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Sezione V penale; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Gallo, Est. Catalano, P. M. Ciani (concl. conf.);...

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Sezione V penale; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Gallo, Est. Catalano, P. M. Ciani (concl. conf.); ric. Genghini. Conferma Trib. Roma, ord. 15 febbraio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 5/6-9/10 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176869 . Accessed: 28/06/2014 16:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.46 on Sat, 28 Jun 2014 16:38:35 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione V penale; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Gallo, Est. Catalano, P. M. Ciani (concl.conf.); ric. Genghini. Conferma Trib. Roma, ord. 15 febbraio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 5/6-9/10Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176869 .

Accessed: 28/06/2014 16:38

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GIURISPRUDENZA PENALE

minimamente né di sottrarsi con la fuga al giudizio né di ren

dere più difficile l'acquisizione delle prove. Il richiedere che con

corra con un motivo di garanzia processuale anche il motivo di

pericolosità per la collettività sarebbe perciò illogico e chiara

mente contrastante con le finalità, di duplice natura, che si sono

volute attribuire alla coercizione personale. Si deve di conse

guenza concludere che ragioni processuali e ragioni di tutela della

collettività dalla pericolosità sociale non devono considerarsi cu

mulative ma alternative. Da ciò consegue che la motivazione del

provvedimento di cattura facoltativo non deve necessariamente

riferirsi in modo specifico a tutti i criteri dell'art. 254, 2° comma, nella nuova formulazione ma può limitarsi a richiamare, purché in forma non apodittica, quello ritenuto rilevante e cioè rivela

tore del periculum libertatis, come tale idoneo a giustificare la mi

sura adottata.

Nel caso concreto, di fronte a un ordine di cattura sufficientemen

te motivato attraverso il richiamo non apodittico della gravità dei

fatti, si pone una ordinanza del tribunale che, sull'erroneo presuppo sto dell'obbligatorietà della cattura, non ha proceduto al riesame

dell'opportunità del provvedimento. L'annullamento dell'ordinanza deve allora essere pronunciato

con rinvio per la considerazione decisiva che il primo atto della

fattispecie complessa, costituita dal provvedimento restrittivo, e

dall'ordinanza di riesame, appare — ad una indagine di mera le

gittimità "— conforme a corretti criteri logico-giuridici. La diffor

mità, rispetto ad essi, della sola ordinanza di riesame importa la

reiterazione di quest'ultima pronuncia ma non anche la caduca

zione del titolo di custodia non potendosi in questa sede conclu

dere — in presenza di una motivazione immune da vizi ed in

difetto di poteri di cognizione nel merito — che il potere di

restrizione della libertà personale sia stato nella specie esercitato

illegittimamente.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione V penale; sentenza 19 no

vembre 1982; Pres. Gallo, Est. Catalano, P.M. Ciani (conci,

conf.); ric. Genghini. Conferma Trib. Roma, ord. 15 febbraio 1982.

Bancarotta e reati fallimentari — Dichiarazione di insolvenza —

Impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria con au

torizzazione a continuare l'esercizio dell'attività produttiva —

Responsabilità penale dell'imprenditore — Configurabilità —

Fattispecie (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimen

to. art. 216, 217, 218,"219, 223, 224, 225; d.l. 30 gennaio 1979

n. 26, provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordina

ria delle grandi imprese in crisi, art. 1, 4; 1. 3 aprile 1979 n.

95, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. unico; 1. 13 agosto 1980 n. 445, interpretazione autentica del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. unico).

Bancarotta e reati fallimentari — Impresa individuale sottoposta ad amministrazione straordinaria — Responsabilità penale del

l'imprenditore — Confìgurabilità (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 195, 203, 216, 217, 218, 223, 224, 225; d.l. 30 gennaio 1979

n. 26, art. 1, 4; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. unico; 1. 13 agosto 1980 n. 445, art. unico).

