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sezione V; sentenza 9 settembre 2004, causa C-383/02; Pres. Gulmann, Avv. gen. Geelhoed(senza concl.); Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italianaSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 10 (OTTOBRE 2004), pp. 457/458-463/464Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199105 .
Accessed: 28/06/2014 12:56
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
n. 1, lett. b), della direttiva 89/655. Come osservato dalla sig. aw. gen. al par. 18 delle sue conclusioni, essa autorizza gli Stati
membri ad emanare disposizioni che consentono l'utilizzo, an
che dopo il 31 dicembre 1996, di attrezzature di lavoro in servi
zio che, in sostanza, «non necessariamente» soddisfano gli stes
si requisiti delle attrezzature di lavoro nuovo.
35. - La messa in servizio delle attrezzature di lavoro deve es
sere valutata alla luce delle prescrizioni minime sancite dall'al
legato I della direttiva 89/655, come modificata, le quali conti
nuano a restare applicabili nei loro confronti secondo il punto 1, 2° comma, di tale direttiva. Quest'ultima disposizione nella mi
sura in cui prevede che, per quanto riguarda siffatte attrezzature, le prescrizioni minime non richiedono necessariamente le stesse
misure e requisiti essenziali relativi alle attrezzature di lavoro
nuove, deve essere interpretata nel senso che autorizza una più
ampia libera scelta nelle soluzioni tecniche circa l'idoneità delle
misure adottate ad assicurare la protezione prescritta dalle dette
disposizioni. 36. - Si deve a questo proposito ricordare che, secondo una
giurisprudenza consolidata, in caso di trasposizione di una di
rettiva nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro, è indi
spensabile che l'ordinamento nazionale di cui trattasi garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situa
zione giuridica scaturente da tale ordinamento sia sufficiente
mente precisa e chiara e che i destinatari siano posti in grado di
conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di
avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v„ tra le altre, sentenze
23 marzo 1995, causa C-365/93, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1-499; Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 651, e 10
aprile 2003, causa C-65/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I
3655, punto 20; Foro it., 2003, IV, 169). 37. - Nella presente fattispecie, l'applicazione dei programmi
di adeguamento è certo subordinata all'esistenza di misure pre ventive alternative che garantiscano condizioni di sicurezza e
salute idonee per i posti di lavoro di cui trattasi. Tuttavia, in
questo contesto, il regio decreto non fa alcun riferimento alle
regole contenute nell'allegato I della direttiva 89/655 come mo
dificata. Soltanto il par. 1,1° comma, della disposizione transi
toria unica, del detto decreto fa riferimento all'allegato I del
medesimo decreto, il quale corrisponde all'allegato I della di
rettiva 89/655 come modificata. Per contro, i commi successivi,
che, in deroga al 1°, istituiscono il regime dei programmi di
adeguamento, non vi fanno alcun riferimento. Pertanto, il regio decreto difetta di precisione per quanto riguarda la trasposizione nell'ambito del detto regime, delle prescrizioni minime di cui
all'allegato I della direttiva 89/655 come modificata per le at
trezzature di lavoro in servizio.
38. - Siccome per tale ragione il par. 1, 2° e 3° comma, della
disposizione transitoria unica del detto decreto non soddisfa i
requisiti derivanti dal combinato disposto di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/655 come modificata e all'allegato I
della medesima direttiva, il Regno di Spagna ha di fatto conces
so un periodo di adattamento supplementare per le attrezzature
di lavoro già messe a disposizione dei lavoratori nell'impresa e/o stabilimento prima del 27 agosto 1997.
39. - Si deve di conseguenza constatare che il Regno di Spa
gna, prevedendo al par. 1 della disposizione transitoria unica del
regio decreto che fissa le prescrizioni minime di sicurezza e di
salute per l'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavora
tori un periodo di adattamento supplementare anche per le at
trezzature messe a disposizione dei lavoratori nell'impresa e/o
nello stabilimento prima del 27 agosto 1997, è venuto meno agli
obblighi ad esso incombenti in forza dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/655 come modificata.
