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sezione V penale; sentenza 2 ottobre 2003; Pres. Ietti, Est. Marini, P.M. Galasso (concl. diff.);ric. Cassisa e altri. Annulla App. Palermo 17 ottobre 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 1 (GENNAIO 2005), pp. 55/56-61/62Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200415 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 2 ot
tobre 2003; Pres. Ietti, Est. Marini, P.M. Galasso (conci,
diff.); ric. Cassisa e altri. Animila App. Palermo 17 ottobre
2002.
Truffa — Truffa aggravata per il conseguimento di eroga zioni pubbliche
— Frode comunitaria — Indebita perce zione di erogazioni a danno dello Stato —
Rapporti —
Fattispecie (Cod. pen., art. 316 ter, 640, 640 bis; 1. 23 dicem bre 1986 n. 898, conversione in legge, con modificazioni, del
d.l. 27 ottobre 1986 n. 701, recante misure urgenti in materia
di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio di
oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti co
munitari al settore agricolo, art. 2).
Posta la natura sussidiaria del reato di indebita percezione de
lineato nell'art. 2 l. 23 dicembre 1986 n. 898, deve ritenersi
che, allorché l'agente non si limiti ad esporre all'ente ero
gatore falsi dati o false notizie, ma invece trasferisca gli uni o le altre in pubblici documenti ovvero fornisca alla falsa rap
presentazione della realtà un supporto avente efficacia «pro batoria», la condotta eccede i confini di tale falsa rappre sentazione per connotarsi, a tal punto, di veri artifici, doven
dosi nei medesimi ricomprendere la simulazione o la dissi
mulazione della realtà mediante la stessa creazione della si
tuazione di apparenza resa credibile dalla prefabbricata co
struzione documentale, e ìntegra quindi il reato di cui all'art.
640 bis c.p. (nella specie, la sentenza di condanna per il reato
di cui all'art. 640 bis, emessa dai giudici di secondo grado, è
stata annullata con rinvio per ritenuta mancanza di prova circa la concreta idoneità della condotta a indurre in errore
l'ente erogatore); né nella tenuta condotta può ravvisarsi la
meno grave ipotesi delittuosa di cui all'art. 316 ter c.p., in
quanto questo punisce l'indebita percezione conseguita dal
mero utilizzatore o presentatore del documento — o della di
chiarazione falsa, ovvero recante attestazione contra verum
della presenza dei presupposti per l'erogazione della pubbli ca sovvenzione — o, infine, da chi abbia omesso le informa zioni dovute, mentre l'art. 640 bis c.p. sanziona l'artefice stesso della falsità che induce in errore l'ente erogatore, sic
ché è coerente la previsione di un più grave trattamento san
zionatorio in riferimento alla condotta che crea l'inganno e
non si limita alla mera acquisizione dell'erogazione non do
vuta ovvero ad un atteggiamento puramente omissivo. (1)
(1) I. - La sentenza in epigrafe s'inquadra nel solco di quell'orien tamento dei giudici di legittimità secondo cui, affinché ricorra l'ipotesi della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, non sarebbe sufficiente il semplice mendacio, essendo necessario altresì che la condotta criminosa dell'agente si sostanzi in un'attività fraudo lenta (consistente di solito nella formazione e utilizzazione di docu menti falsi).
Così la Cassazione più volte ha ritenuto responsabili ex art. 640 bis c.p. coloro che, attraverso l'emissione e l'utilizzazione di fatture e bolle d'accompagnamento relative a operazioni inesistenti, ingannino il fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia, conseguendo dal l'Alma contributi non dovuti (Cass. 15 ottobre 1998. De Vita, Foro it., Rep. 1999, voce Truffa, n. 29, e Cass, pen., 1999, 2545: 8 marzo 2000, Volpe, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 17, e Cass, pen., 2002, 254; cfr. altresì Cass. 13 marzo 1998, Lucarella, Foro it., Rep. 1998, voce Agri coltura, n. 106).
D'altronde, la stessa giurisprudenza (specie di legittimità) formatasi in rapporto all'art. 2 1. 23 dicembre 1986 n. 898 — col sostenere pres soché costantemente che l'ottenimento del premio Feoga attraverso la
«semplice» esposizione di dati e notizie falsi non integra una truffa ag gravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, bensì l'ipotesi delittuosa più lieve della frode comunitaria — si iscrive nello stesso orizzonte concettuale.
In quest'ultima prospettiva si è riconosciuta la responsabilità ex art. 2 cit. (e non per il più grave delitto previsto dall'art. 640 bis c.p.) in ca
po ai soci di una cooperativa agricola, produttrice di olio di oliva, che riuscivano ad ottenere l'integrazione di prezzo stabilita dai regolamenti Cee dichiarando nelle domande rivolte all'Aima anche quantitativi di olive acquistati fuori zona (Cass. 19 settembre 1992, Archibusacci, id., Rep. 1993, voce cit., n. 71, e Dir. e giur. agr. e ambiente, 1993, 367); come pure nel caso di un allevatore che, «ai fini della richiesta premio per produttori di agnelli leggeri di cui al regolamento Cee 3007/84», dichiarava un numero di capi superiore a quello realmente esistente (Cass. 4 aprile 1996, Bontempo, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 58, e Cass. pen.. 1997, 3433). E ancora nell'ipotesi del conseguimento del beneficio comunitario riservato a terreni definiti sotto la propria re
sponsabilità «seminativi», mentre tali in realtà essi non erano (Cass. 27
Il Foro Italiano — 2005.
