sezione V penale; ordinanza 15 gennaio 1985; Pres. Pecchiai, Rel. Catalano, P. M. Ciani (concl.conf.); ric. OrtolaniSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 105/106-109/110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177472 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; ordinanza 15 gen naio 1985; Pres. Pecchiai, Rei. Catalano, P. M. Ciani (conci,
conf.); ric. Ortolani.
CORTE DI CASSAZIONE; Svolgimento del processo. — Nel procedimento a carico di
Umberto Ortolani, imputato, in stato di latitanza, di fatti di
bancarotta fraudolenta e illecita costituzione di disponibilità valu
tarie all'estero, come da mandato di cattura emesso il 1° giugno 1983 dal giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, lo stesso
giudice istruttore, con ordinanza del 30 settembre 1983, respingeva varie istanze difensive, volte ad ottenere la declaratoria di
impromoviibilità dell'azione penale (per esseire l'Ortolani cittadino
brasiliano non residente né presente in Italia) e, comunque, la
revoca del mandato di cattura e la sospensione dell'esercizio della
azione penale a norma dell'art. 19 c.p.p. (quanto meno in
relazione ai reati fallimentari). L'appello, proposto contro tale
provvedimento dal difensore dell'Ortolani, era dichiarato inammis
sibile dal Tribunale di Milano con ordinanza del 20 dicembre
1983. Osservava il tribunale, in motivazione, che le ordinanze del
giudice istruttore sono appellabili soltanto quando pronuncino su
istanze di scarcerazione o di libertà provvisoria; che ogni altra
violazione di legge, la quale abbia conseguenze sullo status
libertatis, dà adito solo al ricorso per cassazione; che censure del
tutto analoghe a quelle formulate con l'appello erano già state
disattese dallo stesso tribunale, in sede di riesame del mandato di
cattura, con ordinanza del 3 ottobre 1983: che non può ammet
tersi un'impugnazione diretta a far valere nuovamente le stesse
doglianze presso l'organo che ha già deliberato.
Contro la declaratoria di inammissibilità il difensore dell'Orto
lani ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) l'inosser
vanza dell'art. 76 c.p.p. in relazione all'art. 185, n. 2, dello stesso
codice, per avere il tribunale deciso sull'impugnazione contro un
provvedimento istruttorio in tema di libertà personale senza
preventivamente trasmettere gli atti al pubblico ministero per l'acquisizione del parere; 2) l'erronea interpretazione e la falsa
applicazione dell'art. 272 bis c.p.p. in relazione all'art. 269 dello stesso codice, in quanto deve ritenersi appellabile al tribunale della libertà ogni provvedimento del giudice istruttore che comun
que incida sulla legittimità del titolo di custodia, non potendo confondersi tra le funzioni del suddetto tribunale quale giudice di
riesame e quelle che gli competono quale giudice di appello, e, in
ogni modo, dato e non concesso che il mezzo esperibile nella
specie fosse non l'appello ma il ricorso per cassazione (il che era
sotto molteplici aspetti da contestarsi), il tribunale avrebbe dovuto non emettere la declaratoria di inammissibilità ma trasmettere gli atti alla Suprema corte, convertendosi l'appello in ricorso alla
stregua del noto principio secondo cui, quando la parte manifesta
la volontà di dolersi del provvedimento, deve presumersi, in
mancanza di sicuri elementi in contrario, che essa intenda utiliz zare il mezzo predisposto dalla legge.
Motivi della decisione. — Il primo motivo è fondato. Come è stato ripetutamente deciso da questa corte, gli appelli
istruttori in tema di libertà personale, anche dopo la loro devoluzione al tribunale della libertà, rimangono soggetti al
principio dell'art. 76 c.p.p., che deve ritenersi implicitamente derogato solo in relazione alla richiesta di riesame dd cui agli art. 263 bis (nuovo testo) e 263 ter dello stesso codice (v., tra le altre, Cass. 8 febbraio 1984, Cantiello; 26 gennaio 1984, Stirparo; 10
gennaio 1984, Rizzoli, Foro it., 1984, II, 297; 30 novembre 1983, Turi; 30 novembre 1983, Musi; 18 novembre 1983, Guagliardi; 19 ottobre 1983, Montesi; 19 ottobre 1983, D'Ottavi; 19 ottobre
1983, Carotti; 11 ottobre 1983, Canino; 13 giugno 1983, Veraldi). Infatti il richiamo all'art. 263 ter che figura negli innovati art.