Per questi motivi, la corte (seconda sezione) dichiara e statui
sce:
Il Regno di Spagna, prevedendo al par. 1 della disposizione transitoria unica del regio decreto 18 luglio 1997 n. 1215/1997, concernente la fissazione delle prescrizioni minime di sicurezza
e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei la
voratori, un periodo di adattamento supplementare per le attrez
zature messe a disposizione dei lavoratori nell'impresa e/o nello
stabilimento prima del 27 agosto 1997, è venuto meno agli ob
blighi ad esso incombenti in forza dell'art. 4, n. 1, lett. b), della
direttiva del consiglio 30 novembre 1989 n. 89/655/Cee, relativa
ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrez
zature di lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro (secon da direttiva particolare ai sensi dell'art. 16, par. 1, della direttiva
89/391/Cee), come modificata con direttiva del consiglio 5 di
cembre 1995 n. 95/63/Ce.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sezione V; sentenza 9 settembre 2004, causa C-383/02; Pres.
Gulmann, Avv. gen. Geelhoed (senza conci.); Commissione
delle Comunità europee c. Repubblica italiana.
Unione europea — Italia — Scarichi di sostanze pericolose — Mancata trasposizione di direttive — Inadempimento —
Fattispecie (Trattato Ce, art. 226; direttiva 15 luglio 1975
n. 75/442/Cee del consiglio, relativa ai rifiuti; direttiva 12 di cembre 1991 n. 91/689/Cee del consiglio, relativa ai rifiuti
pericolosi).
Non avendo adottato le misure necessarie ad assicurare che i
rifiuti depositati nelle discariche di Rodano (Milano) fossero
recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e
senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare
pregiudizio all'ambiente e non avendo adottato le misure ne
cessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati in tali di
scariche li consegnasse ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'alle
gato IIA o IIB della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n.
75/442/Cee, sui rifiuti, come modificata dalla direttiva del
consiglio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee, oppure provvedesse
egli stesso al loro recupero o smaltimento, la Repubblica ita
liana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza
degli art. 4 e 8 di tale direttiva. (1)
(1) Nello stesso senso, v. altra pronuncia emessa in causa C-375/02 nella stessa data della sentenza che si riporta e riguardante la discarica di Castelliri.
Per un precedente in termini, v. Corte giust. 9 novembre 1999, causa
C-365/97, Foro it., 2000, IV, 136, con nota di richiami di Paone. In tema di discariche, v., da ultimo, Cass. 15 gennaio 2004, Zanoni,
in questo fascicolo, II, 550, con nòta di richiami di Paone (il reato di cui all'art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97 ha natura permanente sino al decor rere di dieci anni dalla cessazione dei conferimenti ovvero all'otteni mento dell'autorizzazione o alla loro rimozione).
In un caso di sequestro di un appezzamento di terreno di 8.000 mq adibito a discarica abusiva di rifiuti pericolosi, per Cass. 28 gennaio 2004, Luise Società Scavi, RivistAmbiente, 2004, 628, l'ordinanza del
giudice del dibattimento che rigetta l'istanza di restituzione dell'area
sequestrata è impugnabile solo insieme alla sentenza, secondo i criteri
generali stabiliti dall'art. 586, 1° comma, c.p.p. e non è esperibile l'in
cidente di esecuzione, il cui utilizzo è confinato al caso in cui la sen tenza non sia più impugnabile, ex art. 263, 6° comma, c.p.p.
In materia, v. Cass. 8 giugno 2004, Rossi, inedita, che ha respinto il ricorso di due soggetti condannati per aver realizzato una discarica abu siva: i ricorrenti eccepivano di non aver alcuna responsabilità in merito al fatto contestato, ma la corte ha evidenziato che essi sapevano dell'e sistenza dello scarico dei rifiuti: «gli imputati abitano a brevissima di stanza dall'area adibita a discarica; gli imputati stessi non hanno mai attribuito ad altri i riversamenti che, per entità ed estensione, non pote vano essere da loro ignorati; mancanza di qualsiasi elemento per ritene re che autori della discarica fossero persone diverse dagli stessi pro prietari del fondo; entità della discarica, costituita non da un piccolo accumulo di materiale o da abbandoni occasionali che chiunque avreb be potuto determinare, ma da un ammasso esteso (560 mq) e stratificato di detriti, che fa comprendere esservi stata una continuità delle opera zioni di scarico nel tempo e una stabilità di destinazione di quella su
perficie a vera e propria discarica definitiva, come solo sarebbe stato
possibile col consenso dei proprietari». Nella vicenda esaminata da Cass. 1° aprile 2004, Failla, inedita, il
proprietario del suolo e il legale rappresentante di un'impresa, che ave vano adibito un'area a discarica non autorizzata di rifiuti speciali non
pericolosi, costituiti dai residui della lavorazione di manufatti in vibro
cemento, sono stati riconosciuti colpevoli del reato di cui all'art. 51,3° comma, d.leg. 22/97. In sede di ricorso, gli imputati hanno negato la
qualifica di rifiuto ai materiali rinvenuti sul suolo, costituiti da manu fatti difettosi asseritamente destinati, previa frantumazione, ad essere
reimpiegati nel ciclo produttivo. La Cassazione ha però disatteso tale deduzione ricordando, tra l'altro, che l'accertamento di fatto aveva in vece evidenziato «lo stato di totale abbandono del sito in cui erano stati
depositati i materiali di risulta della lavorazione dei mattoni in vibro
cemento ed in particolare che l'accumulo dello sfrido era avvenuto per
lungo arco di tempo e per notevoli quantitativi di materiale di talché è
stato accertato dai giudici di merito che la società Edilblok si era mate
rialmente disfatta dei materiali di risulta e la loro destinazione al reim
piego nel ciclo produttivo costituiva solo un dato potenziale, mentre ri
sultava in concreto realizzata una vera e propria discarica abusiva, esterna allo stabilimento di produzione dei mattoni».