Con sentenza 17 ottobre 2002, la Corte d'appello di Palermo
respingeva l'impugnazione proposta da Cassisa Salvatore, Be
nenati Ignazio e Drago Antonino avverso la sentenza 26 feb
braio 2001 con la quale il Tribunale di Palermo aveva affermato
la responsabilità del primo — condannandolo ad un anno e sei
mesi di reclusione — per il delitto di cui all'art. 640 bis c.p., e
del secondo e del terzo — condannando ciascuno a mesi dieci di
reclusione — per concorso in falso ideologico del pubblico uffi
agosto 1999, n. 8991, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 61, e Dir. e giur. agr. e ambiente, 2000, 319).
Invero, la questione affrontata dalla decisione in epigrafe si era posta già prima dell'introduzione dell'art. 640 bis c.p., come dimostrano
quelle pronunce che — beninteso, per fatti commessi anteriormente al l'entrata in vigore della 1. 19 marzo 1990 n. 55 — al fine di risolvere il
quesito circa l'applicabilità della fattispecie di frode comunitaria (art. 2 1. 898/86) o, in alternativa, di quella che incrimina la condotta di truffa
aggravata ai danni di ente pubblico «diverso dallo Stato» (art. 640, 2°
comma, n. 1, c.p.), nella cui nozione la giurisprudenza è solita far rien trare anche gli organi della Cee (Cass. 13 maggio 1992, Micheloni, Fo ro it., Rep. 1993, voce Truffa, n. 17), facevano leva sui criteri distintivi del mero mendacio e della prefabbricata creazione di una situazione di
apparenza: cfr. Cass. 9 agosto 1987, Coluccio, id., Rep. 1988, voce
Agricoltura, n. 98, che ha ritenuto applicabile l'art. 2 1. 898/86 — e non l'art. 640, 2° comma, n. 1, c.p. — nei confronti di un soggetto che ave va dichiarato «una produzione e vendita di pomodori in quantità supe riore a quella reale al fine di ottenere l'integrazione, alla stregua delle norme comunitarie, del prezzo (. . .) del pomodoro prodotto e venduto».
Secondo Cass. 3 giugno 1997, Milano (id., 1999, II, 130, con nota di P. La Spina, Ancora su! rapporto tra il delitto di ottenimento di inde bite sovvenzioni comunitarie ed il delitto di truffa aggravata per il con
seguimento di erogazioni pubbliche) la disposizione di cui all'art. 2 1. 23 dicembre 1986 n. 898, che punisce l'ottenimento indebito di sov venzioni a carico totale o parziale del fondo europeo agricolo di orien tamento e garanzia mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, deve ritenersi sussidiaria rispetto alla disposizione dell'art. 640 bis c.p., e ciò in quanto il semplice mendacio non è idoneo ad integrare gli estremi
degli artifizi o raggiri, indispensabili per la sussistenza del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Per un caso di finanziamento da parte della Cee di corsi professionali — finanziamento ottenuto «predisponendo e presentando una serie di documenti» che falsamente ne attestavano lo svolgimento — in cui, po stosi il problema della qualificazione giuridica del fatto come truffa ag gravata ai danni di ente pubblico «diverso dallo Stato» o come abuso d'ufficio patrimoniale (secondo la «vecchia» formula dell'art. 323, 2°
comma, c.p.), la Cassazione ha optato per la sussistenza del delitto di cui all'art. 640, 2° comma, n. 1, c.p., imperniando la decisione sulla «artificiosa presentazione dei documenti»: cfr. Cass. 13 maggio 1992, Micheloni, cit.
E sempre in tema di frodi comunitarie nel settore agroalimentare, si
gnificativo appare il dato che, anteriormente all'entrata in vigore del l'art. 2 1. 898/86, la giurisprudenza era solita ricomprendere nel «gran de contenitore» dell'art. 640, 2° comma, n. 1, c.p. anche mere dichiara zioni mendaci: in tal senso, cfr. Cass. 15 ottobre 1973, Gazzola, id..
Rep. 1975, voce Truffa, n. 34. Un percorso identico a quello seguito dalla giurisprudenza per la fro
de comunitaria e per il delitto di truffa aggravata di cui agli art. 640 e 640 bis c.p., attraverso l'adattamento effettuato dalla giurisprudenza dello schema generale della truffa a quella in danno alla Comunità eu
ropea, pur se in materia differente, lo si può individuare in Cass. 27 no vembre 2002, Gazetas (id., 2003, II. 675, con nota di richiami) secondo cui la sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine comunita ri, realizzata attraverso l'occultamento e l'omessa dichiarazione delle stesse nel documento di trasporto, integra, alla luce di un'interpretazio ne estensiva ed evolutiva basata sull'influenza del codice doganale co munitario su quello interno, gli estremi della fattispecie di cui all'art. 282 e non già quelli della fattispecie residuale e sussidiaria di cui al l'art. 292 d.p.r. 43/73.
