dipendente che non abbia goduto le ferie spetta, oltre
alla retribuzione che avrebbe comunque percepito nel periodo di ferie anche se non avesse lavorato, l'ulteriore retribuzione
per il lavoro effettivamente prestato. (2)
La Sezione, ecc. — (Omissis). Deve, infine, esaminarsi la
domanda avente ad oggetto l'indennità sostitutiva delle ferie non
godute. L'amministrazione eccepisce, al riguardo, il difetto di giurisdi
zione del Consiglio di Stato, in quanto tale indennità avrebbe
natura risarcitoria e le relative controversie, aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, sarebbero devolute all'autorità
giudiziaria ordinaria.
(1-2) La giurisprudenza (dei giudici amministrativi, che cosi confer
mano almeno per implicito la soluzione data dalla prima massima al
problema della giurisdizione), è orientata in senso più restrittivo:
l'indennità sostitutiva delle ferie è negata (Cons. Stato, Sez. VI, 13
luglio 1979, n. 534, Foro it., Rep. 1979, voce Impiegato dello Stato, n.
959), a meno che sia stato per fatto dell'amministrazione che il
dipendente non abbia potuto godere delle ferie (T.A.R. Lazio, Sez. Ili, 4 ottobre 1980, n. 845, Trib. amm. reg., 1980, I, 3802, che peraltro nel
caso deciso ha affermato che il mancato godimento delle ferie era stato
provocato dallo stesso dipendente, che aveva chiesto il collocamento a
riposo a partire da una data che rendeva impossibile consentirgli di
fruire delle ferie che gli spettavano; Cons. Stato, Sez. V, 1° luglio
1977, n. 701, citata in motivazione, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n.
1204); altrimenti, tale indennità sostitutiva è ammessa solo quando una
norma regolamentare la preveda: T.A.R. Lazio, Sez. Ili, 30 maggio
1977, n. 305, ibid., n. 1203; Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 1976, n. 401,
id., Rep. 1976, voce cit., n. 1195; T.A.R. Calabria 9 luglio 1975, n. 71,
ibid., n. 1196; Cons. Stato, Sez. V, 5 aprile 1974, n. 283, id., 1975, III,
40, con nota di richiami, che ha anche affermato la legittimità di una
norma regolamentare che escluda il compenso sostitutivo per ferie non
godute dal dipendente. La irrinunciabilità del diritto alle ferie è stata da ultimo riaffermata
dall'art. 15 legge 11 luglio 1980 n. 312, nuovo assetto retributivo-fun zionale del personale civile e militare dello Stato.
L'eccezione non appare fondata.
Vero è che la giurisprudenza ordinaria ha riconosciuto natura
risarcitoria all'indennità sostitutiva delle ferie non godute, al fine di ammettere la decorrenza della relativa prescrizione anche durante la pendenza del rapporto di lavoro (Cass. 19 aprile 1975, n. 1512, Foro it., Rep. 1975, voce Prescrizione, n. 56).
A tale conclusione la Corte di cassazione è, peraltro, pervenuta nella considerazione che il diritto alla retribuzione per il periodo feriate non potrebbe derivare dal contratto (nullo per contrasto
con la legge che prescrive le ferie annuali); di conseguenza tale
diritto, comunque spettante in caso di violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro (art. 2126, 2° comma, cod. civ.), avrebbe natura di indennizzo. Questa ricostruzione non può essere valida per il rapporto di pubblico impiego, in cui non è necessario ricondurre i diritti delle parti ad una fonte contrattua le. In ogni caso va osservato che il lavoratore ha un diritto
irrinunciabile a ferie annuali retribuite (art. 36, ult. comma,
Cost.), sicché la prestazione continuativa del lavoro nel periodo di riferimento delle ferie comporta la maturazione del diritto alla
retribuzione nel periodo feriale malgrado l'assenza del presuppo sto base costituito dalla prestazione di lavoro. Pertanto, nel caso di mancata assegnazione delle ferie, spetta al lavoratore che abbia
continuato a prestare la sua opera, la retribuzione normale, in
aggiunta alla retribuzione che per lo stesso periodo gli spetterebbe comunque pur in mancanza della prestazione di lavoro (conf. Cons. Stato, Sez. VI, 1° luglio 1977, n. 701, id., Rep. 1977, voce
Impiegato dello Stato, n. 1204). Risulta chiaro che entrambi i
diritti trovano diretta fonte nel rapporto d'impiego, il primo in
base al generale principio di corrispettività fra prestazione di
lavoro e retribuzione, il secondo in base alle norme che impongo no, nel periodo feriale, il pagamento della retribuzione in assenza
della prestazione di lavoro. Deve, quindi, ritenersi che la doman
da in esame rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nel merito l'amministrazione eccepisce, in primo luogo, il difetto di prova in ordine al mancato godimento delle ferie, richiamandosi all'orientamento giurisprudenziale secondo' cui spet ta al dipendente che chieda l'indennità sostitutiva l'onere di
provare il fatto costitutivo della sua domanda. Tale prova appare,
però, nel caso in esame inutile, in quanto la stessa amministrazio
ne, negando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ha implicitamente ammesso di non aver riconosciuto il diritto alle
ferie retribuite, che in tal genere di rapporto trova fondamento.
(Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; decisione 31 luglio 1979, n. 566; Pres. Pescatore, Est. Chirico; De Pascalis (Avv. De
Pasquale) c. Comune di Gallipoli, Vinci (Avv. Pellegrino). Annulla T.A.R. Puglia 7 marzo 1978, n. J33.
Edilizia e urbanistica — Licenza edilizia — Illegittimità parzia le — Annullamento totale — Difetto di motivazione — Ille
gittimità.
È illegittimo l'annullamento d'ufficio dell'intera licenza edilizia
solo parzialmente illegittima, relativamente a parti dell'edificio aventi propria autonomia strutturale e funzionale, se l'ammi
nistrazione non abbia indicato le ragioni di pubblico interesse
per le quali ha ritenuto che l'annullamento dovesse essere to
tale (nella specie, l'illegittimità riguardava la costruzione di
balconi aggettanti, e l'elevazione del piano interrato ad un li
vello superiore a quello del marciapiede). (1)
(1) Sul problema dell'ammissibilità o meno dell'annullamento solo
parziale di una licenza edilizia, in senso affermativo v. oltre l'affer
mazione genericamente favorevole all'annullamento solo parziale un
provvedimento solo parzialmente illegittimo del T.A.R. Toscana 26
gennaio 1979, n. 10, Foro it., Rep. 1979, voce Atto amministrativo, n. 62: Cons. Stato, Sez. V, 29 giugno 1979, n. 475, ibid., voce Edi
lizia e urbanistica, n. 610, che ha ammesso l'annullamento di una licenza edilizia, solo per la parte eccedente gli standards urbanistici relativamente all'altezza, alla volumetria, alla superficie coperta, ecc.; T.A.R. Puglia 25 marzo 1975, n. 29, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1041, in relazione all'altezza del fabbricato eccedente la previsione del
programma di fabbricazione; Cons. Stato, Sez. II, 16 marzo 1960, n. 474, id., Rep. 1960, voce Piano regolatore, n. 405, che ha affer mato l'inopportunità dell'annullamento della licenza edilizia di co
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PARTE TERZA
La Sezione, ecc. — (Omissis). 2. - Nel merito, si ritiene oppor tuno esaminare, congiuntamente, il primo, il terzo ed il quarto motivo dell'appello, con i quali si propongono censure sostan
zialmente tra loro collegate.
Tali doglianze appaiono fondate.
£ invero ius receptum, essendo stato il principio reiterata
mente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che la rilevanza degli sporti e dei balconi ai fini del computo della misurazione delle distanze deve essere accertata in relazione
alla singola fattispecie, determinando cioè di volta in volta se
gli sporti o i balconi stessi per l'entità, la funzione e lo svi
luppo della sporgenza, siano tali da formare o meno una vera
e propria intercapedine, e cioè un ambito dannoso o pericoloso in misura apprezzabile, cosi da menomare in modo rilevante la
circolazione dell'aria e della luce.
