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sezione V penale; ordinanza 15 gennaio 1985; Pres. Pecchiai, Rel. Catalano, P. M. Ciani (concl....

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sezione V penale; ordinanza 15 gennaio 1985; Pres. Pecchiai, Rel. Catalano, P. M. Ciani (concl. conf.); ric. Ortolani Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 105/106-109/110 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177472 . Accessed: 28/06/2014 18:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 18:24:12 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione V penale; ordinanza 15 gennaio 1985; Pres. Pecchiai, Rel. Catalano, P. M. Ciani (concl. conf.); ric. Ortolani

sezione V penale; ordinanza 15 gennaio 1985; Pres. Pecchiai, Rel. Catalano, P. M. Ciani (concl.conf.); ric. OrtolaniSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 3 (MARZO 1985), pp. 105/106-109/110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177472 .

Accessed: 28/06/2014 18:24

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GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; ordinanza 15 gen naio 1985; Pres. Pecchiai, Rei. Catalano, P. M. Ciani (conci,

conf.); ric. Ortolani.

CORTE DI CASSAZIONE; Svolgimento del processo. — Nel procedimento a carico di

Umberto Ortolani, imputato, in stato di latitanza, di fatti di

bancarotta fraudolenta e illecita costituzione di disponibilità valu

tarie all'estero, come da mandato di cattura emesso il 1° giugno 1983 dal giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, lo stesso

giudice istruttore, con ordinanza del 30 settembre 1983, respingeva varie istanze difensive, volte ad ottenere la declaratoria di

impromoviibilità dell'azione penale (per esseire l'Ortolani cittadino

brasiliano non residente né presente in Italia) e, comunque, la

revoca del mandato di cattura e la sospensione dell'esercizio della

azione penale a norma dell'art. 19 c.p.p. (quanto meno in

relazione ai reati fallimentari). L'appello, proposto contro tale

provvedimento dal difensore dell'Ortolani, era dichiarato inammis

sibile dal Tribunale di Milano con ordinanza del 20 dicembre

1983. Osservava il tribunale, in motivazione, che le ordinanze del

giudice istruttore sono appellabili soltanto quando pronuncino su

istanze di scarcerazione o di libertà provvisoria; che ogni altra

violazione di legge, la quale abbia conseguenze sullo status

libertatis, dà adito solo al ricorso per cassazione; che censure del

tutto analoghe a quelle formulate con l'appello erano già state

disattese dallo stesso tribunale, in sede di riesame del mandato di

cattura, con ordinanza del 3 ottobre 1983: che non può ammet

tersi un'impugnazione diretta a far valere nuovamente le stesse

doglianze presso l'organo che ha già deliberato.

Contro la declaratoria di inammissibilità il difensore dell'Orto

lani ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) l'inosser

vanza dell'art. 76 c.p.p. in relazione all'art. 185, n. 2, dello stesso

codice, per avere il tribunale deciso sull'impugnazione contro un

provvedimento istruttorio in tema di libertà personale senza

preventivamente trasmettere gli atti al pubblico ministero per l'acquisizione del parere; 2) l'erronea interpretazione e la falsa

applicazione dell'art. 272 bis c.p.p. in relazione all'art. 269 dello stesso codice, in quanto deve ritenersi appellabile al tribunale della libertà ogni provvedimento del giudice istruttore che comun

que incida sulla legittimità del titolo di custodia, non potendo confondersi tra le funzioni del suddetto tribunale quale giudice di

riesame e quelle che gli competono quale giudice di appello, e, in

ogni modo, dato e non concesso che il mezzo esperibile nella

specie fosse non l'appello ma il ricorso per cassazione (il che era

sotto molteplici aspetti da contestarsi), il tribunale avrebbe dovuto non emettere la declaratoria di inammissibilità ma trasmettere gli atti alla Suprema corte, convertendosi l'appello in ricorso alla

stregua del noto principio secondo cui, quando la parte manifesta

la volontà di dolersi del provvedimento, deve presumersi, in

mancanza di sicuri elementi in contrario, che essa intenda utiliz zare il mezzo predisposto dalla legge.