Secondo Cass. 26 giugno 2002, Fedi, id., 2002, II, 626, con nota di
richiami, il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, di cui all'art. 640 bis c.p., configura una circostanza aggra vante del reato di truffa, di cui all'art. 640 c.p.
II. - La Cassazione, nel disporre l'annullamento della condanna pro nunciata in grado di appello, ha ribadito — come ipotesi da sottoporre al vaglio del giudizio di rinvio — la configurabilità del delitto di truffa
aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, escludendo nel caso di specie la configurabilità dell'indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 ter c.p.).
Anche sotto questo profilo, la sentenza recepisce un punto di vista diffuso nella prassi.
Al fine di tracciare il discrimine tra la fattispecie prevista dall'art. 640 bis c.p. e quella di cui all'art. 316 ter, la giurisprudenza è solita in fatti ricorrere al seguente ragionamento: «Con l'introduzione dell'art. 316 ter deve ritenersi che il legislatore abbia inteso escludere che possa configurare raggiro o artificio, tale da integrare la truffa prevista e pu
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GIURISPRUDENZA PENALE
ciale in atti pubblici (art. 479 c.p.); pene tutte condizionalmente
sospese e in dette misure determinate previa concessione delle
attenuanti generiche. Veniva pertanto ritenuto, nelle sentenze dei giudici di merito,
che il Cassisa (già vescovo di Monreale) avesse indotto in errore l'assessorato dell'agricoltura e foreste della regione siciliana
allorché, in sede di domanda del 3 agosto 1990 — da lui stesso
presentata quale legale rappresentante dell'azienda agricola
nita dall'art. 640 bis c.p., la mera ostentazione di documenti (utilizzo o
presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non
vere) o il mero silenzio (omissione di informazioni dovute). Con la con
seguenza che, in presenza di tali condotte non accompagnate da ulteriori malizie dirette all'induzione in errore del soggetto passivo, deve appli carsi anziché la fattispecie della truffa aggravata di cui all'art. 640 bis
c.p., la più favorevole disposizione dell'art. 316 ter c.p.» (Cass. 22 mar zo 2002, Morandell, cit. in motivazione, Foro it., Rep. 2002, voce Truf fa, n. 18, e Guida al dir., 2002, fase. 37, 50. Nello stesso senso, cfr. al tresì Cass. 24 settembre 2001, Temmerle, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 20, e Dir. e giustizia, 2001, fase. 44, 40; 30 ottobre 2001, Cogno, Fo ro it., Rep. 2002, voce cit., n. 20, e Dir. e giustizia, 2002, fase. 9, 26).
È proprio sulla base di argomentazioni come queste che nel caso di
specie l'organo giudicante ha motivato la scelta in favore dell'applica bilità dell'art. 640 bis c.p. Decisiva, nella ricostruzione del fatto, la cir costanza che l'imputato non si sarebbe limitato alla mera acquisizione dell'erogazione, ma avrebbe per così dire «creato l'inganno».
È peraltro da segnalare che la Corte d'appello di Milano ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 316 ter c.p. per supposto contrasto con l'art. 3 Cost. (App. Milano, ord. 25 novembre 2002, G.U., 1" s.s., n. 13 del 2003). L'argomento «forte» del giudice a quo è il seguente: la «secolare tradizione interpretativa» (della giurispruden za) secondo cui il falso rappresenta la forma più comune e tipica di «artifici e raggiri» costitutivi del delitto di truffa, determinerebbe para dossalmente una ingiustificata disparità di trattamento a seconda che la condotta fraudolenta si diriga in danno di un ente pubblico o comunita rio ovvero in danno di un privato.
Chi ottenga erogazioni da un privato mediante documenti falsi sa rebbe punibile ai sensi dell'art. 640 c.p.; mentre nel caso dell'ente pub blico e comunitario detta tipologia di condotta costituirebbe il discrimi ne per un rilevante mutamento della sanzione (che diverrebbe ammini strativa nei casi più lievi).
La Corte costituzionale ha rigettato l'eccezione, stigmatizzando la «tradizionale lettura» giurisprudenziale del delitto di truffa, e polemiz zando con l'idea che il «falso» ricadrebbe pacificamente nella condotta di «raggiri o artifici» (Corte cost., ord. 12 marzo 2004, n. 95, Foro it., 2004,1, 1324).
Identiche censure erano state mosse negli anni passati all'art. 2 1. 898/86.
Identiche motivazioni avevano permesso alla Consulta di superarle (Corte cost. 10 febbraio 1994, n. 25, id., 1994, I, 1627; ord. 23 dicem bre 1998, n. 433, id., Rep. 1999, voce Agricoltura, n. 70).