Risponde dei reali di bancarotta l'imprenditore (o gli altri sog getti indicati dalla legge fallimentare) dichiarato insolvente, an corché l'impresa o le imprese a lui facenti capo siano state

sottoposte ad amministrazione straordinaria con autorizzazione a continuare l'esercizio dell'attività produttiva (nella specie, la

corte, ritenuto configurabile il reato di bancarotta fraudolenta nei confronti del costruttore romano Genghini, ha confermato l'ordine di cattura emesso su tale presupposto). (1)

(1) Non risultano precedenti. Per qualche riferimento in dottrina, v. Bonsignori, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1980, 158. Sulla equiparazione dell'amministrazione straordinaria alla liquidazione coatta amministrativa, v. Cass. 14

aprile 1982, n. 2232, Foro it., 1982, I, 2519, con nota di A. Proto Pi sani. Nel senso che è assoggettabile alla procedura di amministra zione straordinaria l'impresa individuale che, esercitando un diretto controllo su altre società già tutte sottoposte alla procedura di am ministrazione straordinaria, faccia parte dello stesso gruppo, v. App. Roma 4 febbraio 1981, id., 1981, I, 517, con nota di richiami; la

decisione è annotata da Scalera, in Dir. fallim., 1981, II, 141 e da

DAlessandro, in Giust. civ., 1981, I, 3020. Sulla vicenda Genghini, v., altresì, App. Roma 17 luglio 1980, Fo

ro it., 1980, I, 2005; Trib. Roma 29 luglio 1981, id., Rep. 1981, voce

Liquidazione coatta amministrativa, n. 83; Trib. Roma 6 dicembre

1980, id., 1981, I, 1189; Trib. Roma 25 giugno 1980, id., 1980, 1,

2005, con nota di richiami.

È configuratile la responsabilità penale dell'imprenditore indivi

duale per fatti di bancarotta commessi prima del decreto che

dispone l'amministrazione straordinaria. (2)

Con atto del 14 settembre 1981 i difensori di Genghini Mario, sottfattosi volontariamente all'ordine di cattura emesso dal procu ratore della repubblica di Roma il 22 aprile 1981, chiedevano al

giudice istruttore presso il tribunale la revoca del provvedimento restrittivo e, in subordine, la sospensione dell'esecuzione del prov vedimento medesimo.

L'ordine di cattura era stato emesso nei confronti del Genghi ni, quale titolare dell'impresa Mario Genghini e presidente del

consiglio di amministrazione della s.p.a. Genghini, dichiarate fal

lite il 25 giugno 1980 e sottoposte ad amministrazione straordina ria con decreti ministeriali del 19 settembre 1980, e del 20 marzo

1981, per varie ipotesi di bancarotta fraudolenta e costituzione all'estero di disponibilità valutarie.

Il giudice istruttore, con ordinanza del 15 febbraio 1982, respin geva le suindicate istanze e il difensore dell'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi, illustrati con memoria. (Omissis)

Col terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della legge sostantiva per il difetto di un elemento costitutivo del delitto di bancarotta e cioè lo stato di fallito o lo stato di insolvenza.

Assume, al riguardo, il ricorrente che, essendo state le imprese fa centi capo al Genghini ammesse alla procedura di amministra zione straordinaria prevista dal d. 1. 30 gennaio 1979 n. 26, con vertito con modificazioni nella 1. 3 aprile 1979 n. 95, ed essendo stata autorizzata la continuazione dell'esercizio dell'impresa, la

procedura concorsuale condizionante gli effetti penali doveva ri tenersi sospesa. Ed invero, secondo le prospettazioni del ricor

rente, una volta che la gestione coatta abbia assunto i caratteri di una gestione di salvataggio, verrebbe ad instaurarsi una proce dura autonoma, avente una propria disciplina normativa e fun

zionante da condizione sospensiva al sorgere della liquidazione coatta, onde, rimanendo la procedura concorsuale liquidatoria so

spesa, il presupposto costitutivo dei reati di bancarotta (e cioè lo

stato di insolvenza) verrebbe eventualmente a determinarsi solo

all'esito dell'esperimento di continuazione.

