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sezione V; decisione 8 novembre 1995, n. 1532; Pres. Pezzana, Est. Dubis; Soc. Arno e Tevere (Avv....

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sezione V; decisione 8 novembre 1995, n. 1532; Pres. Pezzana, Est. Dubis; Soc. Arno e Tevere (Avv. Paoletti) c. Comune di Roma (Avv. Brigato). Conferma Tar Lazio, sez. II, 11 agosto 1990, n. 1578 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 405/406-407/408 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190129 . Accessed: 25/06/2014 05:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.177 on Wed, 25 Jun 2014 05:15:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione V; decisione 8 novembre 1995, n. 1532; Pres. Pezzana, Est. Dubis; Soc. Arno e Tevere(Avv. Paoletti) c. Comune di Roma (Avv. Brigato). Conferma Tar Lazio, sez. II, 11 agosto 1990,n. 1578Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 405/406-407/408Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190129 .

Accessed: 25/06/2014 05:15

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

della tutela e della valorizzazione» dei beni affidati alla loro

cura «mantengono relazioni con le amministrazioni regionali e

comunali».

3. - L'appello dunque, per tutte le considerazioni che prece

dono, deve essere respinto.

CONSIGLIO DI STATO; sezione V; decisione 8 novembre 1995,

n. 1532; Pres. Pezzana, Est. Dubis; Soc. Arno e Tevere (Aw.

Paoletti) c. Comune di Roma (Avv. Brigato). Conferma Tar Lazio, sez. II, 11 agosto 1990, n. 1578.

Commercio (disciplina del) — Licenza — Rivendita di pubbli cazioni nei musei statali — Necessità (L. 11 giugno 1971 n.

426, disciplina del commercio, art. 24; d.m. 4 agosto 1988

n. 375, norme di esecuzione della 1. 11 giugno 1971 n. 426,

art. 61).

Attesa la natura privatistica e commerciale dell'attività di riven

dita di pubblicazioni, illustrazioni, riproduzioni e audiovisivi da parte di concessionari di appositi spazi all'interno di musei

e gallerie statali, è legittima l'ordinanza del sindaco di chiusu

ra dell'esercizio, privo di licenza commerciale. (1)

Diritto. — La questione dedotta in giudizio riguarda la in

stallazione, da parte della società Arno e Tevere s.r.l., di un

banco, all'interno della galleria Borghese situata nella villa omo

nima da adibire a libreria specializzata per la vendita di pubbli

cazioni, illustrazioni, riproduzioni e prodotti audiovisivi attinenti

alla galleria stessa.

Trattasi di vedere se, per l'esercizio della detta attività, è ri

chiesta apposita autorizzazione commerciale (come ritenuto dal

comune di Roma che ha disposto la chiusura dell'esercizio e

dai primi giudici che hanno respinto il ricorso per l'annulla

mento del provvedimento); ovvero se, come sostenuto dalla so

il) La sentenza ora confermata, Tar Lazio, sez. II, 11 agosto 1990, n. 1578, Foro it., Rep. 1990, voce Commercio (disciplina del), n. 48, è riportata per esteso in Trib. amm. reg., 1990, I, 2977.

Anche nell'ipotesi di punto di vendita all'interno delle aree aeropor tuali si è ritenuta la necessità di licenza commerciale, pur in presenza di concessione all'occupazione di aree demaniali (Tar Lazio, sez. II, 20 novembre 1985, n. 2695, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 15).

Ai fini dell'esclusione dall'obbligo di autorizzazione, generalizzata ai

sensi dell'art. 24 1. 11 giugno 1971 n. 426, non si è ritenuta rilevante

la particolare natura dei locali ove si svolge la vendita, da ritenere non

aperti al pubblico (Tar Lazio, sez. II, 11 agosto 1990, n. 1578, cit.; 15 novembre 1985, n. 2653, Trib. amm. reg., 1985, I, 4046, sempre in ipotesi di esercizi operanti in aree aeroportuali), né la pretesa natura

pubblicistica del servizio (culturale) svolto dal concessionario all'inter

no del museo e subordinato al controllo del ministero dei beni culturali — poiché prevale il fine di lucro del soggetto privato —, né la disposi zione — ritenuta eccezionale e non estensibile soggettivamente — di

cui all'art. 61 d.m. 4 agosto 1988 n. 375, che esime dalla licenza com

merciale gli enti pubblici che vendano materiale informativo concernen

te la propria attività.