Su tutte le questioni affrontate, in dottrina, v. Bonfiglioli, L'indebita
captazione di sovvenzioni pubbliche tra specialità e sussidiarietà, in Cass. pen., 2003, 915; Caraccioli-Mensi, Frodi comunitarie: novità normative e giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. pen. economia, 1997, 819; Cesqui, Il rapporto tra truffa aggravata e legislazione speciale nelle frodi ai danni del Feoga, in Cass. pen., 1996, 2913; D'Arma, Sulla natura giuridica della truffa aggravata per il conseguimento di
erogazioni pubbliche, id., 1999, 1235; Dell'Anno, Aspetti processuali della repressione delle frodi in danno degli interessi finanziari dell'U nione europea, id., 1995, 740; Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, Bologna, 2002, II, 191; Fracassi, L'elemento del danno nel l'art. 640 bis c.p.: qualche osservazione a margine della sentenza delle sezioni unite n. 2780 del 1996, in Giust. pen., 1998, II. 178; Madia, Considerazioni in ordine ai rapporti tra l'art. 316 ter c.p. e l'art. 640 bis c.p.: quando l'ipertrofia normativa genera disposizioni in tutto o in
parte inutili, in Cass. pen., 2003. 2680; Manduchi, «Tanto tuonò che non piovve»: perplessità e reticenze della prima giurisprudenza di le
gittimità sul nuovo art. 316 ter c.p., ibid., 1217; Mezzetti, Ricognizione sui recenti sviluppi delle tecniche di contrasto delle frodi comunitarie, in Riv. trim. dir. pen. economia, 1998, 127; Id., La tutela penale degli interessi finanziari dell'Unione europea. Sviluppi e discrasie nella le
gislazione penale degli Stati membri, Padova, 1994; Pelissero, Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1991, 923; Perduca, Falsa fatturazione e frode comunita
ria, in Cass. pen., 1997, 1147; Pezzella, Truffa sul conseguimento di
erogazioni pubbliche: attenti alla prescrizione, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 38, 31; Semeraro, Osservazioni in tema di indebita perce zione di erogazioni a danno dello Stato, in Cass. pen., 2001, 2563; Se
minara. La prevenzione e la repressione delle frodi a danno delle fi nanze comunitarie nell'ordinamento italiano, in Riv. pen. economia, 1994, 127; Spagnolo, Breve -commento alle nuove disposizioni per la
prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di
manifestazioni e di pericolosità sociale (1. 55/90), in Riv. trim. dir. pen. economia, 1990, 703; Terracina, In tema di truffa aggravata per il
Il Foro Italiano — 2005.
eremo del santuario di Tagliavia —
per il conseguimento del
premio Cee per l'abbandono delle superfici vitate, aveva rap presentato, nella dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, una superficie maggiore di quella reale (cioè ettari 38,30 anzi ché 21) previa iscrizione dei vigneti per tale superficie al catasto
vitivinicolo, così ottenendo il premio per importo superiore a
quello spettantegli; e, ancora, che il Benenati ed il Drago, fun
zionari dell'Ipa, avessero falsamente attestato, nel verbale di ac
certamento preventivo 29 marzo 1990, che, a seguito di verifi
che tecniche e sopralluoghi, la superficie impiantata a vigneto nella detta azienda agricola era risultata pari ad ettari 38.
Quanto al Cassisa, invero, i giudici di secondo grado, anzi
tutto precisavano che la rinuncia alla prescrizione del reato
contestato — operata dall'imputato a mezzo di procuratore spe
ciale alla stessa udienza dibattimentale del 17 ottobre 2002 —
non li esentava dall'obbligo di pronunciarsi sull'imputazione, sia che la violazione dell'art. 640 bis c.p., fosse qualificabile come ipotesi aggravata della truffa —
perché in tal caso il pote re di rinuncia era stato esercitato dopo che la prescrizione era
maturata per decorrenza del termine massimo calcolato ex art.
160, cpv., c.p. (anni sette e mesi sei) — sia che dovesse indivi
duarsi in tale violazione un reato autonomo, perché in tal caso la
rinuncia avrebbe preceduto il compimento di siffatto termine
(anni quindici) rendendosi, quindi, improduttiva di effetti.
Dato atto dell'impianto a vigneto di ettari 19.87.19 — come
accertato da apposito collegio peritale in esito ad indagine a po steriori (misurazione dell'area fatta oggetto di estirpazione)
— i
secondi giudici negavano credito alla tesi difensiva che la falsa
rappresentazione della maggior superficie vitata, attese le sue
stesse modalità, avesse tratto da un mero errore per avere l'im
putato riposto pieno affidamento sui dati quali risultanti dagli archivi della curia e ritenevano provato, piuttosto, che egli aves
se inteso conseguire l'ingiusto profitto quale conseguenza del
l'inganno indotto con il mezzo frodatorio usato.
Quanto ai due funzionari, parimenti, i secondi giudici ribadi
vano il giudizio di loro concorsuale responsabilità, attribuendo
ad entrambi di avere volutamente reso il falso nell'avere atte
stato, nel verbale di accertamento preventivo, la corrispondenza dell'estensione della superficie vitata a quella dichiarata dal
proprietario; ciò sul rilievo che, in realtà, gli imputati non ave
vano proceduto ad alcuna effettiva misurazione (avendo il Dra
go riferito di una misurazione «a campione»). Avverso tale sentenza ricorrono, tramite i rispettivi difensori,
tutti gli imputati. Il Cassisa denuncia: 1) erronea applicazione dell'art. 640 bis
c.p. ovvero motivazione mancante o manifestamente illogica in
ordine al giudizio di colpevolezza, non risultando minimamente
illustrato il fatto di concreta induzione in errore dell'ente ero
gatore da parte dell'imputato e, quindi, il nesso causale fra te
nuta condotta ed evento (l'erogazione del premio oltre il dovu
to) all'interno di un procedimento comprensivo di una pluralità di adempimenti e verifiche esclusivamente rimessi ai funzionari
dell'Ipa; 2) erronea applicazione della legge penale in ordine
alla qualificazione giuridica del fatto (e, conseguentemente, in
ordine al trattamento sanzionatorio), in quanto riconducibile alla
meno grave previsione di cui all'art. 2 1. 23 dicembre 1986 n.