La censura è infondata. Va premesso, in relazione alle suindi

cate vicende del processo di impugnazione dell'ordine di cattura, che se, da un lato, gli effetti formali del provvedimento restritti

vo della libertà personale si esauriscono con la inutile scadenza

del termine per la proposizione della impugnazione o con la de

cisione di essa, onde i vizi formali del provvedimento non pos sono essere fatti valere oltre quel termine o al di fuori di quel procedimento incidentale, dall'altro, deve ritenersi che, anche in sede di istanza di revoca del provvedimento restrittivo e di suc

cessivo gravame contro il diniego di revoca, possa essere de

dotta la difformità palese tra fattispecie concreta e fattispecie le

gale ipotizzata, difformità che attiene alle condizioni di legitti mazione del provvedimento incidente sulla libertà personale. Pe

raltro, in materia di provvedimenti relativi alla libertà personale

dell'imputato, gli effetti preclusivi, che normalmente investono

sia il dedotto che il deducibile, operano con modalità del tutto

peculiari, poiché essi devono essere armonizzati con l'esigenza

(2) Anche per quel che concerne la seconda massima non costano precedenti editi in termini.

In dottrina prevale, invece, l'opinione contraria segnalandosi gene ralmente l'impossibilità di colpire, in caso di liquidazione coatta am ministrativa l'imprenditore individuale che abbia commesso fatti di bancarotta: ciò in quanto l'art. 203 1. fall, si riferisce espressamente soltanto a « i soci a responsabilità illimitata, gli amministratori, i diret tori generali, i liquidatori e i componenti degli organi di vigilanza »

quali potenziali soggetti attivi dei reati applicabili nell'ambito della

predetta procedura concorsuale. L'eventuale estensione della fattispe cie incriminatrice anche all'imprenditore individuale viene considera

ta, pertanto, frutto di un'interpretazione analogica vietata, nel caso

in esame, per il suo evidente esito in malam partem (cosi, espressa

mente, Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari,

Milano, 1979, 219; nonché, in senso analogo, Conti, Diritto penale commerciale, Torino, 1967, II, 437).

Il vuoto di tutela penale verrebbe quindi riprodotto, seguendo l'o rientamento dottrinale dominante, anche nell'ambito della nuova pro cedura concorsuale dell'* amministrazione straordinaria », in cui ef fetti penali sono regolamentati — abusandosi, ancora una volta, di

un sistema di normazione fortemente criticato (vedi, per tutti, Mari

nucci-Romano, Tecniche normative nella repressione penale degli abusi degli amministratori di società per azioni, in AA.VV., Il diritto

panale delle società commerciali, Milano, 1971, 107) — attraverso la tecnica del rinvio: richiamando, oltretutto, l'art. 1 1. 3 aprile 1979 n. 95, le disposizioni penali in tema di liquidazione coatta ammini

strativa, pur essendo abbastanza noti i difetti di tale normativa.

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PARTE SECONDA

di realizzare un costante adeguamento alla situazione di diritto

dello stato di privazione della libertà personale dell'imputato.

Orbene, posto che può accedersi all'esame della censura, va ri

levato che con d. 1. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito con vaste mo

dificazioni nella 1. 3 aprile 1979 n. 95 e successivamente integrato con 1. 13 agosto 1980 n. 445 e 31 marzo 1982 n. 118, è stato in

trodotto nell'ordinamento l'istituto dell'amministrazione straordi

naria delle grandi imprese in crisi. Trattasi, per quanto qui inte

ressa, di una procedura sostitutiva del fallimento alla quale sono

soggette le imprese di cui al 1° comma dell'art. 1 r. d. 16 marzo

1942 n. 267 (e cioè le imprese commerciali, individuali e collet

tive, con esclusione degli enti pubblici e dei piccoli imprenditori),

qualora abbiano, da almeno un anno, un determinato numero di

addetti e presentino una particolare esposizione debitoria verso

aziende di credito, istituti speciali di credito ed istituti di previ denza ed assistenza sociale (art. 1, 1° comma). La procedura è

