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sezione V penale; sentenza 3 febbraio 2003; Pres. Calabrese, Est. Ferrua, P.M. (concl. conf.); ric.P.m. in c. Celletti. Annulla Trib. Rieti, ord. 26 aprile 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 669/670-673/674Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199737 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
chiesta di archiviazione del procedimento sostenendo che non
esistevano «elementi sufficienti per ipotizzare la responsabilità del produttore, sussistendo la possibilità di attribuire il processo di alterazione del liquido contenuto nella bottiglia ... alla mani
polazione successiva di terze persone non identificabili, e non
apparendo comunque proficuo lo svolgimento di ulteriori inda
gini, atteso il tempo trascorso dall'accertamento del fatto».
La parte offesa ha proposto ricorso per cassazione avverso il
provvedimento di archiviazione emesso dal g.i.p. presso il Tri
bunale di Roma, in data 8 aprile 2002, che aveva ritenuto legit timato soltanto lo Stato e non la Vagnozzi denunciante.
Il ricorso è fondato.
Le contravvenzioni di cui agli art. 5 e 6 1. 283/62 sono poste a
tutela della salute delle persone, quali consumatori (Cass. 22
febbraio 2002, Giacobbe, Foro it., Rep. 2002, voce Alimenti e
bevande, n. 36; 4 marzo 1998, Costa, id., Rep. 1998, voce cit., n. 87; 7 dicembre 1992, Fabbro, id., Rep. 1993, voce cit., n. 74; 28 febbraio 1990, Cervellati, id., Rep. 1991. voce cit., n. 82; 29
giugno 1983, Bechelli, id., Rep. 1987, voce cit., n. 72; 21 giu
gno 1977, Strambelli, id., Rep. 1978, voce cit., n. 60). La salute costituisce un diritto fondamentale umano alla luce
dei principi costituzionali (soprattutto art. 2, 32, 41 Cost.), di
ritto che ha non solo un contenuto procedimentale (informazio
ne, partecipazione ed accesso di ogni persona), ma sostanziale, toccando il benessere psico-fisico della persona.
Con l'atto unico europeo e gli altri strumenti successivi (art. I30R; BOS; 130T), la tutela dei consumatori è divenuta una
componente primaria della politica comunitaria.
Di conseguenza, fermo rimanendo l'obbligo delle istituzioni
nella protezione — anche per via giudiziaria
— della salute co
me interesse pubblico, deve riconoscersi l'autonomo interesse
giuridico delle persone e delle formazioni sociali ad accedere
alla giustizia a tutela della salute quale diritto fondamentale e
bene giuridico personale e sociale.
Deve anzi sottolinearsi che la sfera di protezione costituzio
nale è stata estesa nella 1. cost. n. 3 del 2001 anche all'ambiente, all'ecosistema ed ai beni culturali, ossia a beni esterni con i
quali la vita delle persone è in relazione inscindibile.
Nel caso in esame è fuori questione che il cittadino ha diritto
a partecipare ad un processo attinente alla genuinità o meno
dell'acqua minerale acquistata in un mercato pubblico, perché direttamente coinvolto.
In conseguenza, dalla (erroneamente) ritenuta inammissibilità
dell'opposizione proposta dalla parte offesa, discende la ricorri
bilità — ex art. 409, 6° comma, c.p.p. — del provvedimento di
archiviazione impugnato. Le sezioni unite di questa Suprema corte infatti (sent. 14 feb
braio 1996, Testa, id.. Rep. 1996, voce Indagini preliminari, nn.
62, 67, e 9 giugno 1995, Bianchi, id., Rep. 1995. voce cit., n.
45) hanno affermato che l'illegittima declaratoria d'inammissi
bilità sacrifica il diritto al contraddittorio della parte offesa in
termini equivalenti o maggiormente lesivi rispetto all'ipotesi di
mancato avviso per l'udienza preliminare sicché il predetto vi
zio è riconducibile alle ipotesi d'impugnabilità contemplate dal
l'art. 409, 6° comma, ed ai casi di ricorso indicati nell'art. 606, lett. c), c.p.p.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 3 feb
braio 2003; Pres. Calabrese, Est. Ferrua, P.M. (conci,
conf.); ric. P.m. in c. Celletti. Annulla Trib. Rieti, ord. 26
aprile 2002.
