Sezione V; decisione 5 marzo 1983, n. 68; Pres. Piga, Est. Cossu; La Rocca (Avv. F. Satta) c.Comune di Atina (Avv. Del Re). Annulla T.A.R. Lazio, sez. III, 23 giugno 1980, n. 614Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 269/270-271/272Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177046 .
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269 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 270
CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; decisione 5 marzo 1983, n. 68; Pres. Piga, Est. Cossu; La Rocca (Avv. F. Satta) c. Co
mune di Atina (Avv. Del Re). Annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 23 giugno 1980, n. 614.
CONSIGLIO DI STATO;
Edilizia e urbanistica — Zona rurale — Costruzione destinata al
l'imbottigliamento e a deposito di olii minerali — Compatibilità.
La costruzione di un edificio destinato all'imbottigliamento e al
deposito di cherosene, nonché ai relativi uffici e servizi igienici, è compatibile con la previsione de! piano regolatore generale,
che, non prevedendo in generale zone commerciali, imprime alla
zona la destinazione rurale, consentendo anche costruzioni civili,
purché in accordo con l'edilizia della zona. (1)
(1) iNon constano precedenti editi. La decisione sembra peraltro, pur nella singolarità della fattispecie
presa in esame dal Consiglio di Stato, segnare un superamento di
quell'orientamento giurisprudenziale, che si può definire prevalente, o
quantomeno consolidato, in base al quale nelle zone del territorio comunale cui è impressa dal piano regolatore generale la destinazione a
verde agricolo non sono normalmente consentite altro che costruzioni a
carattere rurale, cioè destinate al servizio dell'agricoltura: da ultimo cfr.
T.A.R. Piemonte 12 gennaio 1982, n. 8, Trib. amm. reg., 1982, I, 828,
cui, per la giurisprudenza meno recente, adde Cons. Stato, sez. V, 24
marzo 1970, n. 315, Foro it., Rep. 1970, voce Edilizia e urbanistica, n.
432 e 10 maggio 1963, n. 252, id., Rep. 1963, voce Piano regolatore, n.
359. In quest'ottica sono stati poi via via considerati compatibili con la
destinazione a verde agricolo anche quegli impianti destinati ad attività
di produzione e/o smercio di beni, le quali, tuttavia, rientrino nella
nozione di impresa agricola ex art. 2135 c.c. ovvero risultino alla
medesima connesse: T.A.R. Veneto 3 novembre 1982, n. 793, Trib.
amm. reg., 1983, I, 177 (costruzione di vasche per l'allevamento di
trote); T.A.R. Abruzzo 17 dicembre 1975, n. 255, Foro it., Rep. 1976
voce Edilizia e urbanistica, n. 354 (impianto di distillazione di
sottoprodotti di vinificazione); T.A.R. Abruzzo 19 giugno 1975, n. 124,
id., Rep. 1976, voce cit., n. 1041 (complesso zootecnico). La giurisprudenza, inoltre, ha ritenuto legittimi in zona agricola, in
quanto trattasi di attrezzature di interesse pubblico, una sala da ballo
con campi da tennis, piscine e minigolf (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 1975, n. 1000, id., 1976, III, 144, con nota di richiami e osservazioni critiche di G. Canavesio) e un impianto per campeggio (T.A.R. Toscana 24 ottobre 1974, n. 132, id., Rep. 1975, voce Turismo, n. 23).
(Per contro, l'incompatibilità con la destinazione a verde agricolo è stata generalmente affermata per impianti destinati ad attività di
produzione o smercio di beni che, in quanto non direttamente connessi alla coltivazione e produzione del fondo agricolo, anche in considera zione della loro imponenza, devono propriamente ritenersi di tipo industriale e/o artigianale, ovvero commerciale: T.A.R. Lombardia 9
novembre 1982, n. 1081, Trib. amm. reg., 1983, I, 145 (impianto da destinare all'allevamento di cani di razza); Cons. Stato, sez. V, 26
maggio 1977, n. 464, Foro it., 1978, III, 95, con nota di richiami e osservazioni di G. B. Garrone (impianto di betonaggio); T.A.R. Abruzzo 19 giugno 1975, n. 127, id., Rep. 1976, voce Edilizia e
urbanistica, n. 1040 (complesso costituito da caseificio, mangimificio, frigo-macello, ricovero animali, uffici e servizi); T.A.R. Veneto 22 aprile 1975, n. 86, id., Rep. 1975, voce cit., n. 537 (stabilimento per la pro duzione di pollame, che, per le sue dimensioni, va annoverato nella media industria), annullata da Cons. Stato, sez. V, 17 aprile 1977, n.