In una fattispecie in cui il giudice di merito aveva ritenuto necessario
per il perfezionamento della contravvenzione di cui all'art. 51, 2°
comma, un requisito — e cioè la reiterazione della condotta — non
previsto dalla legge, Cass. 15 aprile 2004, Bono, inedita, accogliendo il ricorso del pubblico ministero, ha sancito che «il d.leg. 22/97 non for
nisce una nozione di abbandono di rifiuti che è stata, tuttavia, enucleata
dalla giurisprudenza in relazione alla diversa nozione di discarica: si è,
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PARTE QUARTA
1. - Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della
corte il 24 ottobre 2002, la commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 226 Ce, un ricorso diretto a far con
statare che, non avendo adottato le misure necessarie ad assicu
rare che i rifiuti depositati nelle discariche di Rodano (Milano) fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute del
l'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero re
care pregiudizio all'ambiente e non avendo adottato le misure ne
cessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati in tali discariche
li consegnasse ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'im
presa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A o II B
della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, sui ri fiuti (G.U. L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del consiglio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee (G.U. L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva»), oppure provvedesse egli stesso al loro
recupero o smaltimento, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi che le incombono in virtù degli art. 4 e 8 di tale direttiva.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2. - L'art. 4 della direttiva prevede quanto segue: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicura
re che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la
salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che po trebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare:
— senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fau
na e la flora; — senza causare inconvenienti da rumori od odori; — senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare inte
resse.
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato
dei rifiuti». 3. - L'art. 8 della direttiva recita:
«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché
ogni detentore di rifiuti: — li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad
un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A
o II B,
in tale modo, evidenziata la natura occasionale e discontinua dell'atti vità di abbandono rispetto a quella abituale o organizzata di discarica».
Cass. 25 marzo 2004, Caracciolo, <http://www.cittadinolex.kataweb. it>, ha ribadito che il sindaco di un comune che autorizzi l'apertura di discariche abusive ne risponde penalmente: in particolare, la corte ha ricordato che il primo cittadino di un comune, in qualità di capo del l'amministrazione comunale, ha il compito di programmare l'attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e, come ufficiale di governo, ha il
potere di emanare ordinanze urgenti a tutela della salute pubblica e del
l'ambiente, ma deve sempre rispondere delle scelte adottate nell'am bito dei suoi poteri, pagando in prima persona nel caso disponga l'a
pertura non autorizzata di discariche. Si segnala infine che Corte giust. 29 aprile 2004, causa C-194/01, ine
dita, ha respinto il ricorso con cui la commissione delle Comunità euro
pee, ai sensi dell'art. 226 Ce, intendeva far dichiarare che la Repubblica d'Austria, non avendo trasposto correttamente né la nozione di «rifiuto» di cui all'art. 1, lett. a), della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n.
75/442/Cee, né la nozione di «rifiuto pericoloso» di cui all'art. 1, n. 4, della direttiva del consiglio 12 dicembre 1991 n. 91/689/Cee, era venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali direttive.