Da ricordare che ai sensi dell'art. 4 d.l. 14 novembre 1992 n. 433, convertito in 1. 14 gennaio 1993 n. 4 (c.d. legge Ronchey), presso mu

sei, biblioteche e archivi di Stato, sono istituiti «servizi aggiuntivi, of

ferti al pubblico a pagamento», con gestione in concessione, concernen

ti da un lato la vendita di cataloghi, materiale informativo e riproduzio

ni, dall'altro la ristorazione, caffetteria, guardaroba. Ma né la legge, né il regolamento emanato ai sensi dell'art. 4, 2° comma, con d.m.

31 gennaio 1994 n. 171, danno ragguagli utili a stabilire l'esenzione

del concessionario del servizio dall'obbligo di autorizzazione commerciale.

Il Foro Italiano — 1996.

cietà appellante, a tal fine debbono ritenersi sufficienti i prov vedimenti ministeriali dei quali si è detto nella premessa di fatto.

Afferma la società appellante che essa non necessita di licen

za di commercio per esercitare l'attività descritta nelle premesse.

Quest'ultima si svolgerebbe in base a regolare concessione am

ministrativa, ed è strettamente connessa con i fini storico-culturali

perseguiti dall'amministrazione, ed anzi in sostituzione e prose cuzione di analoga attività che in passato era svolta direttamen

te dalla soprintendenza. L'attività di vendita di cui trattasi sarebbe limitata ad oggetti

attinenti la galleria Borghese e si rivolgerebbe esclusivamente

ai suoi visitatori, sotto il diretto controllo della soprintendenza, sia per quanto riguarda la scelta dei beni da porre in vendita,

sia per quel che concerne le modalità stesse di tale vendita.

L'attività in esame, dunque, non solo sarebbe complementare al fine pubblico della diffusione culturale, ma potrebbe, sempre a dire dell'appellante, essere imputata alla stessa amministrazio

ne, la quale, attraverso l'istituto della concessione e con i diretti

controlli cui si è accennato, solo materialmente la farebbe svol

gere ad un privato. Al riguardo l'appellante ricorda che l'art. 61, 12° comma,

lett. /, d.m. 4 agosto 1988 n. 375, recante norme di esecuzione

della 1. 11 giugno 1971 n. 426 sulla disciplina del commercio,

espressamente stabilisce che le disposizioni della predetta legge non si applichino agli enti pubblici che vendano pubblicazioni o altro materiale informativo, di propria o altrui elaborazione, concernenti l'oggetto della loro attività.

Tale disposizione, che vale ad escludere la necessità della li

cenza comunale per l'esercizio delle predette attività commer

ciali, si applicherebbe, ad avviso della società appellante, anche

al privato che svolga, su concessione dell'ente pubblico, analo

ghe attività.

In linea di principio, infatti, l'affidamento, ad un concessio

nario, di un pubblico servizio comporterebbe la sostituzione di

quest'ultimo all'amministrazione concedente in tutti i rapporti

con i terzi che traggano origine dal servizio in concessione e

l'attribuzione al concessionario medesimo delle facoltà legislati

vamente spettanti al concedente.

Sicché essa società non sarebbe soggetta alle disposizioni del

la 1. 11 giugno 1971 n. 426 non potendo l'attività da essa eserci

tata ritenersi subordinata al rilascio della licenza comunale.

Contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, leggesi ancora nel

l'atto di appello, la divulgazione di notizie concernenti i beni

ospitati nella galleria Borghese inerisce strettamente, per il con

testo in cui si svolge, per le modalità ed i controlli che la carat

terizzano, all'interesse pubblico di rango costituzionale alla pro

mozione e allo sviluppo delle conoscenze culturali, permettendo

la cosciente fruizione e, in definitiva, la valorizzazione degli og

getti d'arte del museo.

L'innegabile risvolto commerciale di una siffatta divulgazio

ne non scalfirebbe la connotazione eminentemente culturale ed

informativa dell'attività gestita dall'appellante. Per tale aspetto nella comparazione fra l'aspetto culturale e

quello commerciale di tale attività, è al primo che dovrebbe

riconoscersi una funzione preminente. Altrimenti non potrebbero giustificarsi e comprendersi i con

trolli dell'amministrazione dei beni culturali sopra ricordati, che

sarebbero altrimenti inammissibili ed in contrasto con il princi

pio della libertà dell'iniziativa economica privata. Con altro profilo di doglianza vengono censurate le conclu

sioni prospettate dai primi giudici secondo i quali l'attività di

cui trattasi non costituisce servizio pubblico.