898 (indebita percezione di erogazioni a danno del fondo euro
peo agricolo di orientamento e garanzia mediante esposizione di
dati e notizie falsi); 3) manifesta illogicità della motivazione in
punto di dolo del ritenuto reato; 4) erronea applicazione degli art. 157 e 160 c.p., nell'assunto di inoperatività della rinuncia
alla prescrizione intervenuta in un momento nel quale questa non si era ancora maturata.
Drago e Benenati deducono: 1) motivazione «carente o illogi ca» circa il giudizio di affidabilità del metodo di misurazione
della superficie vitata (la c.d. «fotointerpretazione» utilizzata
dal collegio peritale); 2) motivazione «carente ed illogica» nella
determinazione dell'estensione del vigneto estirpato (non sareb
bero stati aggiunti ai 21 ettari impiantati con finanziamento nel
l'anno 1970 i 7 ettari a vigneto preesistenti) ovvero in punto di
incompatibilità del valore di resa del vigneto, all'epoca dei fatti
conseguimento di erogazioni pubbliche, in Riv. pen., 2000, 865; Tiede
mann, La frode alle sovvenzioni: origini di un diritto penale europeo?, in Riv. trim. dir. pen. economia, 1999, 561; A. Perduca, Lotta contro la
frode e protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee, in Foro it., 1997, V, 259.
Sull'Aima, cfr. Corte conti, sezione controllo enti, determinazione 11 marzo 1999, n. 12, id., 1999, III, 207.
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PARTE SECONDA
(1990), con una superficie superiore ai 36 ettari; 3) violazione di
legge ovvero vizio di motivazione in ordine al ritenuto obbligo dei funzionari di procedere alla misurazione delle superfici, sul
rilievo che tale obbligo non sarebbe normativamente previsto (il 3° comma dell'art. 2 del regolamento 1442/88 attribuirebbe ai
funzionari l'unico compito di determinare la resa del vigneto
quale parametro dell'importo del premio, sulla base della docu
mentazione offerta dall'interessato e, dunque, soltanto la capa cità produttiva del vigneto); 4) violazione di legge e vizio di mo
tivazione in ordine al dolo del reato, sul rilievo che la sentenza
non esprimerebbe alcun apprezzamento circa la consapevolezza della falsa attestazione; 5) difetto di motivazione nella parte in
cui la sentenza ha escluso dalla superficie vitata le particelle F e
G, ovvero ha omesso di rispondere alla censura circa la corret
tezza e validità del metodo di misurazione seguito dai periti.
Quanto al ricorso del Cassisa, la trattazione dei motivi segue anzitutto l'ordine logico imposto dalla pregiudizialità che par zialmente li caratterizza.
Deve quindi ritenersi infondato il motivo sub 4). La fattispecie designata nell'art. 640 bis c.p.
— truffa per il
conseguimento di pubbliche erogazioni — costituisce circostan
za aggravante del delitto previsto all'art. 640 stesso codice e,
dunque, non figura autonoma di reato, come hanno definitiva
mente statuito le sezioni unite della Cassazione con sentenza 26
giugno 2002, Fedi (Foro it., 2002, II, 626); consegue che, in
forza delle concesse attenuanti generiche, il termine massimo di
prescrizione ex art. 157, n. 4, e 160 c.p., in relazione alla pena edittale, è quello di anni sette e mesi sei, interamente decorso
alla data del 3 febbraio 1998 (indicandosi in sentenza la data del
3 agosto 1990 quale tempus commissi delicti). Poiché la rinuncia alla prescrizione (consentita ex sentenza
additiva 275/90 della Corte costituzionale, id., 1992, I, 604) è
sopravvenuta alla causa estintiva — essendo stata espressa al
l'udienza del 17 ottobre 2002 — ne deriva la sua piena operati vità (Cass. 20 ottobre 1999, Araniti, id., Rep. 2000, voce Pre
scrizione penale, n. 7; 21 gennaio 1999, Mingon e altri, id., Rep. 1999, voce cit., n. 28), sicché correttamente la corte territoriale
si è pronunciata sull'imputazione senza accedere alla dichiara
zione di estinzione del reato, preclusa dalla valida rinuncia del
l'imputato. Parimenti infondato è il motivo sub 2).
L'ipotesi di cui all'art. 640 bis c.p., invero, si connota ogget tivamente di una condotta :— descritta per relationem attraverso
il rinvio dell'art. 640 stesso codice — consistente in artifici e
raggiri capaci di indurre il soggetto passivo a corrispondere contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni, sovvenzioni tutte provenienti dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee, al cui accesso l'agente non avrebbe al cun titolo.