disposta dall'autorità amministrativa quando sia stato accertato

giudiziariamente, ai sensi degli art. 5 e 195 1. fall., lo stato di in

solvenza dell'impresa ovvero l'omesso pagamento di almeno tre

mensilità di retribuzione (art. 1, 4° comma), si attua ad opera di

uno o tre commissari ed è disciplinata, in quanto non diversa

mente stabilito con la legge in esame, dagli art. 195 ss. e

dall'art. 237 1. fall. (art. 1, 5° comma). Il provvedimento che dispo ne l'amministrazione straordinaria è equiparato, a tutti gli effetti

stabiliti dalla legge fallimentare, al decreto che ordina la liquida

zione coatta amministrativa (art. 1, 5° comma). Con tale provve

dimento può essere disposta, tenendo anche conto dell'interesse

dei creditori, la continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte

del commissario per un periodo non superiore a due anni, proro

gabile per non oltre due anni, ovvero non superiore a cinque

anni dalla data del primo provvedimento nel caso di imprese col

legate assoggettate alla procedura con provvedimenti successivi

(art. 2, 1° e 2° comma). Qualora sia autorizzata la continuazione,

il commissario predispone un programma che deve prevedere, in

quanto possibile e tenendo conto degli interessi dei creditori,

un piano di risanamento, coerente con gli indirizzi della poli tica industriale, con indicazione specifica degli impianti da riatti

vare e di quelli da completare, nonché degli impianti o com

plessi aziendali da trasferire e degli eventuali nuovi assetti im

prenditoriali (art. 2, 3" comma).

Affrontando, ora, il nucleo delle argomentazioni del ricorrente,

si osserva che la prospettata irriducibile contrapposizione tra mo

mento conservativo e momento liquidativo non trova conforto

né nelle basi testuali né nelle motivazioni e finalità della nuova

normativa.

Premesso, in linea di primo approccio, che i ripetuti e insi

stenti richiami alle norme della legge fallimentare disciplinanti la

liquidazione coatta amministrativa rivelano apertamente una ten

denza di fondo e cioè quella di conformare l'amministrazione

straordinaria al modello della liquidazione coatta, va sottoli

neato che, come emerge dalle disposizioni sopra richiamate, la

continuazione dell'esercizio dell'impresa, stante la facoltatività

dell'esperimento, non costituisce un elemento essenziale della

procedura, così come altrettanto eventuale e facoltativa è la pre

disposizione del piano di risanamento. È lecito quindi affermare,

quale prima notazione, che, una volta priva degli aspetti caratte

rizzanti della prosecuzione della gestione dell'impresa e della pre visione del piano di risanamento, l'amministrazione straordina

ria non perde, per l'eventuale inserimento nella procedura della

fase suddetta, il suo connotato essenzialmente liquidatorio.

Va, poi, considerato che la continuazione dell'esercizio del

l'impresa può essere disposta « tenendo anche conto dell'interesse

dei creditori », che il piano di risanamento deve essere formato

« tenendo conto degli interessi dei creditori » e che tale piano deve contenere la previsione non solo degli impianti da riattivare

o da completare, ma anche « degli impianti o complessi azien

dali da trasferire e degli eventuali nuovi assetti imprenditoriali ».

Trova, pertanto, ulteriore conferma, non potendo la continuazione

e la ristrutturazione dell'impresa prescindere dalla salvaguardia

degli interessi dei creditori, il carattere essenzialmente satisfatti

vo della procedura in questione. La ratio del nuovo istituto viene generalmente individuata nella

necessità di apprestare alle grandi imprese in crisi uno strumento

tendente, al di là della mera liquidazione, al risanamento del

l'impresa, al fine precipuo di assicurare, attraverso la prosecu zione dell'attività, la tutela dell'apparato produttivo nazionale e

la salvaguardia dell'occupazione. Tale impostazione è, però, solo in parte esatta. Ed invero,