Furto — Esposizione alla pubblica fede — Circostanza ag
gravante —
Fattispecie di furto di casco adagiato su moto
ciclo (Cod. pen., art. 625).
Il furto di un casco adagiato su di un motociclo all'interno di
un parcheggio di un centro commerciale è da considerarsi
aggravato ai sensi dell'art. 625, n. 7, c.p., sia perché, alfine di procedere ai propri acquisti, il conducente deve lasciare il
citato oggetto, che altrimenti lo ingombrerebbe, sia perché, essendo l'uso del casco obbligatorio per circolare in motoci
cletta, non può dubitarsi che quest'ultimo costituisca corredo
indispensabile della medesima. (1)
II
TRIBUNALE DI RIETI; sentenza 9 maggio 2003; Giud. Fa
nelli; imp. Celletti e altro.
Furto — Esposizione alla pubblica fede — Circostanza ag
gravante — Esclusione — Fattispecie di furto di casco
adagiato su motociclo (Cod. pen., art. 625).
Premesso che l'obbligatorietà dell'uso del casco non toglie che
esso rimanga una dotazione del guidatore e non del mezzo, deve ritenersi che la consuetudine di lasciare in macchina
oggetti che possano ingombrare il proprietario nelle sue
normali occupazioni non possa estendersi ai motoveicoli, per i quali esiste una consuetudine di segno opposto, a causa del
l'evidente facilità di sottrazione; né può ritenersi che l'ab
bandono del casco sul motociclo sia dovuto ad una necessità
del proprietario, il quale invero potrebbe agevolmente custo
dirlo legandolo alla catena o riponendolo nell'apposito vano
o portandolo con sé; pertanto non può considerarsi aggra vato il furto di un casco adagiato su di un motociclo lasciato
all'interno di un parcheggio di un centro commerciale. (2)
(1-2) Non constano precedenti in termini. Le due sentenze in epigra fe, relative al medesimo caso giudiziario, si segnalano perché risolvono in modo contrastante la questione dell'applicabilità dell'aggravante dell'esposizione della cosa alla pubblica fede per necessità, per con
suetudine o per destinazione (art. 625, n. 7, c.p.) all'ipotesi del furto di un casco lasciato su un motociclo nel parcheggio di un centro commer ciale.
La Cassazione si è pronunciata nel senso della sussistenza dell'ag
gravante de qua, riproponendo un consolidato orientamento giurispru denziale formatosi in merito al furto degli oggetti, destinati al comfort o
al corredo della vettura, ed ivi lasciati incustoditi dal conducente che.
dopo avere parcheggiato la propria auto, si allontani per attendere alle normali occupazioni. In tal caso, è pacifica in giurisprudenza l'applica bilità dell'aggravante speciale del furto prevista dall'art. 625, n. 7, c.p., in quanto dalla semplice «scomodità» del trasporto degli oggetti sud detti deriverebbe la «consuetudine» di lasciarli esposti al «senso di ri
spetto e di onestà dei cittadini» (v. Cass. 5 maggio 1995. Ventura. Foro
it., Rep. 1996, voce Furto, n. 14; v. anche Cass. 29 settembre 1993, Violante, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 10, e Riv. pen., 1994, 512; 28
maggio 1990, Milici, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 22, e 29 settem bre 1989, La Marza, ibid., n. 20).