Motivi della decisione. — Il primo motivo è fondato. Come è stato ripetutamente deciso da questa corte, gli appelli

istruttori in tema di libertà personale, anche dopo la loro devoluzione al tribunale della libertà, rimangono soggetti al

principio dell'art. 76 c.p.p., che deve ritenersi implicitamente derogato solo in relazione alla richiesta di riesame dd cui agli art. 263 bis (nuovo testo) e 263 ter dello stesso codice (v., tra le altre, Cass. 8 febbraio 1984, Cantiello; 26 gennaio 1984, Stirparo; 10

gennaio 1984, Rizzoli, Foro it., 1984, II, 297; 30 novembre 1983, Turi; 30 novembre 1983, Musi; 18 novembre 1983, Guagliardi; 19 ottobre 1983, Montesi; 19 ottobre 1983, D'Ottavi; 19 ottobre

1983, Carotti; 11 ottobre 1983, Canino; 13 giugno 1983, Veraldi). Infatti il richiamo all'art. 263 ter che figura negli innovati art.

263, 272 bis e 281 c.p.p., riguarda solo l'individuazione del

giudice competente a decidere sull'appello e non anche l'osser

vanza della particolare procedura prevista per il riesame dei

provvedimenti restrittivi, caratterizzata essenzialmente dalla sem

plificazione delle forme e dalla fissazione di brevi termini peren tori (Cass. 5 dicembre 1983, Viola; 24 marzo 1983, Saya; 23

marzo 1983, Chessa; 4 febbraio 1983, Lo Iacono; 20 dicembre

1982, Liurni, id., Rep. 1983, voce Libertà personale dell'imputato, n. 151; 3 maggio 1983, Magni; 22 marzo 1983, Tomasello).

l'attribuzione al pubblico ministero, in caso di revoca del mandato di

cattura, di un gravame di merito, oltre quello di legittimità, di cui soltanto può usufruire l'imputato nell'ipotesi di provvedimento a lui

sfavorevole, pone quest'ultimo in una situazione deteriore rispetto al

primo. Circa il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui

l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca del mandato di cattura è impugnabile dall'imputato solo con ricorso per cassazione, v. Cass. 28

gennaio 1984, Genghini, Giust. pen., 1984, HI, 385; 26 ottobre 1983, Mastrangeli, ibid., 713; 12 luglio 1983, Lo iPrete, ibid., 187; 9 novembre 1981, iPult, Foro it., Rep. 1983, voce Libertà personale dell'imputato, n. 113.

Libertà personale dell'imputato — Provvedimenti istruttori sulla

libertà personale — Impugnazioni — Appello — Tribunale

della libertà — Parere del p.m. — Acquisizione — Necessità

(Cod. proc. pen., art. 76, 185, 263, 272 bis, 281; 1. 12 agosto 1982 n. 532, disposizioni in materia di riesame di provvedimen ti restrittivi della libertà personale e dei provvedimenti di

sequestro. Misure alternative alla carcerazione preventiva, art.

6, 13, 16; 1. 28 luglio 1984 n. 398, nuove norme relative alla

diminuzione dei termini di carcerazione cautelare e alla conces

sione della libertà provvisoria, art. 18).

Impugnazioni penali — Provvedimenti impugnabili o inoppugna bili — Diniego di proscioglimento per impromovibilità dell'azio

ne penale — Impugnazione — Inammissibilità (Cod. pen., art. 6, 10; cod. proc. pen., art. 190).

Libertà personale dell'imputato — Imputato latitante — Man

dato di cattura — Revoca — Diniego — Appello — Esclu

sione — Questione non manifestamente infondata di costituzio

nalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 263; 1. 12 agosto 1982 n. 532, art. 6; 1. 28 luglio 1984 n. 398, art. 18).

Il c.d. tribunale della libertà, prima di provvedere sull'appello avverso ordinanza istruttoria in tema di libertà personale, deve acquisire il parere del p.m. (1)

È inoppugnabile il provvedimento del giudice istruttore che

rigetta la richiesta di non doversi procedere per impromovi bilità dell'azione penale. (2)

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.p.p, come modificato dall'art. 6 l. 12 agosto 1982 n. 532 e successivamente dall'art.