Non è dunque pertinente il rilievo degli appellanti, circa l'as
serita insussistenza del potere d'indagine del comune in ordine
alla ratio della norma regolamentare che abbia stabilito — come
nel caso di specie — la misura delle distanze fra fabbricati, sen
za nulla precisare circa il punto delle costruzioni a partire dal
quale tale misura debba essere determinata. Al contrario, proprio in casi del genere l'amministrazione è tenuta ad individuare lo
scopo perseguito dalla disciplina regolamentare, poiché se tale
scopo — in relazione alla destinazione urbanistica della zona ed
alla tipologia edilizia — debba essere individuato nell'esigenza
di evitare la formazione di intercapedini, la circostanza non po trà non risultare decisiva ai fini della determinazione del criterio
di misurazione. Nel caso in esame, tenuto conto degli elementi
oggettivi suindicati non sussistono dubbi circa le finalità perse
guite dal programma di fabbricazione, da individuarsi appunto nella necessità di evitare situazioni urbanistiche pregiudizievoli
per l'igiene pubblica e l'estetica. Le misurazioni andavano dun
que effettuate, come in effetti è correttamente avvenuto, a partire
dagli sporti e dai balconi.
I ricorrenti hanno tuttavia ragione di dolersi del fatto che il
comune di Gallipoli — pur affermando la sussistenza d'inconve
nienti di tale natura — non abbia valutato con sufficiente appro fondimento la situazione. Essi assumono invero che la distanza
intercorrente tra il fabbricato di nuova costruzione e quelli li
mitrofi, se misurata con riferimento alla struttura dei rispettivi
corpi di fabbrica (esclusi cioè i balconi aggettanti), risulta note
volmente superiore a quella minima prescritta dallo strumento
urbanistico. Tale affermazione non è contraddetta dalla risultan
za del giudizio, giacché il provvedimento impugnato in primo
grado riconosce espressamente che la violazione delle distanze
regolamentari concerne esclusivamente i balconi.
struzione di un edificio a tre piani, se l'illegittimità, per violazione di disposizioni sulla tutela del panorama, possa essere sanata me diante revoca della licenza per la costruzione del secondo piano.
Inoltre, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 1963, n. 309, id., Rep. 1963, voce cit., n. 507, ha affermato l'impugnabilità delle particolari restrizioni allo ius aedificandi contenute nella licenza edilizia, senza che la loro caducazione importi caducazione anche di quest'ultima, nel nucleo essenziale della sua natura autorizzatoria; e Ad. gen. 9
gennaio 1964, n. 1686, id., Rep. 1966, voce Atto amministrativo, n. 181, ha ammesso l'eliminazione del solo elemento accidentale ap posto ad una licenza, ossia il modus importante la cessione gratuita al comune di un'area. Ugualmente, nel senso dell'annullabilità della sola clausola apposta ad una licenza edilizia, secondo la quale essa sarebbe stata condizionata alla sua conformità ad una decisione del
giudice amministrativo ancora non pubblicata, Sez. V 24 aprile 1970, n. 424, id., 1970, III, 291, con nota di richiami, anche di altre de cisioni relative alla annullabilità solo parziale di licenze edilizie. In relazione all'annullabilità di elementi accidentali apposti alla licenza edilizia, v., per riferimenti sul problema generale dell'annullabilità di elementi accidentali apposti al provvedimento amministrativo, T.A.R. Sardegna 13 ottobre 1976, n. 223, id., 1978, III, 69, con nota di richiami, concernente la clausola della retroattività (consi derata illegittima) dell'efficacia del provvedimento stesso.
Viceversa, Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 1971, n. 505, id., Rep. 1971, voce Edilizia e urbanistica, n. 718, in un caso nel quale una licenza edilizia aveva autorizzato la costruzione di un edificio di ventiduemila metri cubi, con una illegittima eccedenza di soli ses santatrè metri cubi, sembra non aver considerato l'ipotesi dell'annul lamento solo parziale, perché ha dichiarato illegittimo l'annullamento d'ufficio di tale licenza, benché intervenuto a breve distanza di tem po dal suo rilascio, per difetto di interesse pubblico, in compara zione col sacrificio dell'interesse privato; e Sez. V 16 dicembre 1969, n. 1531, id., Rep. 1970, voce cit., n. 613, ha annullato l'intera li cenza edilizia che consefitiva una costruzione eccedente i limiti di altezza consentiti, rilevando solo che per la parte della costruzione non eccedente tali limiti poteva essere concessa successivamente una licenza in sanatoria.
Trattandosi peraltro di violazione rilevata successivamente al rilascio della licenza edilizia e posta a base dell'annullamento d'ufficio della licenza stessa, nel quadro dell'esercizio dell'atti
vità amministrativa di autotutela, necessitava da parte del co
mune una particolare valutazione del pubblico interesse. Il prov vedimento impugnato non manca, in verità, di richiamarsi a det to interesse; né comunque è contestabile che spetti all'ammini
strazione, con apprezzamento di merito incensurabile in questa sede, di stabilire se le condizioni igienico-sanitarie ed estetiche risultino compromesse dalla rilevata costruzione di balconi ag gettanti a distanza inferiore a quella genericamente prescritta dal programma di fabbricazione.