Più in particolare, la sentenza su riprodotta, collocandosi nel solco del predetto orientamento giurisprudenziale, ha affermato che — poi ché l'uso del casco è obbligatorio per circolare in motocicletta e poi ché. di conseguenza, ne costituisce corredo necessario — il principio enunciato andrebbe esteso anche ai veicoli a due ruote. Facendo, inol
tre, leva sull'assunto secondo il quale colui che si reca in un centro
commerciale per fare acquisti deve lasciare, al pari del motociclo, an
che il casco che «altrimenti lo ingombrerebbe», la corte ha sostenuto che l'applicabilità dell'aggravante ex art. 625, n. 7. c.p. al caso di spe cie sarebbe altresì giustificata dalla «necessità» di lasciare il casco
esposto alla pubblica fede. La Cassazione sembrerebbe in tal modo aderire (implicitamente) a
quella impostazione dottrinale che sottolinea la necessità di reagire in
modo più rigoroso al furto' di quei beni, la cui esposizione alla fede
pubblica risponda ad esigenze pratiche comuni e contingenti, al fine di
sviluppare nel pubblico l'abitudine al rispetto della proprietà altrui (cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale a cura di L. Conti,
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PARTE SECONDA
I
Motivi di ricorso e ragioni della decisione. — Con ordinanza
26 aprile 2002 il Tribunale di Rieti, in composizione monocrati
ca, non convalidava l'arresto di Celletti Cristian e Formichetti
Virgilio operato dai carabinieri di Rieti, essendo stati i predetti
sorpresi nell'atto di impossessarsi di un casco adagiato su un
motociclo che si trovava all'interno di un parcheggio del centro
commerciale Emmezeta.
13a ed., Milano, 1994, 281; G. Pecorella, Furto, voce deti'Enciclope dia del diritto, Milano, 1969, XVIII, 404).
In senso contrario si è espresso, invece, il Tribunale di Rieti che, sottolineando la necessità dell'accertamento «caso per caso» dei requi siti previsti dall'art. 625, n. 7, c.p., ha escluso l'esistenza di una con suetudine consistente nel lasciare il casco adagiato sulla motocicletta.
Invero, il giudice di merito ha osservato che, se è vero che la generalità dei consociati ha l'abitudine di lasciare all'interno dell'autovettura
quegli oggetti il cui trasporto risulti disagevole, non altrettanto può dir si rispetto ai motocicli, dove l'assenza di un abitacolo, consentendo an che al «passante occasionale» di impossessarsi con facilità della cosa i vi adagiata, dissuaderebbe il conducente dal lasciare alcunché. A soste
gno di questa impostazione, l'organo giudicante ha richiamato quell'o rientamento dottrinale secondo cui «in presenza del dubbio, dovrebbe ritenersi insussistente una consuetudine, giuridicamente considerabile, in relazione a determinate cose, quando il furto di queste è tanto fre
quente da rendere del tutto irrazionale ed ingiustificato il formarsi di una prassi contraria alle regole più elementari della prudenza» (Manzi ni, Trattato di diritto penale italiano a cura di Nuvolone, 5d ed., Tori
no, 1984, IX, 317). Del pari potrebbe richiamarsi quella tesi secondo la quale la consue
tudine presupposta dall'aggravante in questione non va intesa in senso
normativo, bensì come pratica sociale «derivante dalla fiducia (della vittima) nel sentimento collettivo di onestà e di rispetto delle cose al trui» (cfr. E. Battaglini, Sul furto di biciclette lasciate incustodite sulla pubblica via, in Giust. pen.. 1947, II, 202; Cass. 13 ottobre 1987, Mavilla, Foro it.. Rep. 1989, voce cit., n. 21); considerato che un atteg giamento siffatto non dovrebbe ritenersi sussistente allorché l'illecita sottrazione di quelle stesse cose sia tanto ricorrente da apparire quasi ordinaria.
Rispetto alla possibilità, prospettata dal giudice di legittimità, che
l'aggravante trovi causa nella «necessità» di lasciare il casco incusto dito sul motociclo per poter procedere ai propri acquisti, il giudice di
merito, da un lato, ha evidenziato le molteplici possibilità di custodia che si presentano al titolare del casco per salvaguardarlo in modo ade
guato: legandolo alla catena, riponendolo nell'apposito vano, ecc.; dal l'altro (rifacendosi a Cass. 29 settembre 1993, Violante, cit.), ha rile vato come la «scomodità del trasporto» dell'oggetto sia un concetto per sua natura contrapposto a quello di necessità (in senso contrario, v., tuttavia, G. Pecorella, Furto, cit., 400, dove si afferma che «non sem
pre è facile distinguere la comodità o l'agio dalla necessità, dato che la
convenienza, nella vita degli uomini d'oggi, qualche volta assume le vesti della necessità»).