18 l. 28 luglio 1984 n. 398, nella parte in cui non riconosce

all'imputato latitante il diritto di proporre appello contro l'ordi

nanza del giudice istruttore con la quale è stata respinta l'istanza di revoca del mandato di cattura, in riferimento agli art. 3 e 24, 2" comma, Cost. (3)

(1) Nel caso di appello dell'imputato avverso l'ordinanza, a lui

sfavorevole, del giudice istruttore in tema di libertà personale (scarce razione, per insufficienza di indizi e per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, e libertà provvisoria) la giurisprudenza ha sempre pacificamente ritenuto necessaria la preventiva acquisizione del parere del p.m.; si è manifestato, invece, un constrasto per l'ipotesi in cui appellante sia lo stesso p.m.: v., per i due diversi

orientamenti, Cass. 14 marzo 1984, Antonov, e 10 gennaio 1984,

Rizzoli, Foro it., 1984, II, 297, con nota di richiami. Il contrasto, come auspicato in detta nota, è stato risolto dalle sezioni unite: con

quattro sentenze pronunciate all'udienza del 30 giugno 1984 (ric. Fazio, Vespoli, Rusconi e Carboni), delle quali, peraltro, non è ancora nota la decisione (febbraio 1985), è stato ritenuto sempre necessario il parere del p.m.

(2) In senso conforme, con riferimento ad analoga ordinanza istruttoria di rigetto della richiesta di declaratoria di non doversi iniziare l'azione penale per difetto di giurisdizione, v. Cass. 4 giugno 1984, Marcinkus, Foro it. 1984, II, 481, con nota di richiami, cui

adde, nella fattispecie ivi indicata le decisioni citate in motivazione.

(3) È la settima volta che la Corte di cassazione solleva dubbi circa la legittimità costituzionale dall'art. 263, 2° comma, c.p.p.: l'intervento dai giudici dalla Consulta è stato sollecitato con ordinan za in pari data pronunciata nei confronti dello stesso imputato nel corso del medesimo procedimento e con altre cinque anteriori ( 12

gennaio 1985, Iacomino; 12 gennaio 1985, Sacco; 26 novembre 1984, Avagliano; 24 novembre 1984, Pujia; 13 luglio 1984, Terruzzi); la

questione è stata rimessa alla Corte costituzionale anche da Trib. Roma 22 luglio 1983, Giust. pen., 1984, III, 41, con nota di Gaito, In tema di appellabilità del provvedimento di risetto dell'istanza di revoca del mandato od ordine di cattura da parte dell'imputato latitante; 7 ottobre 1983, Foro it., 1984, II, 73 con nota di richiami. Per

fattispecie simili v. le decisioni, dei giudici costituzionali e della

Cassazione, richiamate in motivazione. Se la Corte costituzionale riterrà l'art. 263, 2° comma, c.p.p. in

contrasto con i parametri previsti dagli art. 3 e 24, 2° comma, Cost, sarà compiuto un ulteriore passo verso l'attuazione del principio della

egalité des armes — inteso come tutela della posizione di eguaglianza che, nel corso del procedimento, deve sempre sussistere tra l'imputato e la sua difesa, da una parte, e la pubblica accusa, dall'altra (Cass. 17 dicembre 1981, Iaglietti, Cass. pen., 1984, 1454, con nota di

Striani, Diritti dell'uomo: finalmente riconosciuti?) — compreso nella nozione di processo equo (v. Corte europea dei diritti dell'uomo 27 giungo 1968, caso Neumeister, Foro it., 1968, IV, 89) di cui all'art.

6, par. 1, della convenzione europea dei diritti dell'uomo, fir mata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con 1. 4 agosto 1955 n. 848. Non è, invero, revocabile in dubbio che

Il Foro Italiano — 1985 — Parte II-8.

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PARTE SECONDA

È pur vero che con una recente sentenza 14 marzo 1984, Antonov (id., 1984, II, 297) questa corte ha espresso l'avviso che il

parere previsto dall'art. 76 c.p.p. non sia necessario ove l'appel lante sia lo stesso pubblico ministero, ma nella specie l'appello è

stato proposto dall'imputato e in tale ipotesi anche la predetta sentenza ha ribadito la necessità della partecipazione del pubblico ministero alla formazione del convincimento del giudice, parteci

pazione che nel caso in esame è mancata.