263, 272 bis e 281 c.p.p., riguarda solo l'individuazione del
giudice competente a decidere sull'appello e non anche l'osser
vanza della particolare procedura prevista per il riesame dei
provvedimenti restrittivi, caratterizzata essenzialmente dalla sem
plificazione delle forme e dalla fissazione di brevi termini peren tori (Cass. 5 dicembre 1983, Viola; 24 marzo 1983, Saya; 23
marzo 1983, Chessa; 4 febbraio 1983, Lo Iacono; 20 dicembre
1982, Liurni, id., Rep. 1983, voce Libertà personale dell'imputato, n. 151; 3 maggio 1983, Magni; 22 marzo 1983, Tomasello).
l'attribuzione al pubblico ministero, in caso di revoca del mandato di
cattura, di un gravame di merito, oltre quello di legittimità, di cui soltanto può usufruire l'imputato nell'ipotesi di provvedimento a lui
sfavorevole, pone quest'ultimo in una situazione deteriore rispetto al
primo. Circa il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui
l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca del mandato di cattura è impugnabile dall'imputato solo con ricorso per cassazione, v. Cass. 28
gennaio 1984, Genghini, Giust. pen., 1984, HI, 385; 26 ottobre 1983, Mastrangeli, ibid., 713; 12 luglio 1983, Lo iPrete, ibid., 187; 9 novembre 1981, iPult, Foro it., Rep. 1983, voce Libertà personale dell'imputato, n. 113.
Libertà personale dell'imputato — Provvedimenti istruttori sulla
libertà personale — Impugnazioni — Appello — Tribunale
della libertà — Parere del p.m. — Acquisizione — Necessità
(Cod. proc. pen., art. 76, 185, 263, 272 bis, 281; 1. 12 agosto 1982 n. 532, disposizioni in materia di riesame di provvedimen ti restrittivi della libertà personale e dei provvedimenti di
sequestro. Misure alternative alla carcerazione preventiva, art.
6, 13, 16; 1. 28 luglio 1984 n. 398, nuove norme relative alla
diminuzione dei termini di carcerazione cautelare e alla conces
sione della libertà provvisoria, art. 18).
Impugnazioni penali — Provvedimenti impugnabili o inoppugna bili — Diniego di proscioglimento per impromovibilità dell'azio
ne penale — Impugnazione — Inammissibilità (Cod. pen., art. 6, 10; cod. proc. pen., art. 190).
Libertà personale dell'imputato — Imputato latitante — Man
dato di cattura — Revoca — Diniego — Appello — Esclu
sione — Questione non manifestamente infondata di costituzio
nalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 263; 1. 12 agosto 1982 n. 532, art. 6; 1. 28 luglio 1984 n. 398, art. 18).
Il c.d. tribunale della libertà, prima di provvedere sull'appello avverso ordinanza istruttoria in tema di libertà personale, deve acquisire il parere del p.m. (1)
È inoppugnabile il provvedimento del giudice istruttore che
rigetta la richiesta di non doversi procedere per impromovi bilità dell'azione penale. (2)
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.p.p, come modificato dall'art. 6 l. 12 agosto 1982 n. 532 e successivamente dall'art.