Ed invero, come una parte della dottrina sostiene, ai fini della confi
gurabilità dell'aggravante dell'esposizione delle cosa alla pubblica fede
«per necessità», occorre che «l'attuazione della custodia superi le pos sibilità pratiche del possessore» (cfr. Manzini, Trattato, cit., 315); e ciò anche se l'impossibilità per la vittima di tenere un comportamento di verso vada valutata non in assoluto, bensì in relazione alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. 19 agosto 1987, Lonati, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 19; v. anche, in dottrina, Fiandaca-Musco. Diritto
penale, parte speciale, Bologna, 2002, II, t. II, 85; G. Pecorella, Furto, cit.).
Per quanto attiene all'elemento dell'esposizione alla «fede pubbli ca», esso ricorre quando la cosa viene esibita «ad una indistinta collet tività di persone», senza una custodia diretta e continua, restando in tal modo «affidata al naturale rispetto (della comunità) per l'altrui posses so» (cfr. Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, cit.). Non è a tal fine indispensabile che la cosa si trovi in un luogo pubblico, ben
potendo essere esposta in un luogo privato aperto al pubblico o, co
munque, facilmente accessibile da chiunque (v. Cass. 17 gennaio 1991, Crisafulli, Foro it.. Rep. 1992, voce cit., n. 15, e Riv. pen., 1992, 243; v. anche Cass. 4 luglio 1989, Panbianchi, Foro it.. Rep. 1990, voce cit., n. 21; 30 marzo 1988, Meneghino, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 23). Né osta al ricorrere di tale condizione, secondo la prevalente giurispruden za di legittimità, la sorveglianza della cosa, che abbia carattere «generi co, saltuario o eventuale», da parte del possessore o di terzi (cfr. Cass. 29 settembre 1995, Cici, id., Rep. 1996, \oce cit., n. 15; v. anche Cass. 28 ottobre 1986, Ferrari, id.. Rep. 1988, voce cit., n. 16; 27 novembre 1986, Di Benedetto, ibid., n. 17; nello stesso senso, in dottrina, v. Gat to, Esposizione alla pubblica fede e violenza sulle cose nel furto di
autovetture, in Giur. it., 1977, II, 13), come quella prestata, nel caso in
esame, dall'addetto alla vigilanza — all'interno ed all'esterno — del centro commerciale.
Il Foro Italiano — 2003.
Rilevava il giudicante che il fatto addebitato rivestiva gli estremi del furto semplice, dovendosi escludere l'aggravante di
cui all'art. 625, n. 7, c.p. ed altresì quella di cui all'art. 625, n.
4, c.p.: pertanto, vertendosi in ipotesi di reato perseguibile a
querela, l'arresto non avrebbe potuto essere eseguito. Avverso la riportata decisione ha proposto ricorso per cassa
zione il pubblico ministero deducendo che erroneamente era
stata negata la sussistenza dell'aggravante dell'esposizione alla
pubblica fede.
Il ricorso è fondato in quanto il giudice non si è attenuto ai
canoni interpretativi del disposto dell'art. 625, n. 7, elaborati
dalla giurisprudenza di legittimità.
All'uopo va ribadito che, con specifico riguardo ai mezzi di
circolazione in sosta, devono ritenersi esposti alla pubblica fede
e cioè al senso di rispetto e di onestà dei cittadini non solo tali
mezzi ma altresì gli oggetti che su di essi si trovano i quali, pur non essendone parti essenziali o pertinenze, ne costituiscano se
condo l'uso corrente normale dotazione oppure non vengano
portati con sé dal detentore nel momento in cui egli si allontana
dal veicolo in quanto ciò non risulti agevole o comunque siano
lasciati sul veicolo per prassi abituale (ex plurimis, Cass. 28
maggio 1990, Milici, Foro it., Rep. 1991, voce Furto, n. 22; 29
settembre 1993, Violante, id., Rep. 1994, voce cit., n. 10). Orbene non può dubitarsi che, essendo obbligatorio per cir
colare in motocicletta l'uso del casco, quest'ultimo costituisca
corredo indispensabile della medesima: al contempo è evidente
che colui che lascia un motociclo in un parcheggio di un centro
commerciale debba, al fine di procedere ai propri acquisti, la
sciare del pari il citato oggetto, che altrimenti lo ingombrerebbe. Per le svolte considerazioni, poiché erroneamente si è esclusa
la ricorrenza dell'aggravante de qua e di conseguenza la proce dibilità d'ufficio per il fatto in relazione al quale fu operato l'ar
resto, s'impone l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Rieti il quale dovrà addivenire a nuo
vo esame in ordine alla convalida, senza incorrere nell'eviden
ziata violazione.