L'impugnata ordinanza dovrebbe, quindi, essere annullata con

rinvio, a norma dell'art. 543, n. 1, c.p.p., essendo il giudice a

quo tenuto a procedere a nuovo esame dopo aver acquisito il

parere del pubblico ministero o comunque dopo aver trasmesso gli atti a tale organo per le sue conclusioni.

Nella specie, però, il rinvio sarebbe superfluo, in quanto, a

seguito di esso, il giudice di secondo grado non potrebbe che

emettere una nuova declaratoria di inammissibilità dell'appello; declaratoria che può essere emessa, ai sensi dell'art. 539, n. 9,

c.p.p., da questa corte nei limiti della propria competenza (giacché l'inammissibilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio), senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto.

Al riguardo va osservato che le ragioni della inammissibilità coincidono solo in parte con quelle esposte nell'ordinanza impu

gnata. In particolare non ha rilievo che l'appello si fondi su

censure analoghe a quelle fatte valere in sede di riesame, giacché il tribunale, in tale sede, è vincolato all'apprezzamento del quadro indiziario esistente nel momento genetico della custodia preventiva e non può esercitare poteri istruttori né procedere a supplementi di indagine, mentre in sede di appello non è soggetto a tali limiti.

Vero è, invece, che il provvedimento del giudice istruttore è

assolutamente inoppugnabile nella parte relativa al diniego di

proscioglimento per impromovibilità dell'azione penale, trattandosi, per tale parte, di ordinanza istruttoria che riafferma la giurisdi zione del giudice italiano e per la quale la legge non prevede alcun autonomo mezzo di impugnazione. Né è possibile assimilare il provvedimento in questione a una sentenza, poiché l'accerta mento positivo dell'esistenza della giurisdizione del giudice italia

no non esaurisce il rapporto processuale, ma, al contrario, ne

consente la prosecuzione e lo sviluppo verso le fasi e i gradi successivi.

Analogamente, proprio perché non definiscono il procedimento, hanno natura di ordinanze (e sono quindi inoppugnabili, anche ai

sensi dell'art. Ill Cost.) i provvedimenti emessi nella fase istrutto

ria che respingono la richiesta di applicazione dell'aministia

(Cass. 8 febbraio 1947, Mazzucchelli, id., 1947, II, 65; 14

febbraio 1950, Della Donna), mentre, per il motivo opposto, hanno valore di sentenza (e sono pertanto impugnabili) i provve dimenti decisori di rinuncia alla giurisdizione italiana in favore

di quella straniera (10 febbraio 1957, Schulthies, id., 1958, II,

119) e quelli che dichiarano non perseguibile un reato commesso

all'estero con la formula « non doversi procedere per difetto di

giurisdizione » (23 ottobre 1958, Sereni, id., Rep. 1959, voce

Impugnazioni penali, nn. 34-38). Quanto al diniego di revoca del mandato di cattura e al

diniego di sospensione dell'esercizio dell'azione penale ai sensi

dell'art. 19 c.p.p., l'ordinanza del giudice istruttore era soggetta non ad appello ma esclusivamente a ricorso per cassazione, tale

essendo, anche secondo la disciplina introdotta dalla 1. 12 agosto 1982 n. 532 (e successivamente dalla 1. 28 luglio 1984 n. 398),

l'unico mezzo di gravame concesso all'imputato contro siffatti

provvedimenti, nel caso di mancata esecuzione del mandato di

cattura (Cass. 12 luglio 1983, Lo Prete e, da ultimo, 28 gennaio

1984, Genghini).

Né è sostenibile la tesi della convertibilità dell'appello in

ricorso; nella specie, infatti, risulta accertata in concreto la

volontà della parte di avvalersi del mezzo non consentito. Come è

stato più volte affermato da questa Suprema corte, la conversione

del mezzo erroneamente proposto in quello previsto dalla legge è

esclusa allorché l'impugnante, in sede di ricorso contro l'ordinanza

di inammissibilità, torni a sostenere, come nella specie, l'esperibili tà del mezzo di cui si era avvalso, dimostrando cosi di averlo

utilizzato deliberatamente e non per errore (Cass. 14 giugno 1983,

Versace; 8 ottobre 1981, Vantaggini, id., Rep. 1982, voce cit.,

n. 19; 30 gennaio 1978, Segapeli, id., Rep. 1978, voce cit., n. 114).