a prescindere dalla considerazione che « il proseguimento delle attività produttive » ed « il mantenimento dei livelli

occupazionali » costituivano le motivazioni del ricorso alla

decretazione di urgenza e quindi non esauriscono le finalità della

normativa, dai lavori preparatori e dalla relazione alla legge di

conversione si evince che tra i fini dell'amministrazione straordi

naria rientra anche quello del trasferimento dell'azienda risanata

ad altro imprenditore in modo che i creditori possano ottenere

un maggior vantaggio. In particolare la detta relazione, dopo aver

indicato l'obiettivo del « maggior ricavo con beneficio dei credi

tori » ed aver assegnato al programma di rinnovamento il compito di stabilire « quali unità siano da risanare e cedere, sempre fun

zionanti, a terzi e quali siano invece da liquidare », cosi descrive

la conclusione del procedimento: « trasferite le aziende sane e li

quidate le altre, si farà luogo al riparto del ricavato tra i credi

tori, i cui diritti saranno stati nel frattempo accertati ».

Pertanto, come esattamente ha rilevato il giudice di merito,

l'esigenza di attuare il risanamento non è in conflitto ma si con

cilia con quella di soddisfare i creditori.

Non sembra, quindi, potersi dubitare che il fine della tutela de

gli interessi dei creditori è ugualmente perseguito, insieme a

quelli della tutela degli interessi della produzione o della occupa zione o di altri della

collettività locale o nazionale.

In sostanza la fase della continuazione e dell'eventuale risana

mento si inserisce nella liquidazione e non snatura il contenuto

essenzialmente satisfattivo della procedura.

Vanno, ora, tratte le conclusioni, sul piano strettamente penale, da quanto sopra considerato.

Posto che la continuazione dell'attività produttiva ed il pro

gramma di risanamento possono essere autorizzati solo con pari controllo della corrispondenza all'interesse generale ed a quello dei creditori e che, nel caso di eventuale realizzato risanamento, la procedura ha lo sbocco che sopra si è detto, deve escludersi

che il ricorso alle operazioni di salvataggio sia rivolto al ripri stino della solvibilità dell'imprenditore piuttosto che all'oggettivo

recupero di impianti e complessi aziendali. La funzione essen

zialmente satisfattiva dell'amministrazione straordinaria, che può eventualmente passare attraverso il salvataggio di elementi azien

dali e di assetti imprenditoriali utili alla collettività e ai creditori, rende estranei alla procedura ogni carattere di beneficio per il debitore ed ogni considerazione dell'interesse del medesimo ad evitare il fallimento e le conseguenze che ne derivano. La conti

nuazione dell'impresa è rivolta, cioè, alla tutela di interessi ester ni al soggetto imprenditore e non costituisce un premio per l'im

prenditore in crisi. Peraltro l'impresa continuante non è l'impresa avente come centro di imputazione il debitore insolvente, bensì

l'attività oggettivamente rivolta alla conservazione delle struttu

re produttive e, nel caso di risanamento, quella diretta alla riatti

vazione, al completamento ed al trasferimento di impianti ed alla

creazione di nuovi assetti imprenditoriali, attività non certo ri

feribili all'imprenditore spossessato.

Pertanto, poiché il risanamento ha carattere esclusivamente

oggettivo e non cancella l'insolvenza, non vengono meno gli ef

fetti previsti dagli art. 42, 44, 45, 46, 47 e gli altri indicati nel

l'art. 200 1. fall. E poiché la procedura è disciplinata dagli art.

195 ss. 1. fall, e, a tutti gli effetti stabiliti dalla predetta legge, il provvedimento che dispone l'amministrazione straordinaria è

equiparato al decreto che ordina la liquidazione amministrativa, ne consegue l'applicabilità anche della norma di cui all'art. 203

1. fall, che prevede, tra l'altro, la punibilità ai sensi degli art. 216

a 219 e 223 a 225 dei comportamenti di bancarotta che si riferi

scono all'esercizio di imprese di cui sia stato giudizialmente ac

certato lo stato di insolvenza e che siano state sottoposte alla pro cedura di liquidazione coatta amministrativa.