II
Motivi della decisione. — La vicenda trae origine dall'arresto
di Celletti Cristian e Formichetti Virgilio per il reato di furto
pluriaggravato, operato dai carabinieri del Norm di Rieti in data
25 aprile 2002. All'udienza del 26 aprile 2002 l'arresto non ve
niva convalidato per mancanza della condizione di procedibilità del reato, previa esclusione delle aggravanti contestate. A se
guito di ricorso per cassazione proposto dalla procura della re
pubblica, la Suprema corte, in data 3 febbraio 2003 (sentenza sub I), annullava la predetta ordinanza di non convalida con rin
vio al Tribunale di Rieti per nuovo esame; all'udienza del 15
aprile 2003 l'arresto veniva convalidato e si procedeva a giudi zio direttissimo.
Preliminarmente, ritiene questo giudice di dover emettere, ai
sensi dell'art. 129 c.p.p., sentenza di non doversi procedere in
ordine al reato contestato agli imputati, previa esclusione delle
contestate aggravanti, per mancanza della condizione di proce dibilità.
Deve rilevarsi, innanzi tutto, che il vincolo derivante dal
principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, ex art.
623, lett. a), c.p.p., in sede di annullamento con rinvio di un'or
dinanza, si esaurisce nell'ambito del subprocedimento nel corso
del quale detta ordinanza è stata emessa e non si estende anche
al successivo giudizio di merito. Nel caso di specie, detto vin
colo ha esaurito i suoi effetti nella nuova udienza di convalida, nel corso della quale l'arresto dei prevenuti è stato convalidato.
Ciò premesso, e pur tenendo nel debito conto il principio di
diritto enunciato nel caso di specie dalla Suprema corte, non si ritiene di poterlo condividere ed applicare anche nel presente
giudizio per direttissima. In punto di fatto, dalle risultanze istruttorie è emerso che
Celletti Cristian e Formichetti Virgilio, nella tarda mattinata del 25 aprile 2002, si trovavano all'interno del parcheggio del cen
tro commerciale Emmezeta di Rieti. Ad un certo punto, l'ad detto alla vigilanza del centro, Giraldi Franco, notava uno dei due impossessarsi repentinamente di un casco lasciato su un
motociclo ivi parcheggiato; entrambi, poi, salivano a bordo di
un'autovettura Fiat Punto e si davano alla fuga. Il Giraldi si po
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GIURISPRUDENZA PENALE
neva all'inseguimento dei due, che, grazie anche all'intervento
dei carabinieri, venivano fermati e tratti in arresto. Giunti nuo
vamente presso il parcheggio del centro commerciale, gli ope ranti non rinvenivano il motociclo in questione, del quale il Gi
raldi non aveva fatto in tempo a rilevare il numero di targa; in
seguito, gli stessi cercavano di rintracciare il proprietario del ca
sco mediante l'utilizzo di un megafono, con esito negativo. Ebbene, deve ritenersi che il fatto come sopra ricostruito in
tegri gli estremi del furto semplice, con esclusione, dunque, delle contestate aggravanti.
