Sezione V penale; sentenza 19 novembre 1982; Pres. Gallo, Est. Catalano, P. M. Ciani (concl.conf.); ric. Genghini. Conferma Trib. Roma, ord. 15 febbraio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 5/6-9/10Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176869 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
minimamente né di sottrarsi con la fuga al giudizio né di ren
dere più difficile l'acquisizione delle prove. Il richiedere che con
corra con un motivo di garanzia processuale anche il motivo di
pericolosità per la collettività sarebbe perciò illogico e chiara
mente contrastante con le finalità, di duplice natura, che si sono
volute attribuire alla coercizione personale. Si deve di conse
guenza concludere che ragioni processuali e ragioni di tutela della
collettività dalla pericolosità sociale non devono considerarsi cu
mulative ma alternative. Da ciò consegue che la motivazione del
provvedimento di cattura facoltativo non deve necessariamente
riferirsi in modo specifico a tutti i criteri dell'art. 254, 2° comma, nella nuova formulazione ma può limitarsi a richiamare, purché in forma non apodittica, quello ritenuto rilevante e cioè rivela
tore del periculum libertatis, come tale idoneo a giustificare la mi
sura adottata.
Nel caso concreto, di fronte a un ordine di cattura sufficientemen
te motivato attraverso il richiamo non apodittico della gravità dei
fatti, si pone una ordinanza del tribunale che, sull'erroneo presuppo sto dell'obbligatorietà della cattura, non ha proceduto al riesame
dell'opportunità del provvedimento. L'annullamento dell'ordinanza deve allora essere pronunciato
con rinvio per la considerazione decisiva che il primo atto della
fattispecie complessa, costituita dal provvedimento restrittivo, e
dall'ordinanza di riesame, appare — ad una indagine di mera le
gittimità "— conforme a corretti criteri logico-giuridici. La diffor
mità, rispetto ad essi, della sola ordinanza di riesame importa la
reiterazione di quest'ultima pronuncia ma non anche la caduca
zione del titolo di custodia non potendosi in questa sede conclu
dere — in presenza di una motivazione immune da vizi ed in
difetto di poteri di cognizione nel merito — che il potere di
restrizione della libertà personale sia stato nella specie esercitato
illegittimamente.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione V penale; sentenza 19 no
vembre 1982; Pres. Gallo, Est. Catalano, P.M. Ciani (conci,
conf.); ric. Genghini. Conferma Trib. Roma, ord. 15 febbraio 1982.
Bancarotta e reati fallimentari — Dichiarazione di insolvenza —
Impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria con au
torizzazione a continuare l'esercizio dell'attività produttiva —
Responsabilità penale dell'imprenditore — Configurabilità —
Fattispecie (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimen
to. art. 216, 217, 218,"219, 223, 224, 225; d.l. 30 gennaio 1979
n. 26, provvedimenti urgenti per l'amministrazione straordina
ria delle grandi imprese in crisi, art. 1, 4; 1. 3 aprile 1979 n.
95, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. unico; 1. 13 agosto 1980 n. 445, interpretazione autentica del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26, art. unico).
Bancarotta e reati fallimentari — Impresa individuale sottoposta ad amministrazione straordinaria — Responsabilità penale del
l'imprenditore — Confìgurabilità (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 195, 203, 216, 217, 218, 223, 224, 225; d.l. 30 gennaio 1979
n. 26, art. 1, 4; 1. 3 aprile 1979 n. 95, art. unico; 1. 13 agosto 1980 n. 445, art. unico).