18 l. 28 luglio 1984 n. 398, nella parte in cui non riconosce
all'imputato latitante il diritto di proporre appello contro l'ordi
nanza del giudice istruttore con la quale è stata respinta l'istanza di revoca del mandato di cattura, in riferimento agli art. 3 e 24, 2" comma, Cost. (3)
(1) Nel caso di appello dell'imputato avverso l'ordinanza, a lui
sfavorevole, del giudice istruttore in tema di libertà personale (scarce razione, per insufficienza di indizi e per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, e libertà provvisoria) la giurisprudenza ha sempre pacificamente ritenuto necessaria la preventiva acquisizione del parere del p.m.; si è manifestato, invece, un constrasto per l'ipotesi in cui appellante sia lo stesso p.m.: v., per i due diversi
orientamenti, Cass. 14 marzo 1984, Antonov, e 10 gennaio 1984,
Rizzoli, Foro it., 1984, II, 297, con nota di richiami. Il contrasto, come auspicato in detta nota, è stato risolto dalle sezioni unite: con
quattro sentenze pronunciate all'udienza del 30 giugno 1984 (ric. Fazio, Vespoli, Rusconi e Carboni), delle quali, peraltro, non è ancora nota la decisione (febbraio 1985), è stato ritenuto sempre necessario il parere del p.m.
(2) In senso conforme, con riferimento ad analoga ordinanza istruttoria di rigetto della richiesta di declaratoria di non doversi iniziare l'azione penale per difetto di giurisdizione, v. Cass. 4 giugno 1984, Marcinkus, Foro it. 1984, II, 481, con nota di richiami, cui
adde, nella fattispecie ivi indicata le decisioni citate in motivazione.
(3) È la settima volta che la Corte di cassazione solleva dubbi circa la legittimità costituzionale dall'art. 263, 2° comma, c.p.p.: l'intervento dai giudici dalla Consulta è stato sollecitato con ordinan za in pari data pronunciata nei confronti dello stesso imputato nel corso del medesimo procedimento e con altre cinque anteriori ( 12
gennaio 1985, Iacomino; 12 gennaio 1985, Sacco; 26 novembre 1984, Avagliano; 24 novembre 1984, Pujia; 13 luglio 1984, Terruzzi); la
questione è stata rimessa alla Corte costituzionale anche da Trib. Roma 22 luglio 1983, Giust. pen., 1984, III, 41, con nota di Gaito, In tema di appellabilità del provvedimento di risetto dell'istanza di revoca del mandato od ordine di cattura da parte dell'imputato latitante; 7 ottobre 1983, Foro it., 1984, II, 73 con nota di richiami. Per
fattispecie simili v. le decisioni, dei giudici costituzionali e della
Cassazione, richiamate in motivazione. Se la Corte costituzionale riterrà l'art. 263, 2° comma, c.p.p. in
contrasto con i parametri previsti dagli art. 3 e 24, 2° comma, Cost, sarà compiuto un ulteriore passo verso l'attuazione del principio della
egalité des armes — inteso come tutela della posizione di eguaglianza che, nel corso del procedimento, deve sempre sussistere tra l'imputato e la sua difesa, da una parte, e la pubblica accusa, dall'altra (Cass. 17 dicembre 1981, Iaglietti, Cass. pen., 1984, 1454, con nota di
Striani, Diritti dell'uomo: finalmente riconosciuti?) — compreso nella nozione di processo equo (v. Corte europea dei diritti dell'uomo 27 giungo 1968, caso Neumeister, Foro it., 1968, IV, 89) di cui all'art.
6, par. 1, della convenzione europea dei diritti dell'uomo, fir mata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con 1. 4 agosto 1955 n. 848. Non è, invero, revocabile in dubbio che
Il Foro Italiano — 1985 — Parte II-8.
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PARTE SECONDA
È pur vero che con una recente sentenza 14 marzo 1984, Antonov (id., 1984, II, 297) questa corte ha espresso l'avviso che il
parere previsto dall'art. 76 c.p.p. non sia necessario ove l'appel lante sia lo stesso pubblico ministero, ma nella specie l'appello è
stato proposto dall'imputato e in tale ipotesi anche la predetta sentenza ha ribadito la necessità della partecipazione del pubblico ministero alla formazione del convincimento del giudice, parteci
pazione che nel caso in esame è mancata.
L'impugnata ordinanza dovrebbe, quindi, essere annullata con
rinvio, a norma dell'art. 543, n. 1, c.p.p., essendo il giudice a
quo tenuto a procedere a nuovo esame dopo aver acquisito il
parere del pubblico ministero o comunque dopo aver trasmesso gli atti a tale organo per le sue conclusioni.