Nella specie, la corte territoriale, postasi il tema di qualifica zione giuridica del fatto addebitato, è pervenuta ad escluderne la
sussumibilità nella previsione di cui all'art. 2 1. 898/86 indivi
duando nella preventiva iscrizione della maggior superficie vi tata all'albo vitivinicolo (essa stessa preceduta dall'avocazione a sé della gestione dell'azienda agricola in coincidenza con la
presentazione di nuova domanda di contributo in sostituzione di
quella presentata pochi mesi prima, per superficie notevolmente
inferiore, dal sacerdote Salvia Salvatore), e nella dichiarazione
sostitutiva dell'atto di notorietà attestante contra verum tale
maggiore estensione, gli artifici ed i raggiri che, quale quid plu ris rispetto alla condotta prevista nella legge speciale, connota no l'ipotesi della truffa aggravata.
Tale motivazione deve essere pienamente condivisa.
Ed invero, pacifica, in materia di frodi comunitarie, la natura
sussidiaria del reato di indebita percezione disegnato nell'art. 2
della legge (Cass. 10 marzo 1994, Cazzetta e altri, id., Rep. 1995, voce Truffa, n. 27; 13 giugno 1988, Fani, id., Rep. 1989, voce Agricoltura, n. 69), deve ritenersi che, allorché, come nella
specie, l'agente non si limiti ad esporre all'ente erogatore falsi dati o false notizie, ma, invece, trasferisca gli uni o le altre in
pubblici documenti (iscrizione all'albo) ovvero fornisca alla fal sa rappresentazione della realtà un supporto avente efficacia
«probatoria» (la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa ai sensi della 1. 4 gennaio 1968 n. 15), la condotta eccede i confini di tale falsa rappresentazione per connotarsi, a tal punto, di veri artifici, dovendosi nei medesimi ricomprendere la simu
lazione o la dissimulazione della realtà mediante la stessa crea zione della situazione di apparenza resa credibile dalla prefab bricata costruzione documentale.
Il Foro Italiano — 2005.
Il dato o la notizia falsa, in sostanza, non è più solo esposta all'ente erogatore, bensì è formata ab imis ed è costruita in ter
mini che rendano attendibile il dato quale esposto. Deve altresì decisamente negarsi che la tenuta condotta con
figuri la meno grave ipotesi delittuosa, introdotta con la 1. 29
settembre 2000 n. 300, all'art. 316 ter c.p. Vero è, infatti, che tale norma può apparire, ad una prima
sommaria valutazione, sostanziale bis in idem senza margine al
cuno di autonomia rispetto al reato descritto nell'art. 640 bis
stesso codice; ma, in realtà, la nuova norma — che contiene si
gnificativa clausola di riserva («... salvo che il fatto non costi
tuisca ...») — punisce l'indebita percezione conseguita dal me
ro utilizzatore o presentatore del documento — o della dichiara
zione falsa, ovvero recante attestazione contra verum della pre senza dei presupposti per l'erogazione della pubblica sovven
zione — o, infine, da chi abbia omesso le informazioni dovute; l'art. 640 c.p. punisce, invece, l'artefice stesso della falsità che
induce in errore l'ente erogatore, sicché è coerente la previsione di un più grave trattamento sanzionatorio in riferimento alla
condotta che crea l'inganno e non si limita alla mera acquisizio ne dell'erogazione non dovuta ovvero tiene un atteggiamento
puramente omissivo (v., in tal senso, Cass. 22 marzo 2002, Mo
randell, id., Rep. 2002, voce Truffa, n. 18, che esclude la confi
gurabilità del reato di cui all'art. 316 ter c.p. in presenza di ulte
riori comportamenti fraudolenti o maliziosi). E, del resto, che in ciò debba consistere il discrimine fra le
due ipotesi fornisce dimostrazione il fatto che la legge introdut
tiva della nuova figura criminosa, al 2° comma dell'art. 316 ter,
qualifica come mero illecito amministrativo l'indebita percezio ne, conseguita secondo le modalità di condotta descritte al 1°
comma, di somme al di sotto della soglia di lire 7.785.500 ovve
ro pari a tale importo; perché, infatti, allorché l'art. 640 bis,
espressamente richiamato nell'inciso di cui al 1° comma, non
prevede alcuna soglia di punibilità e, allora, non avrebbe alcun
senso logico e giuridico conservare all'interno della stessa nor
ma il richiamo al reato più grave giusta modalità attuative speci ficamente descritte e, poi, escludere la configurabilità del reato
introducendo soglie di punibilità che questo non prevede in al
cun modo.
Deve ritenersi fondato, viceversa, il motivo sub 1). Ed invero, pure assegnato alla condotta dell'imputato capa
cità ingannatoria nei confronti dell'ente erogatore, difetta nella
sentenza impugnata (così come in quella di primo grado) una
qualsiasi argomentazione in ordine al nesso causale ravvisabile
fra gli artifici e l'induzione in errore e, cioè, sul fatto che il
mezzo frodatorio abbia in concreto cagionato l'inganno, tema
che logicamente precede quello dell'astratta capacità della con
dotta a generare un tale effetto (e comunque positivamente ri
solto in ragione della stessa natura e rilevanza giuridica degli atti compiuti).