Risponde dei reali di bancarotta l'imprenditore (o gli altri sog getti indicati dalla legge fallimentare) dichiarato insolvente, an corché l'impresa o le imprese a lui facenti capo siano state
sottoposte ad amministrazione straordinaria con autorizzazione a continuare l'esercizio dell'attività produttiva (nella specie, la
corte, ritenuto configurabile il reato di bancarotta fraudolenta nei confronti del costruttore romano Genghini, ha confermato l'ordine di cattura emesso su tale presupposto). (1)
(1) Non risultano precedenti. Per qualche riferimento in dottrina, v. Bonsignori, L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Padova, 1980, 158. Sulla equiparazione dell'amministrazione straordinaria alla liquidazione coatta amministrativa, v. Cass. 14
aprile 1982, n. 2232, Foro it., 1982, I, 2519, con nota di A. Proto Pi sani. Nel senso che è assoggettabile alla procedura di amministra zione straordinaria l'impresa individuale che, esercitando un diretto controllo su altre società già tutte sottoposte alla procedura di am ministrazione straordinaria, faccia parte dello stesso gruppo, v. App. Roma 4 febbraio 1981, id., 1981, I, 517, con nota di richiami; la
decisione è annotata da Scalera, in Dir. fallim., 1981, II, 141 e da
DAlessandro, in Giust. civ., 1981, I, 3020. Sulla vicenda Genghini, v., altresì, App. Roma 17 luglio 1980, Fo
ro it., 1980, I, 2005; Trib. Roma 29 luglio 1981, id., Rep. 1981, voce
Liquidazione coatta amministrativa, n. 83; Trib. Roma 6 dicembre
1980, id., 1981, I, 1189; Trib. Roma 25 giugno 1980, id., 1980, 1,
2005, con nota di richiami.
È configuratile la responsabilità penale dell'imprenditore indivi
duale per fatti di bancarotta commessi prima del decreto che
dispone l'amministrazione straordinaria. (2)
Con atto del 14 settembre 1981 i difensori di Genghini Mario, sottfattosi volontariamente all'ordine di cattura emesso dal procu ratore della repubblica di Roma il 22 aprile 1981, chiedevano al
giudice istruttore presso il tribunale la revoca del provvedimento restrittivo e, in subordine, la sospensione dell'esecuzione del prov vedimento medesimo.
L'ordine di cattura era stato emesso nei confronti del Genghi ni, quale titolare dell'impresa Mario Genghini e presidente del
consiglio di amministrazione della s.p.a. Genghini, dichiarate fal
lite il 25 giugno 1980 e sottoposte ad amministrazione straordina ria con decreti ministeriali del 19 settembre 1980, e del 20 marzo
1981, per varie ipotesi di bancarotta fraudolenta e costituzione all'estero di disponibilità valutarie.
Il giudice istruttore, con ordinanza del 15 febbraio 1982, respin geva le suindicate istanze e il difensore dell'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi, illustrati con memoria. (Omissis)
Col terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della legge sostantiva per il difetto di un elemento costitutivo del delitto di bancarotta e cioè lo stato di fallito o lo stato di insolvenza.
Assume, al riguardo, il ricorrente che, essendo state le imprese fa centi capo al Genghini ammesse alla procedura di amministra zione straordinaria prevista dal d. 1. 30 gennaio 1979 n. 26, con vertito con modificazioni nella 1. 3 aprile 1979 n. 95, ed essendo stata autorizzata la continuazione dell'esercizio dell'impresa, la
procedura concorsuale condizionante gli effetti penali doveva ri tenersi sospesa. Ed invero, secondo le prospettazioni del ricor
rente, una volta che la gestione coatta abbia assunto i caratteri di una gestione di salvataggio, verrebbe ad instaurarsi una proce dura autonoma, avente una propria disciplina normativa e fun
zionante da condizione sospensiva al sorgere della liquidazione coatta, onde, rimanendo la procedura concorsuale liquidatoria so
spesa, il presupposto costitutivo dei reati di bancarotta (e cioè lo
stato di insolvenza) verrebbe eventualmente a determinarsi solo
all'esito dell'esperimento di continuazione.