Tale tesi del Tar sarebbe smentita dalla circostanza che, ove

l'attività in parola fosse stata assimilabile ad un'attività privata,

l'amministrazione, che già la esercitava, avrebbe potuto dismet

terla, ma non avrebbe avuto certo interesse ad affidarla a terzi

perché ne assicurassero la continuazione. Un tale interesse non

si spiegherebbe, ad avviso dell'appellante, se non con la natura

pubblicistica della medesima. Le considerazioni svolte, nei termini che precedono, a soste

gno del primo motivo di appello, che ricalca per molti aspetti

il primo motivo del ricorso originario, non possono essere con

divise. Ritiene il collegio che, volendo procedere per ordine logico

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PARTE TERZA

all'esame delle questioni dedotte, si debba iniziare con quella

attienente alla natura giuridica dell'attività svolta dalla società

Arno e Tevere all'interno della galleria Borghese (attività che,

come si è visto, a dire dell'appellante, si configurerebbe come

essenzialmente o quanto meno preminentemente culturale).

Invero, come si vedrà, la definizione di tale questione, che

costituisce per certi aspetti il nucleo della problematica dedotta

in giudizio, incide in maniera determinante anche sugli altri aspet

ti dedotti. Contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante le

condizioni (riportate nelle premesse di fatto), sotto le quali il

ministero delle finanze ha rilasciato alla società Arno e Tevere

la concessione di vendita che ne occupa, non sono atte ad esclu

dere la natura privatistica dell'attività di vendita.

Tale condizioni (e fra esse in particolare l'obbligo della con

cessione, sul quale la difesa dell'appellante tanto insiste, di sot

toporre preventivamente alla sopraintendenza tutte le pubblica

zioni, riproduzioni e quant'altro si intendeva vendere per otte

nere il relativo nulla osta) lungi dall'essere incompatibili con

la natura privatistica dell'attività commerciale, trovano la loro

giustificazione, sul piano meramente logico, nelle circostanze

di fatto che caratterizzano l'attività stessa: — in particolare la detta attività di controllo si giustifica con

la ubicazione dell'esercizio di vendita all'interno della galleria;

la pubblica amministrazione ha interesse a che non vengano po

sti in commercio prodotti incompatibili con l'ambiente nel qua

le l'attività viene svolta; — il controllo si giustifica anche con la sussistenza di «pub

blicazioni non controllate» poste in vendita, a dire della stessa

società appellante, ad opera degli abusivi che pullulano interno

ai musei e monumenti di Roma; anche a tal riguardo è evidente

l'interesse dell'amministrazione ad evitare che, nell'ambito del

la propria galleria, possono essere venduti prodotti «non con

trollati».

Per tali aspetti il controllo esercitato dalla pubblica ammini

strazione non altera la natura essenzialmente commerciale del

l'attività di vendita, non incidendo, se non marginalmente ed

agli scopi che si sono visti, sulla libertà dell'iniziativa imprendi

toriale.

Se l'amministrazione avesse inteso, come sostiene la società

appellante, affidare ad un privato la gestione di un servizio pub blico finalizzato a scopi culturali, essa, nello stipulare l'atto di

concessione, avrebbe avuto il potere dovere di condizionare il

rilascio della concessione stessa a ben altri tipi di controllo, atti

a garantire la natura pubblicistica del servizio ed il persegui

mento degli scopi culturali allo stesso correlati, quali, per esem

pio, il controllo impositivo sulla scelta dei prodotti da porre in vendita ed il controllo sui prezzi.

Quanto alla mancanza di controllo impositivo va osservato

che sulla base della concessione attuale la società Arno e Tevere

sarebbe virtualmente legittimata a rifiutarsi (ad esempio per mo

tivi di ordine economico) di porre in vendita determinati pro dotti ancorché questi fossero dall'amministrazione ritenuti par ticolarmente idonei al perseguimento degli anzidetti scopi cul

turali.