306, id., 1978, III, 99, con nota di richiami e osservazioni di G. B.
Garrone; 10 aprile 1964, n. 457, id., Rep. 1964, voce Piano regolatore, n. 358 (segheria).
Un cenno a parte merita, poi, per la sua affinità con la decisione che si riporta, T.A.R. Lombardia 15 luglio 1980, n. 269, id., 1981, III, 36, con nota di richiami (in motivazione, infatti, si esclude la compatibilità della destinazione rurale di zona con capannoni adibiti a produzione e
depositi per la vendita di imballaggi, scatole di cartone e simili, trattandosi di attività industriale).
Va tuttavia osservato che, se si esamina quel gruppo di decisioni che
più direttamente si sono occupate di individuare e precisare le finalità cui è indirizzata la prescrizione di verde agricolo, si può affermare che il restrittivo orientamento giurisprudenziale sopra citato è più frutto delle peculiarità delle singole fattispecie oggetto di decisione che, piuttosto, di una vera e propria tendenza a riservare il diritto di edificare in zona rurale esclusivamente a chi, essendo coltivatore diretto
oppure imprenditore agricolo a titolo principale, intende costruirvi la
propria abitazione oppure attrezzature ed installazioni destinate a servire in via diretta il fondo coltivato. Per un verso, infatti, si è ammessa la
possibilità di rilascio di concessioni edilizie in zona agricola a coloro che non sono imprenditori agricoli a titolo principale oppure coltivatori diretti (T.A.R. Lombardia 17 novembre 1981, n. 424, Trib. amm. reg., 1981, I, 143); per l'altro si è affermato che la destinazione a verde
agricolo non assolve tanto al fine di dettare prescrizioni per la
coltivazione, quanto a quello di garantire aree di riserva per il successivo
sviluppo degli insediamenti: T.A.R. Lombardia 5 ottobre 1982, n. 363, id., 1982, I, 3396; 10 giugno 1981, n. 597 e 20 gennaio 1981, n. 36,
Diritto. — L'appello è fondato.
Decisivo — e perciò assorbente di ogni altro •— è il primo motivo con il quale si censura il provvedimento sindacale di annullamento d'ufficio della licenza edilizia sostenendo che questa — contrariamente all'assunto del sindaco — è conforme alla normativa urbanistico-edilizia vigente all'epoca del rilascio. Né può sostenersi — come fa il comune appellato — che si tratterebbe di censura articolata per la prima volta in appello: il motivo era ricavabile dal contesto del ricorso di primo grado e nessuna difficoltà ebbe il primo giudice ad enuclearla e ad esaminarla pur giungendo a conclusioni che il collegio non può condividere.
Va premesso — non essendovi contrasto tra le parti e nulla dicendosi al riguardo nell'impugnato atto di annullamento d'ufficio — che l'edificio non contrasta con gli indici di fabbricabilità
fondiaria, di altezza, distacchi e simili previsti per la zona Ri nella
quale è sito il suolo dell'appellante. Tale zona Ri, peraltro, è indicata nel P.R.G. come « rurale » e
proprio nel « contrasto esistente fra la destinazione dell'area
prescelta ed il tipo di costruzione che si intende realizzare » il sindaco fonda 'l'annullamento d'ufficio.
Il che impone di appurare, da un lato, l'esatta natura dell'e dificio e, dall'altro, la destinazione di zona.
Quanto al primo punto si può affermare con certezza, alla
stregua della documentazione acquisita, che l'edificio da realizzare in base alla licenza annullata appare destinato all'esercizio di attività commerciale: e non può tralasciarsi l'osservazione che lo stesso provvedimento impugnato dichiara di annullare la licenza concessa al La Rocca « per la installazione di un deposito commerciale di prodotti petroliferi ».
Tale ultima qualificazione potrebbe non essere di per sé decisiva: decisivi sono, invece, gli elementi di prova acquisiti dalla sezione. Da questi si ricava che la licenza autorizzava l'edificazio ne di due manufatti per complessivi 241 me., uno dei quali destinato ad ufficio e relativi servizi igienici e l'altro diviso in un settore destinato ad imbottigliamento di cherosene custodito in una cisterna collegata al locale mediante tubazione; l'altro settore era invece destinato a deposito dei recipienti di cherosene pronto per la vendita.