La censura è infondata. Va premesso, in relazione alle suindi
cate vicende del processo di impugnazione dell'ordine di cattura, che se, da un lato, gli effetti formali del provvedimento restritti
vo della libertà personale si esauriscono con la inutile scadenza
del termine per la proposizione della impugnazione o con la de
cisione di essa, onde i vizi formali del provvedimento non pos sono essere fatti valere oltre quel termine o al di fuori di quel procedimento incidentale, dall'altro, deve ritenersi che, anche in sede di istanza di revoca del provvedimento restrittivo e di suc
cessivo gravame contro il diniego di revoca, possa essere de
dotta la difformità palese tra fattispecie concreta e fattispecie le
gale ipotizzata, difformità che attiene alle condizioni di legitti mazione del provvedimento incidente sulla libertà personale. Pe
raltro, in materia di provvedimenti relativi alla libertà personale
dell'imputato, gli effetti preclusivi, che normalmente investono
sia il dedotto che il deducibile, operano con modalità del tutto
peculiari, poiché essi devono essere armonizzati con l'esigenza
(2) Anche per quel che concerne la seconda massima non costano precedenti editi in termini.
In dottrina prevale, invece, l'opinione contraria segnalandosi gene ralmente l'impossibilità di colpire, in caso di liquidazione coatta am ministrativa l'imprenditore individuale che abbia commesso fatti di bancarotta: ciò in quanto l'art. 203 1. fall, si riferisce espressamente soltanto a « i soci a responsabilità illimitata, gli amministratori, i diret tori generali, i liquidatori e i componenti degli organi di vigilanza »
quali potenziali soggetti attivi dei reati applicabili nell'ambito della
predetta procedura concorsuale. L'eventuale estensione della fattispe cie incriminatrice anche all'imprenditore individuale viene considera
ta, pertanto, frutto di un'interpretazione analogica vietata, nel caso
in esame, per il suo evidente esito in malam partem (cosi, espressa
mente, Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari,
Milano, 1979, 219; nonché, in senso analogo, Conti, Diritto penale commerciale, Torino, 1967, II, 437).
Il vuoto di tutela penale verrebbe quindi riprodotto, seguendo l'o rientamento dottrinale dominante, anche nell'ambito della nuova pro cedura concorsuale dell'* amministrazione straordinaria », in cui ef fetti penali sono regolamentati — abusandosi, ancora una volta, di
un sistema di normazione fortemente criticato (vedi, per tutti, Mari
nucci-Romano, Tecniche normative nella repressione penale degli abusi degli amministratori di società per azioni, in AA.VV., Il diritto
panale delle società commerciali, Milano, 1971, 107) — attraverso la tecnica del rinvio: richiamando, oltretutto, l'art. 1 1. 3 aprile 1979 n. 95, le disposizioni penali in tema di liquidazione coatta ammini
strativa, pur essendo abbastanza noti i difetti di tale normativa.
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PARTE SECONDA
di realizzare un costante adeguamento alla situazione di diritto
dello stato di privazione della libertà personale dell'imputato.