In dottrina, in materia di discariche, v. Greco, La nozione di discarica di rifiuti: profili evolutivi e ricostruttivi, in Ambiente, 2004, 653; P. Giam
pietro, Profili distintivi tra realizzazione di discarica e abbandono di ri
fiuti: brevi riflessioni, ibid., 237; Taina, L'adeguamento nazionale alla direttiva discariche, in RivistAmbiente, 2003, 645; Tricomi, Commento al
d.leg. 13 gennaio 2003 n. 36, attuazione della direttiva 1999/31/Ce rela tiva alle discariche di rifiuti, in Guida al dir., 2003, fase. 18, 14; Alber
tazzi, Obblighi e responsabilità di produttore e smaltitore di rifiuti del nuovo decreto «discariche», in Ambiente, 2003, 437; D'angelo, Il trat tamento dei rifiuti con particolare riferimento alle discariche: un sistema in continua evoluzione, in Rivist Ambiente, 2003, 5; Muratori, Discari che: due decreti per rifondarne la realizzazione e la gestione, in Ambien
te, 2003, 413; Paone, Un altro tassello nella regolamentazione delle di
scariche, ibid., 313; Pierobon, Nuove regole in materia di discariche, in
RivistAmbiente, 2003, 649; P. Giampietro, Conferimento dì terre e rocce
provenienti da siti contaminati in una discarica di cat. 2, in Ambiente, 2003, 497; Paone, Configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, ibid., 661; Ruggiero, Discarica abusiva realiz zata da terzi: responsabilità omissiva del proprietario del terreno?, ibid., 862; Mazzi, Gestione di discarica abusiva e smaltimento di rifiuti, in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2002, 131; Id., Discarica abusiva e smaltimento di rifiuti, ibid., 459.
Il Foro Italiano — 2004.
oppure —
provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, con
formandosi alle disposizioni della presente direttiva».
4. - Gli allegati II A e II B della direttiva disciplinano rispet tivamente le «operazioni di smaltimento» e le «operazioni che
comportano una possibilità di recupero».
Procedimento precontenzioso
5. - Con lettera 26 luglio 1999 la commissione chiedeva alla
Repubblica italiana informazioni su tre discariche (A, B e C) di
nerofumo, situate su terreni di proprietà della società SIS AS, ex
stabilimento chimico, nel comune di Rodano, discariche che
erano state segnalate come fonte di pericolo per la salute umana
e di inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo.
6. - A sostegno della sua domanda, la commissione adduceva
in particolare la decisione del Pretore di Milano 9 dicembre
1986, che constatava come le discariche in questione rappre sentassero un pericolo per la salute dell'uomo e per l'ambiente
e condannava la SISAS a bonificare il sito entro un anno, senza
distinzioni tra sezioni A, B e C.
7. - Il governo italiano rispondeva con lettere 21 dicembre
1999 e 12 luglio 2000, facendo riferimento ad un atto di transa
zione tra la regione Lombardia e la società SISAS in forza del
quale quest'ultima si era impegnata a presentare un progetto esecutivo per la bonifica della discarica C e a realizzare le opere relative, nonché a prevedere interventi miranti a verificare la
qualità delle acque sotterranee sottostanti alle discariche A e B.
Il governo italiano trasmetteva inoltre una nota del ministero
delle politiche agricole e forestali in data 16 giugno 2000 che
comunicava alla commissione che recentemente erano iniziati i
lavori per la realizzazione delle opere necessarie per la messa in
sicurezza delle tre discariche, costituite da pozzi per la limita
zione della dispersione degli inquinanti in falda.
8. - Alla luce di tali precisazioni e considerando che le auto
rità italiane non avevano fornito alcuna informazione in ordine
alle scadenze previste per l'esecuzione del progetto di bonifica
e di messa in sicurezza del sito industriale di Rodano, nono
stante la sentenza di condanna della società SISAS pronunciata dal Pretore di Milano nel 1986, l'I 1 aprile 2001 la commissione
inviava alla Repubblica italiana una lettera di diffida.
9. - Non avendo ricevuto risposta, il 23 ottobre 2001 la com
missione emetteva un parere motivato invitando tale Stato
membro ad adottare le misure necessarie per conformarvisi nel
termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica. A questo
proposito essa concludeva che, per quanto riguarda le discariche
di Rodano, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù degli art. 4 e 8 della direttiva.
10. - La risposta del governo italiano a tale parere motivato
perveniva alla commissione con lettera 6 novembre 2001, alla
quale veniva allegata una nota del ministero dell'ambiente in data
17 settembre 2001. In tale nota veniva precisato che, in applica zione della legge nazionale, la zona industriale del comune di Ro
dano era stata inclusa nel programma nazionale di bonifica e di ri
pristino dei siti inquinati. Il governo italiano precisava peraltro che, poiché la società SISAS era stata dichiarata fallita con sen
tenza del Tribunale di Milano 18 aprile 2001, tale società non ave
va potuto iniziare i lavori di messa in sicurezza della discarica C.