Si tratta dunque di manufatti prordinati ad una attività di vendita al minuto di un prodotto che non subisce alcuna trasfor
ibid., 2574 e 110; T.A.R. Lazio, sez. I, 9 aprile 1975, n. 240 e 26 marzo 1975, n. 198, Foro it., 1976, MI, 352 e 234, con nota di richiami (che riconosce ampia discrezionalità all'amministrazione nel vincolare a verde agricolo anche ampie zone del territorio comunale in relazione agli interessi territoriali da attuare e sistemare nel piano regolatore e nell'in tento di garantire un successivo sviluppo degli insediamenti, bloccan do l'edificazione incontrollata).
Sul punto, per la dottrina, v. Bonaccorsi, Considerazioni sulle destinazioni agricole nei piani urbanistici, in Giur. agr. it., 1971, 88; Schinaia, Brevi note sulla motivazione del piano regolatore generale, con particolare riferimento alla zona destinata a verde agricolo, in Foro amm., 1970, III, 122.
Sulla distinzione tra attività commerciale e attività industriale, vista con riferimento alla possibilità di includere gli impianti destinati al primo tipo di attività, e non anche quelli destinati al secondo, nell'edilizia civile, cfr. T.A.R. Toscana 15 novembre 1982, n. 378, Trib. amm. reg., 1983, I, 232; più in generale, sul significato della « zonizza zione » territoriale e sulla congruità delle scelte tipologiche compiute dagli strumenti urbanistici in sede di apposizione dei vincoli di zona, cfr. le osservazioni critiche di G. B. Garrone a Cons. Stato, sez. V, 20 maggio 1977, n. 464 e 17 aprile 1977, n. 306, cit., spec. col. 97-98, dove, in relazione al vincolo di zona a « verde rurale », si rivela l'inadeguatezza dell'applicazione del criterio astratto della strumentalità della costruzione rispetto alla conduzione agricola del fondo come criterio osservabile per l'individuazione delle tipologie edilizie consentite in zona vincolata a verde agricolo, osservando come «... ogni singolo strumento urbanistico, infatti, considera e disciplina una realtà di fatto particolare e mutevole, legata, a sua volta, alla conformazione topo grafica del territorio, allo sviluppo economico della zona, al tipo di insediamento abitativo presente ed a quello prevedibile, alla esistenza o meno in loco di risorse agricole od industriali, ecc.; dimodoché ciascun piano detta le proprie prescrizioni in funzione di esigenze specifiche, che, sentite in un determinato comune, potrebbero non sussistere in un altro... »; ed ancora che « ... la c.d. 1 zonizzazione urbana ' non implica una rigida separazione in fasce territoriali della città, ma determina unicamente distinzioni di caratteristiche tipologiche dirette ad armoniz zare e regolamentare lo sviluppo dell'abitato e dell'intero territorio comunale... »: distinzioni che, pertanto, per quanto sopra detto, non possono avere valore di assoluto ed esclusivo parametro discretivo, dovendo esse essere apprezzate e valutate di volta in volta, in una con le altre prescrizioni di zona del piano regolatore, allorquando si tratti di localizzare una costruzione in una zona piuttosto che in un'altra.
'Il Foro Italiano — 1983 — Parte III-20.
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PARTE TERZA
inazione o manipolazione — queste si tipiche delle attività industriali — ma soltanto un confezionamento, vale a dire
l'immissione del combustibile, conservato alla rinfusa in un
serbatoio, in recipienti di modeste dimensioni e di capienza
predeterminata si da renderne facile l'asporto e la determinazione
del prezzo. La operazione di imbottigliamento dunque assume il rilievo non
già di fase di un ciclo produttivo, ma quello ben modesto di
operazione preordinata alla più agevole commercializzazione del
prodotto: il che è quanto dire che si trattava di attività esclusi
vamente commerciale.