Vero è, infatti, che secondo l'iter procedurale propedeutico
all'erogazione del contributo e nei termini previsti dal regola mento Cee «azionato», la domanda tesa ad ottenere l'aiuto co munitario doveva transitare attraverso la verifica ispettiva del
l'Ipa (e la determinazione dell'importo del contributo in Ecu), il rilascio del nulla osta all'estirpazione e la comunicazione di
estirpazione del vigneto, la verifica dell'avvenuta estirpazione;
adempimenti tutti rimessi esclusivamente agli addetti all'ufficio
ispettivo e che la sentenza non dice in una qualsiasi misura fatti
oggetto di interferenza da parte dell'imputato, la cui condotta maliziosa si arresta, dunque, alla rappresentazione contra verum
dell'estensione della superficie ammessa al contributo.
Va poi rilevato che unicamente ai funzionari dell'ufficio
ispettivo, Benenati e Drago, e non anche al Cassisa in concorso, è stata contestata la falsa attestazione di una superficie pari ai 38
ettari quale effettivamente misurata, sicché risulta descritta una
specifica condotta astrattamente capace ex se ed in autonomia, in ragione della natura verificatoria di un dato essenziale per la
quantificazione del contributo, di indurre in errore l'ente nel
momento determinativo ed erogativo del medesimo; né, sul
punto, possono trarsi utili argomenti —
comunque non mini
mamente sviluppati nell'impugnata sentenza — dalla declarato
ria di proscioglimento del Cassisa, resa in primo grado, quanto all'addebito di concorso nell'abuso ex art. 323 c.p. sub specie di
istigazione, in quanto estinto per prescrizione, non risultando in
alcun modo descritta una siffatta condotta.
In una tale situazione — cui è estranea l'ipotesi della mera
negligenza del funzionario incaricato del controllo della doman da e che, viceversa, è caratterizzata da un intervento manipola
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GIURISPRUDENZA PENALE
torio da parte del funzionario medesimo — avrebbe dovuto il
giudice di merito fornire compiuta motivazione del concreto
nesso causale fra la condotta dell'imputato e l'induzione nel
l'errore che ha portato l'ente a determinare ed infine erogare il
contributo.
Consegue, pertanto, che la sentenza deve essere annullata sul
punto, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Pa
lermo per un nuovo e compiuto esame alla luce delle esposte considerazioni in diritto.
E, ciò, con ricaduta quanto al dolo della truffa — oggetto del
motivo sub 3) — apprezzato «in negativo», ovvero consideran
do — sulla base della massima di esperienza che la richiesta di
contributi o pubbliche provvidenze in relazione ad una situazio
ne di fatto esige normalmente la veridica rappresentazione della
situazione nell'attualità — che l'imputato, soggetto di particola re levatura culturale ed intellettuale, per mera negligenza abbia
potuto fare affidamento, nel momento di compilazione della
domanda, sui dati, non aggiornati, presenti negli archivi della
curia e, ancora prima, negando credito alla tesi dell'errore sul
rilievo che la consultazione dei dati dell'archivio avrebbe do
vuto «ragionevolmente» indurre l'imputato (che descrisse ana
liticamente le particelle) «ad assestarsi» sui 21 ettari o, al mas
simo, su poco più di 26 ettari.
Quanto ai ricorsi di Benenati e Drago, deve dirsi anzitutto in
fondato il primo e comune motivo, per vero assai prossimo alla
soglia dell'inammissibilità laddove, nell'intento di mettere in
discussione il giudizio di falsità dell'attestazione, torna a conte
stare la validità del metodo peritale di misurazione delle super fici (spingendosi al punto di sostenere che avrebbe dovuto pre ferirsene altro).
Ed invero, la corte territoriale ha logicamente motivato il giu dizio di piena affidabilità dell'adottato metodo della fotorestitu
zione (chiamato ad operare su superfici già espiantate del vi
gneto), rilevando che tale metodo (presentante, peraltro, margini di errore assai ridotti) ha consentito misurazioni certe nonché
compatibili con i dati storicamente ricavabili dagli archivi
(comprensivi di analoghe domande di contribuzione ed accer
tamenti degli uffici), sì da individuare una superficie realmente
vitata pari a poco meno di 20 ettari e, dunque ampiamente infe
riore a quella denunciata dall'imputato nel marzo dello stesso
anno (ettari 38,30); e, ciò, sottolineando il fatto che il possibile
margine di errore metodologico risultava comunque ulterior
mente ridotto in ragione della perfetta riconoscibilità, nelle ri
prese aerofotogrammetriche, dell'impianto del tipo a spalliere e
relativo a vitigni adulti, nonché coerentemente respingendo la
pretesa di diversa valutazione affidata all'empirica rilevazione
dell'accoglimento di alcuni ricorsi dei proprietari in tema di mi
surazione delle superfici. Ed infine, laddove i ricorrenti oppongono (ripetitivamente)
una personale e più favorevole lettura dei dati documentali, già tutti esaminati dal giudice di appello, non può non cogliersi un
profilo di inammissibilità, quale reso ulteriormente palese dalla
contestazione dell'effettiva riconoscibilità dei vigneti affermata
dal collegio peritale. Il secondo motivo di ricorso esprime con ancor maggiore evi
denza una censura di merito, richiedendosi unicamente un più favorevole calcolo delle superfici vitate già compiutamente ope rato dalla corte territoriale sulla base di atti documentali non
reinterpretabili in questa sede se non a prezzo di una ulteriore e
non consentita valutazione in fatto; e ciò, peraltro, prospettando due dati fattuali — i 26 ettari nell'anno 1975 ed ettari 5,56 «in
uso ai Benedettini» da sommarsi ai primi —
già esclusi dal giu dice di merito per coerente richiamo ad un verbale di accerta
mento dell'anno 1975 ovvero all'età degli impianti sulle super fici concesse in uso e ricomprensibili, pertanto, nella superficie stimata ancora in quell'anno.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono che, ai sensi del re
golamento Cee (art. 2, par. 1), non avrebbe fatto loro carico al
cun obbligo di misurazione perché il contributo doveva essere
rapportato alla resa per ettaro; e, da ciò, derivano la sostanziale
ininfluenza del falso (innocuo). Il motivo non ha fondamento.