11. - La commissione, ritenendo che nonostante le informa
zioni comunicate dalle autorità italiane la situazione restasse in
soddisfacente, ha deciso di proporre il presente ricorso.
Sul ricorso
Osservazioni preliminari
12. - Il governo italiano sostiene che il ricorso proposto dalla
commissione, che costituisce apparentemente un'azione di ac
certamento, è, nella sostanza, un'azione di responsabilità per violazione degli art. 10 Ce e 249 Ce. Secondo tale governo, la
commissione pone a fondamento della sua azione un'ipotesi, estranea al diritto comunitario, di responsabilità oggettiva che
determina un obbligo a carico degli Stati membri di raggiungere il risultato previsto dalla direttiva. Tale potere di controllo da
parte della commissione non troverebbe fondamento né nel
trattato né nel diritto derivato.
13. - La commissione replica che tale analisi è in palese con
trasto con la costante giurisprudenza della corte, in base alla
quale gli Stati membri sono tenuti a conseguire il risultato con
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
templato dalle direttive comunitarie adottando tutti i provvedi menti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di
tale obbligo. 14. - Inoltre la commissione rileva che, per quanto riguarda in
particolare la direttiva, la corte ha ricordato che, se è vero che il
suo art. 4 lascia agli Stati membri un potere discrezionale nella
valutazione della necessità delle misure che devono essere adot
tate per garantire che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pe ricolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o me
todi che potrebbero arrecare pregiudizio all'ambiente, esso vin
cola tuttavia gli Stati membri circa l'obiettivo da raggiungere. 15. - Occorre ricordare che, sulla base degli art. 211, primo
trattino, Ce e 226 Ce, la commissione ha come compito, nel
l'interesse generale della comunità, di vigilare d'ufficio sul
l'applicazione da parte degli Stati membri del trattato e delle
norme adottate dalle istituzioni in forza del trattato stesso e di
far accertare, al fine della loro soppressione, la sussistenza di
eventuali violazioni degli obblighi che ne derivano (v. sentenza
9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia, Racc. pag. 1-7773, punti 58 e 59; Foro it, 2000, IV, 136).
16. - La commissione, tenuto conto del suo ruolo di custode
del trattato, è la sola competente a decidere se sia opportuno iniziare un procedimento per la dichiarazione di un inadempi mento e per quale comportamento od omissione imputabile allo
Stato membro in questione tale procedimento debba essere in
trapreso. Essa può quindi chiedere alla corte di dichiarare un
inadempimento consistente nel non aver raggiunto, in un caso
determinato, il risultato previsto da una direttiva (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 60).
17. - Nella fattispecie la commissione ritiene che la Repub blica italiana abbia violato l'obbligo imposto dall'art. 4 della di rettiva in quanto non ha adottato alcuna misura idonea ad assi
curare che i rifiuti depositati nelle discariche di Rodano fossero
recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e
senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pre
giudizio all'ambiente, in particolare senza creare rischi per l'ac
qua, l'aria, il suolo né per la fauna e la flora, senza causare in
convenienti da rumori od odori e senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
18. - A questo proposito va sottolineato che, sebbene tale di
sposizione non precisi il contenuto concreto delle misure che
devono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti
senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudi zio all'ambiente, essa vincola comunque gli Stati membri circa
l'obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure
(sentenze Commissione/Italia, cit., punto 67, e 4 luglio 2000, causa C-387/97, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1-5047, punto 55; Foro it, 2000, IV, 465).
19. - La corte ha dichiarato che, in via di principio, non è pos sibile dedurre direttamente dalla mancata conformità di una si
tuazione di fatto agli obiettivi fissati all'art. 4, 1° comma, della
direttiva che lo Stato membro interessato sia necessariamente
venuto meno agli obblighi imposti da questa disposizione, cioè
adottare le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano
smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare
pregiudizio all'ambiente. Tuttavia, la persistenza di una tale si
tuazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado ri
levante dell'ambiente per un periodo prolungato senza inter
vento delle autorità competenti, può rivelare che gli Stati mem
bri hanno oltrepassato il potere discrezionale che questa dispo sizione conferisce loro (citate sentenze Commissione/Italia,
punto 68, e Commissione/Grecia, punto 56). 20. - Di conseguenza, le obiezioni preliminari formulate dal
governo italiano devono essere respinte come infondate.
Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell'art. 4 della di
rettiva 75/442
21. - Con il suo primo motivo la commissione chiede alla
corte di dichiarare che, non avendo adottato le misure necessarie
ad assicurare che i rifiuti depositati nelle discariche di Rodano
fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute umana e
senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pre
giudizio all'ambiente, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi che le incombono in virtù dell'art. 4 della direttiva.
22. - Nel suo controricorso il governo italiano menziona
l'atto di transazione concluso tra la regione Lombardia e la so
cietà SIS AS in forza del quale quest'ultima si impegnava a pre sentare un progetto esecutivo per la bonifica della discarica C, a
interventi di controllo della qualità delle acque sotterranee sot
II Foro Italiano — 2004.
tostanti alle discariche A e B e alle operazioni di bonifica neces
sarie in caso di presenza di percolati inquinanti. 23. - A tale proposito, il governo italiano precisa che, tenuto
conto del fallimento della società SIS AS, nell'aprile 2001, essa
non è stata in grado di predisporre e di realizzare gli interventi di
bonifica e di messa in sicurezza previsti, ad eccezione dell'at tuazione di un dispositivo di sbarramento idraulico per la messa
in sicurezza della falda sottostante la discarica C e di una rete di
controllo della falda acquifera sottostante le discariche A e B.
24. - D'altronde il governo italiano precisa che, nel corso dei
primi mesi del 2002, la società American International Under
writers (in prosieguo: la «AIU») si è dichiarata disposta a condur
re uno studio di impatto ambientale sul sito della società SISAS al
fine di valutare la fattibilità di un progetto industriale in tale zona.
L'8 luglio 2002 è stato quindi concluso un accordo sulla caratte
rizzazione ambientale del sito. Il 5 novembre 2002 la società AIU
ha abbandonato il progetto di acquisto del terreno, ma ha comuni
cato i risultati della sua indagine alle autorità locali.
25. - Infine, il governo italiano sostiene che la cessazione
delle attività produttive della società SISAS esclude qualsiasi
possibilità di aggravamento della situazione esistente.
26. - La commissione rileva che, nonostante la condanna in
primo grado della società SISAS, detentrice dei rifiuti, a bonifi
care l'intera area entro il termine di un anno, senza distinzione
tra le sezioni della discarica, le autorità italiane in quindici anni
si sono limitate a prevedere la bonifica e la messa in sicurezza
della sola sezione C, ritenendo sufficiente il monitoraggio delle
acque per quanto riguarda le sezioni A e B.
27. - Secondo la commissione, la situazione non è cambiata
da allora. I rifiuti depositati nelle discariche di Rodano non sono
stati oggetto di alcun trattamento. Per le sezioni A e B non è
stato previsto alcun intervento di bonifica e, nonostante le auto
rità italiane abbiano dichiarato, con lettera 21 dicembre 1999, che tali rifiuti non presentavano alcun rischio immediato per la
falda acquifera, non si può pensare che tale situazione rassicu
rante possa durare in eterno. Per quanto riguarda gli interventi
di bonifica e di messa in sicurezza della sezione C, essi, pur es
sendo previsti, non sono ancora iniziati.
28. - In merito allo studio della società AIU, la commissione
ritiene che esso non abbia nulla a che vedere con l'obbligo di
adottare le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni
degli art. 4 e 8 della direttiva e che quindi tale obbligo risulti
ancora inadempiuto. 29. - Infine, la commissione è del parere che la pericolosità
ambientale del sito inquinato non sia collegata alla chiusura del
l'impianto, bensì alla presenza di rifiuti pericolosi nel sito.
D'altronde, le autorità italiane, sottoponendo a continui con
trolli l'area in questione, dimostrerebbero di essere ben consa
pevoli del fatto che essa rappresenta una fonte di pericolo per la
salute umana, d'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo.
30. - In via preliminare occorre rilevare che da una giurispru denza costante risulta che, nell'ambito di un ricorso per ina
dempimento in forza dell'art. 226 Ce del trattato, spetta alla
commissione dimostrare l'esistenza dell'asserito inadempi mento (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 78).
31.- Occorre quindi esaminare se la commissione abbia suf
ficientemente dimostrato, sul piano giuridico, che la Repubblica italiana ha omesso di adottare le misure necessarie ad assicurare
che i rifiuti depositati nelle discariche di Rodano fossero recu
perati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza
usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente.
32. - A tale proposito è importante constatare che la presenza nelle discariche di Rodano di rifiuti che costituiscono un peri colo per la salute umana e che possono danneggiare l'ambiente
non è contestata dal governo italiano.