Nella specie, però, il rinvio sarebbe superfluo, in quanto, a
seguito di esso, il giudice di secondo grado non potrebbe che
emettere una nuova declaratoria di inammissibilità dell'appello; declaratoria che può essere emessa, ai sensi dell'art. 539, n. 9,
c.p.p., da questa corte nei limiti della propria competenza (giacché l'inammissibilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio), senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto.
Al riguardo va osservato che le ragioni della inammissibilità coincidono solo in parte con quelle esposte nell'ordinanza impu
gnata. In particolare non ha rilievo che l'appello si fondi su
censure analoghe a quelle fatte valere in sede di riesame, giacché il tribunale, in tale sede, è vincolato all'apprezzamento del quadro indiziario esistente nel momento genetico della custodia preventiva e non può esercitare poteri istruttori né procedere a supplementi di indagine, mentre in sede di appello non è soggetto a tali limiti.
Vero è, invece, che il provvedimento del giudice istruttore è
assolutamente inoppugnabile nella parte relativa al diniego di
proscioglimento per impromovibilità dell'azione penale, trattandosi, per tale parte, di ordinanza istruttoria che riafferma la giurisdi zione del giudice italiano e per la quale la legge non prevede alcun autonomo mezzo di impugnazione. Né è possibile assimilare il provvedimento in questione a una sentenza, poiché l'accerta mento positivo dell'esistenza della giurisdizione del giudice italia
no non esaurisce il rapporto processuale, ma, al contrario, ne
consente la prosecuzione e lo sviluppo verso le fasi e i gradi successivi.
Analogamente, proprio perché non definiscono il procedimento, hanno natura di ordinanze (e sono quindi inoppugnabili, anche ai
sensi dell'art. Ill Cost.) i provvedimenti emessi nella fase istrutto
ria che respingono la richiesta di applicazione dell'aministia
(Cass. 8 febbraio 1947, Mazzucchelli, id., 1947, II, 65; 14
febbraio 1950, Della Donna), mentre, per il motivo opposto, hanno valore di sentenza (e sono pertanto impugnabili) i provve dimenti decisori di rinuncia alla giurisdizione italiana in favore
di quella straniera (10 febbraio 1957, Schulthies, id., 1958, II,
119) e quelli che dichiarano non perseguibile un reato commesso
all'estero con la formula « non doversi procedere per difetto di
giurisdizione » (23 ottobre 1958, Sereni, id., Rep. 1959, voce
Impugnazioni penali, nn. 34-38). Quanto al diniego di revoca del mandato di cattura e al
diniego di sospensione dell'esercizio dell'azione penale ai sensi
dell'art. 19 c.p.p., l'ordinanza del giudice istruttore era soggetta non ad appello ma esclusivamente a ricorso per cassazione, tale
essendo, anche secondo la disciplina introdotta dalla 1. 12 agosto 1982 n. 532 (e successivamente dalla 1. 28 luglio 1984 n. 398),
l'unico mezzo di gravame concesso all'imputato contro siffatti
provvedimenti, nel caso di mancata esecuzione del mandato di
cattura (Cass. 12 luglio 1983, Lo Prete e, da ultimo, 28 gennaio
1984, Genghini).
Né è sostenibile la tesi della convertibilità dell'appello in
ricorso; nella specie, infatti, risulta accertata in concreto la
volontà della parte di avvalersi del mezzo non consentito. Come è
stato più volte affermato da questa Suprema corte, la conversione
del mezzo erroneamente proposto in quello previsto dalla legge è
esclusa allorché l'impugnante, in sede di ricorso contro l'ordinanza
di inammissibilità, torni a sostenere, come nella specie, l'esperibili tà del mezzo di cui si era avvalso, dimostrando cosi di averlo
utilizzato deliberatamente e non per errore (Cass. 14 giugno 1983,
Versace; 8 ottobre 1981, Vantaggini, id., Rep. 1982, voce cit.,
n. 19; 30 gennaio 1978, Segapeli, id., Rep. 1978, voce cit., n. 114).
Va però rilevato, che con una recente decisione (Cass. 13
luglio 1984 n. 1435, Terruzzi) questa corte ha dichiarato non
manifestamente infondata, in rapporto agli art. 3 e 24 Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, 2° comma,
c.p.p. nella parte in cui, anche secondo il testo introdotto dall'art.