Orbene, posto che può accedersi all'esame della censura, va ri
levato che con d. 1. 30 gennaio 1979 n. 26, convertito con vaste mo
dificazioni nella 1. 3 aprile 1979 n. 95 e successivamente integrato con 1. 13 agosto 1980 n. 445 e 31 marzo 1982 n. 118, è stato in
trodotto nell'ordinamento l'istituto dell'amministrazione straordi
naria delle grandi imprese in crisi. Trattasi, per quanto qui inte
ressa, di una procedura sostitutiva del fallimento alla quale sono
soggette le imprese di cui al 1° comma dell'art. 1 r. d. 16 marzo
1942 n. 267 (e cioè le imprese commerciali, individuali e collet
tive, con esclusione degli enti pubblici e dei piccoli imprenditori),
qualora abbiano, da almeno un anno, un determinato numero di
addetti e presentino una particolare esposizione debitoria verso
aziende di credito, istituti speciali di credito ed istituti di previ denza ed assistenza sociale (art. 1, 1° comma). La procedura è
disposta dall'autorità amministrativa quando sia stato accertato
giudiziariamente, ai sensi degli art. 5 e 195 1. fall., lo stato di in
solvenza dell'impresa ovvero l'omesso pagamento di almeno tre
mensilità di retribuzione (art. 1, 4° comma), si attua ad opera di
uno o tre commissari ed è disciplinata, in quanto non diversa
mente stabilito con la legge in esame, dagli art. 195 ss. e
dall'art. 237 1. fall. (art. 1, 5° comma). Il provvedimento che dispo ne l'amministrazione straordinaria è equiparato, a tutti gli effetti
stabiliti dalla legge fallimentare, al decreto che ordina la liquida
zione coatta amministrativa (art. 1, 5° comma). Con tale provve
dimento può essere disposta, tenendo anche conto dell'interesse
dei creditori, la continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte
del commissario per un periodo non superiore a due anni, proro
gabile per non oltre due anni, ovvero non superiore a cinque
anni dalla data del primo provvedimento nel caso di imprese col
legate assoggettate alla procedura con provvedimenti successivi
(art. 2, 1° e 2° comma). Qualora sia autorizzata la continuazione,
il commissario predispone un programma che deve prevedere, in
quanto possibile e tenendo conto degli interessi dei creditori,
un piano di risanamento, coerente con gli indirizzi della poli tica industriale, con indicazione specifica degli impianti da riatti
vare e di quelli da completare, nonché degli impianti o com
plessi aziendali da trasferire e degli eventuali nuovi assetti im
prenditoriali (art. 2, 3" comma).
Affrontando, ora, il nucleo delle argomentazioni del ricorrente,
si osserva che la prospettata irriducibile contrapposizione tra mo
mento conservativo e momento liquidativo non trova conforto
né nelle basi testuali né nelle motivazioni e finalità della nuova
normativa.
Premesso, in linea di primo approccio, che i ripetuti e insi
stenti richiami alle norme della legge fallimentare disciplinanti la
liquidazione coatta amministrativa rivelano apertamente una ten
denza di fondo e cioè quella di conformare l'amministrazione
straordinaria al modello della liquidazione coatta, va sottoli
neato che, come emerge dalle disposizioni sopra richiamate, la
continuazione dell'esercizio dell'impresa, stante la facoltatività
dell'esperimento, non costituisce un elemento essenziale della
procedura, così come altrettanto eventuale e facoltativa è la pre
disposizione del piano di risanamento. È lecito quindi affermare,
quale prima notazione, che, una volta priva degli aspetti caratte
rizzanti della prosecuzione della gestione dell'impresa e della pre visione del piano di risanamento, l'amministrazione straordina
ria non perde, per l'eventuale inserimento nella procedura della
fase suddetta, il suo connotato essenzialmente liquidatorio.
Va, poi, considerato che la continuazione dell'esercizio del
l'impresa può essere disposta « tenendo anche conto dell'interesse
dei creditori », che il piano di risanamento deve essere formato
« tenendo conto degli interessi dei creditori » e che tale piano deve contenere la previsione non solo degli impianti da riattivare
o da completare, ma anche « degli impianti o complessi azien
dali da trasferire e degli eventuali nuovi assetti imprenditoriali ».