Né rileva in contrario — come si assume dalla difesa dell'appel lato comune — che il La Rocca possa aver chiesto ed ottenuto
incentivi sul presupposto della natura industriale del manufatto, adombrando cosi ipotesi penalmente rilevanti. In realtà la natura
commerciale dell'opera non sfuggì all'istituto Mediocredito regiona le del Lazio incaricato della istruttoria sulla richiesta di contribu
to: nella relazione 20 dicembre 1978 pur rilevandone la « validità
sotto il profilo tecnico economico », quell'istituto segnalò « che la
suddetta iniziativa non ha le caratteristiche di una vera e propria attività industriale ». Ma, una volta stabilita la destinazione
commerciale del manufatto — conclusione, questa, cui il collegio
giunge valutando complessivamente e con piena autonomia di
giudizio il materiale probatorio acquisito — ogni comportamento tenuto in sede diversa non assume rilievo; né sussistono gli estremi di cui all'art. 3 c.p.p. in quanto la rappresentazione
dell'opera realizzanda fatta ai fini del finanziamento (la cui pratica
per incentivo — comunque — risulta sospesa, come ricavasi dalla
nota 23 settembre 1982 n. S053352 della Cassa per il Mezzogiorno) non sembra mendace, né fu in grado di indurre in errore l'ente
incaricato dell'istruttoria che la qualificò nei termini appena ricordati.
Il manufatto dunque va qualificato non industriale, ma commer
ciale: si tratta ora di stabilire se in rapporto a tale sua
qualificazione potesse essere realizzato nella zona Ri.
Sostiene al riguardo l'appellante che, essendo prevista una zona
industriale ma non una commerciale, nel territorio comunale non
si potrebbe realizzare nessun edificio destinato al commercio: ciò
che sarebbe del tutto irragionevole e andrebbe a sicuro danno
della cittadinanza, imponendo dunque di intendere le norme nel
senso che locali commerciali siano realizzabili dovunque purché nel rispetto della prescrizione di zona e salvo che sussista una
manifesta incompatibilità. Tale proposizione, in realtà, non può essere accolta nella sua
assolutezza perché dalle norme di piano si ricava che in varie
zone a destinazione abitativa e residenziale sono ammessi anche « locali commerciali ».
Ma il rilievo è esatto nella parte in cui si riferisce alla zona Ri. In tale zona infatti, secondo le norme tecniche di piano, sono
ammesse costruzioni di « tipo rurale o destinate alle attività
agricole », e « possono essere realizzate anche costruzioni civili
purché in accordo con l'edilizia di zona ».
La nozione di costruzioni « civili » va determinata in rapporto al contesto nel quale l'espressione si trova e, perché abbia un
senso, deve significare qualcosa di diverso da quelle agricole. Né « civili » può valere (o valere soltanto) « abitative e residenziali », e cioè destinate a dimora dell'uomo, poiché nelle norme tale
terminologia è nota e non vi sarebbe ragione di usare l'attributo di « civile » come sinonimo di residenziale. Il termine « civile » sta
dunque ad indicare una destinazione certamente non agricola ma
neppure limitata all'insediamento abitativo. Ulteriormente preci sando, si può rilevare la corrente distinzione che si fa, nella
legislazione e nella prassi, tra edilizia « civile » e « industriale »;
e, assumendo l'espressione « civile » nella sua ragionevole portata, si può conoludere nel senso che nella zona in questione siano
realizzabili anche manufatti di tipo commerciale i quali, se di
certo non sono agricoli, con altrettanta certezza differiscono da
quelli industriali, ai quali il piano riserva apposita zona, e che
perciò solo colà sono realizzabili.
Né osta a tale interpretazione la ulteriore precisazione posta dalla norma che consente edifici civili «purché in accordo con
l'edilizia di zona »: ciò non significa, come mostra di ritenere il
primo giudice, che si debba rispettare la tipologia (e cioè le
caratteristiche strutturali e funzionali) degli edifici rurali, non
vedendosi allora in cosa i pur ammessi edifici civili differirebbero, da quelli rurali. Significa invece che debbono essere rispettate le
prescrizioni di zona in ordine ad altezze, distanze, rapporto tra
area coperta e scoperta e simili: il che, come si è visto, non costituisce oggetto di contrasto.
A torto dunque la licenza edilizia è stata annullata postulando un inesistente contrasto con la destinazione di zona che, se si
voleva fosse solo agricola, avrebbe dovuto essere disciplinata con
ben più rigide e chiare prescrizioni. Ne deriva che deve essere annullata l'ordinanza sindacale 25
maggio 1977 nonché, risultando illegittimi in via derivata, i
successivi atti adottati dal sindaco (ordine di sospensione dei
lavori del 17 giugno 1977, diffida a demolire e ordine di
demolizione rispettivamente del 14 e 16 luglio 1977) assunti sul
presupposto — rivelatosi fallace — di una licenza illegittimamente accordata e perciò annullata. (Omissis)
CONSIGLIO DI STATO; Sezione VI; decisione 2 marzo 1983, n. 112; Pres. Benvenuto, Est. Vacirca; Muzzillo e altri (Avv.