6 1. 12 agosto 1982 n. 532, non riconosce all'imputato il diritto di
Il Foro Italiano — 1985.
proporre appello contro l'ordinanza del giudice istruttore con la
quale è stata respinta l'istanza di revoca del mandato di cattura.
Al riguardo è stato osservato che non trova giustificazione la
disparità di trattamento sancita dall'articolo in questione tra
imputato e pubblico ministero. Infatti, mentre per quest'ultimo è
prevista la possibilità di ottenere dal tribunale un controllo di
merito sull'ordinanza con cui il giudice istruttore abbia respinto la
sua richiesta di emettere un mandato di cattura o abbia revocato
un mandato già emesso, nulla è invece previsto circa il potere
dell'imputato di ottenere un analogo controllo sull'ordinanza di
diniego di revoca del mandato di cattura, per il caso che siano
venute meno successivamente le condizioni sulle quali il mandato
era stato fondato.
D'altra parte, mentre l'imputato detenuto, a norma dell'art. 272
bis c.p.p., può ugualmente proporre appello contro il provvedi mento negativo in tema di scarcercazione, emesso in fase istrutto
ria, l'imputato latitante è invece impossibilitato ad ottenere il
riesame dell'ordinanza che ha negato la revoca da lui chiesta, se
non attraverso il ricorso per cassazione previsto dagli art. Ili
Cost, e 190, 2° comma, c.p.p., rimedio che, comunque, lo priva del grado di impugnazione nel merito, consentito invece al
pubblico ministero e all'imputato detenuto.
Orbene, nessuna apprezzabile differenza sembra sussistere tra il
latitante e il detenuto rispetto all'interesse ad ottenere il ripristino dello stato di libertà, anche sul piano formale, una volta che
siano venute meno le condizioni legittimatrici del provvedimento di cattura, per cui non si comprende la minore tutela accordata
all'interesse del latitante in fase di impugnazione. Peraltro le superiori considerazioni rimangono valide anche
dopo l'ulteriore modifica dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., disposta dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, poiché la nuova normativa,
sopravvenuta alla proposizione del ricorso, non ha inciso sulla
titolarità del diritto di appello nella materia di cui si tratta. Esse,
inoltre, trovano ampio riscontro nella giurisprudenza della Corte
costituzionale concernente l'equilibrio del contraddittorio tra accu
sa e difesa.
È stato, infatti, più volte deciso che la soppressione di un
modo generale di esercizio della difesa quale il gravame di
merito, disposta dalla legge ordinaria nei confronti del solo
imputato, viola gli art. 3 e 24 Cost, quando si riferisce a una
pronuncia che, sebbene negatoria dell'azione penale, sia idonea a
produrre effetti pregiudizievoli in altri giudizi civili e amministra
tivi. Per tale ragione sono stati dichiarati illegittimi, in relazione
alle citate norme costituzionali, gli art. 512, n. 2, e 513, n. 2,
c.p.p. nella parte in cui escludono il diritto dell'imputato di
proporre appello contro la sentenza di primo grado che l'abbia
prosciolto per amnistia a seguito del giudizio di comparazione tra
aggravanti e attenuanti (Corte cost. 25 marzo 1975, n. 70, id.,
1975, I, 1052 e 5 giugno 1978, n. 73, id., 1978, I, 1337), ovvero
per prescrizione a seguito della concessione di attenuanti (Corte
cost. 16 luglio 1979, n. 72, id., 1979, II, 2182) o, ancora, per
amnistia a seguito di diversa definizione giuridica del fatto (Corte
cost. 7 aprile 1981, n. 53, id., 1981, I, 1482). Da ultimo, sempre
per la ragione indicata, ed anche con riguardo al pregiudizio morale che l'imputato può subire in seguito al proscioglimento per amnistia o per prescrizione del reato, sono stati dichiarati costitu
zionalmente illegittimi gli art. 387, 3° comma, 399, 1° comma,
512, n. 2, e 513, n. 2, c.p.p. (questi ultimi nel testo sostituito
dagli art. 134 e 135 1. 24 novembre 1981 n. 689) nella parte in cui
escludono il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei
limiti di cui all'art. 152, 2° comma, c.p.p., contro la sentenza
istruttoria o dibattimentale di primo grado che lo abbia prosciolto
per estinzione del reato a seguito di amnistia o prescrizione
(Corte cost. 21 luglio 1983, n. 224, id., 1984, I, 925). Ora il diniego di revoca del mandato di cattura va ben oltre il
pregiudizio di ordine soltanto morale o l'efficacia pregiudizievole in altri giudizi civili e amministrativi; esso incide in maniera
diretta e rilevante sul bene primario della libertà personale, sicché
appare per lo meno dubbia la costituzionalità della norma che, in
questa materia, esclude per l'imputato un mezzo di gravame consentito invece al pubblico ministero. E può ricordarsi che
proprio in base a tale rilievo questa Suprema corte ha ritenuto
non manifestamente infondata, in rapporto agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 647, 2° comma,
c.p.p. nella parte in cui consente solo al pubblico ministero e non anche all'interessato di proporre i gravami specifici del processo di sicurezza contro i provvedimenti pronunciati dal magistrato di
sorveglianza a norma del 1° comma dello stesso articolo (Cass. 13
maggio 1983, Riccardo, id., 1984, II, 355). Ed è altresì da
rammentare che identico giudizio di legittimità costituzionale pro
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GIURISPRUDENZA PENALE
mosso con ordinanza del 20 dicembre 1977 della sezione istrutto ria di Bologna si concluse con una dichiarazione di inammissibili
tà per difetto di rilevanza, per essere stata la norma denunciata in un caso in cui, trattandosi di imputato detenuto in esecuzione di mandato di cattura, si rendeva applicabile l'art. 272 bis c.p.p. (Corte cost. 10 maggio 1979, n. 21, id., 1979, I, 1624); precedente che non è ostativo al riesame della questione, vertendosi, nel caso che ne occupa, in tema di mandato di cattura rimasto ineseguito.
Si ripropone, pertanto, nella presente fattispecie, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., nella
parte in cui, anche nella nuova formulazione introdotta dall'art. 6
1. 12 agosto 1982 n. 532 e ulteriormente modificata dall'art. 18 1.
28 luglio 1984 n. 398, non riconosce all'imputato il diritto di
proporre appello contro l'ordinanza del giudice istruttore con la
quale è stata respinta l'istanza di revoca del mandato di cattura e
ciò per probabile contrasto con gli art. 3 e 24 Cost.
La questione, per le ragioni sopra esposte, non può considerarsi
manifestamente infondata; ed è rilevante poiché dall'esito di essa
dipende se l'ordinanza impugnata, nella parte in cui ha pronun ciato sull'appello contro il diniego di revoca del mandato di
cattura e contro il diniego di sospensione ai sensi dell'art. 19
c.p.p. (appello non convertibile in ricorso per le ragioni suindica
te), debba essere annullata senza rinvio (come sarebbe imposto dalla normativa attualmente in vigore) ovvero debba essere annul
lata con rinvio per la rilevata inosservanza dell'art. 76 c.p.p., con
conseguente nuovo esame del merito da parte del giudice di
appello.
Va, infine, osservato che, poiché la eventuale sospensione del
procedimento penale per bancarotta a seguito di opposizione alla
sentenza dichiarativa di fallimento comporta la revoca del manda
to di cattura non eseguito o, se eseguito, la scarcerazione
dell'imputato ex art. 269 c.p.p. (Cass. 20 ottobre 1982, Maiocco,
id., Rep. 1983, voce Libertà personale dall'imputato, n. 179; 20
settembre 1968, Lampugnani, id., Rep. 1969, voce cit., n. 39; 15
dicembre 1964, Russo, id., Rep. 1965, voce cit., nn. 84-87), il
diniego di sospensione ai sensi dell'art. 19 c.p.p. è, nel caso di
specie, impugnabile appunto in quanto comporta il diniego di
revoca del mandato di cattura.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 2 maggio
1984; Pres. Barba, Est. Piccininni, P.M.- (conci, diff.) ; imp. Giordano. Conflitto di competenza.