Va però rilevato, che con una recente decisione (Cass. 13

luglio 1984 n. 1435, Terruzzi) questa corte ha dichiarato non

manifestamente infondata, in rapporto agli art. 3 e 24 Cost., la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, 2° comma,

c.p.p. nella parte in cui, anche secondo il testo introdotto dall'art.

6 1. 12 agosto 1982 n. 532, non riconosce all'imputato il diritto di

Il Foro Italiano — 1985.

proporre appello contro l'ordinanza del giudice istruttore con la

quale è stata respinta l'istanza di revoca del mandato di cattura.

Al riguardo è stato osservato che non trova giustificazione la

disparità di trattamento sancita dall'articolo in questione tra

imputato e pubblico ministero. Infatti, mentre per quest'ultimo è

prevista la possibilità di ottenere dal tribunale un controllo di

merito sull'ordinanza con cui il giudice istruttore abbia respinto la

sua richiesta di emettere un mandato di cattura o abbia revocato

un mandato già emesso, nulla è invece previsto circa il potere

dell'imputato di ottenere un analogo controllo sull'ordinanza di

diniego di revoca del mandato di cattura, per il caso che siano

venute meno successivamente le condizioni sulle quali il mandato

era stato fondato.

D'altra parte, mentre l'imputato detenuto, a norma dell'art. 272

bis c.p.p., può ugualmente proporre appello contro il provvedi mento negativo in tema di scarcercazione, emesso in fase istrutto

ria, l'imputato latitante è invece impossibilitato ad ottenere il

riesame dell'ordinanza che ha negato la revoca da lui chiesta, se

non attraverso il ricorso per cassazione previsto dagli art. Ili

Cost, e 190, 2° comma, c.p.p., rimedio che, comunque, lo priva del grado di impugnazione nel merito, consentito invece al

pubblico ministero e all'imputato detenuto.

Orbene, nessuna apprezzabile differenza sembra sussistere tra il

latitante e il detenuto rispetto all'interesse ad ottenere il ripristino dello stato di libertà, anche sul piano formale, una volta che

siano venute meno le condizioni legittimatrici del provvedimento di cattura, per cui non si comprende la minore tutela accordata

all'interesse del latitante in fase di impugnazione. Peraltro le superiori considerazioni rimangono valide anche

dopo l'ulteriore modifica dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., disposta dall'art. 18 1. 28 luglio 1984 n. 398, poiché la nuova normativa,

sopravvenuta alla proposizione del ricorso, non ha inciso sulla

titolarità del diritto di appello nella materia di cui si tratta. Esse,

inoltre, trovano ampio riscontro nella giurisprudenza della Corte

costituzionale concernente l'equilibrio del contraddittorio tra accu

sa e difesa.

È stato, infatti, più volte deciso che la soppressione di un

modo generale di esercizio della difesa quale il gravame di

merito, disposta dalla legge ordinaria nei confronti del solo

imputato, viola gli art. 3 e 24 Cost, quando si riferisce a una

pronuncia che, sebbene negatoria dell'azione penale, sia idonea a

produrre effetti pregiudizievoli in altri giudizi civili e amministra

tivi. Per tale ragione sono stati dichiarati illegittimi, in relazione

alle citate norme costituzionali, gli art. 512, n. 2, e 513, n. 2,

c.p.p. nella parte in cui escludono il diritto dell'imputato di

proporre appello contro la sentenza di primo grado che l'abbia

prosciolto per amnistia a seguito del giudizio di comparazione tra

aggravanti e attenuanti (Corte cost. 25 marzo 1975, n. 70, id.,

1975, I, 1052 e 5 giugno 1978, n. 73, id., 1978, I, 1337), ovvero

per prescrizione a seguito della concessione di attenuanti (Corte

cost. 16 luglio 1979, n. 72, id., 1979, II, 2182) o, ancora, per

amnistia a seguito di diversa definizione giuridica del fatto (Corte

cost. 7 aprile 1981, n. 53, id., 1981, I, 1482). Da ultimo, sempre

per la ragione indicata, ed anche con riguardo al pregiudizio morale che l'imputato può subire in seguito al proscioglimento per amnistia o per prescrizione del reato, sono stati dichiarati costitu