33. - D'altronde risulta dal fascicolo che già dal 9 dicembre
1986 la società SISAS, proprietaria del sito e responsabile del
l'inquinamento, è stata condannata a bonificare il sito entro il
termine di un anno, dopo che il pretore di Milano aveva consta
tato che i rifiuti di cui si tratta rappresentavano un pericolo per la salute umana e per l'ambiente.
34. - D'altra parte, dalle informazioni comunicate dalle auto
rità italiane risulta che l'attività svolta dalla società SISAS sul
sito di Rodano è stata classificata come «industria a rischio di
incidente rilevante». Un atto di transazione è del resto interve
nuto, nel 1998, tra la regione Lombardia e la società SISAS per tener conto dei rischi rappresentati dai rifiuti che si trovavano
nelle discariche di cui si tratta.
35. - Le autorità italiane ammettono anche che, tenuto conto
del fallimento della società SISAS nell'aprile 2001, gli inter
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PARTE QUARTA
venti di bonifica e di controllo richiesti dalla decisione del pre tore di Milano e previsti dall'accordo tra la regione Lombardia e la società SISAS non sono stati realizzati.
36. - In merito alla cessazione delle attività produttive della società SISAS e dello studio effettuato dalla società AIU sul sito industriale di Rodano, occorre constatare che essi non costitui scono le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti depositati nelle discariche di Rodano siano recuperati o smaltiti senza pe ricolo per la salute dell'uomo o senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente ai sensi dell'art. 4 della direttiva.
37. - Pertanto occorre constatare che la commissione ha suffi cientemente dimostrato che le autorità italiane hanno omesso di
adottare, per un lungo periodo, le misure necessarie a garantire che tali rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute umana e senza usare procedimenti o metodi che potrebbe ro recare pregiudizio all'ambiente.
38. - Ne consegue che il primo motivo, vertente su una viola zione dell'art. 4 della direttiva, è fondato.
Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell'art. 8 della direttiva
39. - Con il suo secondo motivo la commissione chiede alla corte di dichiarare che, non avendo adottato le disposizioni ne cessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati nelle discari che di Rodano li consegnasse ad un raccoglitore privato o pub blico o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nel
l'allegato II A o II B della direttiva, oppure provvedesse egli stesso al loro recupero o smaltimento, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 8 di tale direttiva.
40. - A tale proposito, come ha precisato la commissione, i
proprietari o gestori di discariche devono essere considerati co me detentori ai sensi dell'art. 8 della direttiva.
41. - L'esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (v., in
particolare, sentenze 11 settembre 2001, causa C-71/99, Com
missione/Germania, Racc. pag. 1-5811, punto 29; Foro it., Rep. 2002, voce Unione europea, n. 1930, e 11 ottobre 2001, causa C-l 10/00, Commissione/Austria, Racc. pag. 1-7545, punto 13; Foro it., Rep. 2002, voce cit., n. 1661).
42. - È pacifico che la Repubblica italiana ha omesso di
adottare, alla scadenza del termine ad essa impartito, le disposi zioni necessarie affinché la società SISAS, detentrice dei rifiuti ai sensi dell'art. 8 della direttiva, li consegnasse a un raccoglito re privato o pubblico o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A o II B della direttiva oppure provve desse essa stessa al loro recupero o smaltimento.
43. - Per questa ragione, e in mancanza di elementi contrari
presentati dal governo italiano, occorre considerare che il se condo motivo della commissione, vertente sulla violazione del l'art. 8 della direttiva, è fondato.
44. - Alla luce di quanto precede occorre constatare che, non avendo adottato le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti
depositati nelle discariche di Rodano fossero recuperati o smal titi senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare proce dimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e non avendo adottato le misure necessarie affinché il detentore dei rifiuti depositati in tale discarica li consegnasse ad un racco
glitore privato o pubblico o ad un'impresa che effettua le opera zioni previste nell'allegato II A o II B della direttiva, oppure provvedesse egli stesso al loro recupero o smaltimento, la Re
pubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli art. 4 e 8 di tale direttiva.
Per questi motivi, la corte (quinta sezione) dichiara e statui sce:
Non avendo adottato le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti depositati nelle discariche di Rodano (Milano) fossero re cuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e sen za usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudi zio all'ambiente e non avendo adottato le misure necessarie af finché il detentore dei rifiuti depositati in tali discariche li con
segnasse ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato IIA o II B della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, sui rifiuti, come modificata dalla direttiva del consiglio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee, oppure provvedesse egli stesso a loro recupero o
smaltimento, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli art. 4 e 8 di tale direttiva.