Competenza e giurisdizione penale — Procedimenti riguardanti
magistrati — Magistrato danneggiato — Spostamento della
competenza territoriale — Esclusione — Fattispecie (Cod. proc.
pen., art. 41 bis).
Non si verifica lo spostamento della competenza territoriale nel
caso di procedimento in cui il magistrato assume la qualità di
danneggiato e non quella di persona offesa dal reato (nella
specie, rispetto al reato di millantato credito del patrocinatore, il magistrato è stato ritenuto danneggiato e non persona
offesa). (1)
(1) Nel senso, conforme alla massima, che nel concetto di persona offesa non può comprendersi quello, tecnicamente diverso, di dan
neggiato, provvedendo in tal caso gli istituti dell'astensione e della
ricusazione, v. Trib. Perugia 16 aprile 1984, pres. Orlando, est.
Goretti, inedita; Cass. 6 giugno 1980, Coperchini, Foro it., Rep. 1981, voce Rimessione di procedimenti, n. 7; 9 febbraio 1976, Istanza, id., Rep. 1976, voce cit., n. 23. Al contrario, secondo la giurisprudenza sinora prevalente (Cass. 19 giugno 1978, Cerutti, id., Rep. 1979, voce cit., n. 14; 21 gennaio 1975, Palma, id., Rep. 1976, voce cit., n. 24, riguardante una fattispecie di millantato credito; 2 febbraio 1971, Pasa, id., Rep. 1971, voce cit., nn. 5, 6, riguardante lo stesso reato; 1° dicembre 1970, Paolantoni, ibid., n. 11) attesa la ratio legis dell'art. 60 c.p.p., che è quella di evitare il sospetto che nel giudizio possa aver influenza il rapporto di colleganza dei giudici con l'interessato, accentuato dalla medesimezza dell'ufficio, deve farsi luogo alla ri messione del procedimento, non soltanto quando il magistrato è offeso dal reato in senso tecnico, quale titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale, ma anche allorché sia danneggiato dal reato e
perciò legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale. Sull'art. 41 bis c.p.p. v., da ultimo, Corte cost. 30 luglio 1984, n. 232,
id., 1984, il, 2656, con nota di richiami, che ha dichiarato inammis sibile la questione di costituzionalità di tale disposizione, nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale anche nell'ipotesi di reato commesso da pretori o in loro danno, attribuito alla competenza ordinaria del tribunale nella cui circoscrizione è
Il Foro Italiano — 1985.
Con sentenza 7 giugno 1983 il g.i. del Tribunale di Venezia
dichiarava la propria incompetenza per territorio in ordine al
procedimento penale a carico di Mario Giordano, « imputato del
delitto di cui agli art. 382, 81 c.p. perché nella qualità di
difensore, millantando credito presso alcuni magistrati della procu ra e del Tribunale di Trieste con particolare riguardo al sostituto
procuratore della repubblica dott. Coassin, negli anni 1981-1982 e
sino al marzo 1983, riceveva o si faceva promettere da diversi
clienti somme anche ingenti di denaro, col pretesto di dover
remunerare o, comunque, di doversi procurare i favori dei
predetti magistrati »; riteneva inapplicabile il disposto dell'art. 41
compreso il mandamento in cui il pretore, imputato o parte lesa, esercita le sue funzioni.
In dottrina, nello stesso senso della massima, Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, 1968, II, 106; Sabatini, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, 1953, 185; Vannini, Manuale di diritto processuale penale italiano, 1953, 90. In senso
contrario, G. Leone, Trattato di diritto processuale penale, 1961, I, 379 e sia pure con qualche perplessità, Scaparone, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 947. Sull'art. 41 bis c.p.p. v. Rubiola, id., 1981, 644.