zionalmente illegittimi gli art. 387, 3° comma, 399, 1° comma,

512, n. 2, e 513, n. 2, c.p.p. (questi ultimi nel testo sostituito

dagli art. 134 e 135 1. 24 novembre 1981 n. 689) nella parte in cui

escludono il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei

limiti di cui all'art. 152, 2° comma, c.p.p., contro la sentenza

istruttoria o dibattimentale di primo grado che lo abbia prosciolto

per estinzione del reato a seguito di amnistia o prescrizione

(Corte cost. 21 luglio 1983, n. 224, id., 1984, I, 925). Ora il diniego di revoca del mandato di cattura va ben oltre il

pregiudizio di ordine soltanto morale o l'efficacia pregiudizievole in altri giudizi civili e amministrativi; esso incide in maniera

diretta e rilevante sul bene primario della libertà personale, sicché

appare per lo meno dubbia la costituzionalità della norma che, in

questa materia, esclude per l'imputato un mezzo di gravame consentito invece al pubblico ministero. E può ricordarsi che

proprio in base a tale rilievo questa Suprema corte ha ritenuto

non manifestamente infondata, in rapporto agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 647, 2° comma,

c.p.p. nella parte in cui consente solo al pubblico ministero e non anche all'interessato di proporre i gravami specifici del processo di sicurezza contro i provvedimenti pronunciati dal magistrato di

sorveglianza a norma del 1° comma dello stesso articolo (Cass. 13

maggio 1983, Riccardo, id., 1984, II, 355). Ed è altresì da

rammentare che identico giudizio di legittimità costituzionale pro

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GIURISPRUDENZA PENALE

mosso con ordinanza del 20 dicembre 1977 della sezione istrutto ria di Bologna si concluse con una dichiarazione di inammissibili

tà per difetto di rilevanza, per essere stata la norma denunciata in un caso in cui, trattandosi di imputato detenuto in esecuzione di mandato di cattura, si rendeva applicabile l'art. 272 bis c.p.p. (Corte cost. 10 maggio 1979, n. 21, id., 1979, I, 1624); precedente che non è ostativo al riesame della questione, vertendosi, nel caso che ne occupa, in tema di mandato di cattura rimasto ineseguito.

Si ripropone, pertanto, nella presente fattispecie, la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 263, 2° comma, c.p.p., nella

parte in cui, anche nella nuova formulazione introdotta dall'art. 6

1. 12 agosto 1982 n. 532 e ulteriormente modificata dall'art. 18 1.

28 luglio 1984 n. 398, non riconosce all'imputato il diritto di

proporre appello contro l'ordinanza del giudice istruttore con la

quale è stata respinta l'istanza di revoca del mandato di cattura e

ciò per probabile contrasto con gli art. 3 e 24 Cost.

La questione, per le ragioni sopra esposte, non può considerarsi

manifestamente infondata; ed è rilevante poiché dall'esito di essa

dipende se l'ordinanza impugnata, nella parte in cui ha pronun ciato sull'appello contro il diniego di revoca del mandato di

cattura e contro il diniego di sospensione ai sensi dell'art. 19

c.p.p. (appello non convertibile in ricorso per le ragioni suindica

te), debba essere annullata senza rinvio (come sarebbe imposto dalla normativa attualmente in vigore) ovvero debba essere annul

lata con rinvio per la rilevata inosservanza dell'art. 76 c.p.p., con

conseguente nuovo esame del merito da parte del giudice di

appello.

Va, infine, osservato che, poiché la eventuale sospensione del

procedimento penale per bancarotta a seguito di opposizione alla

sentenza dichiarativa di fallimento comporta la revoca del manda

to di cattura non eseguito o, se eseguito, la scarcerazione

dell'imputato ex art. 269 c.p.p. (Cass. 20 ottobre 1982, Maiocco,

id., Rep. 1983, voce Libertà personale dall'imputato, n. 179; 20

settembre 1968, Lampugnani, id., Rep. 1969, voce cit., n. 39; 15

dicembre 1964, Russo, id., Rep. 1965, voce cit., nn. 84-87), il

diniego di sospensione ai sensi dell'art. 19 c.p.p. è, nel caso di

specie, impugnabile appunto in quanto comporta il diniego di

revoca del mandato di cattura.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 2 maggio

1984; Pres. Barba, Est. Piccininni, P.M.- (conci, diff.) ; imp. Giordano. Conflitto di competenza.