Quanto alla circostanza di cui all'art. 625, n. 7, c.p., deve, in
nanzi tutto, ritenersi non condivisibile la tesi sostenuta dal di
fensore del Celletti nel corso dell'udienza di convalida secondo
cui la presenza della vigilanza da parte del Giraldi escluderebbe
il requisito oggettivo dell'esposizione del casco alla pubblica fede: poiché, infatti, il Giraldi era addetto alla vigilanza interna
ed esterna del centro commerciale, deve presumersi che la sor
veglianza all'interno del parcheggio non potesse che essere
saltuaria ed occasionale. In proposito, la costante giurisprudenza afferma che l'aggravante in parola può essere esclusa da una
sorveglianza esercitata sulla cosa solo se questa formi oggetto di
una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di per sona addetta; non è, pertanto, idonea a far venir meno la sussi
stenza della detta aggravante una sorveglianza generica della
polizia o una sorveglianza che, per sua natura, è necessaria
mente saltuaria ed eventuale (v., per tutte, Cass. 29 settembre
1995, Cici, Foro it., Rep. 1996, voce Furto, n. 15).
Dell'aggravante in questione, peraltro, vengono a mancare, nella fattispecie, i requisiti della necessità, consuetudine o de
stinazione dell'esposizione del bene alla pubblica fede.
Sul punto, la Suprema corte, nella sentenza di annullamento
dell'ordinanza di non convalida dell'arresto, ha richiamato il
canone interpretativo elaborato dalla giurisprudenza di legitti mità secondo cui con specifico riguardo ai mezzi di circolazione
in sosta, devono ritenersi esposti alla pubblica fede, e cioè al
senso di rispetto e di onestà dei cittadini, non solo tali mezzi ma
altresì gli oggetti che su di essi si trovano i quali, pur non es
sendone parti essenziali o pertinenze, ne costituiscano, secondo
l'uso corrente, normale dotazione oppure non vengano portati con sé dal detentore nel momento in cui egli si allontana dal
veicolo in quanto ciò non risulti agevole, o comunque siano la
sciati sul veicolo per prassi abituale (Cass. 29 settembre 1993,
Violante, id., Rep. 1994, voce cit., n. 10). La corte, poi, ha ag
giunto che «non può dubitarsi che, essendo obbligatorio per cir
colare in motocicletta l'uso del casco, quest'ultimo costituisca
corredo indispensabile della medesima; al contempo è evidente
che colui che lascia un motociclo in un parcheggio di un centro
commerciale debba, al fine di procedere ai propri acquisti, la
sciare del pari il citato oggetto, che altrimenti lo ingombrereb be».
Ora, deve rilevarsi come il principio enunciato dalla corte sia
sorto in relazione agli oggetti lasciati nelle autovetture, come le
autoradio e i congegni similari destinati al comfort degli occu
panti e che vanno considerati oggetti di usuale corredo della
vettura stessa (Cass. 5 maggio 1995, Ventura, id., Rep. 1996, voce cit., n. 14; 29 settembre 1993, Violante, cit.; 15 aprile 1982, Mavilla, id., Rep. 1983, voce cit., n. 26). In particolare, Cass. 12 novembre 1975, Sambasile (id., Rep. 1976, voce cit.,
n. 74), ha affermato che per stabilire se il furto di cose conte
nute in un'autovettura esposta per necessità o consuetudine alla
pubblica fede sia aggravato ai sensi dell'art. 625, n. 7, c.p., oc
corre tener conto della natura delle cose rubate e di ogni caratte
ristica di esse e, trattandosi di oggetti di piccole dimensioni, de
ve accertarsi, caso per caso, se l'averli lasciati incustoditi al
l'interno dell'autovettura risponda, con riferimento alle circo
stanze concrete e al motivo dell'omessa custodia, a reale neces
sità o consuetudine nei sensi voluti dalla legge. Ebbene, il suddetto principio, formatosi in relazione agli og
getti lasciati nelle autovetture, non può — ad avviso di questo
giudice — essere esteso anche agli oggetti lasciati sui veicoli a
due ruote, in ordine ai quali non esiste alcuna consuetudine in
tal senso: invero, mentre esiste, indubbiamente, l'abitudine di
lasciare in macchina oggetti che possano ingombrare il proprie tario nelle sue normali occupazioni, lo stesso non può dirsi per i
motoveicoli, per i quali, al contrario, deve ritenersi esistente
una consuetudine di segno opposto, in base alla quale general mente non vengono lasciati oggetti incustoditi su di essi, a causa
Il Foro Italiano — 2003.