Trova, pertanto, ulteriore conferma, non potendo la continuazione
e la ristrutturazione dell'impresa prescindere dalla salvaguardia
degli interessi dei creditori, il carattere essenzialmente satisfatti
vo della procedura in questione. La ratio del nuovo istituto viene generalmente individuata nella
necessità di apprestare alle grandi imprese in crisi uno strumento
tendente, al di là della mera liquidazione, al risanamento del
l'impresa, al fine precipuo di assicurare, attraverso la prosecu zione dell'attività, la tutela dell'apparato produttivo nazionale e
la salvaguardia dell'occupazione. Tale impostazione è, però, solo in parte esatta. Ed invero,
a prescindere dalla considerazione che « il proseguimento delle attività produttive » ed « il mantenimento dei livelli
occupazionali » costituivano le motivazioni del ricorso alla
decretazione di urgenza e quindi non esauriscono le finalità della
normativa, dai lavori preparatori e dalla relazione alla legge di
conversione si evince che tra i fini dell'amministrazione straordi
naria rientra anche quello del trasferimento dell'azienda risanata
ad altro imprenditore in modo che i creditori possano ottenere
un maggior vantaggio. In particolare la detta relazione, dopo aver
indicato l'obiettivo del « maggior ricavo con beneficio dei credi
tori » ed aver assegnato al programma di rinnovamento il compito di stabilire « quali unità siano da risanare e cedere, sempre fun
zionanti, a terzi e quali siano invece da liquidare », cosi descrive
la conclusione del procedimento: « trasferite le aziende sane e li
quidate le altre, si farà luogo al riparto del ricavato tra i credi
tori, i cui diritti saranno stati nel frattempo accertati ».
Pertanto, come esattamente ha rilevato il giudice di merito,
l'esigenza di attuare il risanamento non è in conflitto ma si con
cilia con quella di soddisfare i creditori.
Non sembra, quindi, potersi dubitare che il fine della tutela de
gli interessi dei creditori è ugualmente perseguito, insieme a
quelli della tutela degli interessi della produzione o della occupa zione o di altri della
collettività locale o nazionale.
In sostanza la fase della continuazione e dell'eventuale risana
mento si inserisce nella liquidazione e non snatura il contenuto
essenzialmente satisfattivo della procedura.
Vanno, ora, tratte le conclusioni, sul piano strettamente penale, da quanto sopra considerato.
Posto che la continuazione dell'attività produttiva ed il pro
gramma di risanamento possono essere autorizzati solo con pari controllo della corrispondenza all'interesse generale ed a quello dei creditori e che, nel caso di eventuale realizzato risanamento, la procedura ha lo sbocco che sopra si è detto, deve escludersi
che il ricorso alle operazioni di salvataggio sia rivolto al ripri stino della solvibilità dell'imprenditore piuttosto che all'oggettivo
recupero di impianti e complessi aziendali. La funzione essen
zialmente satisfattiva dell'amministrazione straordinaria, che può eventualmente passare attraverso il salvataggio di elementi azien
dali e di assetti imprenditoriali utili alla collettività e ai creditori, rende estranei alla procedura ogni carattere di beneficio per il debitore ed ogni considerazione dell'interesse del medesimo ad evitare il fallimento e le conseguenze che ne derivano. La conti
nuazione dell'impresa è rivolta, cioè, alla tutela di interessi ester ni al soggetto imprenditore e non costituisce un premio per l'im
prenditore in crisi. Peraltro l'impresa continuante non è l'impresa avente come centro di imputazione il debitore insolvente, bensì
l'attività oggettivamente rivolta alla conservazione delle struttu
re produttive e, nel caso di risanamento, quella diretta alla riatti
vazione, al completamento ed al trasferimento di impianti ed alla
creazione di nuovi assetti imprenditoriali, attività non certo ri
feribili all'imprenditore spossessato.
Pertanto, poiché il risanamento ha carattere esclusivamente
oggettivo e non cancella l'insolvenza, non vengono meno gli ef
fetti previsti dagli art. 42, 44, 45, 46, 47 e gli altri indicati nel
l'art. 200 1. fall. E poiché la procedura è disciplinata dagli art.
195 ss. 1. fall, e, a tutti gli effetti stabiliti dalla predetta legge, il provvedimento che dispone l'amministrazione straordinaria è
equiparato al decreto che ordina la liquidazione amministrativa, ne consegue l'applicabilità anche della norma di cui all'art. 203
1. fall, che prevede, tra l'altro, la punibilità ai sensi degli art. 216
a 219 e 223 a 225 dei comportamenti di bancarotta che si riferi
scono all'esercizio di imprese di cui sia stato giudizialmente ac
certato lo stato di insolvenza e che siano state sottoposte alla pro cedura di liquidazione coatta amministrativa.