Guarino, Cattaneo) c. Università degli studi della Calabria
(Avv. Scoca), Gregotti (Avv. Romanelli, Antonini) e altri.
Annulla T.A.R. Calabria 19 febbraio 1977, n. 43.
Opere pubbliche — Concorso per la progettazione — Commis
sione giudicatrice — Misure per garantire l'anonimato dei pro
getti — Legittimità — Fattispecie.
Opere pubbliche — Concorso per la progettazione — Esclusio
ne di progetti — Difetto di motivazione — Illegittimità.
La commissione giudicatrice di un concorso per la progettazione di un'opera pubblica, il cui bando prescriveva che gli elaborati
di ciascun concorrente dovessero essere contrassegnati da un
numero di sei cifre, e che il nome del concorrente fosse contenuto in una busta chiusa e sigillata contraddistinta dal
medesimo numero, legittimamente, per meglio assicurare l'ano
nimato, incarica il personale di segreteria di aprire i plichi, eliminando il numero apposto dai concorrenti sui progetti e
sulle buste sigillate, e sostituendoli con altro progressivo. (1)
(1) ili punto di diritto massimato riguarda la possibilità, per il personale tecnico estraneo alla commissione giudicatrice di un concorso
per opere pubbliche, di compiere legittimamente delle mere operazioni preparatorie e materiali, e senza l'intervento di componenti la commis sione stessa. A questo riguardo, già Cons. Stato, sez. VI, 16 maggio 1972, n. 242, Foro it., Rep. 1972, voce Opere pubbliche, nn. 55-60, aveva affermato, come principio generale, che la commissione giudi catrice di un concorso può legittimamente avvalersi di soggetti ad essa estranei per il compimento di attività meramente preparatorie.
Il caso di specie sembra riproporre a ben vedere il quesito, veramente generalissimo, relativo al grado di vincolatività del bando di
concorso, in connessione con la tutela del fine di pubblico interesse, che deve essere necessariamente perseguito dall'amministrazione nell'ambito del procedimento di scelta del contraente, e con il principio della par condicio che deve essere obbligatoriamente assicurata e garantita in favore di tutti i concorrenti. In sintonia con i predetti principi generali, ai quali, del resto, risulta logicamente ispirata tutta la normativa pubblicistica nel campo dei contratti della p.a., il bando di concorso si configura come l'atto amministrativo generale e presupposto nel quale sono racchiuse le regole e le modalità relative alla gara; il pro blema è, pertanto, quello di valutare se l'eventuale, e pur relativa, inosservanza delle norme e delle clausole poste dal bando stesso (e in consonanza con la disciplina legislativa in materia di contratti della p.a.) si rifletta sulle operazioni concorsuali, anche quando ci si trovi al cospetto di una semplice inosservanza formale delle condizioni e delle modalità del bando stesso.
A questo proposito, si fronteggiano due orientamenti giurisprudenziali, relativamente eterogenei: secondo un primo gruppo di decisioni, fra le quali può essere anche annoverata la cit. decisione n. 242/72, le norme dettate dall'amministrazione, ed inserite nelle condizioni generali di gara, devono essere applicate col dovuto raziocinio, evitando, in conclusione, ogni rigorismo formalistico, sprovvisto di giustificazione logica (cfr., in questi termini, orientativamente, T.A.R. Abruzzo 4 novembre 1982, n. 559, Trib. amm. reg., 1983, I, 263); secondo un altro orientamento giurisprudenziale che sembra essere maggioritario, e che si riferisce, naturalmente, anche a fattispecie del tutto diverse da quella decisa nella pronuncia che si riporta, le formalità del bando di concorso sono assolutamente vincolanti e inderogabili, proprio perché poste a tutela dell'interesse pubblico e per garantire il regolare svolgimento della gara e la par condicio dei concorrenti: cfr., per riferimenti, Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 1983, n. 81, in questo fascicolo, III, 282, con nota di richiami, ove, in relazione all'esclusione dalla gara com minata ad un concorrente, si abbozza la distinzione tra formalità la cui inosservanza od omissione comporti, oppure no, l'esclusione dal l'appalto (e v., in questa stessa direzione, T.A.R. Veneto 18 aprile 1980, n. 241, id., 1980, III, 408, con nota di richiami).
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