Col quinto ed ultimo motivo il ricorrente, premesso che gli ad

debiti mossi al Genghini quale imprenditore individuale sover

chiano le imputazioni concernenti l'impresa societaria, denuncia

la violazione dell'art. 203 1. fall., per non essere compresa, nella

elencazione tassativa dei soggetti attivi del reato di bancarotta

fraudolenta contenuta nella norma, la figura dell'imprenditore individuale.

Anche tale censura è infondata. Va innanzitutto rilevato che, come emerge dal tenore degli art. 195 (« se un'impresa ... si trova

in stato di insolvenza »), 200 (« dalla data del provvedimento che

ordina la liquidazione si applicano gli art. 42, 44, 45, 46 e 47 e

se l'impresa è una società o una persona giuridica ») e 205 (« l'im

prenditore o, se l'impresa è una società o una persona giuridi ca ... ») 1. fall., non può dubitarsi che alla procedura di liqui dazione coatta amministrativa siano assoggettabili anche le impre se individuali.

Passando, poi, all'esame dell'art. 203, che dispone l'estensione delle norme penali dettate per il fallimento alle persone preposte alla gestione ed al controllo delle imprese assoggettate a liquida zione coatta amministrativa, va evidenziato che, anche se tra i

soggetti indicati non risulta materialmente menzionato l'imprendi tore individuale, pur tuttavia l'espresso ed autonomo richiamo

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GIURISPRUDENZA PENALE

alle disposizioni « degli art. 216 a 219 » (norme penali che, come è indubbio, riguardano l'imprenditore individuale) configura una

ipotesi di applicazione diretta della norma richiamata e determina

conseguentemente l'inclusione dell'imprenditore individuale tra i

predetti soggetti. Ma, oltre all'elemento letterale, soccorre anche l'elemento lo

gico. Ed invero, una volta stabilito che l'imprenditore individua le non è sottratto alla procedura, non sussiste alcuna ragione per ritenere che egli debba intendersi invece sottratto alla responsabi lità penale per fatti di bancarotta, considerato altresì che da tale

responsabilità non vanno nemmeno esenti i soci a responsabilità illimitata non amministratori per atti compiuti sul proprio patri monio.

Pertanto, tenuto conto che l'inizio della seconda parte del 1° comma dell'art. 203 si aggancia alla estensione delle disposizioni del titolo II, capo III, sezione III, ai soci a responsabilità illimi

tata, deve concludersi che la norma di cui alla detta seconda parte sancisce l'applicabilità anche nei confronti di questi ultimi, oltre

che dell'imprenditore individuale nonché degli altri soggetti indi

cati, delle disposizioni degli art. 216 a 219 e di quelle degli art.

223 a 225.

Il ricorso va quindi respinto, con le conseguenze di legge.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; sentenza 10

ottobre 1981; Pres. Berri, Est. Pecchiai, P.M. Saja (conci,

parz. diff.); ric. Cassinari. Annulla senza rinvio App. Milano 3

marzo 1980.

Prescrizione penale — Reato continuato — Termine — Decor

renza — Determinazione (Cod. pen., art. 81, 157, 158).

Agli effetti della prescrizione, l'inscindibilità del reato continuato

ex art. 158, 1" comma, c. p. opera ai soli fini della decorrenza

del termine iniziale, mentre la durata del tempo necessario a

prescrivere va stabilita con riferimento ai singoli reati, consi

derati come distinte ed autonome violazioni. (1)