Col quinto ed ultimo motivo il ricorrente, premesso che gli ad
debiti mossi al Genghini quale imprenditore individuale sover
chiano le imputazioni concernenti l'impresa societaria, denuncia
la violazione dell'art. 203 1. fall., per non essere compresa, nella
elencazione tassativa dei soggetti attivi del reato di bancarotta
fraudolenta contenuta nella norma, la figura dell'imprenditore individuale.
Anche tale censura è infondata. Va innanzitutto rilevato che, come emerge dal tenore degli art. 195 (« se un'impresa ... si trova
in stato di insolvenza »), 200 (« dalla data del provvedimento che
ordina la liquidazione si applicano gli art. 42, 44, 45, 46 e 47 e
se l'impresa è una società o una persona giuridica ») e 205 (« l'im
prenditore o, se l'impresa è una società o una persona giuridi ca ... ») 1. fall., non può dubitarsi che alla procedura di liqui dazione coatta amministrativa siano assoggettabili anche le impre se individuali.
Passando, poi, all'esame dell'art. 203, che dispone l'estensione delle norme penali dettate per il fallimento alle persone preposte alla gestione ed al controllo delle imprese assoggettate a liquida zione coatta amministrativa, va evidenziato che, anche se tra i
soggetti indicati non risulta materialmente menzionato l'imprendi tore individuale, pur tuttavia l'espresso ed autonomo richiamo
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GIURISPRUDENZA PENALE
alle disposizioni « degli art. 216 a 219 » (norme penali che, come è indubbio, riguardano l'imprenditore individuale) configura una
ipotesi di applicazione diretta della norma richiamata e determina
conseguentemente l'inclusione dell'imprenditore individuale tra i
predetti soggetti. Ma, oltre all'elemento letterale, soccorre anche l'elemento lo
gico. Ed invero, una volta stabilito che l'imprenditore individua le non è sottratto alla procedura, non sussiste alcuna ragione per ritenere che egli debba intendersi invece sottratto alla responsabi lità penale per fatti di bancarotta, considerato altresì che da tale
responsabilità non vanno nemmeno esenti i soci a responsabilità illimitata non amministratori per atti compiuti sul proprio patri monio.
Pertanto, tenuto conto che l'inizio della seconda parte del 1° comma dell'art. 203 si aggancia alla estensione delle disposizioni del titolo II, capo III, sezione III, ai soci a responsabilità illimi
tata, deve concludersi che la norma di cui alla detta seconda parte sancisce l'applicabilità anche nei confronti di questi ultimi, oltre
che dell'imprenditore individuale nonché degli altri soggetti indi
cati, delle disposizioni degli art. 216 a 219 e di quelle degli art.
223 a 225.
Il ricorso va quindi respinto, con le conseguenze di legge.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; sentenza 10
ottobre 1981; Pres. Berri, Est. Pecchiai, P.M. Saja (conci,
parz. diff.); ric. Cassinari. Annulla senza rinvio App. Milano 3
marzo 1980.
Prescrizione penale — Reato continuato — Termine — Decor
renza — Determinazione (Cod. pen., art. 81, 157, 158).
Agli effetti della prescrizione, l'inscindibilità del reato continuato
ex art. 158, 1" comma, c. p. opera ai soli fini della decorrenza
del termine iniziale, mentre la durata del tempo necessario a
prescrivere va stabilita con riferimento ai singoli reati, consi
derati come distinte ed autonome violazioni. (1)
Svolgimento del processo. — In seguito ad indagini e rapporto dei carabinieri di Abbiategrasso, si procedeva con il rito somma
rio a carico di Cassinari Luigi, al quale venivano contestati, con
ordine di comparizione, notificato ai sensi dell'art. 170 c.p.p.:
a) il reato di cui agli art. 482 e 477 c.p., per avere alterato la
patente di guida rilasciata in data 9 novembre 1962 dalla prefet tura di Como a Beltrinelli Pieralessandra; b) il reato di cui agli art. 648, 61, n. 2, c.p., per avere, al fine di commettere il reato
sub a), acquistato la suddetta patente di guida, provento di un furto
consumato il 22 marzo 1970 ai danni della predetta Beltrinelli;
reati entrambi accertati in Ossona (Milano) il 3 maggio 1972; c) il
reato di cui all'art. 80 cod. stradale perché trovato alla guida del
l'autovettura tg. MI P03964, sprovvisto di patente. In Ossona, il
3 maggio 1972.