dell'evidente facilità di sottrazione (anche da parte di un occa
sionale passante). Né, poi, per affermare l'esistenza di una consuetudine in tal
senso, può ritenersi che, essendo l'uso del casco obbligatorio
per legge, esso costituisca necessario corredo della motocicletta, come pure affermato nella sentenza di annullamento della Su
prema corte: invero, l'obbligatorietà dell'uso del casco non to
glie che esso rimanga pur sempre una dotazione del guidatore
(attenendo al suo equipaggiamento, non diversamente, ad es., dalla tuta o dai guanti) e non del mezzo; allo stesso modo, non
può dirsi che la patente di guida, in virtù della sua obbligatorie
tà, attenga al veicolo (afferendo, com'è noto, alla persona del
conducente, a differenza, ad es., della carta di circolazione —
ora certificato di proprietà — che attiene, invece, al veicolo).
Né, infine, può ritenersi che l'abbandono del casco sul moto
ciclo fosse dovuto ad una necessità del proprietario: egli, invero, avrebbe potuto agevolmente custodirlo legandolo alla catena o
ad altro antifurto, ovvero riponendolo nell'apposito vano (se
previsto) o, infine, portandolo con sé all'interno del supermer cato, trattandosi di un oggetto di non eccessive dimensioni; non
rileva, in contrario, l'eventuale scomodità del trasporto, in
quanto quest'ultimo concetto si contrappone a quello di neces
sità (v., in questo senso, Cass. 29 settembre 1993, Violante,
cit.). In altre parole
— a parere di questo giudice — il richiamo,
operato dalla sentenza di annullamento della Suprema corte, al
concetto di «ingombro» della cosa sottratta non può rilevare di
per sé ai fini della sussistenza dell'aggravante in parola, ma solo
se giunga ad integrare una vera e propria necessità o se corri
sponda a una consuetudine. Ebbene, entrambi i concetti, per i
motivi già detti, non ricorrono nel caso di specie: in questo sen
so, appare utile richiamare l'opinione espressa da autorevole
dottrina (Manzini) in merito alla circostanza di cui all'art. 625,
n. 7, c.p., secondo cui, nel dubbio, deve ritenersi insussistente
una consuetudine, giuridicamente considerabile, in relazione a
determinate cose, quando il furto di queste è tanto frequente da
rendere del tutto irrazionale ed ingiustificato il formarsi di una
prassi contraria alle regole più elementari della prudenza.
Quanto all'aggravante di cui all'art. 625, n. 4, c.p., la stessa
presuppone una particolare abilità nell'autore del furto che non
risulta sussistere nel caso di specie: essa, invero, non può identi
ficarsi nella repentinità del gesto — caratteristica comune alla
maggior parte dei furti — consistendo, piuttosto, nell'idoneità
dell'azione ad eludere l'attenzione dell'uomo medio al fine di
sottrarre le cose che si trovano addosso alla sua persona, o,
quanto meno, nella sfera della sua diretta ed immediata vigilan za (v., fra le tante, Cass. 24 settembre 1987, Pellegrino, id.. Rep. 1989, voce cit., n. 20): nel caso di specie, non è emerso che il
casco oggetto della sottrazione si trovasse nella diretta sfera di
pertinenza del proprietario, il quale, al momento del fatto, non
era presente. Deve ritenersi, pertanto, che il casco fosse stato
momentaneamente abbandonato per dimenticanza o per como
dità, ditalché gli imputati non hanno dovuto superare un più in
tenso vincolo possessorio fra il bene ed il suo proprietario, non
denotando, dunque, una particolare abilità nella commissione
del furto.
In conclusione — poiché in virtù dell'art. 12 1. 205/99 il reato
di furto, salvo che ricorrano le aggravanti di cui all'art. 625 c.p. ovvero quella di cui all'art. 61, n. 7, c.p., è divenuto procedibile a querela di parte e poiché la persona offesa, nel caso di specie, non ha sporto querela, non essendo neanche stata identificata —
deve pronunciarsi sentenza di non doversi procedere nei con
fronti degli imputati per mancanza della condizione di procedi bilità del reato.
Deve disporsi, infine, la restituzione del casco in sequestro all'avente diritto.
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