Svolgimento del processo. — In seguito ad indagini e rapporto dei carabinieri di Abbiategrasso, si procedeva con il rito somma

rio a carico di Cassinari Luigi, al quale venivano contestati, con

ordine di comparizione, notificato ai sensi dell'art. 170 c.p.p.:

a) il reato di cui agli art. 482 e 477 c.p., per avere alterato la

patente di guida rilasciata in data 9 novembre 1962 dalla prefet tura di Como a Beltrinelli Pieralessandra; b) il reato di cui agli art. 648, 61, n. 2, c.p., per avere, al fine di commettere il reato

sub a), acquistato la suddetta patente di guida, provento di un furto

consumato il 22 marzo 1970 ai danni della predetta Beltrinelli;

reati entrambi accertati in Ossona (Milano) il 3 maggio 1972; c) il

reato di cui all'art. 80 cod. stradale perché trovato alla guida del

l'autovettura tg. MI P03964, sprovvisto di patente. In Ossona, il

3 maggio 1972.

Rinviato l'imputato al giudizio del Tribunale di Milano, con

l'ulteriore contestazione della recidiva specifica infraquinquennale

(art. 99 c.p.), con sentenza in data 7 giugno 1978 veniva dichia

(1) Con la decisione in epigrafe le sezioni unite ribadiscono un principio progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza degli ultimi anni: cfr., da ultimo, tra le altre, Cass. 9 luglio 1980, Rossini, Foro it., Rep. 1981, voce Prescrizione penale, n. 9; 19 febbraio 1980,

Resta, ibid., n. 10; 12 febbraio 1980, Servadei, id., Rep. 1980, voce

eit., n. 14; 11 gennaio 1980, Camparella, id., Rep. 1981, voce Reato continuato, n. 54; 19 luglio 1979, De Giorgis, id., Rep. 1980, voce Prescrizione penale, n. 13; 21 maggio 1979, Benevelli, ibid., n.

12; 16 marzo 1979, Patelli, ibid., voce Reato continuato, n. 7; 10

gennaio 1977 Castelletti, id., Rep. 1978, voce cit., n. 15; 19 novem bre 1976, Buchschwenter, id., Rep. 1977, voce cit., n. 13; 16 marzo

1976, Barbato, ibid., voce Prescrizione penale, n. 3; 10 novembre

1975, Latini, ibid., voce Reato continuato, n. 12; 9 giugno 1975, Ne

sti, id., Rep. 1976, voce Prescrizione penale, n. 4; 28 aprile 1975, Del Marco, ibid., n. 5.

In dottrina, v. conforme alla sentenza in epigrafe Manzini, Trat

tato di diritto penale italiano, vol. III, a cura di Nuvolone, Torino,

1981, 549; contra Nuvolone, Il sistema del diritto penale, Padova,

1982, 549. In ordine alla prescrizione di un reato istantaneo e di un reato

permanente, unificati sotto il vincolo della continuazione, cfr. Cass. 12 dicembre 1977, Oleotti, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 2.

Sui problemi di costituzionalità sollevati dall'art. 158 c.p. nella

parte in cui, ai fini della decorrenza della prescrizione, considera in scindibile il reato continuato, cfr. Pret. Chieri, ord. 18 novembre

1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 15 e Pret. Roma, ord. 22 luglio 1977, id., 1978, II, 239.

rato colpevole dei reati sub a) e b), unificati dalla continuazione, e condannato alla pena di mesi 5 di reclusione e lire 50.000 di multa. Con la stessa sentenza veniva dichiarato non doversi proce dere in ordine alla contravvenzione stradale, perché estinta per prescrizione.

Proponeva appello il Cassinari, deducendo la grossolanità del

falso, e lamentando la mancata concessione delle attenuanti ge neriche e, in relazione al reato di ricettazione, anche di quella di cui all'art. 62, n. 4 c.p.

Con sentenza in data 3 marzo 1980 la Corte d'appello di Mi lano, in parziale riforma della pronuncia appellata, concedeva all'imputato l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. in relazione alla ricettazione, e, ritenuta detta attenuante equivalente all'aggra vante contestata, riduceva la pena inflitta al Cassinari a mesi quat tro di reclusione e lire 40.000 di multa, dichiarando detta pena interamente condonata. Confermava nel resto la sentenza impu gnata.