Reputa tuttavia il collegio — e di ciò il T.A.R. non ha tenuto conto — che quando, come nella specie, la violazione delle di stanze minime dal confine non riguardi l'intero corpo di fab
brica, ma soltanto alcune parti di case, dotate per di più del carattere di autonomia funzionale, ditalché la loro rimozione pos sa effettuarsi senza compromettere la struttura d'insieme del
l'edificio, l'amministrazione nello stabilire la sussistenza in con creto del pubblico interesse all'annullamento, debba fornire, con
specifica motivazione, contezza delle ragioni per le quali ritenga
più rispondente alla salvaguardia di quell'interesse anziché l'ado zione di un provvedimento a contenuto parziale, l'integrale eli
minazione dell'atto supposto illegittimo. Infatti, una volta iden tificate le parti dell'edificio eccedenti i limiti di distanza consen titi ed accertata altresì l'autonomia strutturale e funzionale delle
parti stesse, non sembrano sussistere validi motivi per non limi
tare ad esse il provvedimento di autotutela. L'incongruenza del
l'opposta opinione, balza evidente ove si consideri l'ipotesi che
l'amministrazione, annullata la licenza, ordini la demolizione in
tegrale del fabbricato, salvo poi a rilasciare all'interessato una
nuova licenza per ricostruire l'edificio con identiche strutture, salve le modifiche dirette ad eliminare le violazioni in prece denza rilevate (Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 1978, n. 150, Foro it., Rep. 1978, voce Edilizia e urbanistica, n. 616).
Nulla di tutto ciò si ricava invece dal provvedimento di cui
trattasi che appare, dunque, nei sensi suesposti, carente di ade
guata motivazione.
Considerazioni analoghe valgono anche per il piano interrato, del quale è stata rilevata l'illegittimità per violazione degli indi
ci volumetrici. A prescindere invero della fondatezza o meno
delle censure dedotte dai ricorrenti con il secondo motivo d'ap
pello (del resto non esaminato neppure dal T.A.R.), resta il fatto
che la violazione evidenziata dal comune (e cioè l'aver « por tato » il piano medesimo « a livello superiore al marciapiede »), concerne una porzione del fabbricato dotata di autonomia strut
turale e funzionale e suscettibile perciò di essere modificata me
diante gli accorgimenti tecnici ritenuti più opportuni al fine di
eliminare gli eventuali riscontrati profili d'illegittimità. Anche in tal caso, dunque, la sussistenza del pubblico interesse all'inte
grale annullamento della licenza edilizia (piuttosto che all'ado
zione di provvedimenti a contenuto parziale) avrebbe dovuto es sere enunciata con la specificazione delle ragioni poste a fonda mento della scelta.
Il carattere assorbente dei motivi sin qui esaminati, esime il
collegio dal dover prendere in esame anche il terzo motivo di
appello. Quest'ultimo deve pertanto essere accolto, fatte salve na turalmente le ulteriori determinazioni che, alla luce delle svolte
considerazioni, il comune riterrà di dover adottare. Per questi motivi, ecc.
CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 26 luglio 1979, n. 607; Pres. Anelli, Est. Noccelli; Istituto centrale di sta tistica (Avv. dello Stato Fiumara) c. Della Porta e altri (Avv. Caravita di Toritto). Annulla T.A.R. Lazio, Sez. I, 22 feb braio 1978, n. 194 e 15 marzo 1978, nn. 266, 267 e 357.
Impiegato dello Stato e pubblico — Indennità di buonuscita —
Dipendenti dell'Istituto centrale di statistica — Prescrizione
quinquennale (Cod. civ., art. 2948; r. d. 1. 19 gennaio 1939 n. 295, norme per il recupero dei crediti verso impiegati e
pensionati e prescrizione biennale di stipendi, pensioni e al tri emolumenti, art. 2).
Impiegato dello Stato e pubblico — Diritti patrimoniali — Pre scrizione — Riconoscimento di debito — Interruzione — Fat
tispecie.
Il diritto ad ottenere l'indennità di buonuscita per i dipendenti dall'Istituto centrale di statistica si prescrive in cinque anni,
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