Ed invero — premesso che la censura contiene il riconosci
mento che alcuna misurazione, pure attestata quale frutto di so
pralluogo e specifico accertamento, venne in realtà operata (cir costanza già parzialmente ammessa dal Drago nel riferire di una
verifica «a campione») — deve rilevarsi che per nulla illogica
II Foro Italiano -— 2005.
mente, trattando del 3° comma dell'art. 2 — in cui è fissata la
regola per determinare la resa per ettaro — il giudice di merito
ha affermato l'assoluta rilevanza del dato di estensione dell'area
impegnata dal vigneto; poiché, infatti, la norma regolamentare
espressamente prevedeva un contributo «per ettaro» ed altresì
commisurato alle fasce di superficie, l'attestazione — rivelatasi
completamente falsa — dell'avvenuta misurazione del terreno e
di una corrispondenza al dichiarato, non era affatto irrilevante ai
fini di determinazione del contributo, pur sempre calcolato con
riferimento alla totalità dell'area interessata.
Infondato è anche il motivo sub 4), non corrispondendo al ve
ro che l'impugnata sentenza abbia omesso la motivazione sul
dolo del falso, risultando invece, testualmente, che la consape volezza dell' immutatio veri in capo ad entrambi gli imputati è
stata coerentemente desunta non soltanto dalla circostanza che
la misurazione venne consapevolmente omessa (sicché alcuna
estensione avrebbe potuto essere realmente attestata), ma anche
da quella che gli ispettori resero una descrizione analitica ed ar
ticolata delle singole porzioni del fondo, sintomatica di un'ef
fettiva volontà di rappresentare una misurazione effettiva in
adempimento di un obbligo istituzionale, nonché idonea a nega re ogni credito all'ulteriore assunto difensivo di misurazione
approssimativa per inadeguatezza degli strumenti. Il quinto motivo, infine, è inammissibile perché, lungi dal co
gliere il denunciato vizio motivazionale, anzitutto si traduce
nella richiesta di un nuovo apprezzamento in fatto che riconduca
talune particelle, già erroneamente espunte (e, per vero, non
rintracciabili in sentenza) nel perimetro della superficie vitata e,
ciò, peraltro, attraverso censure rivolte alla perizia più che alla
sentenza; e, per il resto, torna a contestare la validità del metodo
di misurazione, offrendosi così al giudizio già espresso in ordine
al motivo sub 1). I ricorsi di Benenati e Drago, conclusivamente, devono essere
rigettati.
TRIBUNALE DI C ALT ANISSETT A ; sentenza 2 marzo 2004; Giud. Tona; imp. Tricoli e altro.
TRIBUNALE DI C ALT ANISSETT A ;
Abuso di poteri e violazione dei doveri d'ufficio — Abuso
d'ufficio — Impiegato dello Stato e pubblico — Contratto
collettivo nazionale di lavoro — Approvazione della gra duatoria relativa alla progressione economica orizzontale — Violazione del dovere di astensione — Reato — Esclu
sione — Fattispecie (Cod. pen., art. 323; d.leg. 30 marzo
2001 n. 165, norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, art. 49, 64).
Sebbene l'inosservanza del contratto collettivo di lavoro pub blico rientri nello specchio applicativo dell'art. 323 c.p., va
esclusa la sussistenza del reato, qualora sia configurabile l'erronea interpretazione del contratto, anziché la sua inten
zionale violazione. (1)
Affinché sia configurato il reato di abuso d'ufficio, non è suffi ciente che un sindaco abbia emesso un atto violando il pro
prio dovere di astensione, essendo necessario che l'atto stes
so abbia arrecato un indebito vantaggio patrimoniale e sia
difforme rispetto al trattamento riservato a tutte le altre
istanze dì identico contenuto presentate dagli altri cittadini
(nella specie, il reato è stato escluso con riferimento ad un'i
potesi di approvazione di graduatorie relative a progressione
economica). (2)
(1-2) I. - Non si rinvengono precedenti specifici. In tema di abuso d'ufficio, per l'orientamento della Cassazione in
cline a riconoscere, prima della privatizzazione del pubblico impiego, la natura regolamentare dei c.c.n.l., v. Cass. 31 marzo 2000, Stendardo, Foro it., Rep. 2000, voce Abuso di poteri, n. 71, la quale, in particolare, ha attribuito valore di regolamento agli accordi collettivi nazionali af
fermando che le Usi hanno facoltà di instaurare «rapporti di lavoro li
bero-professionali con medici ed altri professionisti che sono regolati da accordi collettivi nazionali, resi esecutivi con d.p.r. le cui norme
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