Competenza e giurisdizione penale — Procedimenti riguardanti

magistrati — Magistrato danneggiato — Spostamento della

competenza territoriale — Esclusione — Fattispecie (Cod. proc.

pen., art. 41 bis).

Non si verifica lo spostamento della competenza territoriale nel

caso di procedimento in cui il magistrato assume la qualità di

danneggiato e non quella di persona offesa dal reato (nella

specie, rispetto al reato di millantato credito del patrocinatore, il magistrato è stato ritenuto danneggiato e non persona

offesa). (1)

(1) Nel senso, conforme alla massima, che nel concetto di persona offesa non può comprendersi quello, tecnicamente diverso, di dan

neggiato, provvedendo in tal caso gli istituti dell'astensione e della

ricusazione, v. Trib. Perugia 16 aprile 1984, pres. Orlando, est.

Goretti, inedita; Cass. 6 giugno 1980, Coperchini, Foro it., Rep. 1981, voce Rimessione di procedimenti, n. 7; 9 febbraio 1976, Istanza, id., Rep. 1976, voce cit., n. 23. Al contrario, secondo la giurisprudenza sinora prevalente (Cass. 19 giugno 1978, Cerutti, id., Rep. 1979, voce cit., n. 14; 21 gennaio 1975, Palma, id., Rep. 1976, voce cit., n. 24, riguardante una fattispecie di millantato credito; 2 febbraio 1971, Pasa, id., Rep. 1971, voce cit., nn. 5, 6, riguardante lo stesso reato; 1° dicembre 1970, Paolantoni, ibid., n. 11) attesa la ratio legis dell'art. 60 c.p.p., che è quella di evitare il sospetto che nel giudizio possa aver influenza il rapporto di colleganza dei giudici con l'interessato, accentuato dalla medesimezza dell'ufficio, deve farsi luogo alla ri messione del procedimento, non soltanto quando il magistrato è offeso dal reato in senso tecnico, quale titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale, ma anche allorché sia danneggiato dal reato e

perciò legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale. Sull'art. 41 bis c.p.p. v., da ultimo, Corte cost. 30 luglio 1984, n. 232,

id., 1984, il, 2656, con nota di richiami, che ha dichiarato inammis sibile la questione di costituzionalità di tale disposizione, nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale anche nell'ipotesi di reato commesso da pretori o in loro danno, attribuito alla competenza ordinaria del tribunale nella cui circoscrizione è

Il Foro Italiano — 1985.

Con sentenza 7 giugno 1983 il g.i. del Tribunale di Venezia

dichiarava la propria incompetenza per territorio in ordine al

procedimento penale a carico di Mario Giordano, « imputato del

delitto di cui agli art. 382, 81 c.p. perché nella qualità di

difensore, millantando credito presso alcuni magistrati della procu ra e del Tribunale di Trieste con particolare riguardo al sostituto

procuratore della repubblica dott. Coassin, negli anni 1981-1982 e

sino al marzo 1983, riceveva o si faceva promettere da diversi

clienti somme anche ingenti di denaro, col pretesto di dover

remunerare o, comunque, di doversi procurare i favori dei

predetti magistrati »; riteneva inapplicabile il disposto dell'art. 41

compreso il mandamento in cui il pretore, imputato o parte lesa, esercita le sue funzioni.

In dottrina, nello stesso senso della massima, Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, 1968, II, 106; Sabatini, Trattato dei procedimenti incidentali nel processo penale, 1953, 185; Vannini, Manuale di diritto processuale penale italiano, 1953, 90. In senso

contrario, G. Leone, Trattato di diritto processuale penale, 1961, I, 379 e sia pure con qualche perplessità, Scaparone, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1963, 947. Sull'art. 41 bis c.p.p. v. Rubiola, id., 1981, 644.