La sentenza che si riporta sembra voler giustificare il dissenso, rispetto alla giurisprudenza prevalente nel vigore dell'art. 60 c.p.p., col rilievo che l'art. 41 bis c.p.p. — aggiunto con la 1. 22 dicembre 1980 n. 879 che ha abrogato l'art. 60 c.p.p. — non contiene « una
modifica meramente formale » della normativa previgente sulla com
petenza per i procedimenti riguardanti magistrati. In verità, per quanto interessa, le differenze sono scarsamente significative. Infatti, mentre l'art. 60 c.p.p. usava la dizione « offeso da un reato », nell'art. 41 bis figura quella quasi identica di « persona offesa dal reato ». Né
può argomentarsi dal rilievo che nell'art. 41 bis più non figura la norma contenuta nel 2° comma dell'art. 60, nella quale era regolata l'ipotesi di reati di competenza del pretore commessi da un magistra to « o da altri in suo danno ». Infatti, la mancata riproduzione di una disposizione ad hoc per i pretori trova la sua giustificazione, non certo nell'intento di evitare interpretazioni estensive del concetto di offeso dal reato, sebbene nella scelta del legislatore del 1980 di adottare in ordine alla competenza per i procedimenti riguardanti pretori. Potrebbe, invece addursi il seguente argomento: il legislatore magistrati una disciplina comune, senza norme particolari per i del 1980 doveva essere a conoscenza dell'orientamento giurispruden ziale prevalente volto ad intepretare l'art. 60 c.p.p. nel senso estensivo di comprendere nella nozione di offeso dal reato anche quella di
danneggiato, perciò l'uso nell'art. 41 bis della dizione « qualità di
persona, offesa dal reato » senza alcun riferimento al magistrato danneggiato, denota l'intendimento di evitare interpretazioni estensive, limitando l'operatività della norma predetta alla persona offesa in senso tecnico. Ma, in difetto di delucidazioni desumibili dai lavori preparatori della 1. n. 879/80, è tutto da dimostrare che nell'art. 41 bis c.p.p. la dizione «persona offesa dal reato» sia stata usata in senso strettamente tecnico-giuridico, proprio al fine di evitare il perdurare delle precedenti interpretazioni estensive volte ad estendere la disciplina derogatoria anche nel caso di magistrato danneggiato. D'altro canto, autorevole dottrina (Levi, La parte civile nel processo penale italiano, 1936, 106), in epoca non ancora affetta da prolifera zione legislativa, rilevava lo scarso rigore con cui la legge suole far uso di formule come persona offesa o danneggiato dal reato. In verità, come riconosce la stessa sentenza in epigrafe, le ragioni dell'orientamento giurisprudenziale prevalente nel vigore dell'art. 60 c.p.p. sono tuttora valide, dato che anche l'art. 41 bis è ispirato alla ratio di assicurare Un processo scevro da ogni sospetto di favoriti smo: iudex suspectus per colleganza rafforzata dall'appartenenza allo stesso ufficio giudiziario. E sotto questo profilo, non sembra logico, né conforme al senso comune ritenere operante lo spostamento della competenza territoriale ai sensi dell'art. 41 bis qualora il magistrato sia persona offesa di un furto, magari di valore lievissimo, ed escludere l'applicabilità della norma predetta nel caso di magistrato, danneggiato e non persona offesa, il quale si sia costituito parte civile per l'omicidio doloso, preterintenzionale o colposo di un prossimo congiunto. Non senza aggiungere che, anche a voler restare stretta mente aderenti alla nozione tecnico-giuridica di persona offesa dal
reato, quale titolare dell'interesse o bene giuridico la cui lesione costituice l'essenza del reato (Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, 1980, 147, ss.), restano da risolvere difficili problemi di identificazione del soggetto passivo specie in relazione ai numerosi reati c.d. plurioffensivi, come la calunnia. In conclusione, sembre rebbe auspicabile una riformulazione dell'art. 41 bis c.p.p., che elimini qualsiasi incertezza interpretativa, estendendo l'operatività della nor ma almeno ai casi in cui il magistrato danneggiato, ma non persona offesa dal reato, si sia costituito parte civile. Nel frattempo, la vexata quaestio dovrebbe essere risolta, in un senso o nell'altro, dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione, con l'auspicio, per la certezza del diritto, che le sezioni semplici della stessa corte non perpetuino l'attuale contrasto giurisprudenziale.
M. Boschi
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