Rinviato l'imputato al giudizio del Tribunale di Milano, con
l'ulteriore contestazione della recidiva specifica infraquinquennale
(art. 99 c.p.), con sentenza in data 7 giugno 1978 veniva dichia
(1) Con la decisione in epigrafe le sezioni unite ribadiscono un principio progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza degli ultimi anni: cfr., da ultimo, tra le altre, Cass. 9 luglio 1980, Rossini, Foro it., Rep. 1981, voce Prescrizione penale, n. 9; 19 febbraio 1980,
Resta, ibid., n. 10; 12 febbraio 1980, Servadei, id., Rep. 1980, voce
eit., n. 14; 11 gennaio 1980, Camparella, id., Rep. 1981, voce Reato continuato, n. 54; 19 luglio 1979, De Giorgis, id., Rep. 1980, voce Prescrizione penale, n. 13; 21 maggio 1979, Benevelli, ibid., n.
12; 16 marzo 1979, Patelli, ibid., voce Reato continuato, n. 7; 10
gennaio 1977 Castelletti, id., Rep. 1978, voce cit., n. 15; 19 novem bre 1976, Buchschwenter, id., Rep. 1977, voce cit., n. 13; 16 marzo
1976, Barbato, ibid., voce Prescrizione penale, n. 3; 10 novembre
1975, Latini, ibid., voce Reato continuato, n. 12; 9 giugno 1975, Ne
sti, id., Rep. 1976, voce Prescrizione penale, n. 4; 28 aprile 1975, Del Marco, ibid., n. 5.
In dottrina, v. conforme alla sentenza in epigrafe Manzini, Trat
tato di diritto penale italiano, vol. III, a cura di Nuvolone, Torino,
1981, 549; contra Nuvolone, Il sistema del diritto penale, Padova,
1982, 549. In ordine alla prescrizione di un reato istantaneo e di un reato
permanente, unificati sotto il vincolo della continuazione, cfr. Cass. 12 dicembre 1977, Oleotti, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 2.
Sui problemi di costituzionalità sollevati dall'art. 158 c.p. nella
parte in cui, ai fini della decorrenza della prescrizione, considera in scindibile il reato continuato, cfr. Pret. Chieri, ord. 18 novembre
1978, id., Rep. 1980, voce cit., n. 15 e Pret. Roma, ord. 22 luglio 1977, id., 1978, II, 239.
rato colpevole dei reati sub a) e b), unificati dalla continuazione, e condannato alla pena di mesi 5 di reclusione e lire 50.000 di multa. Con la stessa sentenza veniva dichiarato non doversi proce dere in ordine alla contravvenzione stradale, perché estinta per prescrizione.
Proponeva appello il Cassinari, deducendo la grossolanità del
falso, e lamentando la mancata concessione delle attenuanti ge neriche e, in relazione al reato di ricettazione, anche di quella di cui all'art. 62, n. 4 c.p.
Con sentenza in data 3 marzo 1980 la Corte d'appello di Mi lano, in parziale riforma della pronuncia appellata, concedeva all'imputato l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. in relazione alla ricettazione, e, ritenuta detta attenuante equivalente all'aggra vante contestata, riduceva la pena inflitta al Cassinari a mesi quat tro di reclusione e lire 40.000 di multa, dichiarando detta pena interamente condonata. Confermava nel resto la sentenza impu gnata.