La sentenza che si riporta sembra voler giustificare il dissenso, rispetto alla giurisprudenza prevalente nel vigore dell'art. 60 c.p.p., col rilievo che l'art. 41 bis c.p.p. — aggiunto con la 1. 22 dicembre 1980 n. 879 che ha abrogato l'art. 60 c.p.p. — non contiene « una

modifica meramente formale » della normativa previgente sulla com

petenza per i procedimenti riguardanti magistrati. In verità, per quanto interessa, le differenze sono scarsamente significative. Infatti, mentre l'art. 60 c.p.p. usava la dizione « offeso da un reato », nell'art. 41 bis figura quella quasi identica di « persona offesa dal reato ». Né

può argomentarsi dal rilievo che nell'art. 41 bis più non figura la norma contenuta nel 2° comma dell'art. 60, nella quale era regolata l'ipotesi di reati di competenza del pretore commessi da un magistra to « o da altri in suo danno ». Infatti, la mancata riproduzione di una disposizione ad hoc per i pretori trova la sua giustificazione, non certo nell'intento di evitare interpretazioni estensive del concetto di offeso dal reato, sebbene nella scelta del legislatore del 1980 di adottare in ordine alla competenza per i procedimenti riguardanti pretori. Potrebbe, invece addursi il seguente argomento: il legislatore magistrati una disciplina comune, senza norme particolari per i del 1980 doveva essere a conoscenza dell'orientamento giurispruden ziale prevalente volto ad intepretare l'art. 60 c.p.p. nel senso estensivo di comprendere nella nozione di offeso dal reato anche quella di

danneggiato, perciò l'uso nell'art. 41 bis della dizione « qualità di

persona, offesa dal reato » senza alcun riferimento al magistrato danneggiato, denota l'intendimento di evitare interpretazioni estensive, limitando l'operatività della norma predetta alla persona offesa in senso tecnico. Ma, in difetto di delucidazioni desumibili dai lavori preparatori della 1. n. 879/80, è tutto da dimostrare che nell'art. 41 bis c.p.p. la dizione «persona offesa dal reato» sia stata usata in senso strettamente tecnico-giuridico, proprio al fine di evitare il perdurare delle precedenti interpretazioni estensive volte ad estendere la disciplina derogatoria anche nel caso di magistrato danneggiato. D'altro canto, autorevole dottrina (Levi, La parte civile nel processo penale italiano, 1936, 106), in epoca non ancora affetta da prolifera zione legislativa, rilevava lo scarso rigore con cui la legge suole far uso di formule come persona offesa o danneggiato dal reato. In verità, come riconosce la stessa sentenza in epigrafe, le ragioni dell'orientamento giurisprudenziale prevalente nel vigore dell'art. 60 c.p.p. sono tuttora valide, dato che anche l'art. 41 bis è ispirato alla ratio di assicurare Un processo scevro da ogni sospetto di favoriti smo: iudex suspectus per colleganza rafforzata dall'appartenenza allo stesso ufficio giudiziario. E sotto questo profilo, non sembra logico, né conforme al senso comune ritenere operante lo spostamento della competenza territoriale ai sensi dell'art. 41 bis qualora il magistrato sia persona offesa di un furto, magari di valore lievissimo, ed escludere l'applicabilità della norma predetta nel caso di magistrato, danneggiato e non persona offesa, il quale si sia costituito parte civile per l'omicidio doloso, preterintenzionale o colposo di un prossimo congiunto. Non senza aggiungere che, anche a voler restare stretta mente aderenti alla nozione tecnico-giuridica di persona offesa dal

reato, quale titolare dell'interesse o bene giuridico la cui lesione costituice l'essenza del reato (Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, 1980, 147, ss.), restano da risolvere difficili problemi di identificazione del soggetto passivo specie in relazione ai numerosi reati c.d. plurioffensivi, come la calunnia. In conclusione, sembre rebbe auspicabile una riformulazione dell'art. 41 bis c.p.p., che elimini qualsiasi incertezza interpretativa, estendendo l'operatività della nor ma almeno ai casi in cui il magistrato danneggiato, ma non persona offesa dal reato, si sia costituito parte civile. Nel frattempo, la vexata quaestio dovrebbe essere risolta, in un senso o nell'altro, dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione, con l'auspicio, per la certezza del diritto, che le sezioni semplici della stessa corte non perpetuino l'attuale contrasto giurisprudenziale.

M. Boschi

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