Il Foro Italiano — 2004.
I
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sezione I; sentenza 9 settembre 2004, cause riunite C-184/02 e C-223/02; Pres. Jann, Avv. gen. Stix-Hackl (conci, conf.);
Regno di Spagna e Repubblica finlandese c. Parlamento euro
peo e Consiglio dell'Unione europea.
Unione europea — Corte di giustizia — Ricorso d'annulla mento — Direttiva sull'organizzazione dell'orario di la voro degli autotrasportatori — Ambito di applicazione —
Autotrasportatori autonomi — Infondatezza — Rigetto (Trattato Ce, art. 230; direttiva 11 marzo 2002 n. 2002/15/Ce del parlamento europeo e del consiglio, concernente l'orga nizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano
operazioni mobili di autotrasporto).
E respinto il ricorso diretto all'annullamento della direttiva
2002/15/Ce, concernente l'organizzazione dell'orario di la voro delle persone che effettuano operazioni mobili di auto
trasporto, con specifico riferimento alle disposizioni che pre vedono l'estensione della disciplina agli autotrasportatori autonomi, a partire dal 23 marzo 2009. (1)
II
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sezione V; sentenza 16 gennaio 2003, causa C-439/01; Pres.
Wathelet, Avv. gen. Alber (conci, conf.); Cipra e altro c.
Bezirkshauptmannschaft Mistelbach.
Unione europea — Trasporto su strada — Pluralità di con ducenti — Pluralità di normative comunitarie applicabili — Giudice di rinvio — Decisione.
Unione europea — Trasporto su strada — Normativa co
munitaria applicabile — Certezza del diritto — Validità (Trattato Ce, art. 234; regolamento 20 dicembre 1985 n. 3820/85/Cee del consiglio, relativo all'armonizzazione di al cune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su
strada, art. 8).
Nell'ipotesi di un trasporto effettuato da più conducenti, l'art.
8, n. 2, del regolamento del consiglio 20 dicembre 1985 n.
3820/85/Cee, relativo all'armonizzazione di alcune disposi zioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, trova applicazione in quanto lex specialis rispetto al n. 1 del medesimo articolo, sicché le citate norme non debbono essere
applicate cumulativamente; posto che la medesima interpre tazione è valida per l'art. 8, nn. 1 e 2, dell'accordo europeo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli che effettuano trasporti internazionali su strada (Aets), spetta al giudice del rinvio decidere, alla luce dei fatti di cui alla causa principale, se debbano essere applicate le disposizioni del regolamento n. 3820 del 1985 ovvero quelle dell'accordo sopra citato. (2)
L'esame dell'art. 8, nn. 1 e 2, del regolamento Cee n. 3820 del
1985, svolto con riferimento al principio della certezza del di
ritto, non ha rivelato elementi tali da inficiarne la validi tà. (3)
(1-3) I. - Per la seconda volta, la normativa comunitaria in materia di orario di lavoro costituisce l'oggetto di un ricorso per annullamento ex art. 230 Ce, deciso dalla Corte di giustizia secondo il principio di diritto
compendiato nella prima massima in epigrafe. In una prima occasione, il Regno unito impugnò a tali fini la direttiva
«generale» (93/104/Cee), contestando l'erroneo utilizzo della base giu ridica (art. 118 del trattato, ora art. 137 Ce) e il difetto di proporziona lità delle misure assunte rispetto alle finalità perseguite. La corte di
Lussemburgo rigettò il ricorso, confermando il preminente ancoraggio della direttiva alle finalità di tutela della salute e della sicurezza dei la voratori contemplate dalla base giuridica e ritenendo le misure ivi con tenute (sub specie di prescrizioni minime) proporzionate alle medesime finalità (cfr. Corte giust. 12 novembre 1996, causa C-84/94, Regno unito c. Consiglio, in Foro it., 1997, IV, 280, con nota di G. Ricci, La direttiva sull'orario di lavoro dinanzi alla Corte di giustizia: molte conferme ed una sola (superflua) smentita).
A distanza di alcuni anni, i giudici comunitari tornano ora a pronun ziarsi, mercé il doppio ricorso proposto da Spagna e Finlandia, sulla le gittimità della direttiva «settoriale» (2002/15/Ce) relativa all'organiz zazione dell'orario di lavoro nel settore degli autotrasporti. In particolar modo, nelle domande di annullamento, gli Stati membri rilevano una serie di profili di illegittimità della direttiva, nella parte in cui questa
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