Ricorre per cassazione il Cassinari, denunciando la violazione dell'art. 157 c.p. in ordine al reato di cui agli art. 482 e 477 c.p., in quanto tale fatto reato era già prescritto alla data della sen tenza di appello. Chiede pertanto che, previa la relativa declara toria di estinzione del suddetto reato, la sentenza impugnata ven
ga annullata perché sia determinata ex novo la pena da infligge re per l'altro reato.
Con un secondo motivo, il ricorrente deduce il difetto di motivazione in relazione al richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti sull'aggravante contestata.
Il ricorso è stato assegnato alla II sezione penale di questa Corte suprema, ma gli atti sono stati trasmessi a queste sezioni unite per la risoluzione della questione relativa alla scindibilità, o meno, della figura del reato continuato nelle sue varie compo nenti di reati, ai fini dell'applicazione della prescrizione. Ciò te nuto conto, particolarmente, dei termini prescrizionali diversi che potrebbero essere previsti per i reati componenti la continua zione.
Motivi della decisione. — Ai fini della risoluzione della que stione sopra delineata, non sembra inopportuno un sia pur bre
ve cenno ai precedenti storici e legislativi dell'istituto del reato
continuato che, ignoto al diritto romano, barbarico e canonico, venne escogitato dai glossatori e postglossatori e dai criminalisti
pratici del cinquecento e del seicento come un rimedio idoneo a
mitigare le esorbitanti conseguenze del sistema del cumulo ma
teriale delle pene. Detto istituto, già accolto dal codice toscano — art. 80 — e dal
codice del 1889, fu abolito nel progetto preliminare del vigente codice penale, perché (come è spiegato nella relazione ministe riale sul progetto stesso, I, pag. 132) si ritenne che, essendo il reato continuato costituito da più fatti integranti piti reati distin
ti, non vi fosse ragione per derogare alle norme generali sul concorso di reati e di pene. Peraltro, veniva fatta salva la possi bilità di una diminuzione discrezionale della pena, qualora, per le circostanze indicate nell'art. 137 (ora art. 133) il colpevole «fosse apparso meritevole di qualche benevolenza».
Senonché, l'istituto in parola venne ristabilito nel testo defini tivo e la sopracitata relazione ministeriale chiarisce che il legisla tore a tanto si determinò perché, tenendo conto delle preoccu pazioni prospettate per l'eccessivo rigore cui avrebbe condotto, sia pure col cennato temperamento, il sistema del concorso mate
riale tra i vari fatti di continuazione, ritenne che trattavasi di una materia « nella quale le considerazioni teoriche debbono cedere alle esigenze della pratica ».
Tale precisazione non equivoca del pensiero del legislatore (che ben può valere per risalire allo spirito dell'istituto in discorso) dimostra che il vigente codice ha riprodotto la figura del reato continuato per le stesse ragioni dalle quali essa ha tratto origine, ossia per evitare le rigorose conseguenze della norma sul con
corso materiale dei reati e degli altri effetti giurìdici relativi alla
delinquenza reiterata, drogando, a tal fine, alle norme generali sul cumulo delle pene.
Può quindi affermarsi che, nel sistema del nostro codice, il rea to continuato, lungi dal costituire un reato essenzialmente unico, avente una propria oggettività giuridica, è la risultante di reati
plurimi, aventi distinta autonomia e singolarmente perfetti, uni
ficati, solo per determinati effetti giuridici, dall'elemento idea
tivo agli stessi comune, ossia dall'identità del disegno criminoso
che, come si legge nella più volte citata relazione ministeriale, costituisce « l'unità collegante i diversi fatti di continuazione »
(v. Cass., sez. un., 6 maggio 1950, Albertella, Foro it., 1951, II, 5). Per quanto attiene alla limitazione ed alla relatività dell'unifi
cazione, intesa nel senso sopra indicato, basterà far riferimento a talune norme del codice penale e di quello di rito penale, che
apparirebbero superflue e inconciliabili col criterio dell'unità pie
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