Quanto alla mancanza di controllo sui prezzi tale circostanza

pare da sola indicativa della libertà di commercio che contrad

distingue l'attività imprenditoriale in questione (e che mal si

concilia con l'asserita preminente natura culturale dell'attività);

ciò anche senza voler considerare che in pratica, all'interno del

la galleria Borghese, l'esercizio della società pare presentarsi in

una situazione di monopolio.

Sempre in tema di affidamento, da parte dell'amministrazio

ne, di un servizio pubblico ad un privato, si può aggiungere, sotto il profilo soggettivo, come sia difficilmente ipotizzabile che la pubblica amministrazione abbia inteso affidare un'attivi

tà culturale ad una società di capitali la cui attività è per legge finalizzata a scopi di lucro.

A tale ipotesi osta anche la ulteriore considerazione che, ai

fini dell'esercizio dell'attività asseritamente culturale, la società

non gode di incentivi, agevolazioni o contributi, eventualmente

necessari a garantire il raggiungimento dei detti fini pubblici. Al contrario essa, per poter svolgere la propria attività, è con

trattualmente obbligata al versamento di un canone, il quale,

Il Foro Italiano — 1996.

sul piano oggettivo, si giustifica solo in considerazione dello

scopo di lucro che contraddistingue l'attività imprenditoriale. Tale canone, del resto, spiega anche l'interesse che la pubbli

ca amministrazione può avere di affidare a terzi lo svolgimento

di un'attività già da essa esercitata.

Le considerazioni sin qui svolte inducono ad escludere che

l'attività in questione possa essere qualificata come pubblico ser

vizio; trattasi, per contro, di attività essenzialmente o quanto

meno preminentemente commerciale.

Alla luce di tale conclusione appare legittimo il provvedimen

to del sindaco di Roma che ha disposto la chiusura dell'esercizio.

Invero, una volta accertata la natura commerciale dell'attivi

tà svolta, la sola circostanza che l'esercizio si trovi all'interno

della galleria Borghese e sia quindi destinato esclusivamente a

suoi visitatori, non è atta a superare la norma di carattere gene

rale di cui all'art. 24 (citato) che richiede l'autorizzazione com

merciale, non essendo ciò previsto dalla legge.

Né può essere utilmente invocato l'art. 61, 12° comma, lett.

/, d.m. 4 agosto 1988 n. 375, recante norme di esecuzione della

1. 11 giugno 1971 n. 426 sulla disciplina del commercio il quale

stabilisce che le disposizioni della predetta legge non si applica no agli enti pubblici che vendano pubblicazioni o altro materia

le informativo, di propria o altrui elaborazione, concernenti l'og

getto della loro attività.

Tale disposizione, che vale ad escludere la necessità della li

cenza comunale per l'esercizio delle predette attività commer

ciali da parte dell'ente pubblico, non può applicarsi, in assenza

di norma derogatoria al ripetuto art. 24, anche al privato che

svolga, su concessione dell'ente pubblico, analoghe attività.

Ciò anche perché, come a tal riguardo già correttamente os

servato dal Tar, l'attività di cui trattasi non costituisce servizio

pubblico. Le considerazioni che precedono rivestono carattere assorbente

rispetto ai vari profili di censure dedotti a sostegno del primo

motivo di appello che deve quindi essere respinto.

L'appello ripropone, ancorché in via meramente subordina

ta, anche il secondo motivo del ricorso di primo grado, con

cui si censurava il provvedimento impugnato sotto il profilo

della carenza di istruttoria, per non avere il sindacato interpel

lato, prima di adottarlo, l'intendenza di finanza e la soprinten

denza, nella loro qualità di enti pubblici concedenti.

Una preliminare consultazione delle amministrazioni statali

cui è affidata la gestione della galleria sarebbe stata, a dire del

l'appellante, atto doveroso, anche al fine di valutare, nell'inte

resse pubblico, gli effetti della chiusura dell'esercizio che veniva

con il provvedimento ordinata.

La censura non ha pregio. Invero, una volta accertato che,

ai fini dello svolgimento dell'attività commerciale in questione, è richiesta la previa autorizzazione comunale, ai sensi del ripe tuto art. 24, l'asserita carenza di istruttoria non è atta ad infi

ciare la legittimità dell'impugnato provvedimento di chiusura, la cui adozione si giustifica con la sola assenza dell'autorizza

zione medesima.

In conclusione l'appello deve essere respinto.

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