Ricorre per cassazione il Cassinari, denunciando la violazione dell'art. 157 c.p. in ordine al reato di cui agli art. 482 e 477 c.p., in quanto tale fatto reato era già prescritto alla data della sen tenza di appello. Chiede pertanto che, previa la relativa declara toria di estinzione del suddetto reato, la sentenza impugnata ven

ga annullata perché sia determinata ex novo la pena da infligge re per l'altro reato.

Con un secondo motivo, il ricorrente deduce il difetto di motivazione in relazione al richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante contestata.

Il ricorso è stato assegnato alla II sezione penale di questa Corte suprema, ma gli atti sono stati trasmessi a queste sezioni unite per la risoluzione della questione relativa alla scindibilità, o meno, della figura del reato continuato nelle sue varie compo nenti di reati, ai fini dell'applicazione della prescrizione. Ciò te nuto conto, particolarmente, dei termini prescrizionali diversi che potrebbero essere previsti per i reati componenti la continua zione.

Motivi della decisione. — Ai fini della risoluzione della que stione sopra delineata, non sembra inopportuno un sia pur bre

ve cenno ai precedenti storici e legislativi dell'istituto del reato

continuato che, ignoto al diritto romano, barbarico e canonico, venne escogitato dai glossatori e postglossatori e dai criminalisti

pratici del cinquecento e del seicento come un rimedio idoneo a

mitigare le esorbitanti conseguenze del sistema del cumulo ma

teriale delle pene. Detto istituto, già accolto dal codice toscano — art. 80 — e dal

codice del 1889, fu abolito nel progetto preliminare del vigente codice penale, perché (come è spiegato nella relazione ministe riale sul progetto stesso, I, pag. 132) si ritenne che, essendo il reato continuato costituito da più fatti integranti piti reati distin

ti, non vi fosse ragione per derogare alle norme generali sul concorso di reati e di pene. Peraltro, veniva fatta salva la possi bilità di una diminuzione discrezionale della pena, qualora, per le circostanze indicate nell'art. 137 (ora art. 133) il colpevole «fosse apparso meritevole di qualche benevolenza».

Senonché, l'istituto in parola venne ristabilito nel testo defini tivo e la sopracitata relazione ministeriale chiarisce che il legisla tore a tanto si determinò perché, tenendo conto delle preoccu pazioni prospettate per l'eccessivo rigore cui avrebbe condotto, sia pure col cennato temperamento, il sistema del concorso mate

riale tra i vari fatti di continuazione, ritenne che trattavasi di una materia « nella quale le considerazioni teoriche debbono cedere alle esigenze della pratica ».

Tale precisazione non equivoca del pensiero del legislatore (che ben può valere per risalire allo spirito dell'istituto in discorso) dimostra che il vigente codice ha riprodotto la figura del reato continuato per le stesse ragioni dalle quali essa ha tratto origine, ossia per evitare le rigorose conseguenze della norma sul con

corso materiale dei reati e degli altri effetti giurìdici relativi alla

delinquenza reiterata, drogando, a tal fine, alle norme generali sul cumulo delle pene.

Può quindi affermarsi che, nel sistema del nostro codice, il rea to continuato, lungi dal costituire un reato essenzialmente unico, avente una propria oggettività giuridica, è la risultante di reati

plurimi, aventi distinta autonomia e singolarmente perfetti, uni

ficati, solo per determinati effetti giuridici, dall'elemento idea

tivo agli stessi comune, ossia dall'identità del disegno criminoso

che, come si legge nella più volte citata relazione ministeriale, costituisce « l'unità collegante i diversi fatti di continuazione »

(v. Cass., sez. un., 6 maggio 1950, Albertella, Foro it., 1951, II, 5). Per quanto attiene alla limitazione ed alla relatività dell'unifi

cazione, intesa nel senso sopra indicato, basterà far riferimento a talune norme del codice penale e di quello di rito penale, che

apparirebbero superflue e inconciliabili col criterio dell'unità pie

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